Cap.36
La bad girl dell’arte
Betty Bee
Betty Bee, al secolo Elisabetta Leonetti, può essere considerata,
tra le signore dell’arte, una provocatrice, una bad girl, ironica,
bella e dannata.
Pittrice e scultrice, ma in grado di esprimersi anche con video e
foto, considera l’arte una forma di terapia.
Si è avvicinata alla ricerca espressiva per dare corpo ed anima a
fantasie e desideri repressi, sempre nel segno dell’esibizionismo,
per dimenticare un’infanzia infelice.
Un incontro fondamentale fu per lei quello con Luca Castellano che,
facendo capolino tra le riunioni del gruppo degli Sfrattati, la
conobbe, vide alcuni suoi lavori e le propose di partecipare ad una
mostra dal titolo “La città del monte”, che stava organizzando.
Era il 1991 e la nostra Betty era presa dall’esigenze del quotidiano
per far quadrare pranzo e cena per lei e le sue figlie.
Gelosa dei suoi primi lavori, se qualcuno chiedeva di poterli
vedere, provava imbarazzo come se dovesse mettere a nudo la sua
anima.
Decise di partecipare alla mostra cui era stata invitata presentando
la foto del seno procace di un’amica, sul quale aveva dipinto il
Vesuvio, simbolo della città di Napoli.
L’idea colpì i galleristi Raucci e Santamaria con i quali ha
collaborato per dieci anni. Il suo nome non era ancora quello di
Betty Bee: lo pseudonimo glielo consigliò, nel 1993, Angelo
Calabrese che, vedendo i suoi lavori e, soprattutto, come
organizzava la vita con le sue figlie, le confidò che l’impressione
era quella di parlare con un’ape.
Comincia ora una dimensione internazionale con esposizioni al
Chelsea Art Museum di New York ed un soggiorno in India, dove si
esprime costantemente su una tematica scottante: la violenza
domestica sulle donne.
Suscita l’interesse d’importanti collezionisti come Stefano Gabbana,
Diego Della Valle, Mario Testino fino all’incontro decisivo con
Achille Bonito Oliva che la porta con sé alla Biennale di Valencia,
alla Certosa di Padula per gli Annali dell’Arte e favorisce la
collocazione di una sua opera ad adornare la stazione Quattro
Giornate della nuova metropolitana di Napoli.
L’esperienza a Nuova Delhi è fondamentale perché la denuncia della
violenza sulle donne costituisce ora il filo conduttore delle sue
creazioni, indipendentemente dal mezzo espressivo: fotografia,
pittura, scultura, video, installazioni, performance, che varia
secondo la sensibilità del momento.
Solo in pittura predilige ritrarre fiori e paesaggi, una metafora
della sua necessità di protezione, che le fa considerare l’arte come
una forma di terapia.
Attaccata alla sua città, se proprio dovesse trasferirsi,
sceglierebbe Londra, città internazionale dove, è certa, il suo
lavoro avrebbe ben altra considerazione e forse potrebbe ripetersi
il suo sogno: una mostra assieme al suo idolo Matt Collishaw, con il
quale ebbe già l’onore di un incontro nella galleria di Raucci e
Santamaria.
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