Cap.37
Il flagello ubiquitario della droga
Da tempo il grande mercato all’aperto di Scampia è divenuto un
supermarket della droga, con prezzi imbattibili e con in vendita
anche il kit per consumare il loco la dose; un tempio dello spaccio
in grado di attirare clientela da tutta Italia, tossici e pusher,
che soprattutto nei fine settimana raggiungono la città da Milano e
da Firenze, da Bologna e da Genova, da Bari e da Reggio Calabria.
Molti approfittano del viaggio per ubriacarsi in qualche locale del
centro, prima di recarsi nelle piazze dello spaccio a fare
rifornimento per i consumi di qualche settimana.
Le forze dell’ordine hanno scoperto il flusso turistico e gli
arresti sono divenuti giornalieri senza però minimamente intaccare
un giro di affari per la criminalità organizzata nell’ordine di
milioni di euro al giorno.
A Capodanno arrivarono in undici dalla Toscana per festeggiare la
ricorrenza, sballandosi all’ombra delle Vele, alloggiavano in hotel
di lusso, insospettabili, mentre avevano ognuno di loro 40 grammi di
stupefacenti tra crack e cocaina, decisi a continuare a drogarsi a
casa loro nelle settimane successive.
I motivi del successo sono legati ai prezzi concorrenziali, ad una
buona qualità del prodotto, disponibile in ogni angolo del
famigerato quartiere, il quale fino a pochi mesi fa vantava
addirittura una dettagliata mappatura su Google Earth.
Da sempre per colpa di una politica miope e suicida sono stati
trascurati, e molti versano in un penoso abbandono, dalla Piscina
Mirabilis agli stessi scavi archeologici di Pompei, i siti artistici
e le località in grado di attirare i turisti, monumenti unici al
mondo e delittuosamente lasciati cadere in rovina. Nello stesso
tempo hanno preso piede alcune umilianti forme di turismo
alternativo, che vanno dalla gita in provincia a meravigliarsi per
le strade intasate dalla monnezza, con una sosta per fotografare
cumuli di rifiuti e bambini che vi giocano allegramente, preferite
dagli stranieri e dai settentrionali, fino alle incursioni nella più
grande piazza europea dello spaccio per acquistare un sostanzioso
quantitativo di droga da consumare poi con comodo nelle stanze di un
albergo del lungomare. Sono tour del degrado non dissimili da quelli
praticati nelle città del terzo mondo, lì uno sguardo veloce alle
favelas brasiliane o agli slums africani, da noi il brivido
dell’immersione per qualche ora nel cuore di Gomorra. Questa moda è
la cartina al tornasole di una trasformazione radicale
dell’immaginario della città, da pizza e mandolini, monumenti ed una
popolazione allegra ed affabile, a terra di nessuno senza speranza.
Come una Thailandia mediterranea, come una Amsterdam del sud, una
città dove prolifera divertimento proibito ed illegalità.
Ma l’aspetto più drammatico è costituito dai protagonisti di queste
gite disperate, da un lato ragazzi con il portafoglio pieno
provenienti da tutta Italia per acquistare droghe e sballarsi,
dall’altro giovani napoletani che vedono nello spaccio l’unica fonte
per sopravvivere. Sono due facce della stessa medaglia, di una
società profondamente malata, senza regole e senza guida, in cui le
giovani generazioni non trovano collocazione e precipitano
volentieri nel baratro dell’autodistruzione.
La città somiglia sinistramente al grande bordello che era diventata
negli anni Sessanta, quando continuamente nel porto sostavano le
grandi navi della flotta americana, che scaricavano migliaia di
marinai in preda ad astinenza alcolica e sessuale, per i quali
Napoli era una città del vizio, ne più né meno che Saigon o Manila.
Gli arrivi dei nuovi carichi da sniffare sono salutati dal fragore
dei fuochi d’artificio che illuminano la notte; sparano a Scampia,
alla Sanità, ai Quartieri e non certo per festeggiare compleanni o
matrimoni, unica eccazione l’uscita da Poggioreale di un boss.
Napoli, come sempre fa da battistrada nell’abisso della perversione
ed inaugura una sorta di turismo all’incontrario, una pallida
risorsa per un’economia immersa nel vortice della crisi, non ad
ammirare bellezze artistiche o paesaggi ragguardevoli, che pure sono
presenti in misura cospicua, bensì per scendere nei gironi infernali
dell’abiezione e del degrado spinto al massimo grado, un originale
safari attraverso la metropoli dominata dalla camorra sostenibile,
con le stigmate dell’irreversibilità.
Se ci trasferiamo nei quartieri bene, ad esempio a Chiaia, il
panorama è completamente diverso con il consumo di cocaina che
rappresenta il più preoccupante fenomeno di massa sviluppatosi negli
ultimi anni, interessante tutte le classi sociali, l’unica moda,
assieme al tifo per la squadra del Napoli, in grado di tenere legate
le diverse anime della città.
La coca che circola a Chiaia o a Posillipo è di qualità superiore
rispetto a quella che è possibile acquistare per pochi euro nelle
piazze dello spaccio di Secondigliano o di Scampia; è meno tagliata
è costa di più. Inoltre se sei un cliente abituale è anche possibile
averla a domicilio dal puscher di fiducia, come ha dimostrato una
recente inchiesta che ha coinvolto professionisti ed imprenditori
tra i più noti, incluso un celebre ginecologo, giustamente
glorificato in un capitolo del libro, il quale spesso se la faceva
consegnare in clinica, prima di cominciare una seduta operatoria.
Dietro questa abitudine nefasta vi sono giovani avvocati, figli di
notabili, industriali più o meno rampanti, abbronzati proprietari di
barche, vecchi rattusi dall’aria laida; tutti in movimento tra i
baretti della zona alla ricerca di una fanciulla da abbindolare con
un sorso di rum ed una sniffata di coca.
A questi figuri si aggiungono la ragazza di buona famiglia isterica,
il vip da strapazzo, il tossicomane perduto appena rientrato da un
soggiorno in comunità, l’alcolizzato cronico, tutti personaggi
patetici abituati a calare il panaro dal balcone ed a farsi
consegnare dal bar all’angolo la dose quotidiana di droga ed alcol.
E durante le ore della movida le sostanze tossiche scorrono a fiumi,
non solo polvere bianca, ma anche ectasy ed erbe varie, psicofarmaci
ed eccitanti, per sincerarsene, più che i periodi sequestri della
polizia, basta farsi un giro nei bagni dei locali in, che nel fine
settimana diventano lerci di sangue e catarro.
Sono ritrovi che aprono, chiudono, cambiano nome a ritmo frenetico,
dietro ai quali vi è la mano del racket e delle lavanderie di denaro
sporco, che intestano tutto a compiacenti teste di legno. Mentre ad
impedire lo svolgersi di una normale attività notturna come in tante
altre città europee, vi è l’ingombrante presenza di una
microcriminalità invadente ed ingovernabile per la stessa camorra,
che va dall’inmancabile posteggiatore abusivo arrogante, che
nasconde una pistola nel cassonetto dell’immondizia, alla
moltitudine di muschilli pronti in gruppo serrato a catapultarsi
sulla prima borsa Prada o Louis Vuitton comparsa all’orizzonte.
A questa baraonda si aggiunge da anni una sorta di lotta di classe
tra i ragazzi delle periferie ed i figli della gente bene,
etichettati da questa sordida subburbia con l’epiteto di chiattilli,
un universo di emarginati che cerca di entrare a gamba tesa in un
mondo di presunti privilegiati, che si manifesta col tentativo di
entrare nelle discoteche alla moda e provocare risse. Sono sempre,
quando gli omaccioni posti a presidiare l’ingresso non riescono a
prevenirle, le prepotenze di un gruppo numericamente superiore, ma
antropologicamente inferiore, verso singoli impauriti ed indifesi.
Un altro fenomeno di allarmante gravità è costituito dall’abuso di
bevande alcoliche tra i giovanissimi. Indagini recenti hanno
evidenziato che nove ragazzi su dieci consumano almeno un drink ed
il 50% degli avventori che esce dalle discoteche per fare ritorno a
casa si mette alla guida con un tasso di alcool nel sangue superiore
al limite prescritto dal codice della strada, mettendo in pericolo
la propria e l’altrui vita. Una sciagurata abitudine, da tempo
divenuta uno stile di vita all’estero, che si sta diffondendo a
macchia d’olio tra le giovanissime generazioni senza che alcun
provvedimento riesca minimamente ad arginare.
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