ANIELLO FALCONE

opera completa

  Capitolo 1

La vita
(Napoli, 1607 - 1656)

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I contemporanei celebrarono con molte lodi Aniello Falcone, famoso pittore di battaglie, ma ci fornirono pochi ed imprecisi dati biografici, come il De Dominici, che sbaglia data di nascita e morte, per cui la sua vita e le sue opere hanno dato luogo ad un personaggio leggendario, del quale, a sessanta, settanta anni dalla morte circolavano più aneddoti che notizie.
Una invenzione, creata dalla fertile fantasia del De Dominici, attribuisce al Falcone ed ai pittori della sua bottega una partecipazione attiva nei rivolgimenti popolari del 1647. Egli racconta che “armati di tutto punto, di giorno giravano uccidendo quanti più spagnoli avessero incontrati, e di notte attendevano a dipingere alacremente, e specialmente a ritrarre le sembianze di Masaniello”. Questa favola, a parte i dettagli inverosimili, come la protezione accordata dal Ribera, che, viceversa, si vantò sempre della sua hispanidad e nonostante il silenzio delle numerosissime e particolareggiate cronache di quella rivoluzione, è tra quelle invenzioni che hanno avuto maggior fortuna. Per amor del vero, come accertato dal Faraglia, una Compagnia della morte agì in città, ma alcuni anni dopo, nel 1650, e ne fecero parte malandrini e non pittori.
Aniello Falcone nacque a Napoli il 15 novembre 1607 da Vincenzo e Giovanna de Luca e venne battezzato nella parrocchia di San Giorgio Maggiore.
La sua famiglia era benestante e possedeva numerose case alla Selleria. Il padre era un indoratore e fu più volte console dell’Arte. Nel 1633 emancipa il figlio sedicenne, il quale, il 17 maggio del 1639, sposa Orsola Vitale, figlia di Filippo Vitale e di Caterina de Mauro, entrando così a far parte di quella fitta ragnatela di parentele fra pittori descritta accuratamente dal Prota Giurleo. Diverrà cognato o zio di Pacecco e Diana De Rosa, Agostino Beltrano, Giovanni Do, Paolo De Matteis e Giovan Battista Lama. Tra i testimoni delle sue nozze Luca Forte.
Aniello ebbe vari figli, anche se nei registri della parrocchia di San Giuseppe è annotata solo la nascita, il 28 novembre 1646, di una bambina, Cecilia Jacova, ma da altri documenti veniamo a conoscenza che alla morte di Filippo Vitale, avvenuta nel 1650, ne risultavano viventi tre: Vincenzo, Antonio e Caterina.
Il 2 marzo 1647 rimane vedovo e l’anno successivo, il 18 giugno, perde anche il padre che, con la madre, si era trasferito a vivere a casa sua dopo la morte di Orsola.
Poche ed essenziali le altre notizie rivelate dai documenti sulla sua attività.
Nel 1636 teneva in casa sua un’Accademia di nudo con Matteo di Guido ed Onofrio Masturzo, nel 1638 assumeva come assistente Onofrio Giustiniano.
Nel 1651 risiedeva nel palazzo del principe di Tarsia, uno dei suoi maggiori committenti.
Altri famosi collezionisti napoletani possedevano numerose sue opere, come i Caracciolo, principi di Avellino, Cesare Firrao, principe di Sant’Agata e Gaspare Roomer, il quale, nel 1647, gli richiese una serie di battaglie ispirate alla Gerusalemme Liberata, da inviare in Fiandra e gli fece affrescare il salone della sua villa di Barra.
Il De Dominici lo colloca tra gli allievi del Ribera, affermazione che può essere confermata dall’esame delle sue tele giovanili, di ispirazione realista.
E giungiamo al 1656, ai giorni della terribile peste. Aniello si era trasferito a vivere in una grande casa presso il monastero delle Cappuccinelle ed il 14 luglio, contratto il morbo, fece testamento. I suoi figli non compaiono nel documento, forse perché morti giovanissimi ed eredi diventano la sorella Candida ed i fratelli Giuseppe e Tommaso. Lascia proprietà anche ad alcuni nipoti e chiede di essere seppellito nella chiesa di Gesù Maria e non nel Carmine Maggiore, come riferito da biografi successivi, tra cui il Dalbono e lo stesso Saxl.
Dona l’interesse dei suoi capitali all’ospedale degli Incurabili, in cambio di una serie di messe di suffragio e divide in tre lotti la raccolta dei suoi disegni, una delle quali viene regalata al nipote scultore Andrea.
Vuole che siano restituite agli aventi diritto le caparre sui quadri non eseguiti ed infine desidera che dalla vendita dei suoi mobili vengano stornati 50 ducati da dare “per amorevolezza”, in primis et ante omnia, a Giovanna de Rosa, sorella di Salvator Rosa, moglie, o forse già vedova, di Francesco Fracanzano.
Fin qui il racconto del testamento, diligentemente ritrovato e pubblicato sulle pagine di Napoli Nobilissima dal Faraglia, già dal 1905. Rimaneva, fino a pochi anni fa, il dubbio se al documento olografo avesse fatto seguito realmente a breve la morte del pittore, tenendo conto che il De Dominici lo riteneva vivente fino al 1665.
La conferma dell’avvenuto decesso nell’anno della peste è giunta da poco grazie ad una giovane studiosa, Raffaella Notari, che ha reperito un atto notarile, nel quale si fa cenno che, nel Decreto di Preambolo emesso dal Tribunale della Vicaria il 12 dicembre del 1656, Antonio Falcone, nipote dell’artista, si configura nella sua qualità di erede del defunto Aniello.


fig. 1 - Ritratto di Aniello Falcone

 

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