Cap.1
Tre dipinti inediti del Seicento napoletano
Aggiunte al catalogo di De Simone, Pacecco e Artemisia
A Napoli nel XVII secolo l’affollato panorama dei pittori così detti
minori, al confronto di giganti del calibro di Ribera, Giordano,
Preti e Solimena e l’inveterata consuetudine di copiarsi l’un
l’altro, ha creato una situazione di incertezza nelle attribuzioni,
e solo pochi occhi esperti sono in grado di discernere i diversi
pennelli.
Il primo dipinto che cade sotto la nostra attenzione (fig.1)
richiama a viva voce la paternità di Niccolò De Simone, il “geniale
eclettico”, come amava definirlo il compianto Raffaello Causa,
nativo di Liegi, ma napoletano a tutti gli effetti. Il quale,
presenta caratteri distintivi oramai ben noti alla critica più
avvertita come: anatomie sommarie, tipica concitazione delle scene,
caratteristico volto delle donne (tutte mediterranee dai pungenti
occhi scuri), assenza di profondità spaziale con bruschi passaggi di
scala, folle in preda a un’intensa agitazione, cieli tempestosi e
baluginanti, ripetitività nella costruzione generale della scena,
resa cromatica dall’uso di colori stridenti ed incarnati rossicci.
fig.01-Scena di duello
La tela in esame presenta sul retro una dedica “Vincenzo Galiero a
ricordo di sua signoria illustrissimo reverendo Padre Michele M. da
un indegno ma penitente peccatore ostinato.” Una traccia che potrà
essere utile per identificare il luogo della committenza, che
riteniamo possa essere la Calabria.
Il quadro, nelle dimensioni, nella costruzione della scena e nella
rutilante gamma cromatica, rivela stringenti affinità con una
spettacolare Strage degli Innocenti dell’antiquario Parenza di Roma,
da noi accuratamente descritta in un precedente contributo; come pur
l’anziano col turbante e la folta barba (fig.2) è lo stesso
personaggio che compare, con identica gestualità delle mani, alle
spalle di Aronne mentre trasforma l’acqua del Nilo in sangue, il
telone, pendant del Mosè che fa scaturire l’acqua dalla roccia,
conservato nella chiesa dei SS. Severino e Sossio a Napoli.
Più complessa ed impegnativa la seconda attribuzione: quella del San
Rocco (fig.3), se non fosse per la presenza del cane (fig.4) con in
bocca la pagnotta, il quale si tradisce per essere il quadrupede
personale di Pacecco, che compare in molti suoi quadri, anche i più
famosi, e grazie al “mio fiuto” che ha scoperto questo debole del
pittore segnalandolo nella mia biografia sull’artista, così che
altri brillanti studiosi hanno potuto stilare preziosi expertise.
A prima vista, l’aspetto trasandato dei capelli ed il volto
apparentemente truce del Santo, potevano indurre a proporre come
autore il nome di Francesco Fracanzano, ma l’esame attento
dell’incarnato madreperlaceo e la stessa analisi del volto, da cui
suda una pace interiore ai limiti dell’estasi, non lascia dubbi,
sulla paternità dell’opera.
Pacecco amava dipingere delicate fanciulle dai corpi eterie e dalle
forme aggraziate ed accattivanti, con eleganti pettinature di una
modernità sconcertante, come se fossero state realizzate da un abile
coiffeur contemporaneo, ma se andiamo a confrontare il San Paolo con
le rare figure maschili del suo catalogo, non possiamo non cogliere
le stringenti affinità, particolarmente la cura e la dolcezza con
cui sono definite le mani di un biancore luminescente, cadono gli
ultimi dubbi.
fig.02-Particolare del vecchio con turbante
fig.03-San Rocco
fig.04-Particolare del cane
E concludiamo con un capolavoro di Artemisia Gentileschi, un Davide
e Golia (fig.5), che tempo fa identificammo in una raccolta privata
e del quale conoscevamo l’esistenza, perché descritta nello studio
della pittrice nel 1631 da Joachim Von Sandrat.
Oggi finalmente possiamo ammirare l’opera esposta nella mostra
sull’artista a Pisa nella magnifica sede di Palazzo Blu.
Lo studio attento del dipinto è un’ulteriore dimostrazione di ciò
che abbiamo riferito nell’incipit del nostro articolo: la tendenza
dei pittori napoletani ad influenzarsi reciprocamente, che assume
particolare pregnanza nel caso di Artemisia, con una parte della
critica, inclusi i curatori della mostra pisana, i quali forniscono
un’immagine nella quale la Gentileschi rappresenta il fulcro attorno
al quale al quale si sono adeguati i suoi colleghi, come se il suo
pennello prestigioso come un ricamo, avesse determinato il corso
dell’intera koinè napoletana.
Un’opinione che non ci trova concordi, alla luce degli ultimi studi
che ci hanno permesso di accrescere le nostre conoscenze sulla
figura di artista e di donna. Ella fu molto amata dai pittori
napoletani, ma gli scambi avvennero su un piano di perfetta parità.
Il dipinto raffigura un giovane sfrontato che fissa con arroganza lo
spettatore, mentre con una gamba accavallata, poggia il braccio
destro sulla testa tagliata del gigante Golia, dopo averlo
tramortito con un sasso fiondato al centro della fronte.
Un mix prodigioso di naturalismo caravaggesco e di potenza cromatica
di matrice prettamente partenopea.
Una esposizione che farà da stimolo per gli studiosi ad approfondire
non solo Artemisia, ma anche quel crogiuolo di artisti che fecero
del Seicento il secolo d’oro della pittura napoletana.
fig.05-Davide e Golia
Bibliografia
-
della Ragione A. – Il secolo d’oro della pittura
napoletana (10 volumi), Napoli 1998-2001
-
della Ragione A. – Pacecco De Rosa opera
completa, Napoli 2005
-
della Ragione A. – Precisazioni ed inediti di
Niccolò De Simone, Napoli 2009
-
della Ragione A. – Niccolò De Simone un geniale
eclettico, Napoli 2010
-
della Ragione A. – La pittura napoletana de
Seicento (repertorio fotografico a colori) tomi I-II, Napoli
2011
-
della Ragione A. – Mostra di Artemisia
Gentileschi a Pisa, Scena Illustrata 2013
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