Cap.15
Canta Napoli
Renato Carosone
"Canta Napoli" era l'irriverente quanto famoso grido di
presentazione che Gegè Di Giacomo, l'indimenticabile, quanto
impareggiabile batterista del complesso di Carosone, lanciava al
pubblico.
Negli anni è diventato sinonimo della stessa musica di Carosone, che
prendeva in giro la moda del momento con le sue ironiche canzoni
quali "Stu fungo cinese", "Tu vuo' fa' l'americano", "O' russo e' a
rossa", senza però trascurare nessuna delle caratteristiche
fondamentali della canzone napoletana, quali il sentimentalismo, la
carica umana, l'orecchiabilità. Si trattava di una presa in giro
quasi sacrilega, ma impregnata sempre da un grande amore ed un
profondo rispetto per la forza evocatrice di sentimenti insita nella
canzone napoletana.
Renato Carosone nasce a Napoli nel 1920, a Vico Santa Maria
Apparente, nel cuore antico della città. A 17 anni comincia la sua
carriera artistica, scritturato dalla compagnia Russo di arte varia,
(recitato, cantato, ballato) e sbarca in Africa orientale a Massaua,
ove rimane per nove anni, con la sola interruzione del periodo di
leva militare.
Nel 1946 il rientro a Napoli ove nel 1949 nasce un trio destinato a
grande successo: Gegè Di Giacomo alla batteria, Van Wood (il futuro
astrologo olandese) alla chitarra e Renato al pianoforte. L'esordio è
allo "Shaker", il 27 settembre, il locale della gioventù dorata
napoletana a cavallo degli anni '50 e '60.
In seguito la carriera di Carosone conoscerà mille momenti magici:
dal duetto con Luis Armstrong al "Caprice" di Milano all'esordio con
Benny Goodman alla Carnegie Hall di New York nel 1958. Ed inoltre
musica e canto assieme a Carmen Miranda, a Gene Kumpe e Genny
Milligan.Il grande merito di Carosone, per il quale è ritenuto
unanimemente il padre del neapolitan power, è stato quello di far
sposare la canzone napoletana con la musica americana. Un'accelerata
di ritmo alla tastiera, invece della canonica strimpellata di
mandolino. Un'opportuna e ben dosata commistione di ritmi e suoni tra
swing, jazz e musica tradizionale napoletana. Le nostre canzonette
si sono dovute adattare ai ritmi frenetici del boogie woogie, del
fox trot e del mambo.
Carosone, nato artisticamente nei nights, in un periodo in cui
imperava il jazz, ha sempre ritenuto che i napoletani abbiano un
cordone ombelicale con l'America, che non può essere reciso e che ci
porta a fare i conti con la musica che arriva da lì. Né può esserci
una pedissequa imitazione delle note di oltre oceano, fare
"l'americano" con le parole della sua famosa canzonetta, bensì è
utile prendere in prestito il ritmo americano, un veicolo
potentissimo di comunicazione ed unirlo al dialetto napoletano, che
come l'inglese si presta benissimo, avendo tutte le desinenze
tronche.
Dal 1949 al 1959, dieci anni di successi con canzoni famosissime da
"Torero" a "Maruzzella" a "Caravan petrol", da "O saracino" a
"Pigliate 'na pastiglia"; da "Ho giocato tre numeri al lotto" a "Mo
vene Natale”.
Tutta la sua musica presenta come sottofondo degli strani rumori di
vecchie ocarine, di trombe d'auto, di rivoltelle scacciacani e di
barattoli vuoti di conserva.
Una felice vita coniugale con la moglie Italia, sposata nel 1938 a
Massau, fino a che, all'improvviso, nel 1959 l'annuncio di ritirarsi
per sempre dalla scena: "Ritengo superato il mio genere e voglio
scendere dalla ribalta vivo, prima di cominciare ad annoiare"
dichiarò Renato in televisione, davanti alle telecamere di "Serata
di Gala" il 7 settembre del 1960. Ma pare che all'origine del ritiro
ci fosse un voto da rispettare, che, Carosone, religiosissimo, aveva
fatto alla Madonna.
Quindici anni di assenza dal palcoscenico, impiegati anche a
rinnovarsi ed a studiare e poi davanti alle pressanti insistenze di
Sergio Bernardini, "patron" di Bussola domani, il quale, firmò ed
offrì al cantante un assegno in bianco, la decisione di ritornare
sulla scena con un concerto che si rivelò un vero successo.
Carosone, dopo tanti anni di inattività, si trovò nelle condizioni
di chi, dopo aver smesso di fumare da tanto tempo, accetta una
sigaretta e dopo averla fumata si accorge di non poter fare a meno
di riprendere il vizio. E così Renato prepara il suo ritorno sulla
scena; attraverso una trasformazione del suo look, perché non ama
operazioni nostalgia in stile Amarcord e non vuole riproporre
soltanto le sue vecchie canzoni. Per cui, affianco ad un repertorio,
che, a dispetto dei tempi e delle mode è sempre gradito e suscita
commozioni ed ammirazione anche tra i giovanissimi; Carosone
trasferisce dalla canzone al pianoforte l'umorismo dei suoi vecchi
successi ed inoltre prende pezzi classici come quelli di Schubert,
Bach, Beethoven, Paganini e Rossini e li arrangia alla sua maniera,
con uno stile più stravagante forse, ma più divertente.
Da una band numerosa, affiatata e scatenata Carosone diventa
soltanto un pianoforte, una chitarra e la sua voce, ma si accorge
che così riesce ad esprimersi più liberamente ed al pubblico di oggi
piace così. Renato ci confessa che la sua scelta è dettata anche da
motivi contingenti, perché oggi non è facile trovare professionisti
seri, disposti al sacrificio e che non rincorrano soltanto grossi
compensi. Tutti vogliono guadagnare tanto ed al primo raffreddore
non rispettano gli impegni e ciò oggi avviene in tutti i campi e non
è soltanto una cattiva abitudine dei musicisti o degli artisti in
generale.
Ogni tanto Carosone interruppe per anni la sua attività artistica,
per ritirarsi e meditare e a studiare nuova musica e poi
all'improvviso un nuovo ritorno, accolto sempre da un grande
successo di pubblico, come a Gaeta nel 1988.Ma l'esordio più
clamoroso è quello al Festival di Sanremo del 1989, che vede
debuttante un arzillo ed intramontabile Carosone, il quale, a 66
anni, porta ad un grande successo di pubblico "Na canzuncella doce
doce" firmata da Claudio Mattone. Sorprende che proprio Carosone, che
aveva parodiato l'italica kermesse per eccellenza con la sua
riproposta di "E la barca tornò sola", acconsente con spirito
giovanile, di partecipare alla manifestazione per rinnovarsi, senza
accettare l'invito ad intervenire come ospite d'onore, ma accettando
il gioco al massacro dei voti e delle giurie. Il solo scopo è quello
di poter cantare una melodia in cui crede, una canzone tenera senza
tempo, difficile da definire in cui c'è un pianoforte come quello
che Renato si porta sempre appresso e senza il quale non sa proprio
vivere.
Alcuni anni fa, in occasione di uno dei tanti ritorni di Carosone
alla scena, nella piazzetta di Capri, ebbi modo dopo lo spettacolo
di cenare con Renato ed alcuni amici comuni da "Gemma" e fu
l'occasione per discorrere sull'avvenire della musica napoletana e
sui nuovi interpreti del genere quali Pino Daniele, Eduardo Bennato
e James Senese.
Carosone affermò senza ombra di dubbio che la canzone napoletana
tornerà con certezza a vivere momenti di gloria, perché essa
possiede una sua autonomia, un suo motore e prima o poi, tornerà
prepotentemente a galla. L'interesse verso la nostra melodia è
manifestato anche dai continui omaggi che le vengono resi da autori
non partenopei, come Lucio Dalla, Paolo Conte o Anna Oxa.
Verso i cantanti della nuova generazione Carosone disse di
apprezzarli molto, perché pur battendo un sentiero diverso dal suo,
essi avevano avuto il coraggio di rompere con le tradizioni, pur
senza oltraggiarle. Inoltre, a lui che fu maestro e fondatore del
neapolitan power non dispiace che nella nostra canzone convivano
senza problemi presente, passato e perfino il futuro.
Negli ultimi anni Carosone scoprì una nuova aspirazione artistica,
che diventò per lui più di un hobby: la pittura, a cui Renato
dedicava molte ore al giorno per preparare una grande mostra
personale. Che Renato ritenendosi superato come cantante abbia voluto
riciclarsi come pittore? Non ci sarebbe da meravigliarsi conoscendo
la versatilità e l'ansia di rinnovarsi del personaggio.
A partire dal 1999 si ritirò a vita privata dedicandosi
prevalentemente alla famiglia.
Morì il 20 maggio 2001, nella sua casa di Roma e fu lì sepolto nel
Cimitero Flaminio.
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