Cap.13
I dipinti di Andrea Vaccaro per le chiese
napoletane
La sua prima opera documentata è del 1629, una Madonna di
Costantinopoli con 2 beati, eseguita per la chiesa della Trinità
delle Monache, della quale non vi è traccia nelle più attendibili
guide dal Celano al Galante, ma esiste il documento di pagamento
pubblicato da Nappi.
Molto antico è certamente il Crocifisso (fig. 1) conservato nella
sacrestia della chiesa di S. Teresa a Chiaia, eseguito su tavola e
percorso da un afflato battistelliano, che richiama a viva voce il
celebre San Sebastiano del museo di Capodimonte. Tra i suoi primi
lavori vi è poi la copia, famosissima, della Flagellazione (fig. 2)
di Caravaggio, attualmente a San Domenico Maggiore, sede primaria
della tela del Merisi oggi a Capodimonte, nella quale, pur con
decorosa modestia, sfida il confronto diretto con l’originale,
uscendone sconfitto principalmente nella cura del chiaro scuro
applicato con rigidezza quasi scolastica, come in tutta la sua prima
fase immersa nell’orbita della pittura naturalistica, alla quale
egli si accosta già nel corso degli anni Venti in un’accezione
battistelliana, applicando sistematicamente un chiaroscuro
monocromo, senza trascurare uno sguardo ai maestri più antichi dal
Sellitto al Vitale.
Fra le opere giovanili la critica pone anche il sontuoso Crocifisso
con San Giovanni e le tre Marie (fig.3), collocato sul terzo altare
a sinistra nella chiesa della Trinità dei Pellegrini, il quale,
donato alla Compagnia nel 1741, nel rifacimento settecentesco, fu
adattato alla nicchia ed andò a sostituire una Madonna della Purità
attribuita a Juan Do. Il dipinto, di recente restaurato, non
possiede la morbidezza di ascendenza battistelliana del Crocifisso
della chiesa di S. Teresa a Chiaia, né i toni corruschi del San
Sebastiano, ma mostra una adesione al pittoricismo di un Pietro
Novelli ed è collocabile cronologicamente negli anni in cui il
Vaccaro eseguiva a San Martino le Storie di S. Ugo. Ed a quegli anni
appartiene anche la Madonna del Rosario (fig. 4) conservata nella
chiesa di San Giuseppe Maggiore al rione Luzzatti, che costituisce a
parere di Stefano Causa un estremo omaggio all’omonima pala del
Caravaggio, oggi a Vienna, ma per alcuni anni visibile a Napoli. Il
dipinto è citato dal De Dominici, ma non tutti gli studiosi
ritengono sia del Vaccaro, il quale “compone una regolata, estrema
mescolanza di elementi caravaggeschi, anche desunti dal cartello
napoletano”.
Intorno al 1635 va posto il San Nicola di Bari con la Vergine (fig.
5) della chiesa di S. Maria della Purità agli Orefici, edificata l’8
febbraio di quell’anno. La pala sembra ispirata allo stile delle
prime opere di Filippo Vitale nella solidità strutturale dei bimbi
miracolati, dei putti gioiosi, del coppiere. Del 1636 è viceversa la
famosa Maddalena (fig. 6) del coro dei Conversi della Certosa di San
Martino, una delle più belle opere del Vaccaro, raffigurante l’atto
della penitenza. Si tratta di una tela di raffinato pittoricismo
tutta pervasa da quegli umori vandichiani dei quali Vaccaro fu il
più entusiasta elaboratore napoletano. Con queste parole il Causa
descriveva la Maddalena ed è importante notare che il termine
vandichiano veniva dall’illustre studioso adoperato per la prima
volta, ad indicare un predominio del cromatismo sul luminismo, una
tendenza che comincia a manifestarsi in quegli anni nella temperie
artistica napoletana.
Così descrive il quadro il Tufari nel 1854 nella guida della
chiesa:” La santa vestita di ruvide pelli e con le trecce
scarmigliate ha fisso al cielo lo sguardo su cui vi è l’impronta del
dolore per lungo pianto dei suoi peccati, in alto è un gruppo di tre
vaghi putti”. L’Ortolani ne mise in risalto la dipendenza dai
modelli del Reni, di cui “ne trascrive le forme nel carnoso e
patetico dialetto partenopeo, penetrando le zone di luce di una
polpa riberiana”. Dopo l’analisi fatta da Raffaello Causa la
Maddalena ha costituito il punto di partenza per ogni ricostruzione
dell’attività del pittore.
Il soggetto della Maddalena è stato più volte trattato dal Vaccaro
nel corso della sua carriera, spesso con significative varianti,
come pure circolano numerosissime copie di bottega ad opera di
imitatori. Tra le Maddalene autografe ricordiamo, in Sicilia, due
dipinti del museo di Pepoli a Trapani e della Galleria Regionale a
Palermo; in Spagna, dove il pittore esportava gran parte della sua
produzione, una tela a Madrid nella collezione del duca d’Alba ed
infine repliche di grande qualità al Metropolitan di New York e nel
museo di Rio De Janeiro.
La Tentazione di Cristo nel deserto (fig. 7), già nella chiesa di S.
Maria della Sapienza è documentato da una polizza di pagamento del
1641 pubblicata nel 1888 dal Bonazzi, anche se nella causale si
parla di un quadro con sei personaggi, mentre in quello pervenutoci
ve ne sono due soltanto. Questo dettaglio, oltre ad uno stile
lontano da quello del Vaccaro, ha indotto alcuni studiosi a porre in
dubbio l’autografia; tra questi Renato Ruotolo che lo attribuisce,
non senza motivo ad Enrico de Semer, ipotesi che riteniamo debba
essere valutata con ponderazione. Il dipinto si trovava sul lato
sinistro della chiesa e faceva parte di una serie di sei quadri
sulla vita di Cristo eseguiti da altrettanti pittori attivi in
quegli anni a Napoli.
Tre documenti di pagamento tra il 1650 – 51, pubblicati da Nappi, ci
permettono di datare con precisione la Morte di San Giuseppe (fig.
8), posta nelle terza cappella sul lato sinistro nella chiesa del
Purgatorio ad Arco. In questa pala d’altare, una delle più note
dell’artista ed a lungo mal collocata cronologicamente dagli
studiosi, la sintesi operata dal Vaccaro delle varie correnti
presenti a Napoli giunge ad un punto di maturazione con un pacato
equilibrio compositivo ravvivato dai personaggi principali che
attraverso gesti eloquenti sembrano dialogare fra loro ed esprimono
un pathos contenuto, ma profondo, utilizzando soluzioni pittoriche
di palpabile felicità cromatica, che giungono ad esiti di toccante
drammaticità. Le mani del Cristo e della Vergine danno l’impressione
di definire spazio e sentimenti, alla pari del defunto e degli
angeli posti in alto.
Nel 1652 Vaccaro è di nuovo impegnato nella Certosa di San Martino
dove illustra le Storie di S. Ugo nella cappella omonima. I due
dipinti raffigurano S. Ugo che resuscita un fanciullo (fig. 9) ed Il
santo impegnato nella costruzione della cattedrale di Lincoln (fig.
10 – 10 b). Di entrambi sono stati pubblicati dalla Petrelli e da
Spinosa i bozzetti preparatori, uno (fig. 11) in collezione privata
italiana, l’altro (fig. 12) nella Staatsgalerie a Schleiheim.
Il De Dominici definisce le composizioni eseguite “con buon disegno
ed ottimo intendimento di colorito”. Il Causa le riteneva “ tele di
ripiego visto che all’altare vi è la tela di Stanzione la Vergine
con S. Ugo e Antelmo”. Pur trattandosi di quadri complementari il
pittore non teme il confronto col celebre collega e si rifà al
plasticismo alla Vitale, costruendo figure solide, che rendono viva
l’ambientazione architettonica. Oltre ai modi del Vitale si
evidenziano precisi interessi a modelli naturalistici tra Ribera ed
Aniello Falcone, soprattutto nella resa vigorosa dei particolari
anatomici.
Il Vaccaro ha oramai perfezionato il suo stile ed è entrato
pienamente nel nuovo corso della pittura napoletana, orientato a
recepire le istanze del classicismo emiliano e della corrente
neoveneta di ispirazione vandichiana.
Agli stessi anni pensiamo possa appartenere una misconosciuta pala
d’altare sita nella quarta cappella a sinistra della chiesa di
Donnalbina, raffigurante La Madonna, Maria Maddalena e San Giovanni
Evangelista(fig. 13), la quale, per quanto siglata, era attribuita
erroneamente al Marullo.
Nel 1659 esegue le due pale d’altare per la chiesa di S. Maria della
Sanità, raffiguranti Lo sposalizio mistico di S. Caterina
d’Alessandria (fig. 14) e Gesù che appare a S. Caterina da Siena
(fig. 15) due opere ispirate a schemi di serena, contegnosa,
classicheggiante serenità; già lodate dal De Dominici, che
apprezzava la sua nuova maniera”mirabilmente migliorata”. Entrambe
siglate, presentano brani di estrema raffinatezza, come la levigata
figura della santa o il gruppo della Vergine con il Bambino che
porge l’anello a S. Caterina, ostentatamente vestita di abiti
preziosi, mentre in alto cinque puttini volanti sollevano un ricco
tendone.
Puttini che derivano direttamente dal volo elegante di angeli nel
San Gaetano presente nell’oratorio del SS. Crocifisso dei Nobili,
dove Vaccaro eseguì nel 1658 due quadri raffiguranti San Gaetano
riceve Cristo da Maria (fig. 16) e Sant’Andrea mentre riceve i
simboli della passione (fig. 17), posti ai lati dell’altare e per i
quali il Vaccaro riceve due pagamenti, uno a febbraio ed uno a
maggio. Questo oratorio, citato già dal Celano, si trova nel
chiostro della chiesa di San Paolo Maggiore e, divenuto congrega nel
1553, fu frequentato da San Gaetano Thiene ed in anni successivi da
Sant’Andrea Avellino. A partire dal 1660 l’attività del Vaccaro
nelle chiese napoletane si intensifica e la sua fama cresce sempre
più, come dimostra la contesa con Luca Giordano che lo vede
vittorioso per l’assegnazione della pala(fig. 18) per l’altare
maggiore della chiesa di S. Maria del Pianto, sorta, all’indomani
della terribile peste del 1656, sulla collina di Poggioreale, nei
pressi della grotta detta degli sportiglioni, adibita ad enorme
fossa comune per i morti vittime della pestilenziale epidemia. La
disputa tra i due pittori ci viene raccontata dal Baldinucci e dal
De Dominici:” ne fu commesso il giudizio a Pietro da Cortona, Andrea
Sacchi, Giacinto Brandi, Baciccio ed altri valentuomini che a quel
tempo fiorivano a Roma, i quali esaminarono i disegni, ovvero i
bozzetti mandati dal Vaccaro e dal Giordano e ne rimisero finalmente
il giudizio al Cortona, il quale decide a favore del Vaccaro come di
Maestro più faticato e più vecchio nell’arte del quale era buona
fama a Roma”. L’aver posto il suo quadro in posizione dominante con
in sottordine le due tele del rivale lusingò certamente Andrea anche
se percepiva chiaramente l’arrivo dell’onda lunga del Giordano.
L’opera è stata di recente restaurata e restituita allo splendore
cromatico del passato ed oggi è visibile presso il museo diocesano,
dopo essere stata a lungo esposta a Palazzo Reale in compagnia dei
due quadri del Giordano. Il soggetto rappresenta la Madonna, che con
la sua preghiera verso il Figlio chiede il perdono e di mitigare la
furia dell’epidemia. Alla supplica partecipano attivamente le anime
del Purgatorio, raffigurate nella parte bassa della composizione,
dando luogo ad una forma a spirale della narrazione accentuando così
il pathos della scena. La pala rappresenta un compendio della sua
attività ed in essa si esprime un sostrato battistelliano su cui
emerge l’ascendente di Stanzione, mentre la gamma cromatica è
influenzata dal pittoricismo di uno dei principali seguaci italiani
di Van Dyck: Pietro Novelli. Negli anni precedenti l’esplosione del
barocco, Vaccaro si impone come uno dei principale esponenti della
pittura napoletano, ruolo riconosciutogli dalla committenza
ecclesiastica, in grado di apprezzare i suoi”santi, così belli,
maestosi e divoti” e le sue storie sacre impregnate di patetismo,
mentre i collezionisti laico borghesi continuavano a chiedergli
ritratti di sante in estasi dalle scollature abissali.
Tra agosto 1660 e marzo dell’anno successivo, come attestano i
documenti di pagamento, va collocata una importante commissione da
parte dei Teatini per la chiesa di San Paolo Maggiore. Vaccaro
decide di cimentarsi con la pittura a fresco e si fa affiancare da
Andrea De Lione, il quale era divenuto abile nella pittura murale,
prima sotto l’insegnamento di Belisario Corenzio e poi lavorando con
Aniello Falcone. Bernardo De Dominici ci racconta dell’accordo e
sinteticamente afferma:”onde si diede da ambedue principio all’
opera… continuata e finita di quel carattere che ai nostri giorni la
veggiamo”. Oggi tra i finestroni delle pareti laterali, molto in
alto, si possono osservare otto affreschi(fig. da 19 a 26) che
raccontano episodi della vita di San Gaetano, mentre in Spagna a
Madrid, in parte al Prado, in parte nel Palazzo Reale, si conservano
i dieci modelletti (fig. da 27 a 36) che furono presentati ai
Teatini per l’approvazione ed essi ne scartarono due. Queste tele
sono grandi la metà degli affreschi e sono rifinite con cura. La
qualità è superiore a quella delle decorazioni, nelle quali il
pennello del De Lione si percepisce, come sottolinea De Vito,
nell’uso di certe tinte, quali il verde sbiadito della corazza dello
scherano nell’Aggressione al santo, il rosa pallido del cielo nello
stesso riparto e la presenza degli stessi toni nelle altre storie.
Anche se in complesso si tratta di un’opera non esaltante, i
modelletti sono gradevoli a vedersi e mostrano l’influenza del
Giordano.
Documentata con polizze di pagamento tra il 1660 ed il 1661
pubblicate da Nappi è la tela raffigurante la Trinità con la Vergine
e San Giuseppe (fig. 37), posta sull’altar maggiore della chiesa di
S. Maria della Provvidenza, più nota come S. Maria dei Miracoli.
Nella pala sono rappresentati in basso, oltre alle anime del
Purgatorio, alcune monache, il committente Giovanni Camillo Capece,
con la madre Vittoria de Caro e lo zio Giuseppe. La disposizione
delle figure segue uno schema consueto del Vaccaro, a piramide, con
la Trinità in alto, un gradino più in basso Maria e Giuseppe,
imploranti la grazia per le anime del Purgatorio ed ancora più giù
il committente con i suoi più stretti parenti. La composizione per
il soggetto ricalca pedissequamente la tela più nota di S. Maria del
Pianto, anche se con una minore carica emotiva.
Un altro dipinto per cui possiamo indicare una data certa, il 1666,
è il San Luca che ritrae la Madonna(fig. 38 – 38b), già nella chiesa
di San Giovanni Maggiore delle Monache sede all’epoca della
corporazione dei pittori, di cui Vaccaro fu il primo prefetto dal
’64 al ’66, avendo a latere Luca Giordano e Francesco de Maria. Il
dipinto vuole essere un omaggio al nascente sodalizio, ma nello
stesso tempo una sorta di autocelebrazione, resa con scioltezza di
pennello e con una tavolozza allegra e vivace.
Eseguita negli stessi anni è la Madonna con San Felice di Cantalice
(fig. 39), già nei depositi del museo di Capodimonte e dal 1932
collocata sulla parete destra della navata della chiesa di San
Pietro ad Aram. Esposta alla mostra sulla Madonna nella pittura
nel’600 a Napoli, tenutasi nel 1954, venne giudicata dal Causa
basata su schemi consolidati e ripetitiva della “copiosa quanto
monotona produzione tarda del Vaccaro, livellata in una costante
comune di facile mestiere”. A dimostrazione di quanto dichiarato dal
celebre studioso, possiamo notare che il santo è uguale al San Luca
che dipinge la Madonna nel quadro omonimo, mentre il viso della
Vergine e le tipologie degli angeli e dei putti si rivedono
invariati nella tela conservata nella chiesa di S. Maria Egiziaca,
eseguita nel 1668. Coevi sono anche la Vergine tra i S. Antonio e
Rocco (fig. 40) sita nella chiesa di San Potito e la Glorificazione
della Vergine (fig. 41), posta nella Cappella Ceraso, la terza a
destra della chiesa di S. Maria delle Grazie a Caponapoli, nella
quale compaiono in basso San Gennaro con le fatidiche ampolle e San
Francesco, in compagnia di San Giuseppe e S. Antonio da Padova.
Questa ultima pala fu molto lodata dal De Dominici, che riferì fosse
stata ordinata dal vicerè don Pedro d’Aragona per sostituire una
tavola di Andrea da Salerno.
Entrambe le composizioni, con le figure accuratamente rifinite,
rientrano nel novero di quelle in cui Vaccaro profuse il meglio
della sua abilità, per cui era molto richiesto dalla committenza
ecclesiastica.
All’apice del successo Andrea faceva il suo ingresso come
confratello nel Conservatorio della Pietà dei Turchini, dove
nell’annessa chiesa, secondo le fonti, anche se non è stato reperito
alcun documento di pagamento, dipinse,”quattro quadri, i quali
rappresentano vari dolorosi misteri della Passione del nostro
Redentore” (De Dominici). Probabilmente si trattava di una Via
Crucis, tema iconografico all’epoca presente in quasi tutte le
congregazioni napoletane e secondo il biografo erano opere tarde e
non della “bontà” della precedente produzione. Attualmente le tele
si trovano in ambienti diversi della chiesa: la Flagellazione e
l’Incoronazione di spine(fig. 42 – 43) sono conservate nella
cappella di San Carlo Borromeo, mentre L’andata al Calvario e Cristo
davanti a Pilato(fig. 44 – 45) sono posti dietro l’altare maggiore.
I quattro quadri, tutti siglati, secondo la Petrelli, presentano
forti influenze caravaggesche, mentre De Vito, più plausibilmente,
le colloca negli inoltrati anni Sessanta, poco prima della grande
cona (fig. 46) posta al centro nel cappellone di S. Anna, dalla
complessa iconografia, sulla quale ritorneremo fra breve,
espressione lampante di pittura classicistica. Nello specifico,
rifacendoci al commento che sulle quattro tele fa il Pacelli in una
piccola quanto preziosa monografia sulla chiesa, possiamo affermare
che la Passione di Cristo rappresenta compiutamente il punto di
incontro tra tradizione naturalistica, resa con toni più pacati
nelle luci e nella resa delle figure e la grazia ed il decoro del
classicismo proprio del Reni e del Domenichino. Nella Flagellazione
e nell’Incoronazione di spine le figure sono plasticamente tornite
attraverso una luce diretta che genera intensi contrasti nel chiaro
scuro. Di antica ascendenza caravaggesca i riflessi luministici
sugli scudi, sugli elmi e sulle else delle spade. La Flagellazione è
un chiaro omaggio al dipinto del Merisi, di cui Vaccaro ha eseguito
una celebre copia (fig. 2). L’opera principale del Vaccaro
conservata nella chiesa è situata nel sontuoso cappellone dedicato a
S. Anna, situato alla destra dell’altar maggiore, il quale al
centro, circondato da due tele di Giacomo Farelli, espone S. Anna
che offre la Vergine all’Eterno e San Tommaso (fig. 46). Nella parte
alta, a dimostrazione della collaborazione col figlio Nicola
istauratisi negli ultimi anni di attività, lo stesso dipinge alcuni
episodi relativi ai coniugi Rocco, che avevano assunto il patronato
della cappella dopo aver beneficiato di interventi miracolosi
ottenuti grazie all’intercessione della santa. La pala dovrebbe
essere stata realizzata non prima del 1668, in quanto ad ottobre di
quell’anno la cappella è ancora in costruzione, per cui è tra le
ultime opere dell’artista, che, morto nel 1670, trovò sepoltura
nella chiesa stessa. Costruita su un fermo taglio diagonale nel
quale tutte le figure trovano la loro esatta collocazione, il
dipinto presenta in alto l’immagine dell’Eterno Padre, una soluzione
che richiama il prototipo caravaggesco delle Sette opere della
Misericordia, una adesione ai principi naturalistici filtrata
attraverso un linguaggio di stampo classicista dai toni pacati e
dall’equilibrio delle forme. La penultima opera datata (1668) del
Vaccaro è la Comunione di S. Maria Egiziaca (fig. 47), posta
sull’altar maggiore della chiesa di S. Maria Egiziaca a Forcella. La
santa è raffigurata morente mentre riceve l’estrema comunione
dall’abate Zosimo, in maniera accademica senza particolari slanci
emotivi. E con la S. Marta (fig. 48), posta sull’altar maggiore
della chiesa omonima, il Vaccaro chiude la sua attività raffigurando
la santa mentre calpesta il mostro da lei sconfitto. Il De Dominici
riferisce che il pittore fu colto dalla morte senza aver finito la
pala, che fu portata a termine dal figlio Nicola. Il racconto del
biografo è confermato dal reperimento di una polizza di pagamento,
datata 23 luglio 1670 e pubblicata nel 1913 dal D’Addosio, nella
quale risulta che Nicola riceveva 55 ducati a compimento di 80, 25
dei quali erano stati versati in precedenza al “quondam” Andrea
Vaccaro, morto il 18 gennaio 1670.
A conclusione di questa carrellata vogliamo ora trattare brevemente
di una serie di opere chiesastiche, di ardua collocazione
cronologica o non più presenti nella sede originaria, partendo da un
S. Antonio da Padova(fig. 49) in passato posto nella seconda
cappella destra ed oggi conservato nella sacrestia della chiesa di
S. Diego all’Ospedaletto, ove un tempo, secondo le fonti, erano
presenti nella volta della navata centrale degli affreschi volti a
celebrare storie e miracoli del santo titolare, cancellati per
sempre dal disastroso terremoto del 1688, alla pari delle
decorazioni eseguite da Massimo Stanzione. Proseguiamo con una
Madonna del Rosario e SS. Domenico e Caterina (fig. 50) conservati
nel museo diocesano di Napoli, già chiesa dell'Incoronata a
Capodimonte, contenitore per lungo tempo ed ancora oggi di dipinti
provenienti da chiese divenute impraticabili per eventi tellurici,
ultimo quello del 1980. Certamente per le dimensioni faceva parte
del patrimonio di qualche edificio sacro di cui ignoriamo il nome.
Del dipinto ha parlato il De Vito nel suo saggio monografico
pubblicato nel 1996 su Ricerche del ‘600 napoletano e lo studioso ha
ritenuto di accostare l’opera ad alcuni esiti di Antonio De Bellis,
mentre Stefano Causa, anche lui dubbioso sulla collocazione
cronologica, ha rilevato un riferimento alla celebre Madonna del
Rosario eseguita da Massimo Stanzione per la cappella Cacace in San
Lorenzo Maggiore, databile tra il 1643, inoltre ha sottolineato
alcuni brani ben definiti come l’inserto floreale o il San Domenico,
che sembra impostare un dialogo con figure coeve di Bernardo
Cavallino, concludendo che il dipinto costituisce un esempio del
notevole livello qualitativo raggiunto dall’artista prima che
scadesse ad un livello ripetitivo”tra qualità ed industria”. Il
Martirio di San Bartolomeo (fig. 51) a Napoli nel museo diocesano,
già chiesa di S. Efremo Nuovo, richiama a viva voce i martiri del
Ribera e dello stesso autore il superbo Apollo e Marsia, che mette
in risalto la figura del santo mentre l’aguzzino gli apre il petto,
con pelle, muscoli ed ossa in apparente fibrillazione. Della tela
esiste una replica autografa siglata nell’Abbazia di Montecassino.
La critica ha proposto per entrambi una datazione agli anni
Cinquanta, in base al bagliore degli elmi, allo squarcio di
paesaggio sullo sfondo ed all’anatomia del San Bartolomeo, ben
disegnata, mitigato dal crescente interesse del Vaccaro verso i
lavori di Stanzione, Cavallino e Van Dick. Altri studiosi hanno
viceversa sottolineato il carattere caricaturale di alcune
espressioni ed alcuni brani meno sostenuti rispetto al consueto
standard qualitativo del pittore, collocandolo nella fase tarda
della sua attività e Stefano Causa, ipotizza addirittura la
collaborazione nella stesura della bottega. Il Compianto su Cristo
morto (fig. 52) a Napoli nel museo diocesano, forse proviene dalla
Cattedrale, perché Aspreno Galante cita una Pietà collocata nel
dietro sacrestia del Duomo, oggi non più in sede. Il primo a
descrivere il dipinto fu Raffaello Causa insieme a due tele
probabilmente coeve con lo stesso soggetto, l’una al museo Correale
di Sorrento, l’altra nella pinacoteca di Reggio Calabria, mentre lo
riteneva anteriore alla Pietà, di formato verticale, della quadreria
del Pio Monte della Misericordia. Il soggetto sarà replicato più
volte dal Vaccaro nel corso della sua carriera fino alla redazione
conservata all’Art Institute di Chicago dall’empito già barocco. La
composizione riprende lo schema dei Compianti con 4-5 figure sul
prototipo di quello eseguito dal Ribera per la Certosa di San
Martino. Il pittore enfatizza la figura di Giovanni collocandola al
centro immobilizzandone la postura in un gesto quasi dittatoriale,
mentre il Cristo appare placidamente disteso. L’assenza di passioni
travolgenti, la contenuta regolarità dei gesti, il cromatismo dai
toni spenti che sfumano nel fondo scuro, costituiranno una costante
espressiva dello stile dell’artista e saranno uno dei motivi per cui
veniva richiesto da una vasta committenza.
Tra i dipinti nelle chiese della provincia ed in quel più ampio
territorio corrispondente al viceregno ne ricordiamo solo alcuni,
partendo da una Pietà (fig. 53), parzialmente ridipinta, ma di
ottima fattura, copia di quella presente nella pinacoteca del Pio
Monte della Misericordia, conservata nella chiesa di S. Maria della
Pietà a Casamicciola, ricordando poi un S. Antonio ed un San
Francesco (fig. 54 – 55), molto modesti a Torre del Greco nella
chiesa dell’Annunziata. Monumentali nel formato segnaliamo poi tre
Assunzioni, la prima (fig.56) in cui la Vergine ha ai suoi piedi due
santi, nella chiesa di S. Antonio a Pisticci, la seconda(fig.57),
più propriamente un’Immacolata Concezione, circondata da un nugolo
di angioletti dai classici volti paffuti, conservata nel museo
dell’Istituto Suor Orsola Benincasa ed una terza (fig. 58), con
numerosi personaggi, in una raccolta privata. Questa iconografia fu
ripetutamente replicata dal Vaccaro con varianti di ogni tipo sia
per chiese che per cappelle private ed un’altra Immacolata di grande
qualità è conservata nel museo di Salamanca. Chiudiamo con due
dipinti border line, che riteniamo debbano essere entrambi
trasferiti nel catalogo del Marullo: il primo (fig. 59) una Madonna
col Bambino adorati dagli angeli, sita a Montemarano, nella chiesa
di S. Maria dell'Assunta assegnata al Vaccaro da Vega de Martini e
Lattuada, che hanno sottolineato somiglianze con la S. Agata del
museo Filangieri, con L’immacolata di Firenze, con la Pietà del Pio
Monte e con l’Adorazione del museo di Vienna. Ma a nostro parere il
patognomonico cono d’ombra sul volto della Vergine e l’aspetto del
Bambinello dai capelli rossicci indirizzano verso un autografo del
Marullo. Stesso discorso per la Madonna col Bambino e i Santi
Francesco e Chiara (fig. 60) conservata ad Ischia nella chiesa di S.
Antonio da Padova, nella quale è presente un altro carattere
distintivo del Marullo, costituito dalla coppia di angioletti nella
parte alta del dipinto, attribuiti al Vaccaro nelle schede della
sovrintendenza, ipotesi che accolsi io stesso quando nel 2005
compilai una guida delle chiese di Ischia.
fig. 1 - Crocifisso - Napoli chiesa di S. Teresa a Chiaia
fig. 2 - Flagellazione (copia da Caravaggio) - Napoli chiesa di San
Domenico Maggiore
fig. 3 - Crocifisso con San Giovanni e le tre Marie - Napoli chiesa
della Trinità dei Pellegrini
fig. 4 - Madonna del Rosario - Napoli chiesa di San Giuseppe
Maggiore al rione Luzzatti
fig. 5 - San Nicola di Bari con la Vergine - Napoli chiesa di S.
Maria della purità degli orefici
fig. 6 - Maria Maddalena penitente - Napoli Certosa di San Martino
fig. 7 - Tentazione di Cristo nel deserto - Napoli già chiesa di S.
Maria della Pazienza
fig. 8 - Morte di San Giuseppe - Napoli chiesa del Purgatorio ad
arco
fig. 9 - S. Ugo costruisce la cattedrale di Lincoln - Napoli Certosa
di San Martino
fig. 10a - S. Ugo costruisce la cattedrale di Lincoln - Napoli
Certosa di San Martino
fig. 10 - S. Ugo resuscita un bambino - Napoli Certosa di San
Martino
fig. 11- S. Ugo resuscita un fanciullo - Italia collezione privata
fig. 12 - S. Ugo costruisce la cattedrale di Lincoln (bozzetto) -
Schleiheim Staatsgalerie
fig. 13 - La Madonna, Maria Maddalena e S.Giovanni - Napoli chiesa
S. Maria Donnalbina
fig. 14 - Matrimonio mistico di S. Caterina d'Alessandria - Napoli
chiesa di S. Maria della Sanitá
fig. 15 - S. Caterina da Siena riceve le stimmate - Napoli chiesa di
S. Maria della Sanità
fig. 16 - S. Gaetano riceve Cristo da Maria - Napoli chiesa di San
Paolo Maggiore, oratorio del del SS. Crocifisso
fig. 17 - S. Gaetano riceve i simboli della Passione - Napoli chiesa
di San Paolo Maggiore, oratorio del del SS. Crocifisso
fig. 18 - la Vergine intercede per le anime del Purgatorio - Napoli
museo diocesano, già chiesa di S. Maria del Pianto
fig. 19 - San Gaetano innanzi alla Vergine - Napoli chiesa di San
Paolo Maggiore o
fig. 20 - San Gaetano attaccato durante il sacco di Roma - Napoli
chiesa di San Paolo Maggiore
fig. 21 -Morte di san Gaetano in compagnia di san Michele - Napoli
chiesa di San Paolo Maggiore
fig. 21 -Morte di san Gaetano in compagnia di san Michele - Napoli
chiesa di San Paolo Maggiore
fig. 22 - San Gaetano compone la regola dell'ordine teatino- Napoli
chiesa di San Paolo Maggiore
fig. 23 - Papa Clemente VII approva la regola dell'ordine teatino-
Napoli chiesa di San Paolo Maggiore
fig. 24 - San Gaetano rifiuta l'offerta del conte Oppido Antonio
Caracciolo - Napoli chiesa di San Paolo Maggiore
fig. 25 - San Gaetano riceve offerte di cibo - Napoli chiesa di San
Paolo Maggiore
fig. 26 - Apparizione di san Gaetano - Napoli chiesa di San Paolo
Maggiore
fig. 27 - San Gaetano innanzi alla Vergine - Madrid Prado
fig. 28 - San Gaetano attaccato durante il sacco di Roma - Madrid
Prado
fig. 29 - Morte di san Gaetano in compagnia di san Michele (modelletto)
- Madrid Prado
fig. 30 - San Gaetano compone la regola dell'ordine dei Teatini -
Madrid Prado
fig. 31 - Papa Clemente VII approva la regola dell'ordine teatino (modelletto)-
Madrid Prado
fig. 32 - San Gaetano rifiuta l'offerta del conte Oppido Antonio
Caracciolo (modelletto) - Madrid Prado
fig. 33 - San Gaetano riceve offerte di cibo - Madrid Prado
fig. 34 -Apparizione di san Gaetano - Madrid Prado
fig. 35 - San Gaetano ed i Teatini ricevono offerte nel refettorio -
Madrid Prado
fig. 36 - San Gaetano offerto alla Vergine - Madrid Prado
fig. 37 - La Trinità con S. Maria e San Giuseppe - Napoli chiesa di
S. Maria dei Miracoli
fig. 38 - Madonna col Bambino e San Luca - Napoli già chiesa di San
Giovanni delle monache
fig. 38b - Madonna col Bambino e San Luca - Napoli già chiesa di San
Giovanni delle monache
fig. 39 - La Madonna col Bambino e San Felice di Cantalice - Napoli
chiesa di San Pietro in Aram
fig. 40 - Vergine tra i SS. Antonio e Rocco - Napoli chiesa di San
Potito
fig. 41 - Glorificazione della Vergine - Napoli già chiesa di S.
Maria delle Grazie a Caponapoli
fig. 42 -Flagellazione - Napoli chiesa della Pietà dei Turchini
fig. 43 - Incoronazione di spine - Napoli chiesa della Pietà dei
Turchini
fig. 44 - Andata al Calvario - Napoli chiesa della Pietà dei
Turchini
fig. 45 - Cristo davanti a pilato - Napoli chiesa della Pietà dei
Turchini
fig. 46 - S.Anna che offre Maria all'Eterno e San Tommaso - Napoli
chiesa della Pietà dei Turchini
fig. 47 - Comunione di S. Maria Egiziaca - Napoli chiesa di S. Maria
Egiziaca
fig. 48 - S. Marta - Napoli chiesa di S. Marta
fig. 49 -S. Antonio da Padova - Napoli chiesa di S.Diego
all'Ospedaletto
fig. 50 - Madonna del Rosario e SS. Domenico e Caterina - Napoli
museo diocesano, già chiesa dell'Incoronata a Capodimonte
fig. 51 - Martirio di San Bartolomeo - Napoli museo diocesano, già
chiesa di S. Efremo Nuovo
fig. 52 - Compianto su Cristo morto - Napoli museo diocesano, già
Cattedrale
fig. 53 - Pietà - Casamicciola chiesa di S. Maria della Pietà
fig. 54 - S. Antonio da Padova -Torre del Greco, Chiesa
dell'Annunziata
fig. 55 - San Francesco -Torre del Greco, Chiesa dell'Annunziata
fig. 56 - Immacolata fra i Ss.Francesco e Gaetano - Pisticci chiesa
di S. Antonio
fig. 57-Immacolata Concezione Napoli, museo di Suor Orsola Benincasa
fig. 58 -Assunzione della Vergine Italia collezione privata
fig. 59 -Madonna col Bambino adorati dagli angeli -Montemarano,
chiesa di S. Maria dell'Assunta
fig. 60 -Madonna col Bambino e i Santi Francesco e Chiara - Ischia,
chiesa di S.Antonio da Padova
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