Cap.2
‘O lione
Luis Vinicio
I Napoletani hanno sempre idolatrato l’attaccante che faceva sognare
lo scudetto. Oggi è Cavani, il “Matador”, ricercato a suon di decine
di miliardi dai club più prestigiosi del mondo, ieri era Maradona,
uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi, l’altro ieri, e lo
ricordano solo i tifosi dai capelli bianchi (tra cui il
sottoscritto, il quale bianca ha solo la barba) era Luis Vinicius de
Menezes, detto “‘O lione” per la furia devastante con cui andava a
rete.
Nato a Belo Horizonte in Brasile nel 1932, dopo gli esordi in alcune
squadre giovanili della sua città natale, iniziò la carriera
professionistica nella squadra brasiliana del Botafogo con il nome
d’arte Vinícius. Esordì ufficialmente nel Campionato Carioca l’11
novembre 1951, in Botafogo-Olaria 4-1, siglando una rete. Per alcuni
anni costituì, con il fuoriclasse Garrincha e l’italo-brasiliano
Dino Da Costa ("Dino"), un formidabile trio d’attacco per la squadra
carioca. La sua stagione migliore fu il 1953, con 13 gol in 22
partite, ma il 7 settembre, in Botafogo-Flamengo 3-0, dopo aver
segnato ed essersi procurato un calcio di rigore, fu costretto a
uscire dal campo per sospetta frattura. L’anno successivo giocò
soltanto 17 partite, ma siglando ancora 7 gol.
Nell’estate del 1955, durante una tournée in Europa del Botafogo, fu
visionato dai dirigenti del Napoli che lo acquistarono, per
affiancarlo ai più anziani Amadei, Jeppson e Pesaola.
Giunto in Italia a 23 anni, fu subito adottato dalla tifoseria
napoletano e "ribattezzato" Luís Vinício. Si mise infatti in luce
come grande realizzatore: al suo esordio, il 18 settembre 1955 (Napoli-Torino
2-2), andò in gol dopo appena quaranta secondi di gioco. Arrivò
secondo nella classifica cannonieri del 1956-1957, con 18 reti e
quarto in quella del 1957-1958, con 21. Il 6 dicembre 1959, inaugurò
lo stadio San Paolo, con un gol in semi-sforbiciata, che permise al
Napoli di battere la Juventus 2-1.
Nel 1960, dopo cinque stagioni a Napoli e 69 reti, passò al Bologna.
Dopo una prima stagione fra i felsinei, l’anno successivo giocò
poche gare, venendogli preferito il giovane Harald Nielsen (che sarà
poi per due volte consecutive capocannoniere della Serie A).
Nell’estate del 1962 torna perciò sconsolato in Brasile, tuttavia è
presto richiamato in Italia dai dirigenti del Lanerossi Vicenza che
gli offrono un nuovo contratto. Dopo un discreto primo anno, torna a
segnare con regolarità e realizza 17 reti nel 1963-1964, regalando
ai veneti il sesto posto in assoluto e arrivando terzo fra i
marcatori. Nel 1964-1965 ottiene il decimo posto in campionato,
mentre nel 1965-1966 segna 25 gol (il primo a raggiungere questa
quota dopo di lui sarà Marco van Basten nel 1991-1992) che gli
valgono il titolo di capocannoniere e al Lanerossi il quinto posto
davanti al Milan.
Nell’estate del 1966 lascia Vicenza perché chiamato da Helenio
Herrera alla corte della grande Inter. In nerazzurro disputa 8
partite in campionato realizzando un gol. Dopo una stagione, e già
trentacinquenne, torna a Vicenza, dove chiude la sua carriera
agonistica, oltrepassando la quota di 150 reti in Serie A e
contribuendo con le sue marcature all’ennesima salvezza consecutiva
dei biancorossi. Cospicuo il suo bilancio: 141 gare e 68 reti che
gli valgono il titolo di bomber biancorosso di tutti i tempi in
Serie A.
Alla carriera da calciatore è seguita quella da allenatore
applicando per primo in Italia il gioco all’olandese con il Napoli
alla metà degli anni Settanta, con cui sfiorò la vittoria del
campionato nella stagione 1974-1975. Si mise quindi in mostra con il
Brindisi, all’epoca in Serie B, dove al momento del congedo per
passare al Napoli ottenne riconoscimenti per gli anni positivi alla
guida della squadra; a distanza di anni viene ricordato come uno
degli "eroi" delle stagioni della squadra pugliese in Serie B,
venendo invitato alle presentazioni della squadra.
Nel 1976-1977 viene chiamato ad allenare la Lazio dove deve guidare
il periodo del dopo Maestrelli. Il primo anno Vinicio conclude il
campionato al quinto posto, piazzamento che gli vale la conferma per
la stagione successiva. Nella stagione successiva la squadra rimane
sempre sull’orlo della retrocessione e il 28 marzo 1978, dopo la
sconfitta a Foggia per 3-1, il tecnico viene esonerato e sostituito
da Roberto Lovati.
Nelle stagioni successive allena squadre come l’Avellino (da cui si
dimette facendosi sostituire da Claudio Tobia), il Pisa e l’Udinese.
Chiude la sua carriera di allenatore nel 1991-1992 alla guida della
Juve Stabia, che si salva dopo un campionato particolarmente
tribolato.
Il 21 aprile 2012 allo stadio Menti di Vicenza, durante la partita
tra la squadra locale e la Sampdoria, conclusasi 1-1,
nell’intervallo gli viene consegnata, tra gli applausi scroscianti
del pubblico, una targa commemorativa per la sua straordinaria
carriera.
Esaminiamo ora il suo percorso partenopeo, quando regnava Lauro e
sul campo del Vomero l’idolo era Jeppson “Mister 105 milioni”. I
goal dell’asso svedese sono spesso spettacolari, ma il Napoli non
riesce mai a combattere per le prime posizioni, riserva di caccia
dei club del ricco nord. Lentamente declina anche la stella di
Amadei e si avverte la necessità di un nuovo fenomeno da affiancare
a Jeppson. E questo nuovo astro arriverà dal Brasile, dalla gloriosa
squadra del Botofago; si chiamerà Louis de Menezes Vinicius, ma per
i tifosi sarà semplicemente Vinicio, anzi per meglio dire "O lione"
per la irruenta foga con cui si divincolava dagli avversari in area
di rigore.
Nativo di Belo Horizonte, divenne rapidamente una leggenda ed ancora
oggi, a distanza di decenni ha un posto stabile nel cuore dei
napoletani.
Il suo matrimonio fu da favola, ripreso da tutti i rotocalchi.
Compare di nozze naturalmente Achille Lauro, splendida la cornice:
la superba chiesa di San Francesco di Paola.Una folla simile a
Napoli non si vedeva dalle nozze di Umberto di Savoia con Maria
Josè.
I compagni si affrettavano a passargli la palla e la folla
entusiasta lo accompagnava con il suo urlo fin sotto la rete
avversaria. Molte partite sono rimaste memorabili per i suoi goal e
le sue azioni irresistibili, che facevano esaltare i tifosi, i quali
durante la settimana amavano rievocare le gesta del loro beniamino.
Purtroppo la coesistenza con Jeppson, che avrebbe potuto regalare al
Napoli il primo scudetto,si rivelò impossibile. Erano due giocatori
straordinari, ma di temperamento e di scuola agli antipodi:freddo e
calcolatore lo svedese, esuberante e pieno di vitalità il
brasiliano. Ai differenti caratteri si associava poi la diversità
linguistica, che produceva spesso equivoci.
Erano gli anni delle frequenti invasioni di campo da parte di tifosi
esasperati dalle decisioni arbitrali,che provocavano alla squadra
pesanti squalifiche,rese ancora più severe perché Lauro,per invidia
ed ostilità politica, non godeva di simpatia presso gli organi
federali. Dopo un’ennesima pesante squalifica lo stadio del Vomero
fu dotato di un’ampia recinzione, che lo faceva tristemente
somigliare ad una gabbia di leoni o ad un moderno Colosseo,animato
dalle gesta di moderni gladiatori in lotta per la conquista della
palla.
Oggi vive a Napoli, in via Manzoni a poche centinaia di metri da
quello che per 40 anni fu il mio studio ginecologico. Ebbi modo di
conoscerlo ed intervistarlo quando scrivevo ogni giorno l’articolo
di fondo sul quotidiano: “Il Denaro”. Il succo della lunga
chiacchierata fu che egli aveva deciso di vivere a Napoli, perché
gli ricordava il sole di Belo Horizonte e qui aveva passato il
miglior periodo della sua vita, a contatto con un pubblico
appassionato e riconoscente.
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