Cap.2
Raimondo De Dominici padre del celebre
Bernardo
Un pittore dimenticato nella folla dei minori
Il Seicento napoletano è dominato da giganti del calibro di
Caravaggio, Cavallino, Stanzione, Ribera, Giordano, Preti, Solimena
e da una folla di comprimari, che chiamare minori è certamente
riduttivo, quando pensiamo a Micco Spadaro, oppure a Pacecco De
Rosa, Giuseppe Marullo, Agostino Beltrano, Aniello Falcone, Andrea
De Lione, Carlo Coppola, Niccolò De Simone, Giacomo Farelli, Giacomo
Del Po, per la cui conoscenza rinvio alle mie monografie, mentre per
un quadro complessivo dell’epoca al mio “Secolo d’oro della Pittura
Napoletana” in dieci tomi ed ai due repertori fotografici a colori
in due volumi. (Tutte opere integralmente consultabili sul mio
sito).
Raimondo De Dominici è padre del famoso biografo Bernardo, al quale
siamo debitori per almeno la metà di quello che conosciamo su quella
straordinaria avventura figurativa, che fece di Napoli una capitale
indiscussa dell’arte.
Come pittore di Raimondo conoscevamo il suo alunnato prima a Malta
col Preti e poi, ritornato in patria col Giordano ed una sola opera
certa e documentata al 1682 “La visione di San Giovanni della
Croce”, sita nella cappella Ciccarelli della chiesa napoletana di S.
Teresa degli Studi (figg. 1-2).
fig.01-La visione di San Giovanni della Croce
fig.02-La visione di San Giovanni della Croce (particolare)
Dobbiamo a Salvatore Costanzo il merito di aver allargato il
panorama sulla sua produzione, reperendo nuovi dipinti e documenti,
che ci restituiscono una personalità abile non solo nella pittura,
ma anche nell’affresco e nell’allestimento di gigantesche macchine
sacre per le principali chiese della città, come San Domenico
Maggiore ed il Gesù Nuovo ed in occasione della festa delle
“Quaranta Ore”.
Ritornando alla “Visione di San Giovanni della Croce”, dobbiamo
sottolineare che nell’opera, superata l’influenza dei modi pretiani,
subentra prepotentemente una visione più attenta al cromatismo con
l’utilizzo di toni morbidi e caldi, che protrudono dalla penombra,
la quale domina la parte alta del cielo, mentre tutta la
composizione è permeata da una grande partecipazione emotiva.
La pala viene ricordata dal figlio Bernardo nelle sue Vite, dal
Catalani nel suo saggio sulle Chiese Napoletane ed infine dal
Galante nella sua monumentale Napoli Sacra (1872), rivisitata nel
1985 da Spinosa coadiuvato dalla sua valida “équipe” della
Sovrintendenza partenopea.
Tra le opere eseguite in provincia vanno segnalati due importanti
lavori compiuti a Marcianise.
Il primo è un imponente dipinto per il soffitto cassettonato del
Duomo “San Michele Arcangelo che scaccia Lucifero dal Paradiso”
(figg. 3-4), nel quale, oltre a chiari influssi di matrice pretiana,
si riscontra anche un’inclinazione verso i modi del Beinaschi. Per
la datazione il Costanzo propone gli anni tra il 1678 e il 1687.
fig.03-San Michele Arcangelo che scaccia Lucifero dal Paradiso
fig.04-San Michele Arcangelo che scaccia Lucifero dal Paradiso
La scena è imperniata sulla figura dell’Arcangelo, il quale, con la
spada sguainata sta per infliggere un poderoso fendente a Lucifero,
che si agita disperato tra le fiamme, in compagnia degli angeli
sconfitti, mentre dall’alto il Padre Eterno sembra approvare
l’accanimento in linea col racconto dell’Apocalisse.
Il secondo dipinto presente a Marcianise nella chiesa di San Carlo
(figg. 5-6) raffigura San Carlo mentre comunica gli appestati, una
tematica di grande successo dopo la terribile epidemia dal 1656, che
in pochi mesi distrusse la popolazione napoletana di un terzo, oltre
a cancellare una intera generazione di pittori.
La tela è firmata “Raindomaltese” ed è ricordata nell’inventario sia
della chiesa che in quello storico diocesano di Capua. Non è
indicata la data, che va collocata tra il dipinto del cassettonato
del Duomo e prima della pala sita in S. Teresa degli Studi.
fig.05-San Carlo mentre comunica gli appestati
fig.06-San Carlo mentre comunica gli appestati (particolare)
Il clima è intriso di drammaticità, con ombre cupe e livide, luci
radenti, mentre il santo, imperturbabile, distribuisce l’ostia ai
moribondi. Sulla parte inferiore compare un’iconografia (fig. 7)
derivata dal Poussin e ripetuta all’infinito dagli artisti
napoletani dal Giordano al Preti, dallo Spadaro al Del Po: un
pargoletto rimasto orfano, che sugge il latte da una puerpera
moribonda.
Un attento esame del dipinto ci permette di assegnare a Raimondo la
tela (fig. 8) della Pinacoteca Provinciale di Salerno attribuita ad
ignoto meridionale.
Nel 1692 Giordano si reca in Spagna e Raimondo dopo tre anni a Malta
(1698-1701) lavora per le case gesuitiche di Siracusa e Catania.
fig.07-San Carlo mentre comunica gli appestati (particolare)
fig.08-San Carlo mentre comunica gli appestati
Gli ultimi anni di attività sono difficili da ricostruire anche se
Costanzo ha reperito documenti per dipinti dispersi o da
rintracciare.
Concludiamo con un accenno a due suoi allievi: Michele Pagano e
Filippo Ceppaluni. Il primo deriva da Raimondo “Il gusto plastico,
la ricerca dell’equilibrio compositivo e la sensibilità spaziale”.
Riguardo al Ceppaluni, del quale solo di recente è stato oggetto di
attenzione da parte della critica, pesa molto anche l’influenza del
Giordano.
Tra le sue tele più note quelle eseguite (figg. 9-10) per la chiesa
di San Francesco d’Assisi a Forio d’Ischia, per la cui disanima
rinviamo alle pagine del nostro libro “Ischia Sacra Guida alle
Chiese”.
fig.09-Natività
fig.10-Sant'Antonio di Padova predica ai pesci
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