Cap.27
Un mondo in frantumi
L’emergenza rifiuti che da tempo rattrista la Campania e che entro
pochi anni interesserà tutto il mondo, ha una genesi remota nel
mutamento drastico delle abitudini e nella nascita e sfrenata
crescita della civiltà dei consumi.
Per secoli abbiamo amato gli oggetti che affollavano le nostre case,
le lenzuola del corredo della nonna con le cifre ricamate, che
venivano utilizzate per generazioni, la poltrona in camera da letto
sulla quale vedevamo ancora seduti i nostri genitori, quel quadretto
con dei fiori esotici ricordo di una nostra cugina emigrata in sud
America, quel vaso, da tempo scheggiato, regalo di nozze della zia
Donatina. Non vi era suppellettile che non serbasse ricordi a volte
lieti, spesso tristi.
Anche un’antica pentola eravamo certi che possedesse un’anima e non
potevamo separarci da nessuno di essi, perché avremmo sofferto come
per la perdita di una persona cara. Non bisognava essere dotati di
poteri paragnostici per subire il fascino di un coltello o di una
sciabola appartenuta a zio Amilcare ufficiale nel Dodecaneso,
vibrare di emozione sfogliando le ingiallite lettere d’amore,
vecchie di un secolo, che ripercorrevano l’amore contrastato tra zia
Amina e Savino, austero colonnello dei bersaglieri.
Da bambino, ricordo ancora con malinconia, amavo passare delle ore
in soffitta, un luogo buio e polveroso dove potevo dare la caccia ai
ricordi della mia famiglia e respirare a pieni polmoni l’odore del
tempo, che lì sembrava fermo per l’eternità. Divenuto adulto non ho
perso questa antica abitudine e ritrovare un vecchio secchiello
colorato con delle palette mi faceva rivivere le felici giornate
trascorse in spiaggia a Lucrino o a Torregaveta, mentre giocavo con
mio fratello Carlo sotto lo sguardo attento ed amorevole di mia
madre.
Quegli oggetti apparentemente inutili mi hanno accompagnato negli
anni dandomi sicurezza e tranquillità, perché in ognuno di essi
riconoscevo emozioni e ricordi, fantasie e piacevolezze del passato,
un passato che viveva nel mio animo, ancorato nella memoria.
Le biblioteche aumentavano generazione dopo generazione, perché i
libri, soprattutto se sottolineati, erano trattati come reliquie,
forse erano poco letti, ma rispettati, tenuti in ordine e suddivisi
rispettando ancora la collocazione data dai vecchi proprietari:
nonno Biagio, di rinomata erudizione, preside al liceo o zio
Camillo, vescovo di grande cultura, collezionista di volumi di
storia del Cristianesimo, ma anche di atlanti e cartoline
illustrate. Quanto era lontana ed inimmaginabile l’era di internet e
la vana pretesa di raccogliere tutta la cultura in un frammento di
silicio.
Poi all’improvviso con il boom economico un mare di prodotti di ogni
genere ha cominciato a sovrastarci e siamo stati presi da una febbre
per l’acquisto facile, che rapidamente è divenuta un delirio.
Abbiamo cominciato ad accumulare oltre misura per cui abbiamo
cominciato a non affezionarci più a niente ed a cambiare
continuamente abiti, scarpe, frigorifero, automobile, telefonino, a
conservare nell’armadio 300 cravatte e 50 paia di scarpe.
L’abitudine allo sperpero è divenuto un imperativo categorico
continuamente rinforzato dai messaggi pubblicitari che ci martellano
a tutte le ore. E con terrore pensiamo a quando miliardi di uomini,
che oggi non posseggono niente, desidereranno almeno un decimo di
ciò che noi possediamo.
Ci siamo illusi di una crescita economica tendenzialmente infinita,
che ci avrebbe offerto sempre più prodotti e più benessere, mentre
ora ci accorgiamo di un futoro incombente nel quale vi saranno
sempre meno merci e meno occasioni di spendere e spandere.
Il consumismo sfrenato è stato il veleno sottile di un capitalismo
senza regole, predone e devastatore, basato per anni su una catena
infinita di speculazioni ed indebitamenti per foraggiare l’insensata
abitudine allo sperpero. Poi la grande crisi che ci obbliga ad una
rivoluzione nei comportamenti, fatta di pensieri forti e gesti
semplici tali da rovesciare un sistema di valori effimeri nei quali
per troppo tempo abbiamo creduto.
Dopo che l’avere aveva definitivamente trionfato sull’essere,
concetti magistralmente spiegati da Fromm, dobbiamo tornare a
riconoscere il valore delle cose, che devono tornare ad essere
progettate per durare e per passare da padre in figlio.
Pochi si sono resi conto che ci avviamo velocemente verso la
catastrofe, se non ritorneremo alla sobrietà della società agreste e
non sapremo trasferirla nel cuore della civiltà industriale. Quanto
erano saggi i nostri nonni che amavano una sola giacca, un solo paio
di scarpe e che si tramandavano cappotti e sussidiari di padre in
figlio.
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La soffitta della nonna
L'album dei ricordi
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