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Quei Napoletani da ricordare  (vol. 2)

 

 

Cap.22
Un tenace nemico della mafia
Franco Roberti

Il nuovo capo della Procura Nazionale Antimafia, il 65enne napoletano Franco Roberti, in magistratura dal 1975, dal 2009 procuratore capo di Salerno, è una delle toghe più apprezzate e famose dello Stivale. Una vita trascorsa a combattere le cosche camorristiche e la criminalità economica e politica attraverso il lavoro duro negli scomodi Palazzi di Giustizia della Campania, Sant’Angelo dei Lombardi (Avellino), Napoli, Salerno. Dalle indagini sul dopo terremoto in Irpinia, agli otto anni a Roma in Direzione Nazionale Antimafia, fino al ritorno a Napoli nel 2001, come procuratore aggiunto e poi coordinatore unico della Dda fino al 2009. Elezione secondo le previsioni della vigilia, il plenum del Csm ha attribuito a Roberti 20 voti tra cui quelli del vicepresidente Michele Vietti, del presidente Giorgio Santacroce e del pg di Cassazione Gianfranco Ciani, contro i 6 del candidato arrivato al ballottaggio, il procuratore capo di Bologna Roberto Alfonso. Il magistrato napoletano va a ricoprire il ruolo fino allo scorso gennaio rivestito da Piero Grasso, candidato alle politiche nel Pd e poi presidente del Senato.
Roberti è tra i massimi esperti del clan dei Casalesi, l’organizzazione criminale egemone nel casertano. Quando è stato alla guida della Dda napoletana ha coordinato alcune delle indagini più delicate, come quella che ha portato alla cattura di Giuseppe Setola, il leader dell’ala stragista, e dei suoi principali complici, alcuni dei quali convinti a collaborare, a cominciare da Oreste Spagnuolo, il killer che racconterà la stagione degli omicidi sul litorale domizio e rivelerà le pressioni del clan sulla produzione del film Gomorra tratto dal best seller di Roberto Saviano.
Negli anni ‘90 Roberti si è distinto per la gestione dei collaboratori di giustizia Carmine Alfieri e Pasquale Galasso, i superboss della camorra napoletana della Nuova Famiglia, protagonisti negli anni ‘80 di una sanguinosa faida contro la Nco di Raffaele Cutolo. Nel 2010 durante un convegno Roberti rivelerà di avere quasi convinto in quegli anni anche Cutolo a pentirsi e a vuotare il sacco, a cominciare da quanto era a sua conoscenza sulle trattative per la liberazione di Aldo Moro, ma che l’operazione non andò in porto a causa di un ripensamento di Cutolo forse su pressione dei servizi segreti. Roberti ha seguito l’inchiesta che portò all’arresto del boss Lorenzo Nuvoletta, rappresentante di Cosa Nostra in Campania insieme alla famiglia Zaza di San Giovanni a Teduccio (Nuvoletta, nella sua tenuta di Poggio Vallesana, negli anni ‘70-’80 ospitò anche Totò Riina e Bernardo Provenzano).
Tra le altre indagini più importanti curate dal neo capo della Procura Antimafia, c’è quella sull’ex ministro Dc dell’Interno Antonio Gava: nei giorni del suo arresto Roberti si recò personalmente a interrogarlo nel carcere di Forte Boccea. Negli anni a Napoli Roberti, oltre al fronte anticamorra, ha coordinato alcune indagini su altri versanti, di forte impatto mediatico, come quelle su Calciopoli e sui presunti appalti truccati al Comune di Napoli attraverso la regia di alcuni assessori della Iervolino e dell’imprenditore Alfredo Romeo. Ma è già alla guida della Procura di Salerno quando arriveranno le sentenze – di condanna per lo scandalo del calcio scommesse, di assoluzione per quasi tutti gli imputati per gli appalti di Napoli, con Romeo condannato per corruzione per un singolo episodio.
A Salerno Roberti è subentrato a Luigi Apicella, sospeso dal Csm in seguito alle vicende incrociate tra le procure di Salerno e Catanzaro sulle indagini avocate all’ex pm Luigi de Magistris. Vicende con ulteriori strascichi, tra cui il trasferimento disciplinare da Salerno a Latina per Gabriella Nuzzi, il pm titolare delle inchieste su Vincenzo De Luca e sulle denunce di de Magistris. Nei quattro anni a guida Roberti, la Procura ha aperto altre due indagini sul sindaco, relative al commissariato per il termovalorizzatore e al Crescent e si è occupata, purtroppo finora senza esito, dell’omicidio del sindaco di Pollica Angelo Vassallo.
«Roberti è stato tra i primi magistrati ad avere una capacità di indagine rivolta alla borghesia camorristica. Conosco la sua attività quando è stato capo dell’antimafia di Napoli - scrive su Facebook Roberto Saviano – anni durissimi di contrasto ai clan napoletani e alla camorra casalese. Già alla fine degli anni Ottanta, è stato tra i primi ad aprire inchieste sul traffico di rifiuti tossici, quando si ignorava che fosse ambito di investimento dei clan di camorra. Che sia stato designato lui alla procura Nazionale Antimafia è una buona notizia per il contrasto non solo ai clan, ma soprattutto all’ economia nazionale».
La delibera del Csm, non a caso, sottolinea la sua «profonda conoscenza del fenomeno della criminalità organizzata e del funzionamento della Dna». La nomina di Roberti è stata accolta con «grande soddisfazione» dal suo predecessore Piero Grasso, che ha auspicato «un rinnovato e corale impegno di tutte le forze politiche, attraverso interventi legislativi mirati e strategici, al contrasto di un fenomeno, che inquina la vita sociale, politica ed economica del nostro Paese», mentre Laura Boldrini, presidente della Camera, parla «di un segnale importantissimo contro la criminalità organizzata. La prova più evidente che lo Stato non ha alcuna intenzione di abbassare la guardia nella guerra alle mafie». Il Guardasigilli Annamaria Cancellieri ha assicurato «la piena collaborazione del Ministero della Giustizia nella dura battaglia contro la criminalità organizzata». Roberti è il quarto procuratore nazionale antimafia dalla nascita dell’ufficio voluto da Giovanni Falcone. Il primo napoletano in questo prestigioso incarico, escludendo i tre mesi da facente funzioni di Lucio Di Pietro nel 2005. Ha atteso la notizia nel suo ufficio alla Procura di Salerno. Ci sperava, anche se non è mai stato sicuro della designazione fino al voto finale del plenum del Csm.
«Ringrazio il Csm per la fiducia che ha riposto nelle mie capacità professionali. E’ un incarico di grande responsabilità, che cercherò nei fatti di svolgere nel modo migliore. Alla Procura nazionale troverò colleghi che conosco da anni. Sono tutti amici. Del resto, la gestione di Pietro Grasso è stata assai positiva e non ci sarà molto da cambiare. Lavorerò sul solco dei miei predecessori, affrontando quella che ritengo la prima grande sfida nelle indagini sulle mafie: la trans nazionalità delle organizzazioni criminali. Chi pensa che le indagini siano vincenti chiudendosi nel nostro ambito nazionale sbaglia. I grossi gruppi mafiosi hanno agganci oltre l’Italia, fanno affari allargati, appoggi in Europa e altrove. Dobbiamo attrezzarci sempre di più su questo, puntando molto sulla cooperazione internazionale, il lavoro stretto con gli inquirenti di altri Paesi e con le loro strutture di intelligence. Per questo, occorrono norme condivise e accordi di collaborazione. Le mafie sono una priorità internazionale. Vanno affrontate con tecnologie investigative adeguate e intese allargate. Quello della banche dati è un argomento su cui si potrebbe dire tanto. Sono strumento indispensabile, da potenziare e rafforzare. Le emergenze ci sono, le approfondiremo. Il riciclaggio, ad esempio, è il cancro che alimenta le mafie. Occorrono norme sempre più rigide.
Mi dispiace lasciare la Procura di Salerno, come mi dispiacque lasciare Napoli. Tutto quello che si poteva fare lo abbiamo fatto. Ho lavorato, a Napoli come a Salerno, con colleghi di grande umanità, entusiasmo ed esperienza. Tutti mi hanno trasmesso qualcosa. Mi insedierò a Roma entro pochi giorni. Mi dicono già per il dieci agosto. Lo spero, bisogna mettersi subito al lavoro».
Non ci resta nell’interesse dello Stato, che siamo tutti noi, di augurargli buon lavoro.

 

Quei Napoletani da ricordare  (vol. 2)

 

 

 

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