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100 INEDITI DI PITTURA NAPOLETANA

 

Cap.12
Uno splendido Filippo Vitale

 

Alla fase luministica del caravaggismo appartiene l’attività giovanile di Filippo Vitale, un artista di rilievo, quasi completamente trascurato dalle fonti antiche e la cui personalità è stata ricostruita solo negli ultimi decenni.
Egli è imparentato con Annella e Pacecco De Rosa di cui è patrigno, con Giovanni Do, Agostino Beltrano ed Aniello Falcone di cui è suocero. Un tipico esempio di quella ragnatela di parentele che lega molti altri pittori napoletani del primo Seicento, i quali abitarono quasi tutti nella zona delimitata tra piazza Carità e lo Spirito Santo, vera Montmartre dell’epoca. Su tanti intrecci ci ha illuminato la ricerca durata un’intera vita di un benemerito erudito, il Prota Giurleo, il quale con certosino lavoro di spulcio di processetti matrimoniali, testamenti, fedi di battesimo, polizze di pagamento ed inventari, ha fornito ai critici una mole enorme di dati e di documenti sulla quale lavorare per ricostruire la personalità di tanti artisti.
Vitale è allievo di Sellitto del quale completa il Crocefisso di Santa Maria in Portanova ed anche lui lavora in Santa Anna dei Lombardi, dove riceve dai Noris Correggio per un San Carlo Borromeo un compenso molto alto di duecento ducati.
Dipinge poi la Liberazione di San Pietro dal carcere (fig. 1) del museo di Nantes, il San Sebastiano conservato a Dublino e il Sacrificio di Isacco (fig. 2) del museo di Capodimonte. Tra il 1617 ed il ’18 è impegnato ad eseguire otto tele per il soffitto dell’Annunziata di Capua, che purtroppo versano oggi in pessimo stato di conservazione.
Successiva è la grande pala dei Santi vescovi (fig. 3) già in San Nicola alle Sacramentine di un intenso naturalismo impregnato dalla lezione caravaggesca, nella quale si possono ipotizzare anche scambi culturali con Tanzio da Varallo dotato di un più intenso senso luministico.
In seguito si avvicina ai modi di Ribera raggiungendo il culmine del suo percorso naturalistico con il San Sebastiano della chiesa dei Sette dolori e l’Angelo custode (fig. 4) della Pietà dei Turchini, il suo capolavoro, uno dei quadri più importanti del Seicento napoletano, dal poderoso impianto compositivo, nel quale al ricordo del valenzano si impongono suggestioni di rigoroso naturalismo, potente creazione in cui è facile leggere nel volto dei personaggi la rabbia e il disappunto, la serenità e la giustizia, il candore e l’innocenza.
La Deposizione (fig. 5) della chiesa di Regina Coeli, firmata e databile intorno al 1635 apre una fase di crescente inclinazione prima in senso pittoricistico e poi decisamente classicista, che sfocerà nell’ultimo decennio in una fase pacecchiana, dopo un lungo periodo di collaborazione col figliastro. La sua tavolozza divenne sempre più smaltata e ricca di colori luminosi e vivaci come si avverte nella Fuga di Loth da Sodoma, firmato e datato 1650, di collezione privata pendant di un Rachele e Giacobbe realizzato dal De Rosa.
Numerose sono le tele a quattro mani che la critica, progredite le cognizioni sui due artisti, ha identificato, dalla Madonna e San Carlo (fig. 6) di San Domenico Maggiore alla Gloria di Sant’Antonio conservato nell’eponima arciconfraternita in San Lorenzo, mentre molti dipinti risentono ancora di scambi nella paternità tra i due parenti e necessitano di percorrere un arduo sentiero attributivo avvolto ancora più da ombre che da luce.
Di Filippo Vitale non parla il De Dominici, l’attento biografo settecentesco, al quale siamo debitori di gran parte delle conoscenze sul Seicento napoletano e questa circostanza ha pesato nel determinare il lunghissimo oblio, durato secoli, nel quale è stato relegato il pittore. Di lui aveva accennato il Baldinucci in una sua nota ed in seguito qualche raro ritrovamento documentario aveva dato labile consistenza alla sua attività. Solo nel 1951 il Prota Giurleo, a seguito delle sue benemerite ricerche archivistiche, ci fornisce, anche se con qualche imprecisione, le sue coordinate anagrafiche. Sarà poi Ferdinando Bologna, prima nel 1955 e poi nel 1991, a restituirci degnamente l’attività del Vitale, raggruppando attorno ad un nucleo di opere certe, firmate o documentate, una serie di dipinti collegati per decise affinità stilistiche.
La difficoltà maggiore nel delineare il suo percorso artistico è dovuta all’esistenza di due sole tele siglate ed altrettante firmate, di poche opere documentate, tra le quali quelle poste nel soffitto cassettonato della chiesa dell’Annunziata di Capua, eseguite entro il 1618, sono fondamentali, ma purtroppo versano da tempo in un disastroso stato di conservazione.
Tra le opere universalmente accettate dalla critica, oltre al San Pietro liberato dall’angelo del museo di Nantes, un posto di rilievo è occupato dalla Madonna di Costantinopoli ed i Santi Nicola, Gennaro e Severo, già nella Congrega delle Sacramentine ed oggi a Capodimonte, dove un cartellino indica una data di esecuzione (tra il 1614 ed il 1618) che va, a mio parere, spostata in avanti almeno di un decennio. Infatti il quadro è molto vicino al celebre Angelo custode della Pietà dei Turchini, eseguito in un trionfo di colori simile alla gioiosa gamma cromatica che si squinterna dalla tela oggi conservata nel museo.
Tra le opere più antiche è certamente il San Girolamo scrivente (fig. 7), il quale è dominato da un’indagine rigorosa della caducità della carne, che rammenta gli esiti migliori del Ribera, seguito da una Giuditta ed Oloferne, intrisa di fiera crudeltà con il particolare del collo mozzato, che gronda sangue a zampilli, vera scena da film dell’orrore. Di svenevole dolcezza una Maddalena in meditazione sulla croce (fig. 8), nella quale la santa, china ad adorare il Cristo, offre allo spettatore la gioia della contemplazione di un seno acerbo quanto appetibile, a stento coperto da alcune ciocche di fluenti capelli. La modella è la stessa del Compianto di Santa Maria Regina Coeli, identica nella posa ad eccezione delle vesti del tutto assenti nel dipinto esposto in mostra. Ed è proprio il San Girolamo scrivente che ci permette di assegnare con certezza al Vitale un Santo in meditazione (fig. 9 – 10) di una collezione privata di Trani che è stato sottoposto alla nostra attenzione per un giudizio. Il quadro esprime una impietosa quanto sorprendente esplorazione delle epidermidi, fino ad infoltire la memorabile galleria di vegliardi dalle carni avvizzite che procede dai prototipi di Caravaggio per culminare nelle prove più esaltanti del primo Ribera.
Una aggiunta importante al catalogo dell’artista, ancora poco noto agli stessi specialisti del secolo d’oro.


01 - Filippo Vitale S. Pietro liberato dal carcere - Nantes museo


02 - Filippo Vitale - Sacrificio di Isacco - Napoli museo di Capodimonte


03 - Filippo Vitale - Santi vescovi - Napoli museo di Capodimonte


04 - Filippo Vitale - Angelo custode - Napoli chiesa della Pietà dei Turchini


05 - Filippo Vitale - Deposizione - Napoli chiesa di Regina coeli


06 Pacecco de Rosa- Filippo Vitale Madonna e i Ss. Domenico e Carlo Borromeo - Napoli chiesa di San Domenico


07 - Filippo Vitale San Girolamo scrivente - Milano mercato antiquariale


08 - Filippo Vitale - Maddalena in meditazione della croce - Napoli collezione privata


09 - Filippo Vitale - Santo in meditazione - Trani collezione privata


10 - Filippo Vitale - Santo in meditazione - Trani collezione privata

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