Fino ad ora abbiamo seguito un percorso cronologico nella produzione del Marullo, scandito con precisione da date apposte dall'artista sui quadri o da documenti. Rimane da classificare una serie di dipinti, di notevole qualità in gran parte inediti, transitati negli ultimi anni sul mercato o identificati in collezioni private, oltre ad opere, già in importanti chiese napoletane e da tempo in deposito.
Cominciamo la nostra descrizione con l'uno dei pochi dipinti del Marullo conservato in un museo: la Pesca miracolosa (fig. 88) della pinacoteca del museo Campano di Capua.
Fig. 88
Ritenuta opera del Finoglio quando venne acquistata nel lontano 1891 dal museo, proveniente dalla collezione Mastropaolo di Orta di Atella, la tela appalesò la firma "Joseph Marullus" durante un restauro negli anni Cinquanta. E' sempre stata giudicata dalla critica tra le migliori opere dell'artista per la perfetta fusione di elementi culturali derivati dagli esempi dello Stanzione, ingentilito dalla poetica e dal modo di concepire la scena del Cavallino, assieme, come sottolineava il Causa, ad efficaci soluzioni di un "luminismo rapido ed abbreviato forse desunto dallo Stomer".
Alcune somiglianze con i modi pittorici dell'ultima fase del Cavallino hanno fatto avanzare una proposta attributiva intorno agli anni Cinquanta, come pure assonanze sono state riscontrate dall'Ascione con il Cristo tentato del Vaccaro, già nella chiesa della Sapienza e documentato al 1641, dal quale l'artista può aver preso ispirazione sia per l'iconografia del Redentore sia per le mani elegantemente definite che sembrano, gesticolando, di intrattenere un muto colloquio con i discepoli, alcuni dei quali somigliantissimi a quelli rappresentati nella Cena di Emmaus del museo Correale di Sorrento.
Altre evidenti somiglianze si colgono nella fisionomia dei volti, i quali, come in altre tele dell'artista sono spigolosi ed allungati, segno evidente che il Marullo si è ispirato, durante qualche viaggio a Roma, al Greco. In particolare il pescatore in alto sulla sinistra con la cesta somiglia in maniera tangibile alla serie di autoritratti che il grande artista spagnolo ha eseguito lungo tutto il corso della sua vita.
Vicina cronologicamente alla Pesca miracolosa è l'Assunta (fig. 89), già nella chiesa di San Giacomo Maggiore, precedentemente assegnata allo Stanzione dal Bonelli nella guida del tempio e spostata nel catalogo del Marullo dal Bologna. Il Causa ne ha sottolineato i rapporti di dipendenza col maestro, in alcuni dettagli, come il gruppo di angioletti nella parte inferiore della composizione, prelevato letteralmente da opere dello Stanzione, l'atteggiamento languido della Vergine ispirato alla poetica del Cavallino e le derivazioni dal Finoglia "nel bianco raso della veste, abbagliato di luce chiara, di origine
battistelliana".
Fig. 89 - 90
Forse di poco antecedente è la Sacra Famiglia (fig. 90), già sull'altare della cappella Palmieri in San Lorenzo, collocabile intorno ai primi anni Quaranta. La tela, attribuita concordemente al Marullo da tutte le fonti, presenta una serie di dettagli patognomonici dell'artista, dal gruppo di angioletti svolazzanti, impegnati in audaci contorsionismi, senza ali, che festeggiano l'arrivo della colomba simboleggiante lo Spirito Santo, al caratteristico ovale della Vergine, dal volto dolcissimo, cavalliniano, che presenta sulla guancia sinistra il classico cono d'ombra, mentre San Giuseppe, benevolo, osserva il vispo figlioletto. E' una delle opere più vicina al dettato del maestro, che da poco aveva fatti suoi il classicismo dei bolognesi ed il caravaggismo tenero della Gentileschi.
Nella chiesa vi erano inoltre, ricordate dalle fonti, altre tele ed affreschi, purtroppo non pervenutici, tra cui un grosso quadrone nel soffitto, rappresentante la Concezione.
Una potente Resurrezione (fig. 91), già assegnata ad Annella de Rosa e collocata nel catalogo del Marullo dall' Ascione, oggi in deposito, si trovava nella Congrega del Salvatore, annessa alla Cappella
Pontano.
Fig. 91 - 92
Si tratta di una composizione solenne nella quale il Cristo, librato in aria elegantemente, benedice gli astanti, fulminati dall'evento miracoloso. I volti canuti dei personaggi richiamano in maniera sorprendente le ruvide fisionomie di Nunzio Rossi, mentre i colori smaglianti la ricchezza cromatica degli stanzioneschi.
Nella chiesa di San Michele a Portalba, come tante altre da tempo vergognosamente negata alla fruizione pubblica, si trova una delle più potenti opere del Marullo: una Cacciata di Lucifero (fig. 92), firmata, di rara potenza dinamica, ricordata con parole di lode dal De Dominici, che sottolinea come la tela fosse di così alta qualità da venire scambiata anche dagli esperti come autografo stanzionesco. Essa proviene dalla Congregazione dei 72 sacerdoti, istituita nel 1615 prima presso la parrocchia di San Gennaro all'Olmo e poi in una cappella donata dal cardinale Pignatelli, sita sull'area ove sorgerà la chiesa. Il Celano riferisce che il dipinto è "l'antico che la Congregazione teneva in detta parrocchia" e quest'affermazione potrebbe indurci a dare all'opera una datazione alta, anche per la confusione attributiva con le opere del maestro, ma i caratteri stilistici propendono per un'esecuzione intorno alla metà degli anni Sessanta. Il dipinto è in linea con le posizioni accademizzanti costituitesi nella pittura napoletana all'indomani della peste intorno alla officina dell'anziano Andrea Vaccaro, che assunse un ruolo di guida per una nuova generazione di pittori e risente, come sottolineato dall'Ascione, dell'opera di Francesco Guarino dopo gli anni Cinquanta.
L'iconografia deriva in maniera evidente dalla celebre tela del Giordano conservata nella Gemaldegalerie Staatliche Museen di Berlino, datata intorno al primo quinquennio del Sessanta.
Nella stessa chiesa, in sacrestia, si trova una Sacra Famiglia con i Santi Michele ed Antonio (fig. 93), che nell'impostazione e nelle fisionomie di alcuni personaggi richiama alcune opere del Marullo, in particolare la Sant'Anna e la Vergine, già in Santa Maria la Verità. Oggi la tela è collocata entro una cornice mistilinea ed a tale scopo è stata ingrandita ai lati, originariamente era ubicata senza cornice in una delle cappelle laterali.
Il capolavoro assoluto nell'ambito delle pale d'altare è rappresentato, senza ombra di dubbio, dalla Madonna delle Grazie con le anime purganti (fig. 94), gia in Sant'Agostino alla Zecca, seconda cappella destra ed oggi in Santa Chiara, dislocata miseramente senza targhetta in un locale attiguo alle
toilettes.
Fig. 93 - 94
Un quadro di grandi dimensioni, di recente restaurato e restituito all'antico splendore. Il Celano lo segnalava "proveniente dalla cappella dedicata alla Sacra Famiglia comunemente detta del Purgatorio, perchè nella tela sono espressi in diversi atteggiamenti gli Angeli liberatori di anime purganti, ardito lavoro del Marulli". Ed ardite infatti sono alcune rappresentazioni, come ad esempio, in secondo piano sul lato sinistro, un groviglio inestricabile di anime purganti, attorcigliate in pose disperate che richiamano le vertigini fantastiche di Bosch, mentre nella parte centrale della composizione un gruppo di angeli premurosi soccorre un gruppo di penitenti (fig. 95). Una classica iconografia controriformistica che a Napoli ebbe infinite repliche, perchè il soggetto della rappresentazione rispecchia l'animo e le credenze dei napoletani, una popolazione culturalmente pre-cristiana, nella quale il culto delle anime trapassate è stato sempre molto sentito e praticato.
Il lavoro è una silloge dello stile dell'artista, dal delicato volto ovale della Vergine, con il caratteristico cono d'ombra, ai poderosi angeli svolazzanti, agli altri componenti della Sacra Famiglia, che sembrano prelevati dai quadri più famosi del Marullo.
La modella preferita del pittore, che lo seguirà nei dipinti più famosi, eseguiti in anni lontani, viene adoperata non solo per fornire le sembianze alla Vergine, ma anche per dare volto ad una delle anime purganti, una sorprendente dicotomia che lascia stupefatti. Ed a proposito di questa modella si deve escludere che possa trattarsi, come è avvenuto per altri celebri artisti, tra cui il Giordano, della moglie, la giovane nipote diciannovenne che l'artista sposa, secondo il racconto del De Dominici intorno al 1665. Nozze delle quali, come già ricordato, ho però invano cercato nell'Archivio diocesano di Napoli il processetto matrimoniale.
Fig. 95 - 96
Una Madonna col Bambino e Sant'Anna (fig. 96) in collezione Ruggi D'Aragona, di altissima qualità, presentato di recente a Salerno alla mostra della collezione Ruffo, richiama in maniera speculare la Sacra famiglia dei santi Severino e Sossio, nell'atteggiamento delle figure e nell'atmosfera di calda intimità che pervade la scena. Il Bambinello, dalla caratteristica fila tra i capelli, sembra voler accarezzare la Sant'Anna e porge due dita benedicenti come nel quadro più famoso. La gamma cromatica è particolarmente curata con colori vivaci, che inducono ad una datazione nei pieni anni Quaranta, dopo la svolta pittoricistica che rivoluzionò la pittura napoletana a partire dal 1635.
Una Carità (fig. 97), dalla travagliata storia attributiva, costituisce uno dei quadri più belli del Marullo ed è stata assegnata
all'atellano solo dopo la scoperta della sua sigla "GM", che era stata coperta per poter far passare la tela come esito di un artista più quotato; un escamotage molto adoperato nel sottobosco
antiquariale. Essa era stata battuta in precedenza in asta da Christie's a Roma nel 1998 con una più che plausibile attribuzione a Pacecco De Rosa.
Fig. 97
Il restauro ha evidenziato inoltre, in basso sulla destra, un importante riferimento araldico alla famiglia Ruffo di
Bagnara, antica proprietaria del dipinto. La tavolozza si ispira alle preziosità cromatiche dei fiamminghi, dal rosso cenere del manto, sotto il quale trapela una sottile trama damascata, all'incarnato cianotico dei bambinelli dai capelli biondastri, che cercano con ansia il prosperoso seno. Lo scorcio paesaggistico sulla sinistra è volutamente al tramonto, per meglio far risaltare la solenne puerpera, allegoria della Carità, dall'impianto compositivo monumentale. La figura femminile, come ha giustamente sottolineato il
Pacelli, si ispira alla lezione della Gentileschi, promotrice, a partire dagli anni Trenta, di una gioiosa rivoluzione cromatica nella cultura figurativa napoletana.
Il dipinto va collocato cronologicamente ai decenni tra il Quaranta ed il Cinquanta, quando la pittura del
Marullo, pur nell'ambito dello stanzionismo, si sposta, come riferisce anche il De
Dominici, sulle coordinate pacecchiane. Sono gli anni d'oro del Nostro, il quale si trova più di una volta a lavorare gomito a gomito con il De Rosa. Infatti il celebre biografo ci riferisce che, durante una collaborazione tra i due artisti, nella chiesa della Concezione degli Spagnoli, Marullo avrebbe affermato, a proposito dell'esecuzione del "San Giacomo che fuga i Mori", che il De Rosa non era in grado di sostenere l'impegno, "che non era per lui il dipingere furie di combattenti e di cavalli e che lo lasciasse fare a sé che gli bastava l'animo d'uscirne con onore". Giudice della tenzone fu il famoso "oracolo delle battaglie" Aniello Falcone.
Il San Pietro liberato dal carcere (fig. 98) della collezione Manuel Gonzales di Madrid è una delle opere del Marullo da tempo emigrate all'estero, come tanti capolavori del nostro secolo d'oro volati via da Napoli e dall'Italia come al soffio di una incontenibile tempesta.
La narrazione è costruita con un taglio prospettico ravvicinato, una soluzione raramente adottata dal pittore, che dà all'osservatore l'illusione di partecipare alla scena. L'angelo, di stupefacente bellezza, ricalca i colleghi già conosciuti nelle tele del Gesù Vecchio, come identica è la struttura delle ali. Anche la figura del San Pietro richiama quelle di altri santi od apostoli già incontrati nelle tele dell'artista, mentre il guardiano dorme indifferente il sonno dell'ingiusto..., creando un momento di pausa nel convulso dinamismo della composizione.
Fig. 98 - 99
Sempre in collezione privata straniera un altro dipinto del Marullo, un Cristo e la Samaritana (fig. 99), si trova da anni a Monaco, lontano non solo dagli occhi del pubblico, ma anche degli studiosi. La tela come tante altre del Nostro, è caratterizzata da una loquace gestualità tra i protagonisti che si parlano senza parole e da una tavolozza cromatica accurata e vivace.
La Fuga in Egitto (fig. 5) è il dipinto che ha frantumato ogni record di aggiudicazione per un dipinto di Marullo all'asta di
Sotheby's a Londra nel 2003 e di esso abbiamo già accennato. Era presentato come
Stanzione, ma in sala tutti sapevano che si trattava di un quadro dell'atellano di altissima qualità ed in seguito la critica è stata concorde nell'attribuzione. Le figure della Madonna e del San Giuseppe alle sue spalle sono tipiche dell'artista, un poco meno l'angelo a destra della composizione, sensibilmente più poderoso dei colleghi che incontreremo in dipinti degli anni Sessanta.
Il volto della Madonna presenta la caratteristica forma ovoidale e l'ancor più caratteristico cono d'ombra sulla guancia sinistra, mentre il San Giuseppe prefigura nella fisionomia santi ed apostoli che saranno realizzati dall'artista negli anni successivi.
La collocazione della tela per l'influsso del maestro e per la consumata abilità della tavolozza va collocato nel periodo d'oro del
Marullo, intorno al IV-V decennio del secolo.Lo Sposalizio mistico di Santa Caterina (fig. 100), presente sul mercato
antiquariale, è talmente intriso della lezione stanzionesca ed è di qualità così elevata da indurre un osservatore poco attento ad attribuirlo al pennello del maestro, viceversa è uno dei più alti raggiungimenti del nostro artista. Un attento esame di alcuni dettagli fa propendere senza ombra di dubbio verso il
Marullo, dal volto dolcissimo della Madonna, che segue gli stereotipi patognomonici dell'artista: ovale e cono d'ombra, al Bambinello dai capelli biondo rossastri con la caratteristica fila, che penetra vistosamente tra i capelli, mentre Santa Caterina pazientemente offre il dito al simbolico anello.
I colori squillanti derivano, oltre che da Stanzione, dalla lezione cromatica della Gentileschi e questi elementi collocano la datazione del dipinto all'inizio degli anni Quaranta.
Fig. 100
Non possiamo concludere una trattazione del periodo d'oro del Marullo senza ricordare ed includervi lo spettacolare San Giovanni Battista, già descritto tra i lavori firmati e datati, tra gli esiti più alti
dell'atellano, a dimostrazione di un lungo e fecondo periodo di attività a livello molto alto, dal 1635 almeno fino al 1660.
Un periodo di smarrimento stilistico, riferito con enfasi dal De
Dominici, sicuramente vi è stato e lo abbiamo descritto, ma abbiamo anche visto, negli ultimi anni di attività opere di ottima fattura come l'Incontro di Rachele e Giacobbe (fig. 43) della collezione Garzilli e la Madonna del latte (fig. 44) del Ritiro
Mondragone, secondo le fonti ultima opera dell'artista.
Nel 1685, secondo il racconto dell'illustre biografo settecentesco, il Marullo chiude la sua avventura terrena, "povero e senza amici", ma certo di aver ben operato in oltre cinquant'anni di indefessa e più che onorevole attività.
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