Cap.36
Un museo per Totò, Principe del sorriso sì, Altezza imperiale da
oggi non più
Principe del sorriso sì, Altezza imperiale da oggi non più. Un libro
su Napoli e la napoletanità che non dedichi un capitolo a Totò non
si può nemmeno immaginare, ma su di lui sono stati scritti decine di
volumi, per cui è difficile aggiungere qualcosa di originale.
Faremo tesoro di alcune interviste che abbiamo avuto modo di fare
alcuni anni fa alla figlia e ad un cugino del grande artista per
parlare del museo del quale da anni, ad ogni tornata elettorale, si
annuncia l’apertura e della presunta nobiltà del principe, sulla
quale possiamo presentare documenti decisi che dimostrano che si
tratta di uno scartiloffio.
Negli ultimi giorni le pagine dei quotidiani napoletani si sono
infittite di altalenanti notizie sulla casa natale di Totò che
cambiava proprietario, mettendo a repentaglio il destino di due
anziani coniugi ultraottuagenari, da decenni custodi fedeli ed a
richiesta dispensatori di memorie sui primi vagiti ed i primissimi
anni dell’immortale attore. Si sono susseguiti innumerevoli colpi di
scena, quali la scoperta anagrafica, ottenuta compulsando antichi
archivi, che l’abitazione oggetto della diatriba, sita in via Santa
Maria Antesecula 109 nel popolare rione Sanità, non era forse il
vero luogo di nascita del principe della risata, bensì l’evento
sarebbe avvenuto nel palazzo adiacente, oppure che i nuovi
proprietari, dopo un sogno premonitore, erano intenzionati a farne
un Vittoriale di rimembranze. Tanto casino sui giornali ha dato come
sempre l’occasione alle autorità politiche di occupare la scena,
imponendo tardivi vincoli di destinazione alla povera casetta o
blaterando vanamente sull’imminente apertura del museo dedicato ad
Antonio De Curtis nello storico palazzo dello Spagnolo. Apertura
della quale da anni si parla come prossima in comunicati stampa
diramati a gara ad ogni ricorrenza dal Comune e dalla Regione,
ridondanti di paroloni, ma vuoti come consuetudine di pragmatismo.
A tal proposito abbiamo voluto sapere come realmente sta la
situazione dalla viva voce della figlia dell’artista, la quale ci ha
concesso un’intervista:
“E’ tutta colpa di un cesso”, così ha esordito la signora Liliana in
un romanesco stretto e cacofonico lontano mille miglia dalle
sonorità onomatopeiche del nostro vernacolo.
“Un cesso?”. “Certo, il museo si trova agli ultimi piani del palazzo
ed è perciò necessario un ascensore; a tale scopo ne ho fatto
approntare la tromba già da tempo, ma mentre i mesi e gli anni
passano per le lungaggini burocratiche un inquilino del palazzo ha
deciso di costruirvi abusivamente all’interno un cesso. Cose che
capitano solo a Napoli”
“E’ fiduciosa nell’inaugurazione autunnale?”
“Lo spero con i dovuti scongiuri e quando aprirà io sarò in prima
fila nell’organizzazione con seminari, dibattiti ed incontri con i
giovani. Sarà un museo molto vivo e Totò sarà contento”
“Si riuscirà a riempire tutti i locali?”
“Certamente c’è molto materiale, sarà anche ricostruita la stanza
dove nacque mio padre”
Da parte nostra speriamo che a ciò che metterà a disposizione la
signora De Curtis, si riuscirà ad aggiungere il contenuto di quel
famoso baule , oggi proprietà del figlio di un cugino dell’ attore,
da poco scomparso, un certo Federico Clemente. Il baule, conservato
a Pollenatrocchia è ritenuto poco meno di un reliquario, infatti la
richiesta del proprietario è di 800 milioni delle vecchie lire, una
cifra cospicua per la quale bisogna sperare nell’intervento delle
Istituzioni.Quando tutto sarà pronto il museo costituirà
un’attrazione molto forte per i napoletani e per i forestieri, per
cui si tratterà pur sempre di un buon investimento.
Questi episodi di attualità invitano a parlare di nuovo di Totò, una
figura ormai entrata di diritto nella leggenda, ma dopo i fiumi
d’inchiostro versati sull’argomento in decine di libri che hanno
saturato da tempo le scansie delle librerie degli appassionati, non
è lecito scriverne ancora se non si è in grado di aggiungere qualche
novità. Ed è quello che ci proponiamo di fare grazie all’amicizia
che nutriamo da anni con un cugino dell’indimenticabile attore: il
maestro Federico De Curtis.
Prima di discutere della nobiltà dell’artista vorremmo spendere
quache parola su un aspetto trascurato dell’arte di Totò: il
surrealismo.
Il genio di Totò è universale ed incommensurabile, ma la sua fama è
sempre stata circoscritta ai confini patri, colpa di una critica
miope, quando l’attore era in attività, di traduzioni e doppiaggi a
dir poco deleteri e di una distribuzione all’estero maldestra ed
approssimativa.
Negli ultimi anni grandi rassegne in Europa ed oltreoceano sui suoi
film più celebri hanno in parte colmato questa grave lacuna, ma
forse è troppo tardi per portare in tutto il mondo il suo umorismo
straripante, la sua figura dinoccoluta, la sua maschera comica e
tragica allo stesso tempo, degna della fama e dell’immortalità di un
archetipo greco. Il ritmo dei suoi film mostra i segni del tempo, né
più né meno della produzione di mitici personaggi come Chaplin o
Gianni e Pinotto ed è un peccato che dalla sua immutata vitalità
possano continuare a trarre linfa vitale solo gli Italiani e pochi
altri.
Il Totò surreale che si esprime già nei suoi film più antichi e nel
suo teatro, del quale purtroppo non è rimasta che una labile
traccia, è stata sottovalutata anche dalla critica più attenta. Nei
trattati di cinematografia infatti si parla soltanto di Bunuel e
delle sue impeccabili creazioni e non vi è un solo rigo sul
funambolismo verbale di Totò, che avrebbe fatto impazzire i
fondatori del surrealismo, i quali avrebbero sicuramente incluso
qualcuna delle sue battute nel Manifesto del nuovo verbo.
I due orfanelli, uno dei suoi primi film, in coppia con Campanini,
ne è la lampante dimostrazione. L’altro giorno è stato messo in onda
dalla televisione ed ho potuto gustarlo credo per la centesima
volta. Quelle sue battute al fulmicotone, immerse in un’atmosfera
onirica, cariche di antica saggezza invitano alla meditazione ed
acquistano smalto ed attualità col passare del tempo. Sono degne di
un’antologia da studiare in tutte le scuole. Ne rammento qualcuna
per la gioia della sterminata platea dei suoi ammiratori:
Ai generosi cavalieri corsi a salvarlo nelle vesti di Napoleone.
“Ma quando mai coloro che provocano le guerre corrono dei pericoli”
All’amico che gli manifestava stupore nel constatare che i cattivi
vengono premiati ed i buoni vengono castigati.
“Ma di cosa ti preoccupi la vita è un sogno”
Ed infine all’abate Faria che lo invitava a scappare
“Ma perchè debbo scappare, sono innocente”
“Proprio perché sei innocente devi avere paura della giustizia!”
Una frase scultorea che ho fatto mia di recente, mentre moderavo la
presentazione di un libro in presenza di magistrati di altissimo
rango e che mi ha permesso di fare un figurone.
Ma ritorniamo al racconto del cugino di Totò, il quale con squisita
gentilezza ci ha fornito una serie di notizie che, integrate da
alcune ricerche genealogiche, ci permette oggi di escludere
categoricamente la nobiltà tanto agognata da Totò, perché lo
riscattava da un triste passato di figlio di N.N.
Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Commneno Porfirogenito
Gagliardi de Curtis di Bisanzio, Altezza imperiale, conte palatino,
cavaliere del Sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di
Macedonia e d’Illiria, principe di Costantinopoli, di Cilicia, di
Tessaglia, di Ponto, di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso,
conte e duca di Drivasto e di Durazzo, così amava definirsi il
grande Totò, il quale pur di fregiarsi di questi altisonanti titoli
nobiliari spese una fortuna, ma senza rimpianti.
Questa sfilza di titoli, a cui tanto teneva il Principe del sorriso
non furono altro che il frutto di un raggiro ad opera di un tal
Pellicani, esperto di araldica oggi ottantenne ma ancora attivo con
studio a Roma e a Milano.
Il primo a sentire puzza di bruciato e odore di truffa fu Indro
Montanelli e lo esplicitò in un suo articolo, ma all’epoca non vi
erano le prove inoppugnabili dello scartiloffio.
Oggi viceversa sono disponibili due ben distinti alberi genealogici,
uno di Totò e della sua famiglia e l’altro di un tal Camillo de
Curtis, un gentiluomo di settantanove anni, da anni residente a
Caracas, legittimo erede dei pomposi titoli nobiliari, assunti in
epoca remota da un suo avo tale Gaspare de Curtis.
Il Pellicani, che tra l’altro, come ci ha assicurato il colonnello
Bellati, è stato per un periodo ospite dello Stato…creò, secondo
quanto riferitoci dal tenore De Curtis, che da decenni s’interessa
alla vicenda, documenti dubbi, quali una sentenza del Tribunale di
Avezzano emessa nel 1914, pochi mesi prima che un cataclisma
devastasse la città, distruggendo la cittadella giudiziaria ed altre
due sentenze, l’una del 1945, l’altra del 1946, del Tribunale di
Napoli, oggi conservate all’Archivio di Stato, completamente diverse
nella grafia da tutte le altre carte contenute nel faldone ed
inoltre pare combinò artatamente le due discendenze carpendo
l’ingenuità del grande artista che, una volta riconosciuta la sua
preclara discendenza, fino alla morte amò distinguere la maschera,
irriverente scoppiettante e canzonatoria, dal Nobile, gentile,
educato e distaccato dagli eventi e dalle passioni. Pubblichiamo per
la prima volta questi due alberi genealogici, uno dei quali indagato
fino al 1750 e dal loro esame è incontrovertibile che il marchese
Camillo de Curtis appartiene ad una diversa schiatta.
Ciò che abbiamo riferito sulla base delle confidenze del maestro
Federico, non sposta naturalmente una virgola nella straripante
venerazione con cui legioni di estimatori ricordano il grande,
inimitabile, immortale artista e tra questi ai primi posti, teniamo
a precisare a scanso di equivoci, sta il sottoscritto, il quale ha
rivisto ogni film di Totò non meno di quaranta - cinquanta volte ed
è in grado di ripeterne a memoria qualsiasi battuta, tutte le poesie
e tutte le canzoni. Ma a proposito di canzoni, trovandoci, vogliamo
rendere pubbliche altre confidenze forniteci gentilmente dal parente
dell’attore, cugino di secondo grado, il quale, a riguardo
dell’indimenticabile canzone “Malafemmina” tiene a precisare che la
stessa fu dedicata alla moglie Diana, ancora oggi vivente e non a
Silvana Pampanini, che l’idea della melodia Totò la prese da una
analoga canzone dello zio, padre del maestro Federico, ed infine che
a ritoccare musica e parole misero mano il maestro Bonagura e
Giacomo Rondinella. E per terminare anche la famosa “Livella”si
mormora fosse stata corretta…da Mario Stefanile.
Concludiamo un articolo, apparentemente denigratorio, ma rispettoso
della verità storica con un inno all’arte di Totò, sublime nel senso
più puro, come inteso da Nietzsche, infatti il grande pensatore
tedesco riteneva che il sublime si raggiungesse soltanto quando la
comicità della commedia si congiungeva al dramma della tragedia.
E siamo inoltre certi che Totò dalla tomba se leggesse ciò che
abbiamo scritto saprebbe commentare le nostre parole se non con una
pernacchia almeno con un perentorio:”Ma ci facciano il piacere.”
^torna su^
Totò intento a vendere la fontana di Trevi in Totò Truffa '62
Locandina di Totò terzo uomo
Palazzo dello Spagnuolo sede del futuro museo di Totò
La celebre lettera di Totò e Peppino De Filippo
Totò e Fernandel
Totò a Lascia o Raddoppia
|