Pacecco de Rosa
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Tra gli ancora sconosciuti alla critica allievi della bottega proponiamo il nome di Philippus Zellus, che firma e data, 1654, una Vergine tra i Santi Nicola e Gaetano (fig. 51), dai caratteri spiccatamente pacecchiani, conservata nella Basilica di Santa Maria del Lauro a Meta di Sorrento. E' il suo primo allievo plausibile, perchè Filippo Donzelli, indicato come tale dal Causa, è da noi conosciuto unicamente per un San Michele, firmato, nella chiesa di San Vincenzo alla Sanità, dai chiari caratteri falconiani e per risultare iscritto alla Corporazione dei pittori napoletani nel 1665.
Opere sicuramente di bottega sono la S. Agata (fig. 52) presentata alla mostra dei Tre secoli della pittura napoletana tenutasi a Napoli nel 1938, dalle dita affusolate e l'altra, più tarda, (fig. 53) dei depositi della Galleria Borghese, il S. Massimo (fig. 54) della chiesa di Santa Sofia a Giugliano, la replica della Madonna con S. Luigi di Tolosa e Luigi, re di Francia (fig. 55), conservata nel Seminario vescovile di Conversano, il Martirio di S. Biagio (fig. 56) del museo provinciale di Lecce e Bacco ed Arianna incoronati da Venere (fig. 57), passato come autografo in asta da Semenzato nel luglio del 1988. Anche S. Stefano (fig. 58) e S. Lorenzo (fig. 59), presenti sul mercato (Firenze Pitti 1989), nonostante la notevole qualità sono prodotti di bottega, ben lontani dalla forza espressiva dei colleghi ... di Capodimonte (fig. 60) e (fig. 61), già nella Farmacia degli Incurabili. Ancora di bottega segnaliamo un piccolo olio su rame in collezione privata napoletana, un Diana ed Endimione (fig. 62 ) ed una copia da un originale perduto (fig. 63), eseguito a quattro mani e due pennelli, passato in asta a Roma all'Antonina.
Da espungere dal catalogo dell'artista: il Noli me tangere (fig. 64) del mercato antiquario di New York, che appartiene in maniera lampante ad Andrea Vaccaro, il Mosè che trae l'acqua dalla rupe (fig. 65) del museo di Budapest, assegnato al De Rosa dal Pigler e confermatogli dall'Ortolani, che oggi la critica unanimemente attribuisce al De Bellis, e le due Scene carnascialesche, già nella collezione del barone Lazzaroni di Roma, che furono presentate alla grande mostra sulla pittura italiana di Firenze a Palazzo Pitti nel 1922 e che l'Ortolani giudicava tipiche espressioni di napoletana gaiezza, assegnate all'artista forse per similitudine iconografica con il Sileno ignudo in un corteo bacchico, descritto dal De Dominici presso il duca di Maddaloni. Ed a proposito di questa tela, descritta con pedante precisione dal celebre biografo, bisogna valutare attentamente l'ipotesi formulata dal Pugliese che il Sileno possa essere quello eseguito da Francesco Fracanzano ed esposto a Capodimonte di fronte all'interpretazione datane dal Ribera.
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