Cap.13
Una felice mescolanza di popoli e razze: Napoli chioccia generosa
Napoli è stata sempre giudicata una città porosa, non tanto perché
poggia su di uno strato di tufo, che possiede queste
caratteristiche, quanto per l’innata capacità di amalgamare i vari
popoli che nei millenni l’hanno conquistata, a partire dai Greci ai
Romani, fino agli Spagnoli, agli Austriaci ed ai Francesi.
I risultati di questa ultra secolare stratificazione è stata la
creazione dell’animus del napoletano: socievole, pronto a fare
amicizia, disponibile ad aiutare il forestiero ed a favorirne
l’integrazione nel tessuto sociale.
Miti e tradizioni hanno subito una trasformazione che ne ha fatto
dimenticare i caratteri originari. Un solo esempio fra tanti: la
festa di Piedigrotta che, da rito pagano orgiastico in onore del dio
Priapo, è divenuta prima una festa religiosa per scatenarsi poi,
soprattutto in epoca laurina, in un’esplosione gioiosa di energie
primordiali tra maestosi carri allegorici, coppoloni, mano morte,
schiamazzi e trasgressioni di ogni tipo.
Negli ultimi decenni il fenomeno migratorio ha assunto un andamento
pluridirezionale: da un lato i giovani migliori, laureati e
diplomati, prendono tristemente la via del Nord e dell’Estero,
privando la città dell’energia vitale indispensabile per arrestare
una decadenza ormai irreversibile e nello stesso tempo una marea di
extracomunitari, in fuga da guerre e carestia, sceglie Napoli come
meta di riscatto civile, sicura almeno di trovare il minimo per
sopravvivere. E la città si dimostra impreparata rispetto al passato
ad accogliere con un caloroso abbraccio questo “melting pot”, il
quale diventa ogni giorno più pressante, rischiando di rompere gli
argini come un fiume in piena.
Percorrendo Piazza Garibaldi o Piazza Mercato siamo sommersi dai
suoni ma principalmente dagli odori di una città multietnica: kebab,
couscous, pizze fritte e piede di porco, pesci marinati e trippa. Ma
la sera, scomparsi gli ambulanti, cominciano a confluire razze di
ogni tipo: magrebini, cinesi, rumeni, polacchi, somali, nigeriani,
che si posizionano senza alcun tentativo di instaurare un principio
armonico di convivenza.
E questa situazione di cesura la percepiamo più distintamente se ci
trasferiamo nelle favelas e nelle baraccopoli che costituiscono le
dimore di questi poveri disperati ed il fenomeno può essere
osservato chiaramente se prendiamo come punto di riferimento il
parco fantasma della Marinella. Una vergogna nel cuore della città;
laddove doveva sorgere uno spazio verde di 30000 mq. Ci sono
soltanto baracche e veleni, dolore e lacrime, miseria ed abbandono,
emarginazione ed una punta di razzismo, mentre si respira la puzza
del pesce marcio e si avverte il fruscio di ratti che si aggirano
spavaldi tra i cumuli di monnezza. L’unica nota lieta è il sorriso
dei piccoli rom che tornano sorridenti dalla scuola con lo zainetto
sulle spalle.
La Marinella è un girone dantesco per uomini e donne che hanno
commesso il solo peccato di esistere e di cercare lontano da casa
un’opportunità per sopravvivere in un ghetto dominato dalle regole
dell’apartheid, dove ogni giorno si scatena una guerra per bande per
il controllo del territorio, con gli zingari nel ruolo di
sopraffattori.
Le baracche hanno invaso buona parte dell’area ed ogni giorno ne
spunta una nuova facendosi largo tra le montagne di rifiuti, mentre
tutt’attorno carcasse di animali ed un rudimentale pozzo nero che
travasa facendo suppurare una melma putrescente paradiso delle
zoccole.
I primi a colonizzare il luogo furono gli arabi, dopo poco scacciati
dagli africani e con loro vi è anche un gruppo di ucraini senza
permesso di soggiorno. Poi sono arrivati i nomadi che vivono rubando
ferro e rame e 3-4 volte alla settimana bruciano pneumatici per
estrarre il metallo ammorbando l’aria.
Gli unici volontari che si fanno vedere sono quelli della Caritas,
portano marmellata e Nutella, ma la popolazione ha bisogno di cibo
vero e si beffano gettandole via, ripetendo senza sapere che la
storia si ripete ed il pane non si sostituisce con le brioche come
al tempo della regina Maria Antonietta.
Un altro problema parzialmente affrontato è il rispetto della
libertà di culto per stranieri di fede diversa dalla nostra,
soprattutto islamici. Il sindaco De Magistris ha promesso che
saranno realizzati una nuova moschea ed un cimitero, ma fino ad oggi
il luogo di preghiera è costituito, salvo una piccola moschea in Via
Corradino di Svevia, dall’immensa Piazza Mercato dove il venerdì vi
è una folla straripante che ascolta un Imam originario di
Boscotrecase e convertitosi nel 1996, quando il ritrovamento di una
moneta araba fu come una folgorazione e lo spinse a studiare Shari’a
a Medina. Egli ritiene che solo l’Islam è la vera religione dei
poveri e degli ultimi.
Osservare un migliaio di ragazzi stranieri radunarsi in uno dei
punti più antichi della città, teatro dei principali episodi della
sua storia, p0regare sotto la guida di un Imam napoletano, mentre
tutt’attorno si svolge il solito caos quotidiano ha fatto affermare
a più di un visitatore che Napoli è la città araba più accogliente
dell’Occidente.
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Campo rom
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