Cap.43
Napoli nelle pagine degli scrittori
La letteratura da sempre ha denunciato il degrado della città e le
miserevoli condizioni dei suoi abitanti, in maniera ancor più
efficace delle arti figurative, che pure hanno raggiunto dei vertici
assoluti, dalle Sette opere di Misericordia di Caravaggio, nella
quale Napoli è descritta come un dedalo inestricabile di vicoli
pericolosi, frequentati da ceffi patibolari e sguaiate meretrici,
alle precise documentazioni dal vivo di Micco Spadaro, preciso
illustratore di eventi tumultuosi:peste, rivolte e catastrofi
naturali.
Già il Boccaccio, vissuto a Napoli, dove conobbe ed amò la sua
Fiammetta, nella novella del Decamerone di Andreuccio da Perugia,
rappresenta una città senza mare e senza sole, in balia di
prepotenti e malfattori.
Nell’Ottocento, senza attendere il verismo, scrittori e giornalisti,
continueranno, in omaggio alla verità a delineare con puntigliosa
precisione il ritratto di una città omertosa e delinquenziale,
afflitta da povertà ed ignoranza e popolata dalla concentrazione di
plebe più alta del mondo occidentale.
I Vermi di Mastriani, ma soprattutto il Ventre di Napoli della Serao
denunciano la miseria diffusa che per secoli il ceto politico
dominante ha inteso nascondere, la faccia oscura ed impresentabile
di un’antica capitale decaduta al ruolo di provincia. La città in
questi scritti mostra il suo volto oscuro, di una divisione netta
tra l’aristocrazia ed il ceto medio ed il popolo dei lazzari e degli
scugnizzi, le belle strade di rappresentanza alle quali si
contrappongono i vicoli sudici e maleodoranti, i superbi palazzi e
le residenze di lusso, mentre gran parte della popolazione è
costretta a vivere in squallidi tuguri.
Una Napoli esaltata dai viaggiatori del Gran Tour per le sue
bellezze naturali ed i suoi tesori artistici, per il clima salubre,
mentre i cittadini indigenti, che sono la maggioranza, obbligati a
sopravvivere in bassi dove il sole così celebrato non riesce ad
arrivare e dominano incontrastati il rachitismo ed il colera.
Il libro della Serao è una serrata indagine giornalistica, ma ha la
forza impetuosa del romanzo, rappresenta una denuncia severa e
particolareggiata, ma anche un atto di amore infinito.
Vi furono dei risultati, anche se non risolutivi. Furono abbattuti i
fondachi più tetri, caddero sotto i colpi del piccone le case
inabitabili, scomparvero interi quartieri malsani, come il
Malpertugio che risaliva agli angioini, Mezzocannone fu tagliata,
assieme a palazzi storici, spostati o affettati. Fu sviluppata una
rete fognaria moderna e l’acqua giunse in quasi tutte le case,
furono costruite grandi arterie che cambiarono il volto della città.
L’Italia non seppe però affrontare e risolvere atavici problemi ed
ecco di nuovo un libro di accorata denuncia, il più spietato: La
pelle di Curzio Malaparte, un romanzo che offre un ritratto spietato
del degrado umano, più che materiale, della napoletanità ridotta a
brandelli con la prostituzione ubiquitaria e la sconfitta di un
popolo che si vende al miglior offerente, con i corpi dei suoi figli
concessi per un pugno di dollari alle turpi voglie dei vincitori. Un
libro dalla prosa barocca e magniloquente intriso di una ferocia
beluina nel descrivere con furia dantesca un rassegnato paradiso
abitato da diavoli, che fotografa una grande metropoli, la quale
dopo aver perso la guerra ha dissipato scriteriatamente anche la
pace.
L’antica Partenope, costantemente sedotta e tradita, sottomessa, ma
che ha sempre saputo ammaliare il vincitore, cade in un abisso di
dissolutezza, in una vertigine di perdizione, dalla quale faticherà
a sollevarsi.
Una girandola di episodi sospesi tra una realtà che sfida la più
accesa fantasia, inseguendo la verità, un racconto scomodo intriso
di ribrezzo e poesia, rabbia ed anelito di libertà, furore dei sensi
e disperata ricerca di spiritualità. Un dettato orgiastico per
narrare a tutti il sommo dolore e la sopita voglia di un domani
migliore.
Il consiglio comunale di Napoli, inorridito, nel 1950, censurò
pubblicamente Malaparte, il Santo Uffizio lo mise all’indice tra le
opere immorali, la critica si divise nel giudicarlo. Pochi
percepirono la scintilla che lo pervadeva, l’indicazione di una
strada impervia per ricercare un senso morale della vita,
un’esaltazione di un popolo martoriato nei giorni più bui della
sofferenza, una sofferenza che ci è rimasta appiccicata sulla pelle.
Da allora comincia il compito degli scrittori di salvare Napoli, la
letteratura esprime una funzione di supplenza sostituendosi alla
politica ed alla stessa società civile, che da tempo ha abdicato ad
ogni funzione e si è consegnata alla camorra ed al malaffare.
I mali arcaici, trasformati ed ingigantitisi nel tempo, continuano a
manifestarsi nel corpo malato della città a guisa di purulente
metastasi, a confermarci che la notte edoardiana non è ancora
passata e brancoliamo ancora nello smarrimento delle coscienze.
Ci saranno ancora altri scrittori, che con foga lanceranno
inascoltati il loro grido di dolore. Anna Maria Ortese con il suo Il
mare non bagna Napoli, La Capria con Ferito a morte, Ermanno Rea con
Mistero napoletano, fino al romanzo saggio di Roberto Saviano, il
quale con Gomorra compone un affresco corale della camorra divenuta
Sistema e dopo aver conquistato il commercio internazionale della
droga nella latitanza assoluta dello Stato, ha preso possesso delle
anime, ha ipotecato il futuro dei giovani ed umiliato ogni residua
speranza di riscatto civile.
Diviso per episodi, dalla falsificazione delle griffe allo spaccio
della droga, Gomorra descrive con malapartiana ostentazione il
degrado della vivibilità, il crollo dei valori, il predominio della
prepotenza, la banale propensione all’esercizio del crimine.
Il messaggio non dà speranza di redenzione, né di cambiamento, anzi,
la spirale della violenza e del malaffare sembra oramai impazzita e
dilaga senza argini alla conquista di sempre nuovi territori.
Le uccisioni si sprecano come avviene nella cruda realtà ed alla
fine è difficile ricordare il numero dei morti ammazzati nei luoghi
e con le modalità più varie.
La camorra viene correttamente descritta come un mostro a più teste,
un’idra dai tentacoli vigorosi e rapaci, che si agitano in più
direzioni senza un vero comando centrale. Le centinaia di famiglie
malavitose, che oggi controllano la Campania, sono infatti in
perenne fibrillazione, forti degli smisurati proventi della droga,
alla ricerca di investimenti internazionali nei settori più
svariati, dagli immobili all’alta finanza.
Nel libro non vi è posto per lo Stato, disperatamente assente, le
poche volanti della polizia sono esili ectoplasmi che scompaiono
subito all’orizzonte, non vi è posto per l’amore di alcun genere e
vomitevoli sono le poche scene destinate al sesso ed imperniate su
lubrici strofinamenti tra inesperti minorenni e lardosi cinquantenni
con bonazze brasiliane e nigeriane, dalle movenze feline e dalle
poppe smisuratamente protrudenti in virtù di generose mastoplastiche
additive.
La fame atavica non è più quella degli abitanti dei bassi nei secoli
precedenti, ma è un desiderio sfrenato di beni materiali, che
coinvolge tutti coloro che vivono da sempre nel vuoto morale e
nell’ignoranza e considerano un solo dio: il moloch denaro come
misura di tutte le cose.
Napoli affonda sempre più e si fatica a vedere un barlume di luce
oltre le tenebre.
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Matilde Serao-Il Ventre di Napoli
Curzio Malaparte
Curzio Malaparte-La pelle
Anna Maria Ortese-Il mare non bagna Napoli
Roberto Saviano-Gomorra
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