Cap.4
LA PITTURA DEL SECOLO D'ORO
di Elvira Brunetti
La pittura napoletana del Seicento è giustamente ricordata come il
“Secolo d’oro” per i numerosi artisti che si espressero con punte di
livello europeo, come il Caravaggio, che soggiornò due volte nel 1°
decennio e con i suoi quadri: Le sette opere di misericordia, La
Madonna del Rosario e la Flagellazione, rivoluzionò la scuola locale
ancorata ad una parlata provinciale e a moduli tardo cinquecenteschi
di matrice raffaellesca, manierista e fiamminga.
1-Caravaggio: La flagellazione di Cristo, Capodimonte Napoli
2-Battistello Caraccciolo: La fuga in Egitto, Capodimonte Napoli
Tra i suoi più importanti seguaci citiamo Giovan Battista
Caracciolo, detto il Battistello, il primo ad assimilare il nuovo
verbo caravaggesco inteso soprattutto nei suoi valori luministici.
Egli utilizzò l’effetto luce per definire le forme con un vivace
contrasto nel chiaroscuro dai toni bronzei ed un disegno netto ed
accurato, come possiamo apprezzare nella Madonna nella fuga in
Egitto, conservata a Capodimonte. Una interpretazione di grande
efficacia con un’attenta cura del dettaglio naturalistico, vedi la
Salomè degli Uffizi. Fu in seguito ad un suo viaggio a Roma
influenzato anche dalla lezione carraccesca, ben evidente nelle sue
magniloquenti opere successive al 1620 come gli affreschi nella
chiesa del Gesù Nuovo ed i dipinti per la certosa di San Martino.
Jusepe Ribera, spagnolo naturalizzato, portò il luminismo caravaggesco a forme esasperate con un nudo realismo, che dava
risalto ai particolari più realistici, spesso macabri ed un
compiacimento nell’indulgere nella descrizione del disfacimento
fisico con corpi straziati dal martirio o vecchi macilenti, con
pennellate dense, cariche di colore ed un sapiente dosaggio di
effetti luministici, come possiamo apprezzare nel Martirio di San
Bartolomeo del 1630, conservato al Prado. Nel 4° decennio, per
influsso del classicismo bolognese, il suo stile subì una variazione
nella tavolozza con colori chiari, un modellato più morbido e
composizioni pacate, che volgono al patetico, come nel San
Sebastiano di Capodimonte. Altre opere di grande livello da
ricordare sono L’apollo e Marsia ed i Profeti e la Comunione degli
apostoli nella certosa di San Martino.
Un altro pittore che esercitò una grande influenza nell’ambiente
napoletano, con una vera e propria scuola fu Massimo Stanzione, il
cui percorso stilistico parte da una formazione tardo manierista,
evidente nella Presentazione al Tempio, del 1618, in una chiesa di
Giugliano, per toccare un momento caravaggesco, nelle Storie di
Cristo morto della Galleria Corsini a Roma, per sfociare poi, con il
tangibile influsso del Reni verso forme più delicate e monumentali,
come si evince nella Madonna del Rosario della chiesa di San Lorenzo
o nei tardi dipinti per la certosa di San Martino.
3-Ribera: Martirio di San Filippo, El Prado Madrid
4-Bernardo Cavallino: Santa Cecilia, Capodimonte Napoli
Uno spazio a sé occupa Bernardo Cavallino, autore di dipinti,
prevalentemente di piccolo formato a soggetto biblico, mitologico o
cavalleresco, interpretati con sottile lirismo e contorni di
racconto fiabesco. La ricostruzione del suo percorso artistico, che
conosce anche un fugace momento caravaggesco, si basa su un solo
dipinto, firmato e datato 1645, un Santa Cecilia, caratterizzata da
uno stile originale e su accordi di colore delicati e privi di forti
contrasti. Altre opere sue famose sono la Cantatrice, a Capodimonte,
realizzati con un disegno elegante ed una grazia po’ languida, già
di sapore settecentesco.
Lunghi soggiorni napoletani hanno anche pittori bolognesi:
Domenichino, Reni e Lanfranco, responsabili di un tangibile influsso
sull’ambiente figurativo locale in senso classicista.
Un altro artista trasferitosi all’ombra del Vesuvio come Ribera è
Artemisia Gentileschi, la quale muta la sua tavolozza virando verso
colori scuri. Rimarrà a Napoli per oltre 20 anni, salvo una breve
interruzione, nel 1638, per recarsi in Inghilterra ad assistere il
padre Orazio, anche lui grande pittore, gravemente malato.
I suoi soggetti drammatici e violenti, come le tante Cleopatre o le
varie versioni di Giuditta e Oloferne, sono realizzate con un forte
effetto di luce. Maestra del dettaglio raffinato, ebbe uno stretto
rapporto alla pari di dare ed avere con i colleghi napoletani.
5-Artemisia Gentileschi: Giuditta ed Oloferne, Capodimonte Napoli
6-Mattia Preti: Convito di Baldassarre, Capodimonte Napoli
Il primo grande interprete della pittura barocca, che viene ad
interrompere il corso del naturalismo napoletano fu Mattia Preti,
detto il Cavaliere Calabrese, la cui permanenza a Napoli, di circa 8
anni, fu fondamentale sullo sviluppo delle arti figurativa locali.
Egli seppe trasfondere nel Barocco i principi formali del
caravaggismo. Egli si avvalse di una luce radente che utilizzava in
funzione dinamica nelle sue composizioni affollate di personaggi in
continuo movimento su fondali di cielo tempestoso o di scenografie
architettoniche, in un ricchissimo repertorio di variazioni
luministiche.
Egli rendeva i suoi personaggi con colori lividi, cianotici, ai
limiti dell’anossia, come possiamo evincere nello spettacolare
Convito di Baldassarre del museo di Capodimonte. Nel 1656 realizzò
una serie di giganteschi ex voto sulle porte della città, tutti
perduti ad eccezione di quello di porta San Gennaro, purtroppo
coperto da una coltre di sudiciume: Per fortuna si sono salvati 2
bozzetti, conservati nella sala Preti a Capodimonte, uno dei quali
raffigura la Peste.
Nel 1661, non riuscendo psicologicamente a reggere il confronto con
l’astro Giordano, si ritirò a Malta, dove, oltre alla spettacolare
Gloria dell’ordine, realizzata nella Co-Cattedrale di La Valletta,
continuò per 40 anni a produrre, inviando tele in tutta Europa,
sempre più aiutato da una valida bottega.
Antagonista del Preti fu Luca Giordano, il più fecondo pittore del
Seicento napoletano. La sua prima fase risente dell’influsso del
Ribera, le cui opere copiò, imitò ed a volte falsificò. Quindi
numerosi viaggi di studio e di lavoro, che lo portano a contatto
delle opere di Pietro da Cortona e dei Carracci. Ritorna a Napoli
nel 1658 per una serie di importanti commissioni chiesastiche, da
San Gregorio Armeno a Santa Brigida.
Un artista poliedrico e velocissimo, denominato per questa sua
qualità: “Luca fa presto”. Ebbe la straordinaria capacità
nell’assimilare ogni influsso di altri artisti, fonderlo e
rielaborarlo in una cifra personale, caratterizzata da un cromatismo
luminoso e da una pennellata fluida e sciolta. Ed a proposito di
pennello si diceva maliziosamente che ne avesse uno d’oro, uno
d’argento e uno di rame a secondo di quanto venisse pagato. Fu abile
in egual misura nel cavalletto e nelle grandi imprese decorative
come quelle eseguite nella galleria di Palazzo Medici-Riccardi di
Firenze o negli appartamenti reali spagnoli, durante il decennio che
trascorse nella penisola iberica, chiamato dal re Carlo II per
decorare i vasti ambienti dell’Escorial e del Palazzo Reale di
Madrid.
La sua produzione fu debordante e tra le tante opere ricordiamo il
Gesù tra i dottori, conservato nella Galleria d’arte antica di Roma,
espressione della sua maniera dorata.
7-Luca Giordano: L'apoteosi dei Medici, Palazzo Medici-Riccardi
Firenze
8-Salvator Rosa: Apparizione di Astrea, Kunsthistorisches Museum
Vienna
Salvator Rosa fu una singolare figura di pittore, poeta satirico,
attore ed organizzatore di spettacoli. Si dedicò alla pittura di
paesaggio e di battaglia, memore del suo maestro Aniello Falcone. Si
stabilì prima a Roma e poi a Firenze, dove iniziò a dipingere
paesaggi di gusto classicista, abbandonando poi il genere per una
visione della natura più spettacolare nelle sue manifestazioni
geologiche ed atmosferiche, immersa in una luce irreale, come nella
sua famosa “Marina”, conservata al Pitti a Firenze. Altri paesaggi
rappresentano dirupi, alberi contorti, cieli tempestosi, espressioni
di una sensibilità inquieta e fantasiosa che anticipa il
Romanticismo. In questo spirito rientrano anche i quadri di
“Stregonerie” celebre Le tentazioni di S. Antonio a Palazzo Pitti
eseguito poco prima del rientro a Roma nel 1649 e l’inizio del
periodo di riflessione filosofica, con dipinti di soggetto biblico
con intenti moraleggianti. Fino al termine si dedicò alla pittura di
paesaggio ed all’incisione dedicando la sua attenzione a boschi e
coste della Campania, ripresi da numerosi seguaci anche nei secoli
successivi.
9-Solimena: Trionfo della fede sull'eresia, San Domenico Maggiore
Napoli
L’ultimo grande gigante fu Francesco Solimena, detto l’abate Ciccio,
che visse 90 anni, protrudendo nel Settecento con una schiera folta
di allievi di prima, seconda e terza battuta, interessando più
generazioni. Non si mosse mai da Napoli e fu lo stesso ammirato
anche all’estero, dove arrivavano i suoi dipinti. Più del Giordano
egli, dopo aver appreso l’arte nella bottega paterna, guardò agli
esempi del Lanfranco, da cui desunse il modellato saldo delle figure
e di Mattia Preti, al quale si ispirò nella ricerca di contrastanti
effetti luministici, come nella Rebecca al Pozzo, nelle Gallerie
dell’Accademia di Venezia. Con il Giordano si confrontò nelle grandi
imprese decorative, come nella sagrestia di San Paolo Maggiore,
rilevando tutto il suo talento di organizzatore di grandi
scenografie. Fu anche architetto e nel Settecento mutò il suo stile
in senso classicista, consolidato in questa direzione, come si
apprezza nella Cacciata di Eliodoro del Gesù Nuovo e negli affreschi
della cappella di San Filippo Neri ai Gerolomini.
La natura morta
ebbe grande sviluppo, acquisendo una valenza inferiore solo alla
coeva fiamminga. In quella napoletana vi è una sorta di
trasposizione del dato reale in chiave barocca, con un graduale
passaggio dall’ammirazione per la fedeltà oggettiva della
rappresentazione allo stupore e la meraviglia per la fantasia
dell’invenzione compositiva. I migliori specialisti furono talmente
bravi da renderci l’odore dei fiori ed il sapore dei dolciumi
raffigurati.
10-Luca Forte: Albero di pesche con tulipani e pappagalli,
Collezione privata Napoli
11-Giuseppe Recco: Natura morta di pesci con gatto, Collezione
privata Napoli
Tra i primi generisti ricordiamo Luca Forte, ancora legato alle
esperienze del caravaggismo romano, splendido il suo Vaso con
tulipani di una celebre raccolta napoletana e Paolo Porpora, che
dipinse ortaggi, fiori e frutta, per passare poi, trasferitosi a
Roma, anche ad insetti e rettili dai colori vivaci. Di gusto
pienamente barocco sono le opere di Giovan Battista Ruoppolo e del
figlio Giuseppe, mentre i pesci furono la specialità della famiglia
Recco, che ebbe in Giuseppe il principale esponente, in grado di
fissare nei suoi trionfi marini il delicato momento di trapasso tra
la vita e la morte. Lo scorfano fu il suo pesce preferito, seguito
dall’anguilla. Vedi ad esempio lo splendido scatto felino nel
dipinto di collezione napoletana.
Non possiamo chiudere la nostra carrellata senza accennare ad alcuni
“Minori”, come Andrea vaccaro, artefice di splendide fanciulle in
estasi, dallo sguardo proteso al cielo ed il seno procace
generosamente offerto all’osservatore. Domenico Gargiulo, più noto
come Micco Spataro, illustratore di cronaca cittadina, come nella
famosa Peste del museo di San Martino o cruenti supplizi come nel
Martirio di San Gennaro in collezione privata napoletana.
Concludiamo con Aniello Falcone, conosciuto come l’Oracolo delle
battaglie, leader indiscusso nel suo genere con dipinti anche al
Louvre, che “firmava” criptaticamente le sue tele con un patognonimico
polverone sullo sfondo ed un caduto nel combattimento in prima fila.
12-Domenico Gargiulo (detto Micco Spataro): Decapitazione di San
Gennaro, Collezione privata Napoli
13-Aniello Falcone: Scontro di fanti e cavalieri, Pinacoteca Tosio-Martinengo Brescia
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