Cap.21
Una grandiosa festa dimenticata: le Quarant’ore
Tra l’arrivo in città nel 1683, come viceré, del marchese del
Carpio, che proveniva da Roma, dove era stato ambasciatore di Spagna
ed il 1759, anno della partenza di Carlo di Borbone, Napoli è teatro
di una stagione scintillante di feste di piazza, celebrazioni sacre,
allestimenti all’aperto ed apparati effimeri di ogni genere, che per
ottanta anni allietano la vita dei cittadini, dai più ricchi ai più
poveri, lasciando un segno indelebile su tutte le forme di arte
praticate in città, dalla pittura di paesaggio al capriccio
architettonico, dalla natura morta alla decorazione d’interni, oltre
alla stessa architettura.
Il modello seguito fu quello romano della travolgente festa barocca,
tradotto in realtà da artisti regnicoli con in testa Luca Giordano,
il suo allievo de Matteis ed una serie di specialisti di natura
morta, mentre tra i mecenati committenti si distinse il viceré in
persona.
Il luogo principale dove si svolgevano questi eventi fu Palazzo
Reale, con l’ampio spazio davanti alla sua facciata, all’epoca
chiamato Largo di Palazzo. Tra queste chiassose feste di popolo
spiccava il Carnevale con l’attesissimo rito della Cuccagna, quando
alla classe sociale più sfavorita, costituita dai lazzari, veniva
consentito l’effimero ribaltamento della quotidiana emarginazione,
secondo un costume paternalistico che, per quanto sapientemente
ritualizzato, sfociava spesso in risse prima del saccheggio finale
della macchina, carica di ogni ben di Dio.
La festa con i suoi mirabolanti apparati scenici, frutto del
sapiente lavoro di artigiani specializzati, assomigliava ad una
cometa luminosa che appare all’orizzonte per sparire rapidamente,
lasciando però dopo di sé una corposa scia di cronache, immortalate
da illustrazioni a stampa, ma anche da quadri che ci permettono di
conservare un’idea abbastanza precisa di quelle feste tanto attese e
vissute con ampia partecipazione emotiva dalla cittadinanza.
Un olio su rame di Tommaso Ruiz ci ricorda la spettacolare macchina
di cuccagna innalzata nel 1740 in Largo di Palazzo in occasione dei
festeggiamenti per la nascita dell’Infanta Reale, mentre una serie
di tele di Joli, commissionate da un “milordo” durante un canonico
Grand Tour, fissano i momenti culminanti di quelle indimenticabili
feste.
Un reperto prezioso di macchina effimera è costituito da un apparato
per la festa delle Quarant’ore, conservato in una chiesa di
Castellamare di Stabia, che, con i suoi 10 metri di altezza e la sua
sfavillante raggiera di legno dorato, chissà quante volte avrà
svolto la sua funzione di far da spettacolare cornice al rito di
veglia e preghiera durante l’esposizione pasquale del Sacramento.
Ma il nucleo più avvincente e singolare è costituito dalle quattro
enormi tele dipinte da Luca Giordano in collaborazione con numerosi
altri artisti, collegabili ad uno dei più straordinari apparati
scenici promossi dal marchese del Carpio, quello allestito nel 1684,
probabilmente nella Cappella di Palazzo Reale, in occasione della
festività del Corpus Domini, uno dei più importanti episodi di
committenza artistica della seconda metà del Seicento a Napoli,
portando ad un grado di spettacolarizzazione mai concepito prima di
allora la tradizionale metafora dell’eucarestia, che si basa sulla
visualizzazione dell’abbondanza spirituale della grazia divina
attraverso la ricchezza materiale dei frutti della terra, del mare e
del cielo.
Il celebre pittore progettò un apparato che constava di ben 14
enormi tele, in cui le figure umane da lui dipinte svolgevano un
ruolo di fatto sussidiario a fronte del dilagante protagonismo di
fiori, pesci, ortaggi, armenti, cacciagione e frutta. A dipingere i
quali chiamò i maggiori specialisti del momento: Abraham Brueghel,
Giovan Battista Ruoppolo, Giuseppe Recco e Francesco della Quosta,
mantenendo ben saldo il timone di tutta l’operazione, come
testimonia il particolarissimo modo con cui si firma per
l’occasione: Jordanus accordavit.
Quadri di altissima qualità, purtroppo finiti ad adornare lontane
collezioni ed ancor più antichi musei stranieri dall’Olanda
all’Australia, che si sono potute ammirare anni fa grazie ad una
mostra organizzata da Riccardo Lattuada.
I sontuosi quadroni del Corpus Domini, qualcuno per fortuna visibile
nel museo di Capodimonte, traboccano di vitalità ed estro decorativo
e costituiscono senza dubbio oltre che una palpitante testimonianza,
una vera e propria gioia per gli occhi, a dimostrazione lampante di
quanto l’effimero barocco sia stato capace di sfuggire al suo
destino di precarietà, riuscendo ad imprimere il suo sigillo
nell’eternità dell’arte. Da queste grandi tele, adoperate
fastosamente per un evento effimero, deriva la profonda svolta in
senso scenografico, che mutò il corso della natura morta a Napoli,
promuovendola a genere, una importante corrente nel mare esuberante
del barocco napoletano.
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Macchina delle Quarantore in San Domenico Maggiore.
Alessandro D'Anna-Festa di Carnevale del 1774 (Collezione privata)
Ignoto-Carnevale al Largo di Palazzo (Napoli, Museo di San Martino)
Antonio Joli-Il Largo del Castello in occasione del carnevale (Selkirk,
Bowhill)
Paolo De Matteis, Abraham Brueghel, Luca Giordano e Giambattista
Ruoppolo-Estate (Olanda, Collezione privata)
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