Cap.14
I quadri napoletani della collezione di
Maurizio Marini
Il personaggio di cui voglio parlarvi è un vero principe della
cultura, esperto di storia dell’arte e tra i massimi specialisti del
pittore oggi alla moda, l’unico in grado anche con un solo suo
dipinto in mostra di attirare fiumi di visitatori, desiderosi di
sostare davanti ad un suo quadro e poter poi raccontare: era un vero
capolavoro.
L’incontro era fissato per il pomeriggio, grazie ai buoni uffici di
Pietro, un professore mio amico, che si era offerto di presentarci.
Il principe abita in una stradina della vecchia Roma, un palazzo
apparentemente modesto. Saliamo al quarto piano con l’ascensore e
quando entriamo veniamo accolti da una marea debordante di libri
d’arte, che occupano ogni angolo della casa, straripando dagli
scaffali ed impossessandosi di ogni spazio disponibile, al punto che
muoversi è una vera impresa, anche perché l’abitazione è posta su
due livelli con lunghi corridoi e temerarie scalinate, che si
affrontano con timore reverenziale, a stento rincuorati sapendo che
di recente sono state scalate con successo anche dal centenario
Denis Mahon, una leggenda della storia dell’arte. Alcune stanze si
aprono su piccoli e grandi terrazzi e su uno di questi ci
accomodiamo per trascorrere alcune ore di colta conversazione (fig.
1), pasteggiando una bottiglia di prosecco di Valdobiadene veramente
squisita, intitolata dalla ditta produttrice al nome del grande
pittore e regalata in cospicue quantità all’esimio studioso per
onorare uno dei massimi conoscitori dell’artista.Avevo portato con
me il Secolo d’oro della pittura napoletana, una mia fatica in dieci
tomi per farne dono al padrone di casa, speranzoso fosse un adeguato
biglietto di presentazione.
fig.01-Casa Marini a Roma- Il principe con l'autore
Passiamo oltre un’ora in un entusiasmante giochetto culturale,
cercando di indovinare il nome degli autori rappresentati nella
prima e quarta di copertina dei vari fascicoli.
Pietro partecipa fuori gara, conoscendo già da tempo l’opera, mentre
l’anfitrione e la sua giovane e colta compagna Ferdinanda (nome di
fantasia) alternano nomi precisi a vistose cantonate.
Il tempo vola letteralmente nella conversazione, tra progetti di
visite a mostre, collezioni private ed importanti rassegne
antiquariali prossime ad inaugurarsi.
La casa, oltre a possedere 40 - 50.000 libri, è ricca di un
centinaio tra dipinti e disegni, la quasi totalità inedita e tutti
di grandissimo interesse e di straordinario valore venale.
Naturalmente è d’obbligo una visita guidata dall’esimio
proprietario, il quale di ogni opera conosce vita, morte e miracoli.
Per assoluta mancanza di spazio solo metà dei quadri è affissa alle
pareti, mentre molte decine, anche se di autori degni di figurare in
un museo, sono malinconicamente accatastati in attesa di una
superficie libera.
Gli autori rappresentati coprono tutta la pittura europea del ‘600 e
del ‘700 e descriverli sarebbe impresa improba, per cui mi limiterò
a commentare i quadri napoletani, ricordando che sono tutti inediti.
Parto da uno spettacolare San Sebastiano curato dalle pie donne
(fig. 2) del Ribera, di grosse dimensioni e di altissima qualità,
del quale ricordo, nei depositi di Capodimonte, una rovinata copia
attribuita al Giordano nel regesto uscito di recente e che, secondo
il professore proviene dalla collezione Ruffo della Scaletta, dopo
essere stato proprietà del celebre mercante fiammingo Gaspare Roomer.
A parere di Spinosa il prototipo del dipinto si trova a Valencia nel
museo Pio V e se ne conoscono alcune repliche autografe e copie
antiche, sulle quali il giudizio è problematico per lo stato di
conservazione. Esse sono conservate nella pinacoteca di San Marino,
nel museo des Bellas Artes de La habana, nella collezione Cortes a
Madrid e nella raccolta Sindik a Boden in Svezia, mentre un disegno
preparatorio è nella sezione di grafica delle Gallerie
dell’Accademia di Venezia.
fig.02-Ribera-San Sebastiano curato dalle pie donne
Vi è poi una replica autografa di Luca Giordano, della Maddalena
penitente (fig. 3) conservata al Prado, che i curiosi potranno
vedere da me pubblicata sul Secolo d’oro (vol. 5, pag. 304). La tela
madrilena è stata a lungo attribuita al Veronese, per poi passare a
Murillo ed a Ribera e solo negli anni Cinquanta del Novecento, prima
il Milicua, uno dei più valenti napoletanisti iberici e poi il
Bologna la hanno ricondotta nel catalogo del Giordano, un percorso
che oggi sembra inutilmente tortuoso, perché la Maddalena, per lo
splendore della gamma cromatica, richiama a viva voce il nome
dell’autore. Il quadro va collocato intorno al 1666, un periodo
successivo di almeno un decennio rispetto all’Assunzione della
Maddalena della Hispanic Society of America di New York, in cui
appare la stessa modella, la quale fa la sua comparsa anche in una
spettacolare tela inedita in collezione D’Antonio a Napoli.
Dell’iconografia si conoscono altre copie autografe tra cui una
delle più belle, nella collezione Martiuss a Bonn è andata distrutta
durante l’ultima guerra, mentre una di bottega viene citata da
Spinosa sul mercato antiquariale romano alcuni anni fa.
fig.03-Giordano-Maddalena penitente
Di autori considerati napoletani d’adozione: Mattia Preti ed
Artemisia Gentileschi vi sono poi due straordinarie composizioni:
una Lucrezia (fig. 4) dal seno offerto generosamente ed una
muscolare Aurora (fig. 5), che fu esposta alla mostra di Roma, ma
che appartiene al periodo del soggiorno romano dell’artista.
Il primo dipinto presenta alcune discrepanze, infatti a fronte di un
volto orribile e di un seno accattivante, vi è una piega della
camicia straordinaria da fugare qualche dubbio sull’autografia
(pensavo a Niccolò De Simone) per via del colore rossiccio.
Il secondo, ha permesso la corretta identificazione del soggetto
grazie al restauro che ha svelato tra le mani del putto svolazzante
una torcia che segnala la nascita di un nuovo giorno.
fig.04-Preti-Lucrezia
fig.05-Gentileschi-Aurora
Di Salvator Rosa vi è uno interessante disegno, visibile in una
stanzetta che funge da esposizione del settore grafica e dove vi
sono una ventina di fogli.
Un bozzetto raffigurante l’Addolorata (fig. 6), ritenuto dal padrone
di casa del Solimena intorno al terzo decennio, è viceversa opera
certa di Lorenzo De Caro e ne esistono numerose repliche autografe
con varianti, in particolare quella del museo dell’Opera del Suor
Orsola Benincasa è sovrapponibile a quella della collezione in esame
(vedi il mio volume sui Pittori napoletani del Settecento,
consultabile in rete, fig. 30, tav. 58 – 59 – 60).
fig.06-De Caro L.-Addolorata
Il Luca Forte, pubblicato come tale in un catalogo antiquariale e
raffigurante dei funghi (fig. 7) posti su di un piano dì appoggio,
mi ha lasciato perplesso per l’attribuzione, perché non ho percepito
avvicinandomi alla tela quell’afrore napoletano, che colgo quasi
sempre, una sorta di sindrome di Stendhal, ogni qual volta mi
soffermo ad ammirare un quadro realizzato all’ombra del Vesuvio.
Ritengo, anche per il soggetto, trattarsi di pittura settentrionale,
forse lombarda, al massimo, come latitudine, fiorentina.
fig.07-Ignoto generista settentrionale-Natura morta di funghi
Tra i quadri in attesa di uno spazio espositivo vi è poi un San
Gennaro (fig. 8) giudicato da Michael Stougthon come Battistello
Caracciolo dopo l’uscita dell’opera omnia a cura di Stefano Causa.
Una tela a carattere devozionale che non suscita particolari
emozioni e che mi lascia qualche ragionevole dubbio sull’autografia,
nonostante, per le misure, potrebbe trattarsi del San Gennaro di
cinque palmi di proprietà di Gaspare San Giovanni Toffetti citato in
un inventario reperito dal Labrot e ripreso da Causa nella
monografia sul Caracciolo (pag. 348 – P72) e da Leone de Castris nel
catalogo della mostra su San Gennaro tenutasi a Napoli nel 1997 – 98
(pag. 88 – nota 46).
fig.08-Caracciolo (attribuito)-San Gennaro
Infine vi sono poi due eccezionali Stanzione, il primo una fanciulla
dal seno prorompente (fig. 9), parzialmente coperto da un manto
trasparente che esalta maggiormente la nudità e che si offre
candidamente allo sguardo libidinoso dell’osservatore. Un primo
piano da perdere la testa, al quale non avrei saputo rinunciare se
lo avessi conosciuto prima di scrivere il mio saggio sul Seno
nell’arte dall’antichità ai nostri giorni.
fig.09-Stanzione- Fanciulla discinta (Allegoria della
seduzione)
L’altro Stanzione è un piccolo bozzetto (fig. 10), anche se sono
rimasto sbalordito sentendo il mio ospite affermare trattarsi del
pro memoria, più che del modello preparatorio di un’opera perduta,
che si trovava a Roma nella chiesa di San Lorenzo in Lucina.
fig.10-Stanzione (attribuito)-Sant'Antonio e il Bambino
La visita guidata si completa arrivando nella stanza del principe,
piccola, con un letto matrimoniale e tanti quadri esposti, i più
cari, e tra questi mi soffermerò su un originalissimo Poussin (fig.
11) di argomento mitologico, che propone in primo piano una
invitante fanciulla nuda con le cosce divaricate, che fanno
chiaramente vedere quella che poeticamente Courbet denominava
l’origine del mondo.
fig.11-Poussin (attribuito)-Donna dormiente
Il quadro quando venne comprato, negli anni Cinquanta, proveniva da
un monastero laziale ed una mano pietosa, aveva ricoperto in tempi
remoti le sfacciate fattezze della giovinetta, trasformandola in una
martire addormentata, per non turbare i pensieri casti delle
monachelle, costringendole a riparatrici contrizioni. Un accorto
restauro aveva poi svelato lo spirito primitivo della composizione,
un inno pagano che esaltava la bellezza del corpo femminile.
Un ottagono raffigurante Santa Dorotea (fig. 12) non regge certo
l’attribuzione a Cavallino e rimane tristemente nel limbo degli
ignoti per il tratto ruvido che non riesce a far sorridere la casta
fanciulla.
fig.12-Ignoto napoletano-Santa Dorotea
Una piccola natura morta, che ho saputo poi presenta sul retro una
firma strepitosa, attirò la mia curiosità, ma alla mia richiesta su
chi fosse l’autore, ho ricevuto una diplomatica quanto laconica
risposta:”Non lo so”.
Il soggetto rappresentato sono dei fiori variopinti in una boccia di
cristallo, la quale è realizzata in maniera mirabile con una
lucentezza ed una trasparenza che tradiscono una mano famosa. Ho
pensato al Maestro di Hartford, una figura prestigiosa, attiva a
Roma, a cavallo tra XVI e XVII secolo ed ancora non ben delineata
dalla critica. La parte superiore con dei fiori spampanati ed alieni
alla nostra flora mi hanno fatto invece pensare ad un francese, ma
lo stridente contrasto di qualità tra contenitore e contenuto,
continuano a lasciarmi perplesso.
L’ultimo dipinto è religiosamente preservato da una tendina, come
una reliquia, come un’immagine sacra davanti alla quale pregare o
sostare in meditazione.
La sorpresa lascia stupefatti quando si può finalmente ammirare
l’oggetto così accuratamente conservato.
Si tratta di un Caravaggio, il celebre Fanciullo che monda un frutto
(fig. 14), uno dei pochissimi esemplari fuori dai musei. Se la
memoria non mi tradisce ve ne è soltanto un altro, di non certa
attribuzione, nella collezione di una stramiliardaria americana,
mentre il nostro è confessato e comunicato, ultra documentato ed
ineccepibile. E parlando di vile denaro, il principe, bisogna oramai
che lo chiami così, mi ha confessato di aver rifiutato per il suo
quadro, anni fa, un’offerta di decine di miliardi.
E sono certo abbia fatto la scelta migliore, perché, anche potendosi
coricare con Ferdinanda, una ragazza più giovane di trenta anni,
addormentarsi guardando un Caravaggio è un privilegio unico,
indimenticabile, inestimabile.
fig.14-Caravaggio- Fanciullo che sbuccia un frutto
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