Pacecco de Rosa
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L'attività giovanile di Pacecco è difficile da classificare per la mancanza di documenti di pagamento fino al 1636, data di esecuzione del San Nicola di Bari ed il garzone Basilio (fig. 10) conservato nella sacrestia piccola della Certosa di San Martino, un'opera già matura in cui l'influsso del Domenichino, a Napoli dal 1631, e dello Stanzione sono evidenti.
La veste del Santo e dello stesso garzone sono definite con grande accuratezza nei colori e nei giochi di luce, segno indefettibile che la lezione della Gentileschi, in città dal 1627, è stata pienamente recepita dal De Rosa. Da notare che il fanciullino che fa da modello nel quadro è lo stesso che compare nel S. Matteo del Museo di Capodimonte (fig. 12), che offre un cesto di frutta ad una santa Dorotea giovinetta (fig. 13) in una inedita tela ad ubicazione sconosciuta, sostiene il battezzando nel quadro con San Biagio (fig. 14) dell'antiquario Lumina di Bergamo e solleva una cesta di piccioni nell'Adorazione dei pastori di Montecitorio (fig. 15). A questa tela va collegato, di poco successivo, il dipinto omonimo conservato a Milano nella chiesa di San Nicolao (fig. 11), a lungo attribuito a Stanzione dalle fonti e dalla critica ed assegnato convincentemente al De Rosa dal Willette.
Sempre a San Martino, e collocabile intorno al 1635, è conservata nel Quarto del Priore una Madonna col Bambino (fig. 16) assegnata a Pacecco dal Fittipaldi, in contrasto con il parere di Spinosa più propenso a vedere il pennello di Filippo Vitale. Di eguale iconografia vi è la splendida tela conservata nella chiesa di Santa Marta (fig. 17), dominata da un violento gioco di ombre in superficie, attribuita a Pacecco dal Causa, poi collocata nel catalogo del Guarino dal Bologna ed infine di nuovo data a De Rosa da Spinosa. Vicina a questi dipinti è la tela della Galleria nazionale di Praga (fig. 18) Sant'Antonio con Bambino.
Sicuramente antica è anche la Madonna della Purità, (fig. 19) conservata nella chiesa del Divino amore, intrisa da un elemento arcaizzante nel fondo dorato affollato di cherubini, motivo ancora caro agli ultimi cinquecentisti napoletani; la tela costituisce un prototipo a cui seguiranno negli anni successivi numerose repliche autografe con varianti, come quelle presenti nella chiesa dei Cappuccini a Solofra (fig. 20), o nella sacrestia di San Potito (fig. 21) od altre meno note, nella chiesa delle Trentatrè (fig. 22), nella chiesa di Cosma e Damiano a Conversano, nella 1° cappella sinistra della Annunziata, nel museo Lazaro Galdiano di Madrid (fig. 23), nel succorpo della Cattedrale di Salerno (fig. 24) ed il tondo di S. Maria la Nova.
Bisogna essere molto attenti nell'attribuzione, perchè la stessa iconografia è stata trattata anche da altri artisti in maniera sovrapponibile, basta osservare questa Madonna della Purità (fig. 25) firmata da Giacinto De Populo della chiesa della Sapienza per convincersene.
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