Pacecco de Rosa

  Capitolo 1
Gli esordi e la fortuna critica

Molto deve la nobile arte della pittura a Pacecco De Rosa.
Con questo giudizio lusinghiero il De Dominici, celebre biografo settecentesco, al quale siamo debitori della quasi totalità delle informazioni sui nostri pittori seicenteschi, cominciava il suo capitolo sull'artista. Oggi a distanza di secoli attendiamo ancora una monografia completa sul pittore, nonostante la sua veste di caposcuola di una corrente, per quanto minore: il purismo, la sua presenza massiccia sul mercato antiquariale e la notevole e qualificata bibliografia sull'argomento.


Fig. 1 

Francesco De Rosa, detto Pacecco, nasce a Napoli il 17 (o il 27) dicembre 1607 da Tommaso e Caterina De Mauro ed attraverso una ragnatela molto complessa, scoperta grazie alle diligenti ricerche del Prota Giurleo, ha rapporti di parentela con molti pittori attivi in città nella prima metà del XVII secolo (fig. 1).
E' fratello della famosa Annella, della quale pubblichiamo un rarissimo ritratto
(fig. 2), moglie di Agostino Beltrano e secondo le malelingue "amica" di Massimo Stanzione, mentre un'altra sorella è moglie di Juan Do. La madre, diventata vedova, sposa in seconde nozze Filippo Vitale, presso la cui bottega il Nostro apprese i primi rudimenti del mestiere. Il padre Tommaso, anch'egli pittore, ancora tutto da scoprire, del quale ci è noto solo un Martirio di S. Erasmo del 1601, conservato nella chiesa dello Spirito Santo, era in rapporto con Venceslao Coebergher e ciò potrebbe giustificare a livello inconscio certe nostalgie puriste di timbro manieristico che si riscontrano lungo tutta l'opera di Pacecco.


Fig. 2


Fig. 3-4

Non conosciamo, a differenza della sorella Annella, ritratti sicuri di Pacecco, il quale non aveva il vezzo di rappresentarsi nei suoi dipinti. Se fosse sua, come sostiene Bologna, l'eccezionale tela di Giuseppe fanciullo che interpreta i sogni del faraone (fig. 3-4), documentata nel 1707 in Palazzo Orsini a Gravina e passata nell'asta Porro nel 2003, oggi assegnata però dalla critica a Francesco Guarino, potremmo facilmente riconoscere il nostro pittore nel beffardo signore, dai baffi prominenti, in primo piano alla destra del faraone; come pure potremmo identificarlo nel signore a sinistra della composizione nel Martirio di San Biagio (fig. 5), forse replica di bottega.


Fig. 5

Probabilmente era di belle sembianze, a voler dar credito al De Dominici, che descriveva le sue sorelle, Diana, Maria Grazia e Lucrezia, di una bellezza fuori del comune, da meritarsi il soprannome " Le Tre grazie", titolo ereditato dalle tre figliole di una di loro. Spesso le modelle sfolgoranti riprese "nature" nelle composizioni degli anni Quaranta, i più felici per la produzione profana dell'artista, erano le sue sorelle e secondo alcuni le sue nipoti. 
Le fonti antiche e tra queste lo stesso De Dominici, suggestionate dalla convergenza di stile tra i due pittori, ritenevano il De Rosa allievo di Massimo Stanzione, ma oggi la critica ritiene che, più che un vero e proprio discepolato, il "divino Guido" per Pacecco abbia costituito un modello ispirativo. Ben più importante fu l'alunnato presso il patrigno, la cui influenza è molto marcata in alcune opere come la giovanile Deposizione (fig. 6), conservata al museo di San Martino e derivata dal noto dipinto del Vitale sito nella chiesa di S. Maria Regina Coeli (fig. 7). 


Fig. 6-7

 

Lo stesso soggetto iconografico è stato trattato altre due volte dal De Rosa, in una tela più antica (fig. 8) conservata nella quadreria del Gesù Nuovo ed in una (fig. 9 e 9 bis), firmata e datata 1646, posta sulla parete laterale sinistra della cappella del Crocifisso (prima cappella destra) nella chiesa della Nunziatella, dipinto lontanissimo dallo stile del Nostro, a tal punto che il Galante lo attribuì a Ludovico Mazzante, mentre il De Dominici, che l'assegnava correttamente, lo descriveva come dipinto" ad imitazione dell'incomparabile Annibal Carracci".
Periodo giovanile


Fig. 8


Fig. 9-9bis

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