Cap.21
Mostra di Artemisia Gentileschi a Pisa
In esame il periodo napoletano
“Artemisia, la musa Clio e gli anni napoletani” è il titolo della
mostra, curata da Roberto Contini e Francesco Solinas, che si potrà
ammirare a Pisa, Palazzo Blu, fino al 30 giugno.
I napoletani dovranno recarsi al nord per vedere un’esposizione
dedicata ad una pittrice (Fig.01), che, salvo brevi intervalli,
trascorse oltre trenta anni, dal 1627 fino alla morte, all’ombra del
Vesuvio, il periodo della maturità, fatto di scambi reciproci con i
tanti colleghi che lavoravano in città.
Il capolavoro in mostra, normalmente nelle raccolte di Palazzo Blu,
è la spettacolare Clio (Fig.02), firmata e datata 1632, appartenente
alla sua prima fase di soggiorno a Napoli.
Tutti conoscono il suo drammatico esordio nel processo intentato da
suo padre contro Agostino Tassi, accusato di averla stuprata.
Pochi sanno che, iscurendo la tavolozza, Artemisia espresse il
meglio di sé proprio nella capitale vicereale (Fig.03) e gli undici
quadri esposti ce ne forniscono una visuale alquanto parziale. Solo
due rappresentano delle novità, mentre altri tre sono poco noti in
Italia.
I curatori del catalogo ci forniscono un’immagine nella quale la
Gentileschi rappresenta il fulcro attorno al quale si sono adeguati
i suoi colleghi, come se il suo pennello, prestigioso come un
richiamo, avesse determinato il corso dell’intera Koiné napoletana.
Un’asserzione che non ci trova concordi, alla luce degli ultimi
studi, che ci hanno permesso di accrescere le nostre conoscenze
sulla sua figura di artista e di donna. Ella fu molto amata dai
pittori napoletani, ma gli scambi avvennero su un piano di perfetta
parità (Fig.04-05-06).
Fino a poco fa la sua prima opera era considerata
L’Annunciazione(Fig.07), conservata a Capodimonte, firmata e datata
1630. I suoi più importanti lavori sono: Le cinque tele con storie
di Giovanni Battista, realizzate tra il 1633 ed il 1634, per il
Cason Del Buen Retiro a Madrid, commissione alla quale collaborano
Stanzione e Finoglia ed i grossi dipinti per il coro della
cattedrale di Pozzuoli, dove Artemisia lavora assieme a Stanzione,
Lanfranco, Beltrano, Finoglia ed i fratelli Fracanzano. Tale opera
costituisce una vera antologia delle tendenze artistiche a Napoli
nel quarto decennio del Seicento. A lei spettano: I Santi Procolo e
Nicea, San Gennaro nell’anfiteatro e L’Adorazione dei Magi.
Ritornando alla mostra ci sono due chicche che da sole meritano la
visita: Un Sinite Parvulos, a lungo nei depositi del Metropolitan ed
oggi presso La Congregazione della chiesa romana di San Carlo al
Corso, donata da un anonimo collezionista, da collocare ai
primissimi anni napoletani, intorno al 1627. L’altra importante
novità, che si aggiunge prepotentemente al catalogo dell’artista è
un David con la testa di Golia (Fig.08), oggi in una raccolta
privata e descritta nello studio della pittrice nel 1631 da Joachim
von Sandrat. Raffigura un giovane sfrontato che fissa con arroganza
lo spettatore, mentre con una gamba accavallata, poggia il braccio
destro sulla testa tagliata al gigante Golia, dopo averlo tramortito
con un sasso fiondato al centro della fronte.
Un mix prodigioso di naturalismo caravaggesco e di potenza cromatica
di matrice prettamente partenopea.
Una esposizione che farà da stimolo per gli studiosi ad approfondire
non solo Artemisia, ma anche quel crogiuolo di artisti che fecero
del Seicento il secolo d’oro della pittura napoletana.
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