Cap.14
I fratelloni d’Italia
Giuseppe e Carmine Abbagnale
Anche Pompei come Riace ha i suoi eroi, non sono due bronzi come la
famose statue, bensì due campioni in carne ed ossa, i fratelli
Giuseppe e Carmine Abbagnale, pompeiani del circolo nautico di
Castellammare di Stabia, due giganti di 90 chili ciascuno, 1,86 il
primo 1,83 il secondo.
I fratelloni sono nati a Messigo una frazione di Pompei a metà
strada verso Castellammare, Giuseppe nel 1959 e Carmine nel 1962 in
una famiglia di contadini. Il padre Vincenzo possiede circa tre
moggi e mezzo di terra, poco più di un ettaro in cui si coltivano
fiori, soprattutto gladioli per l’esportazione ed ortaggi:
melanzane, pomodori, finocchi, carciofi, fagioli, patate. La terra
tutta pianeggiante è bella e feracissima, possiede anche dell’acqua
sorgiva e una piccola villetta, una sorta di casa colonica più
moderna, che ha sostituito di recente una vecchia casa malandata e
scarna, ove gli Abbagnale hanno sempre vissuto.
Mamma Virginia è una donna piccola anche se di ferro con dei
profondi occhi luminosi ed in casa vivono altri quattro figli:
Agostino, anche lui campione di canottaggio, Maria, Rosanna e
Nunzia, gemelle.
Gli Abbagnale sono nati contadini e continuano ad esserlo, come
contadini sono il padre, la madre, i nonni ed i bisnonni. Dopo ogni
vittoria ritornano nella pace e nella tranquillità al lavoro dei
campi, tanto che c’è già chi li chiama i Cincinnati di Pompei. La
loro storia di campagnoli ruspanti è bella da raccontarsi,
soprattutto quando in un momento come questo del Sud arrivano
quotidianamente sulle pagine dei giornali notizie di «Campioni di
malavita» di vendette fra clan rivali e di «medaglie d’oro»
conquistate nella classifica degli omicidi o delle rapine.
Negli intervalli tra una competizione e l’altra spesso Carmine e
Giuseppe si allenano, oltre che con pesi e corse, anche zappando la
terra. La campagna con le sue coltivazioni e l’allevamento degli
animali sono le maggiori preoccupazioni di casa Abbagnale e quando i
due fratelli sono fuori per partecipare a delle gare, è necessario
assumere due braccianti che costituiscono una bella spesa,
pretendendo circa cinquanta euro al giorno oltre al vitto.
Carmine e Giuseppe sono le nuove perle e rappresentano la nuova
contraddizione di una provincia e di una regione da sempre
distintasi per carenze di ogni tipo, ma principalmente di impianti e
di attrezzature sportive. Ad ogni loro vittoria, nessuna bella e
sofisticata ragazza, nessun bottiglione di champagne, nessun
sponsor, nessun nome da affidare all’etere per suggestionare il
prossimo. Sul podio soltanto un po’ di commozione, il pianto dirotto
di Carmine, il più giovane, alle note dell’inno di Mameli, il volo
in acqua di Peppiniello, l’abbraccio dello staff azzurro. Poi da
Castellammare via telex le felicitazioni del circolo nautico di
Stabia. Una vittoria della semplicità, della serietà, dell’impegno e
della purezza.
I due ragazzi sono stati avviati alla pratica sportiva da un
fratello della madre Giovanni La Mura, di professione medico della
mutua, che ha sempre praticato il canottaggio, e che ha trasmesso
questa sua passione ai due nipoti. Lo zio una volta lasciata la
pratica sportiva attiva diviene allenatore al circolo nautico Stabia
di Castellammare, una associazione sportiva che è come una piccola
grande famiglia dove tutti si aiutano e dove tutti si danno da fare
per superare le innumerevoli difficoltà.
Un circolo ove il canottaggio viene praticato con grande impegno e
con grandi sacrifici. Lo zio portava sempre i due nipoti a seguire
le gare di canottaggio, incitandoli alla pratica sportiva e sperando
che i due ragazzi un domani potessero prendere il posto che era
stato suo e poi del fratello più piccolo Enrico, mai immaginando che
Giuseppe e Carmine sarebbero divenuti una leggenda del canottaggio
mondiale con i numerosi allori olimpici ed i titoli mondiali
conseguiti a ripetizione.
Giuseppe, più grande di età ha cominciato a vogare un po’ prima di
Carmine e le prime vittorie sono venute in coppia con Antonio
Dell’Aquila.
Gli allenamenti avvenivano sempre alle prime luci dell’alba. La
sveglia alle cinque, quindi una corsa a piedi verso Castellammare,
coprendo una distanza tra andata e ritorno di circa 10 Km e
costeggiando il Sarno, il fiume più inquinato del mondo. Nel
frattempo mamma Virginia si alzava, preparava le borse con i libri e
le colazioni, che consegnava allo zio, il quale, poi, in automobile
le portava al circolo, ove i ragazzi dopo un buon allenamento che
serviva al riscaldamento muscolare uscivano in barca e remavano fino
alle otto. Quindi una rapida doccia e alle otto e mezzo a scuola,
quindi nel pomeriggio bisognava aiutare il papà nel lavoro dei
campi. La sera poi allenamento in palestra. All’inizio bisognava
tornare a Castellammare, poi i fratelli si sono attrezzati in casa
nel garage creando, anche se in maniera rudimentale, una palestra,
tra gli utensili per la campagna, le cassette di bottiglia ed i
barattoli di pomodori fatti in casa da mamma Virginia.
I risultati ottenuti hanno dimostrato che questa palestra, per
quanto casereccia, ha ben funzionato. Questi grandi sacrifici hanno
dato poi dei grandi risultati, che sono cominciati a fioccare dal
1981 con il successo ai mondiali di Monaco, ripetuto l’anno seguente
a Lucerna. Quindi il primo trionfo olimpico a Los Angeles con la
conquista della prestigiosa medaglia d’oro, che è rimasta al collo
degli Abbagnale e del fido timoniere Peppiniello di Capua anche alle
olimpiadi del 1988 a Seul, per trasformarsi in argento (una mezza
delusione) nel 1992 a Barcellona. Nel frattempo una sfilza di titoli
iridati o di prestigiosi piazzamenti.
Dal 1981, ininterrottamente gli Abbagnale sono sempre saliti sul
podio in tutte le gare a cui hanno partecipato.
Sono diventati una leggenda del canottaggio mondiale cancellando il
ricordo ed i records dei celebri fratelli della Germania Est Bernd e
Joerg Landvoigt, i mitici canottieri della Dinamo Potsdam che nella
loro prestigiosa carriera hanno vinto sei ori tra mondiali (74, 75,
78, 79) e olimpiadi (Montreal e Mosca).
La vittoria degli Abbagnale sono sempre avvenute all’estero in
condizioni ambientali difficili, lontano da casa e senza il comfort
di un pubblico amico, nonostante ciò non vi è stata mai una
dichiarazione di stanchezza, di sfiducia, di paura di non farcela,
di solitudine, mai una scusa o un comodo accenno agli sfalsamenti
provocati dal cambiamento di fuso orario.
Essi non hanno charme da prima pagina, non fanno moda, né sono
«beautiful» sono un po’ rudi e di poche parole, affezionati ed
obbedienti ai genitori, piacciono più agli uomini che alle donne.
Giuseppe ha 35 anni, ragioniere, possiede pure il diploma dell’ISEF
e dopo molte vicissitudini ha ottenuto un posto in banca, mentre
Carmine geometra e diplomato ISEF, lavora per la regione Campania.
Nel meridione molti seguono le loro gesta attraverso i giornali,
però non sono amati molto, perché ognuno li vede o troppo simili o
troppo lontani da sé.
Essi vincono attraverso la pratica dell’umiltà e della serietà, il
loro doping è la fatica, i loro tifosi più accaniti non hanno più di
40 anni, perché soltanto i ragazzi ed i giovani in generale si
affezionano maggiormente a chi nonostante gli anni e le nuove mode,
continuano come se niente fosse il loro mestiere di campione in una
pratica troppo sottopagata per essere chiamata sport ed accendere
entusiasmo.
I giovani capiscono bene che i fratelloni d’Italia hanno bisogno, a
differenza di Maradona o di Gullit, di tutta la loro attenzione e
solidarietà per poter andare avanti. Gli Abbagnale per una medaglia
d’oro mondiale, che valeva una stagione, guadagnavano trenta milioni
a testa, mentre un calciatore per un campionato prende fiumi di
denaro.
Ai giovani piacciono questi due ragazzoni dai capelli arruffati e
dalla fronte sempre sudata che partono nell’indifferenza e mettono
in ginocchio il mondo, compresi quei giganti nordici e tedesco
orientali con i loro laboratori sofisticati, che hanno inventato il
canottaggio.
Per apprezzare, stimare e riconoscere appieno il valore degli
Abbagnale non bisogna certo considerare il loro stipendio. I
fratelloni hanno ormai conquistato con pieno diritto un posto
stabile tra i migliori atleti di tutti i tempi.
Da oltre 10 anni è legata ai due Abbagnale l’immagine stessa del
canottaggio italiano e mondiale.
Giuseppe e Carmine con il fedele Peppiniello di Capua sono da tempo
lassù nell’empireo ideale che raccoglie i più grandi atleti di tutti
i tempi e di tutte le discipline sportive, i loro nomi sono incisi
in maniera indelebile al fianco di Paavo Nurmi e di Ninì Beccali, di
Jesse Owens e di Emil Zatopek, di Fausto Coppi e di Edwin Moses, di
Pietro Mennea e di Silvio Piola.
Sono forse divenuti cavalieri, grandi ufficiali o commendatori?
Niente di tutto questo perché il canottaggio non regala onorificenze
come il calcio, ove un titolo si ottiene anche per una medaglia
d’argento.
Il canottaggio come e più del calcio richiede dedizione e tempo
pieno e sacrificio ed ancora sacrificio.
Bisogna diventare dei superprofessionisti; dilettanti solo nel
ritorno economico.
Il rapporto tra gli Abbagnale ed il canottaggio è sempre stato
all’insegna dell’amore; essi hanno dato molto; ma hanno anche
ricevuto molto: la possibilità di viaggiare per il mondo, di
conoscere giovani di altre nazioni e di apprendere, in una parola la
possibilità di migliorarsi come uomini, prima che come atleti.
Ogni mattina vi è una sveglia impietosa che li butta giù dal letto
alle cinque e trenta in punto. Un orario che più di una volta ha
fatto venire la voglia agli Abbagnale di mandare al diavolo il
canottaggio. Per fortuna alle cinque e trenta del pomeriggio, i
fratelloni la pensano sempre in un altro modo. Fortuna per loro e
per il canottaggio italiano.
Raccontando la storia dei fratelli Abbagnale non si può non parlare
di Giovanni La Mura, lo zio allenatore e di Peppiniello di Capua,
fedele timoniere, compagno di tutte le vittorie della coppia d’oro.
Giovanni La Mura è medico della mutua a Castellammare, fratello
della madre degli Abbagnale e da sempre allenatore dei fratelloni,
che ha egli stesso indirizzato alla pratica del canottaggio.
Di recente si è dedicato alla politica mietendo lusinghieri
successi, prima nel PSI e poi nella compagine berlusconiana di Forza
Italia.
Ideatore di un azzeccatissimo spot pubblicitario, trasmesso
ossessivamente a tutte le ore in tutte le televisioni private
campane, in cui si vedeva un seggio elettorale durante lo spoglio
delle schede, con il presidente che pronuncia un solo nome tra gli
eletti: La Mura, La Mura, La Mura...
Per oltre 10 anni il canottaggio italiano ha vissuto di rendita sui
trionfi del «due con» dello Stabia inventato dal dottore che quasi
per caso nel 1972 lasciò il canottaggio attivo per coltivare un
nuovo hobby quello di allenatore. Sopportato dai dirigenti federali,
snobbato e criticato, è stato spesso in lotta con Nilsen, per lunghi
periodi CT del remo azzurro, di cui ha contestato i metodi di
allenamento ed il carisma di santone nordico.
Egli come segreto del successo degli Abbagnale ha introdotto una
mentalità vincente con due sedute di allenamento al giorno ed una
preparazione programmata su tempi lunghi, quindi senza l’assillo di
dover conseguire risultati tecnici sempre di rilievo. Egli al
circolo stabiese fece smantellare la flottiglia di jole e fece
adoperare per gli allenamenti barche fuori scalmo identiche a quelle
di regata. Pur credendo nell’importanza dei mezzi tecnici e delle
infrastrutture, ritiene che senza la passione e la competenza non
può venire fuori nulla. Il suo motto è che per ottenere risultati
eccezionali bisogna sottoporsi ad allenamenti eccezionali. È
necessario avere una predisposizione al sacrificio, perché il
guadagno può essere importante e gratifica, ma lo sport ad alti
livelli non può essere fatto come un qualsiasi lavoro. Il vero
doping negli atleti onesti è costituito dalla fatica.
Diversa è la storia di Giuseppe Di Capua, «Peppiniello», il fedele
timoniere, il cui nome è inscindibile coi successi dei fratelli
Abbagnale. Tanta gloria e pochi soldi, ma a lui sta bene così.
Laureato in legge, lavora ai telefoni di stato. Un soldo di cacio di
un metro e cinquantacinque centimetri di altezza per cinquanta chili
di peso, qualcuno in più d’inverno per abituare i fratelloni ad un
peso maggiore. Dopo ogni successo, un inevitabile volo in acqua,
famoso in tutto il mondo, per sottolineare le vittorie ottenute
dall’imbattibile «due con» del circolo di Castellammare di Stabia.
La sua carica di simpatia è inesauribile, la sua felicità dopo ogni
successo è proverbiale. Egli non si lamenta di dover stare sempre o
in allenamento o in gara con un massimo di 2 o 3 giorni di riposo
dopo ogni gara importante, come un mondiale o un’olimpiade, né gli
dispiace di guadagnare pochi soldi rispetto ai campioni di altri
sport come il calcio, il tennis, lo sci o la stessa atletica
leggera, in cui oramai circola molto denaro con tanti sponsor.
Nel 1981 per il primo titolo di campione del mondo egli intascò
soltanto due milioni, che sono divenuti, dopo 10 anni, per l’ultima
gara disputata a Bled ventisei milioni.
«Peppiniello» è un ragazzo semplice e sincero, tutto casa lavoro e
barca. Egli è la «bussola» dei due fratelloni di cui non si stanca
di scandire il ritmo del successo.
La storia avventurosa degli Abbagnale ha dato lo spunto al regista
Stefano Reali per realizzare un telefilm, interpretato da Giuliano
Gemma nei panni dello zio allenatore, in cui viene lanciato al
pubblico il messaggio di speranza, che per vincere, nello sport,
come nella vita occorre combattere con grande forza di volontà e
determinazione.
Il telefilm ambientato a Castellammare racconta la storia di due
eroi semplici, venuti su dal nulla con tanti sacrifici e soprattutto
con tanta forza di volontà, che riescono a diventare campioni del
mondo nonostante il desiderio del padre di trattenerli a lavorare la
terra. I due ragazzi vincono in una disciplina che non attira grandi
folle, né consente cospicui vantaggi economici. Il telefilm mette in
risalto quanto sacrificio vi sia dietro ogni grande vittoria.
La storia degli Abbagnale, che è un po’ la storia di Davide che
batte Golia, deve considerarsi una meravigliosa avventura,
un’emblematica vicenda sportiva che esalta l’uomo che lotta per
vincere.
|