Cap.41
La Napoli che nessuno racconta
Vi è un’altra Napoli, diversa da quella raccontata da Roberto
Saviano, ma non meno tragica e disperata, della quale nessuno parla.
Una faccia della città dominata non dalla droga e dalla delinquenza
organizzata, quanto dal degrado civile, da giovani senza futuro, dai
riti esasperati del consumismo e dalla disperazione.
Napoletani inquinati dalla televisione spazzatura, dal Grande
fratello e da Maria De Filippi, che idolatrano miti negativi e li
propongono incessantemente ad un pubblico privo di barriere
critiche, facendo trionfare un rude maschilismo, una virilità
antiquata e spudoratamente esposta nei suoi attributi più eclatanti,
dai tatuaggi ubiquitari ai piercing più sfacciati, un bullismo
degenerato e frotte di donne che litigano per i favori di un
tronista sultano.
Si viene così a creare un nuovo immaginario popolare, il quale
sostituisce l’antica oleografia di pizza e mandolini con canzoni
neomelodiche fracassone e sguaiate, folle squattrinate che si danno
appuntamento nei megacentri commerciali, novelli agorà, dove si
guarda e non si compra, pseudo stelle delle televisioni locali che
si credono divinità e folle di giovani sfaccendati delle immense
periferie dormitorio passeggiare senza sosta e senza metà con le
loro divise tutte eguali fatte di jeans sdrucidi, borchie pacchiane
e camicette multicolori, senza accorgersi del tanfo della monnezza
materiale e morale che li avvinghia in una stretta mortale.
Lo struscio, un’antica tradizione napoletana che in passato si
praticava lungo via Toledo una volta l’anno durante la celebrazione
dei Sepolcri, oggi a Secondigliano, sul corso principale è divenuto
un rito settimanale ogni domenica al pomeriggio.
Si tratta di una passeggiata tutta particolare con una precisa
liturgia. Ad essa non partecipano quella moltitudine di adolescenti
che preferiscono grazie alla metropolitana invadere le strade
eleganti del Vomero o, i più adulti, imperversare con gli scooter
con le marmitte truccate sulla collina di Posillipo.
L’abbigliamento indispensabile è fatto da abiti
griffati(naturalmente falsi), nelle cui tasche il contante è
difficile da trovarsi. Lo scopo apparente della passeggiata è quello
di divertirsi, anzi a sentir loro pariare, un vecchio termine
dialettale che, dal significato di digerire, è passato a quello di
pavoneggiarsi e farsi burla degli altri.
Corso Secondigliano, dove si svolge il rito, è lunga poco più di due
chilometri, dal quadrivio di Secondigliano a piazza di Vittorio e di
domenica appare come una landa desolata con tutti i negozi chiusi,
ad eccezione di rari bar e dei centri scommesse che pullulano di
avventori. Si percorrono una serie interminabili di vasche, andata e
ritorno, diverse a secondo del sesso, infatti mentre le ragazze, in
gruppetti di due o tre al massimo camminano lento pede, vociando e
fermandosi ogni tanto, i ragazzi utilizzano lo scooter, per ridurre
i tempi di percorrenza e poter così avvicinare leggiadre fanciulle
in entrambi i sensi di marcia, aumentando così le possibilità di
fare un’acchiappanza, o per essere più precisi e volgarmente alla
page una posteggia, la quale si caratterizza per un preciso codice
di corteggiamento sfrontato e volgarmente sessista.
Il modello di riferimento di questi adolescenti sono i personaggi
privi di educazione e di talento proposti dalla tv spazzatura e le
loro frasi intrise di protervia e di cattiva educazione:” Bella c’aggia
fa per parlarti, na serenata?”; “Senti addo vai cu sti doi cape e
criature”. Un campionario sguaiato di stereotipi e di frasi
sconclusionate rappresenta il lessico predominante di queste tribù
disordinate abortite dalla globalizzazione del villaggio globale, il
quale amalgama verso il basso, gusti, parlate ed abitudini di una
gioventù priva di ideali che non siano quelli pontificati dai media
televisivi.
E nessuna voce che si sollevi a denunciare questo silenzioso
epicedio di una città antica capitale, sprofondante ogni giorno di
più in un gorgo senza fondo che sdegnoso si rifiuta di inghiottirla.
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Corso Secondigliano
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