Cap.9
Necessità di un nuovo Masaniello
Tra i miti creati da Napoli nella sua lunga storia quello di
Masaniello è senza dubbio, assieme alla maschera di Pulcinella, il
più duraturo ed internazionale. Sorto da un personaggio realmente
vissuto, anche se il suo volto e le sue gesta sono avvolte da un
alone di mistero, ha finito col diventare nel tempo il simbolo
stesso della ribellione agli abusi del potere ed espressione
dell’ansia di libertà dei popoli, ma in egual misura, ha
rappresentato nell’immaginario collettivo il simbolo di una rivolta
cieca ed autodistruttiva.
Masaniello seppe uscire all’improvviso da una vita grama e
dall’anonimato, conquistare il potere ed assurgere alla fama, per
precipitare altrettanto velocemente nell’abisso della follia,
provare il tradimento della plebe e finire assassinato.
Dieci giorni indimenticabili, dal 6 al 17 luglio del 1647 che
pesarono profondamente sulla storia della città, per rimanere
eternamente in un mito, sentito ancor oggi, e non solo dai
napoletani, vivo e vivificante.
La rivolta di Masaniello nel parlare comune viene intesa come
esempio di trasformazione non riuscita, ma la sua impresa all’epoca
ebbe risalto in tutto il mondo occidentale, anche in Paesi che non
condividevano con Napoli niente altro che l’ansia di protesta verso
ogni forma di oppressione. Una cronaca dettagliata delle sue gesta
girava già tradotta in Inghilterra ed in Olanda, dove la sua effige
è presente su una moneta sul cui retro compare Cromwell, mentre in
Germania diventa protagonista in teatro di alcuni drammi e la sua
figura si confonde con quella di Guglielmo Tell.
A Bologna nel 1650 viene pubblicata la Partenope sollevata sul cui
frontespizio domina la scritta in spagnolo:”El major monstruo del
mundo y prodixio dela Italia Tomas Annelo de Amalfi” e tale opera si
diffonde in tutta l’Europa. Nello stesso tempo i pittori napoletani
da Micco Spadaro a Coppola, da Andrea De Lione al Cerquozzi ci
tramandano le fasi più cruente della rivolta ed il ritratto
idealizzato del capopopolo, a volte improbabilmente biondo, per cui,
come giustamente anni fa Katia Fiorentino intitolò un suo saggio
sull’argomento: “Uno, nessuno e centomila. Le multiformi immagini di
un eroe popolare” non conosciamo il vero volto dell’eroe.
Anche nell’Ottocento la figura di Masaniello stimola la fantasia di
scrittori e commediografi; l’opera in musica francese La muta di
Portici imbastisce una storia fantasiosa della sorella di
Masaniello, riscotendo uno straordinario successo all’Opera di
Parigi, mentre Alexandre Dumas nel Corricolo dedica alcuni capitoli
al leggendario capopopolo.
Proveremo ora a ripercorrere brevemente le gesta di Masaniello,
compulsando i vari libri che nel tempo ci hanno raccontato quei
frenetici dieci giorni che sconvolsero la città, oppressa dalle
tasse e senza possibilità di far sentire la sua protesta, perché
l’Eletto del popolo era di nomina vicereale.
A metà del Seicento Napoli è una grande e popolosa città, ricca di
attività, con un florido commercio ed animata da forti tensioni, non
è un luogo di miseria e di arretratezza come una certa storiografia
ha voluto raffigurarla. Per tutta Europa cova una crisi sociale che
da noi si manifesterà con fragore, essendo più stridenti le
differenze di reddito ed i contrasti tra le classi.
L’inizio della protesta si può far cominciare con l’incendio del
casotto della gabella della frutta la notte del 6 giugno ad opera di
un gruppo di lazzari, che nei giorni seguenti Masaniello comincia a
radunare fino a quando, divenuti alcune centinaia, li dirige, armati
in maniera rudimentale, all’attacco del palazzo reale, costringendo
il vicerè a trovare rifugio nel vicino convento di San Luigi. Si
cerca una mediazione, ma Masaniello non si fida delle offerte
pervenutegli attraverso il cardinale Filomarino e chiede
l’abolizione di tutte le gabelle e di ridurre il prezzo del pane,
nel frattempo assalta le prigioni, liberando i detenuti, assale le
case dei nobili, uccidendone alcuni tra i più invisi alla plebe, tra
questi Geronimo Letizia, colpevole di aver imprigionato Berardina la
moglie del pescivendolo e Giuseppe Carafa, episodio immortalato nel
celebre dipinto del Gargiulo conservato nel museo di San Martino.
La violenza dilaga ed il viceré si vede costretto a nominare
Masaniello capitano del Popolo e il novello eroe con tutta la sua
famiglia vestita a festa saluta dai balconi di palazzo reale la
folla acclamante, che comincia a vederlo troppo colluso col potere e
pensa che egli possa divenire un traditore.
Si cerca di avvelenarlo e di dividere gli umori del popolo.
L'ultimo giorno del suo regno (è il 16 luglio, giorno della festa
del Carmine), Masaniello affacciandosi alla finestra di casa sua,
pronunciò uno dei suoi ultimi discorsi. "Popolo mio....", così
iniziava sempre, "ti ricordi, popolo mio, come eri ridotto..."
Descriverà tutti i vantaggi ottenuti con il suo governo. I
privilegi, le gabelle tolte. Ma sa benissimo che presto verrà
ucciso, ed è proprio questo il rimprovero. Vigilare sulle libertà
ottenute. In questo discorso si vede un Masaniello ridotto pelle ed
ossa, gli occhi spiritati. Qualcosa è cambiato nel suo fisico,
qualcosa di grave. E questo qualcosa riprenderà possesso della sua
coscienza e lo porterà a concludere il discorso in maniera
farneticante, compie gesti insulsi, si denuda, tanto che il popolo
venuto ad ascoltarlo, lo fischierà e lo deriderà. Corre verso la
chiesa del Carmine. Si porta sul pulpito, ma la sua mente è sempre
più annebbiata. Verrà portato in una delle stanze del convento. Ma
il suo nemico Ardizzone con dei suoi compari lo trovano e lo
uccidono con 5 archibugiate. Uno di loro, Salvatore Catania, gli
staccherà la testa con un coltello e la porterà al viceré come
prova. Il corpo fu gettato nelle fogne. Ma il popolo si rese conto
presto di aver perso un capo, un riferimento, la guida che aveva
dato la vita per loro: si sentirono soli. I resti mortali di
Masaniello verranno ricomposti e dopo un solenne funerale voluto dal
viceré, degnamente sepolti nella chiesa del Carmine. Ma verranno,
dopo circa un secolo, tolti e dispersi da Ferdinando IV per timore
che il suo mito di potesse rinascere. I nemici o coloro che lo
vollero morto moriranno tutti. Da Genoino a Maddaloni.
La rivolta verrà sedata con l'arrivo di Giovanni D'Austria. La
moglie Bernardina, rimasta sola, per mangiare si diede al mestiere
più vecchio del mondo: prostituta in un vicolo del Borgo S. Antonio
Abate. Qui verrà più volte picchiata e derubata dai soldati spagnoli
suoi clienti. Morirà di peste nel 1656.
Ciò che resta di Masaniello è una lapide nella chiesa del Carmine,
una statua nel chiostro ed una piazzetta a suo nome, oscurata da un
palazzone in cemento armato, mentre il suo mito dopo aver
attraversato tutta l'Europa, dall'Inghilterra alla Polonia, sarà
sempre sinonimo di libertà ed eguaglianza.
Per chi crede nell’anima è facile immaginare che quella di
Masaniello non trovi pace ed alberghi ancora da queste parti,
disperandosi delle precarie condizioni di una città da lui tanto
amata e per chi vuole, teme, spera nella reincarnazione l’augurio è
che trovi ospitalità in un giovane focoso ed irruente che metta, per
dieci e più giorni, a ferro e fuoco Napoli e la Campania,
liberandoci finalmente dal triste fardello dei nostri incapaci
amministratori.
Ed infatti non bisogna essere un auruspice né una pitonessa, né
Nostradamus, né Cagliostro, per prevederlo: giorno verrà che dalla
folla sfiduciata e pronta a tutto nascerà un castigamatti, che dopo
aver conquistato la città, marcerà con i suoi descamisados, rossi o
neri non importa, verso l’Urbe, indosserà al posto dei panni
consunti da pescivendolo un tight troppo stretto, si affaccerà ad un
balcone e dirà: “Basta”.
Un popolo che, con tutti i suoi difetti, cerca di lavorare o quanto
meno di tirare a campare, sbarcando il lunario. Un popolo da sempre
abbandonato a se stesso, incapace di reagire al miasmatico andazzo
attuale perché senza guida. Un popolo che vuole un po’di pace ed una
briciola di benessere.
I napoletani amano la propria terra, anche se più a morsi che a
baci, a graffi che a carezze e prima o poi vedranno un eroe che
sappia riscattarli.
Queste mie amare considerazioni furono declamate, regnante Bassolino,
nel corso della presentazione alla Feltrinelli di Napoli di un
ennesimo libro su Masaniello, pubblico e presentatori erano quasi
tutti di sinistra, ma l’applauso, interminabile, fu sincero e
scrosciante.
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Reclame di un liquore del 1930 (Napoli, Collezione Proto)
Onofrio Palumbo (attribuito)-Ritratto presunto di Masaniello
(Napoli, Museo di San Martino)
Moneta olandese del XVII secolo con le effigi fronte retro di
Cromwell e di Masaniello
(Napoli, Museo di San Martino)
La moglie di Masaniello in abiti eleganti (Manoscritto Molini)
Domenico Gargiulo-Rivolta di Masaniello (Napoli, Museo di San
Martino)
Andrea De Lione-Ritratto di Masaniello (Napoli, Museo di San
Martino)
Ernesto Tatafiore-Masaniello ultima canzone (Napoli, Fondazione
Lucio Amelio)
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