Cap.16
L’artefice di Terrae Motus
Lucio Amelio
Nel 1932 nasce a Napoli un poliedrico e vulcanico personaggio: Lucio
Amelio, gallerista di successo con spazi espositivi in Piazza dei
Martiri ed a Parigi; a Berlino ed a New York; cantante dalla
bellissima voce ed attore per divertimento, ma principalmente uomo
dinamico e trasgressivo dal carattere bizzarro e dalle solenni
incazzature, che con le sue molteplici iniziative ha permesso a
Napoli di diventare una delle capitali dell’arte contemporanea ove
puoi incontrare più facilmente che a Milano o a New York un «grande»
dell’arte moderna.
Questo ieri, oggi vi è il deserto e Lucio Amelio è ingiustamente
dimenticato.
Molti napoletani hanno senz’altro incontrato più di una volta Lucio
Amelio per strada, pur senza riconoscerlo. Era facile, infatti,
vederlo ogni giorno percorrere a passi piccoli e veloci il tratto di
strada tra piazza Vittoria e piazza dei Martiri, mentre si recava al
suo quartier generale in palazzo Partanna, con il cappotto sempre
abbondante, il doppiopetto sempre impeccabile, la camicia e la
cravatta ricamata. Lucio Amelio è stato uno tra i maggiori
galleristi internazionali di arte contemporanea, ma come tutti i
napoletani rimane un gran sognatore per cui si è divertito a fare
l’attore cinematografico lavorando con registi di successo, come la
Wertmuller o il cantante, incidendo un 33 giri «Ma l’amore no»,
rivisitando vecchi brani degli anni Quaranta e Cinquanta.
Egli da ragazzo era stato indirizzato agli studi di ingegneria dal
padre, costruttore di macchine industriali, ma dopo qualche anno
aveva avuto il coraggio di cambiare strada scegliendo un nuovo
indirizzo di studi a lui più congeniale: la facoltà di architettura.
Nel 1951 lo troviamo nel direttivo della «Corda Frates»
un’associazione culturale universitaria che organizza incontri con
studenti stranieri tra i quali conosce il pittore berlinese Gunter
Wirth. Nel 1953 prende la tessera del partito comunista e comincia a
frequentare assiduamente la «Associazione culturale nuova» fondata
da Gerardo Marotta.
Comincia poi il periodo dei viaggi ed a Berlino rincontra Wirth, dal
quale viene introdotto negli ambienti culturali sia ad Est che ad
Ovest della allora divisa città tedesca.
Abbandonati gli studi si stabilisce per un periodo di tempo a
Berlino Est ove lavora in uno studio di architettura e frequenta il
circolo letterario della scrittrice Anna Segers e l’ambiente che
ruota intorno a Berlinere Ensemble. Alcune volte per arrotondare
deve fare anche il manovale ed il giardiniere.
Nel 1959 l’improvvisa morte del padre lo spinge a ristabilirsi a
Napoli ove lavora nei cantieri metallurgici di Bagnoli come
interprete di tedesco. Ma la Germania lo ha ormai stregato e nel
1960 è di nuovo a Stoccarda come rappresentante di una ditta di
prodotti chimici. Si rincontra col pittore Gunter With che nel
frattempo ha aperto una galleria d’arte d’avanguardia. Nel 1963
organizza a Berlino una mostra di artisti napoletani e quindi l’anno
successivo a Napoli un vernissage di artisti tedeschi. Nel
cartoncino di invito di questa esposizione compare per la prima
volta il «marchio Lucio Amelio».
Durante un’escursione sul monte Tibidabo egli è vittima di un
gravissimo incidente, precipitando in una voragine. L’incidente lo
costringe a letto per oltre un anno. Ristabilitosi riprende il
lavoro all’Italsider, ma siamo giunti ormai vicino ad una data
fatidica il 18 ottobre 1965, quando Amelio inaugurava una sua
galleria di arte contemporanea con una mostra del pittore berlinese
Heiner Dilly. La Modern Art Agency è uno spazio espositivo collocato
due piani sotto il livello stradale al n. 85 del Parco Margherita,
in un palazzo della buona borghesia, Giuseppe Berto è per i primi
anni l’unico collaboratore di Amelio. Il critico d’arte Filiberto
Menna stila la sua prima recensione ed effettua il primo acquisto.
Il giovane intellettuale salernitano Marcello Rumma, innamoratosi
della galleria dalla prima mostra, sarà negli anni il maggior
collezionista ed acquirente di opere.
La galleria che dal 1969 si trasferisce nella famosa sede di piazza
dei Martiri 58, presenta nel corso degli anni le più significative
tendenze dell’arte contemporanea italiana ed internazionale dal
concettuale alla power art fino alla transavanguardia. È Lucio
Amelio ad introdurre nei primi anni Settanta in Italia maestri del
calibro di Kounellis, Twomblj e Bewys, con il quale vivrà negli anni
un vero e proprio sodalizio ideale e culturale, che i maldicenti
interpretarono in modo ambiguo.
Tra gli autori italiani è sempre Amelio ad imporre sul mercato e
all’attenzione generale artisti come Paladino, Tatafiore e
Longobardi presentati assieme in una rassegna dal titolo «Nuova
creatività nel mezzogiorno» organizzata in galleria nel 1978 con la
presentazione di Michele Buonomo.
Piazza dei Martiri diventa il punto di riferimento dei giganti
dell’arte americana da Warhol a Rauschenberg; ma la vera fama
culturale della galleria sta nel fatto che essa non si limita a
presentare pedissequamente proposte già confezioniate e studiate per
un pubblico straniero, bensì tende ad elaborare coerentemente a
Napoli una strategia artistica in grado di valicare tutti i confini
con la propria forma espressiva, senza tenere in gran conto il
risultato squisitamente economico. Nel 1977 con la collaborazione di
Raffaello Causa, unico incontro con le istituzioni, organizza una
mostra su Carlo Alfano che si terrà a Villa Pignatelli.
Amelio organizza a Napoli l’incontro tra Warhol, l’artista che più
vive nel mercato con Beuys l’artista che più vive nell’utopia e con
questo connubio si getta il seme ideale che farà spiccare l’ultimo
salto di qualità al lavoro della galleria.
E siamo al 23 novembre del 1980 quando un rovinoso terremoto scuote
dalle viscere più profonde la Campania provocando lutti ed enormi
danni economici.
Lucio Amelio ha un’idea folgorante che su questa catastrofe bisogna
ricostruire una nuova idea dell’arte; sorge così Terrae Motus, una
rassegna di opere di artisti contemporanei dedicata al cataclisma.
All’iniziativa il cui nome è preso da un suggerimento di Giuseppe
Galasso, aderiscono subito entusiasti Warhol e Beuys che fanno da
traino a tutti gli altri artisti che nel corso degli anni aderiscono
al progetto, regalando la propria opera ispirata al terreno alla
Fondazione costituitasi nel frattempo nel 1982.
Complessivamente nel corso di dieci anni Terrae Motus si arricchisce
di oltre cento opere dovute a 65 artisti appartenenti a 13 paesi.
La collezione si avvale di opere di Warhol, Bauys, Kounellis,
Longobardi, Vedova, Mapplettrorpe, Twombly e tanti altri per un
valore commerciale stratosferico.
La mostra non ha mai avuto sedi stabili; le opere restano a Villa
Campolieto dal 1982 al 1986, quindi una grande esposizione,
sponsorizzata dal Banco di Napoli, al Gran Palais di Parigi,
visitata da oltre ventimila persone. Molte città hanno offerto ad
Amelio una sede stabile per esporre le sue opere, ma Terrae Motus
nata a Napoli può vivere solo in questa città che è l’immagine della
catastrofe più che del sole. La nostra patria è una caverna che da
tremila anni è in subbuglio, fino a quando il terremoto è stato il
catalizzatore di una scelta obbligata, assolutamente naturale.
Alcuni anni fa una sede prestigiosa sembrava pronta ad accogliere
Santa Lucia al monte che la fondazione Amelio aveva acquistato per
destinarla a sede definitiva di Terrae Motus, affiancando una serie
di attività tali da creare un vero e proprio centro di produzione
culturale con mostre, dibattiti, videoteche, archivi, biblioteche di
settore, editoria specializzata, borse di studio, ateliers per
artisti, ecc.
La Fondazione una volta proprietaria di una sede così prestigiosa
deve essere posta in condizione di poter compiere il suo ambizioso
lavoro attraverso una feconda collaborazione con le istituzioni:
Comune, Regione, Soprintendenze, Accademia di Belle Arti e altre
organizzazioni cittadine nazionali ed internazionali.
C’è stato un momento in cui lo Stato, invece di favorire un progetto
culturale così ambizioso, ha creato degli ulteriori problemi,
riscoprendo un antico diritto di prelazione sull’immobile mai
attivato negli anni precedenti e perciò scaduto. Dopo un faticoso
tira e molla col Ministero dei Beni Culturali si è riuscito a
superare anche quest’ultimo ostacolo ed il 7 gennaio 1991 cominciano
i lavori di riattivazione e di restauro del vecchio convento sotto
la direzione dell’architetto Pezzullo, una specialista nel restauro
dei monumenti, la quale tende sempre in primo luogo al recupero del
complesso nel rispetto della sua forma originale.
Purtroppo i lavori che si sperava potessero concludersi in tempi
brevi, durarono un’eternità e mai come in questo caso andrebbe bene
l’implorazione «Fate presto» che Warhol pose emblematicamente nella
sua opera sul terremoto, riprendendola dalle pagine dei quotidiani,
che chiedevano a viva voce il soccorso per le zone interessate dal
sisma. Nell’ambito della realizzazione di una sede espositiva
definitiva per le opere di Terrae Motus, Amelio ha pensato di
affiancare anche un progetto europeo che possa rinsaldare un legame
di sangue tra la cultura napoletana ed il resto del Sud. Un progetto
che tenda a rivivificare tutte le capitali del bacino del
Mediterraneo da Barcellona al Cairo, da Atene a Napoli. Città dove è
nata la cultura che significa anche terra che bolle e cervelli
caldi.
L’importante è che si riesca a creare a Napoli un istituto di
cultura contemporanea che non sia in mano ai burocratici ed ai
faccendieri politici, seguendo l’esempio di Gerardo Marotta che con
il suo Istituto di Studi Filosofici ha creato una struttura privata
da far impallidire l’università.
Per meglio conoscere il personaggio riportiamo una breve intervista
che Amelio mi concesse tempo fa per un libro che stavo allestendo
sui personaggi napoletani da ricordare. L’incontro con il signore
dell’arte avvenne nella sua galleria di piazza dei Martiri e davanti
a noi vi era un personaggio solare e tagliente che sapeva essere
arcigno e conciliante.
Signor Amelio, come lei sa Napoli riesce a mantenere il suo fascino
in Italia e all’estero grazie all’attività di poche persone che si
battono tra mille difficoltà, per l’avanzamento civile e morale
della città. Ci indichi 15 nomi di concittadini che si sono
maggiormente distinti.
«Galasso, Marotta, Villani, De Simone, Buonuomo, Paladino,
Compagnone, Tatafiore, Pisani, Alfano, Longobardi, Donatone, Marra e
Trisorio».
Non le nascondo signor Amelio che per me, collezionista di dipinti
antichi ed amante del ’600 napoletano, scrivere su di lei e
sull’arte contemporanea è molto difficile. Mi sa dire cos’è che la
spinge ad essere un gallerista di arte moderna.
«La galleria è il punto di aggregazione di idee e di energie
creative, che sono nell’aria e che trovano la loro espressione nelle
mostre, ove possono raggiungere un pubblico a volte anche molto
vasto, chiudendo così il circuito tra gallerista, artista,
visitatore e collezionista.
Inoltre è il luogo dove oltre a promuovere e divulgare l’arte
vengono eseguite delle ricerche estetiche esaminate in una
prospettiva storica».
Dopo il successo di Terrae Motus so che Lei sta dedicando le sue
energie ad un nuovo ciclo di lavoro e di ricerca che ha chiamato la
Commedia dell’Arte e di cui simbolo è Pulcinella; può dirci qualcosa
in merito?
«Dopo l’esperienza di Terrae Motus mi propongo oggi di indagare
sulle inquietudini del nostro futuro. Oggi la gente si sente tradita
dai mercati d’arte moderna perché l’arte stessa si è degradata ad
oggetto di decorazione, così che un vento gelido ha coperto con un
sottile strato di ghiaccio tutte le gallerie del mondo.
Così artisti contemporanei dopo aver indicato e denunciato la crisi
del mondo moderno ne sono rimasti vittime.
L’arte però non può crollare assieme al mondo e perciò bisogna
organizzare una sorta di resistenza estrema come quella degli eroi
delle Termopili cantata da Kavafis.
Pulcinella diventa il simbolo di questa resistenza, perché è il
personaggio a cui hanno tolto tutto tranne il desiderio, come una
specie di Don Chisciotte, che con il suo volto malinconico indica la
direzione per uscire dall’ombra.
Noi dobbiamo come gli antichi romani aspettare nel Senato che
arrivino i barbari, forse non verranno mai, forse sono già arrivati
con la faccia degli stessi artisti. Noi abbiamo il compito di
scuotere le coscienze, di far rinascere la consapevolezza della
decadenza e delle barbarie. Dobbiamo suonare il nostro tamburo di
guerra. Dobbiamo accendere mille fuochi di creatività, nella città e
altrove perché solo così l’arte può trasformare e migliorare tutto
il mondo.
Parole che rimbalzano dal passato e sono estremamente attuali,
soprattutto a Napoli dove il tempo scorre meno velocemente che
altrove.
Nel frattempo la città attende ancora la raccolta Terrae Motus,
parcheggiata nella provvisoria sede della Reggia di Caserta ed ha
dimenticato l’opera e l’insegnamento di Lucio Amelio.
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