Cap.49
Il pesce Nicolò e la leggenda del coccodrillo
Le leggende napoletane sono numerose e molte sono legate al mare,
come quella del “Pesce Nicolò”, nota da tempo immemorabile, della
quale si rischia di perdere il ricordo perché non vi è più traccia,
in Via Mezzocannone, del bassorilievo di epoca classica
rappresentante Orione, venuto alla luce durante gli scavi per le
fondamenta del Sedile di Porto, murato nel settecento, ricordato poi
da una lapide.
Il bassorilievo, cui accenna anche Benedetto Croce, raffigura un
uomo coperto da un vello con in mano un coltello. Il nome del
protagonista è “Cola Pesce” o “Pesce Nicolò”.
La storia prende spunto da un'antica leggenda siceliota in cui si
parla di un ragazzo, maledetto dalla madre, che, a furia di
nascondersi tuffandosi nel mare ed a vivere tra i flutti, assume le
sembianze di un vero e proprio pesce che, per lunghi spostamenti, si
serve del corpo di grossi “Collegni”, dai quali si fa inghiottire
per poi tagliarne il ventre, una volta giunto a destinazione.
Da questo illustre progenitore prese origine una confraternita di
sommozzatori, che venivano iniziati ad un culto marino in onore di
Poseidone, con lo scopo di prendere possesso delle ricchezze poste
nelle grotte più profonde del golfo. Essi adoperavano delle alghe
che, trattate con una formula segreta, erano in grado di aumentare
considerevolmente il tempo di resistenza in apnea, pari o superiore
ai sommozzatori dotati di bombole.
Taluni di questi si accoppiavano con dei rarissimi sirenoidi, oggi
scomparsi dal golfo di Napoli ed è bello pensare che le rare foche
monache, che ancora si scorgono al largo di Capri, siano gli antichi
discendenti di questi accoppiamenti ibridi.
Sembrerebbe che uno degli ultimi di questi soggetti sia stato
utilizzato dagli Alleati, in assoluta segretezza, per ricerche
sottomarine nel golfo di Napoli.
La leggenda di Colapesce si diffuse per tutto il Regno ed in Sicilia
si racconta che uno di questi esseri, sceso nelle acque più
profonde, resosi conto che uno dei tre pilastri che reggevano
l'Isola stava cedendo, si sacrificò per sostituirsi nell'opera di
sostegno.
Gli ultimi discendenti di questi mitici personaggi possono essere
considerati quei ragazzini che ancora oggi, tutti nudi sempre
abbronzati d'estate e d'inverno, si tuffano per raccogliere con la
bocca le monete gettate a mare da turisti ammirati e, nello stesso
tempo, preoccupati per la lunga apnea di quegli esili corpicini, più
volte immortalati dal grande scultore Vincenzo Gemito.
Un'altra leggenda famosa è quella di un famelico coccodrillo che,
forse, al seguito di qualche nave, dopo aver percorso tutto il
Mediterraneo, trovò alloggio nei sotterranei del Maschio Angioino,
dove i castellani, accortisi della sua presenza, pensarono di
utilizzarlo per sopprimere sbrigativamente i condannati a morte.
Sebbene poco credibile, la storiella trovò accoglienza dai
napoletani a tal punto che a lungo un coccodrillo impagliato fu
appeso all'ingresso del Maschio Angioino.
E qui si innesta una seconda leggenda secondo la quale i suoi pasti
più sostanziosi erano costituiti dai numerosi amanti che la regina
Giovanna, dopo l'amplesso, faceva precipitare giù, attraverso una
botola, fino all'alloggio del famigerato coccodrillo.
Ma, dobbiamo chiederci, questa assatanata regina Giovanna è mai
esistita?
Gli storici conoscono due sole regine: Giovanna D'Angiò e Giovanna
di Durazzo, entrambe dai costumi sessuali alquanto disinibiti.
A risolvere la querelle fu Benedetto Croce, secondo il quale la
Giovanna della leggenda va ricercata nella sovrapposizione delle due
Giovanne realmente esistite e miscelate, aumentando i difetti
dell'una e dell'altra, fino a creare un terzo orripilante
personaggio.
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Giovanna I d'Angiò
Nicolò Pesce
Il coccodrillo del Maschio Angioino
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