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Quei Napoletani da ricordare  (vol. 1)

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Cap.27
Un portone che poteva, doveva, non riaprirsi
Gerardo Marotta

Con Mirella Barracco, Gerardo Marotta divide la vetta ideale tra i napoletani degni di essere ricordati.
Il ’99 anno emblematico e fatale per i destini di Napoli, lega con un sottile filo ideale i due famosi personaggi: Napoli ’99 è infatti il nome della Fondazione voluta dalla instancabile baronessa, mentre per il Palazzo Serra di Cassano, sede dell’Istituto di Studi Filosofici, creato dall’avvocato Marotta il ’99 fu testimone di un dramma e da allora reca ancora i segni del lutto e dello sdegno, ma anche le stimmate di una memoria storica e civile che consentì alla nostra città di porsi all’avanguardia in Italia ed in Europa. In questo storico e severo palazzo che fu la dimora della nobile famiglia dei Serra di Cassano, sito nella popolosa via di Monte di Dio a due passi dal teatro Politeama, l’avvocato Gerardo Marotta, e con lui tutta la Napoli che non si arrende al degrado e non si rassegna al mal governo della città, si è rinchiuso idealmente la mattina del 2 agosto del 1799 mentre, tra le urla della plebe inferocita veniva decapitato a Piazza Mercato Gennaro Serra, rampollo della casata, che assieme a pochi altri eroi rappresentava l’ultimo baluardo per la difesa della rivoluzione napoletana travolta da una monarchia arretrata ed incapace di gestire il corso della storia. La forza d’animo, il coraggio e la fede che ha accompagnato i pochi repubblicani fino all’ultimo respiro, ha fatto si che Benedetto Croce abbia sempre circondato questi martiri nei suoi scritti di religiosa venerazione.
Da quel fatidico giorno, il portone principale della nobile dimora che apriva in direzione del palazzo reale è stato chiuso ed è rimasto sbarrato.
La nobile famiglia, che in seguito subì la repressione dei Borbone e la furia devastatrice della teppaglia sanfedista lo sbarrò in segno di lutto perpetuo e di collera verso re Ferdinando IV per cui ordine quella condanna venne eseguita. Dopo quasi duecento anni quel portone restava ancora ermeticamente chiuso e a detta dell’avvocato Marotta, sarebbe ancora rimasto sbarrato a lungo. Forse, in un domani più felice per la nostra città, verrà riaperto per festeggiare la rottura del divario che affligge da anni Napoli, tra una parte della società civile dotta ed istruita ed ansiosa dei destini della città ed una plebe, arrogante ed ignorante, le cui fila si sono allungate a dismisura negli ultimi anni fino a comprendere gran parte di quella borghesia diventata lazzarona che ha smarrito la sua memoria storica ed ha tradito Napoli, scendendo a patteggiamenti, mediazioni, tangenti ed infiltrazioni camorristiche.
Questo avamposto della cultura, questo fortino dell’intelligenza, rimasto, nello sterminato deserto che lo circonda, a difendere il futuro ed il passato di Napoli è stato creato nel 1975, grazie all’ostinazione vincente di questo caparbio avvocato napoletano che nell’opera ha profuso oltre a tutto il suo impegno e la sua testardaggine, anche tutte le sue notevoli ricchezze, comprese quelle della famiglia. L’Istituto è da decenni un punto di riferimento internazionale, impegnato nello studio di quella tradizione di pensiero che sorto nella Magna Grecia si è diffuso in tutta Europa permeandone la civiltà nei secoli seguenti; esso si interessa inoltre di studi di filosofia e storiografia antica e medioevale fino al pensiero scientifico e filosofico del Seicento e del Settecento.
L’avvocato Marotta ha più volte inviato degli appelli pubblici, ai quali l’Istituto con la sua autorevole fama ha fatto da supporto e ne ha permesso la diffusione come una cassa di risonanza, sull’importanza degli studi filosofici nel mondo moderno.
La più valida proposta degli ultimi anni è stata quella di istituire un organismo internazionale che comprenda i massimi esperti delle varie discipline scientifiche con funzioni consultive verso i governi.
«È urgente che la filosofia e le scienze riscoprano i loro motivi più profondi. Occorre uno spirito aperto, la volontà di definire gli stessi linguaggi entro una circolazione di idee amplissime, che non formi confini se non quelli del sapere umano. Potranno i governanti essere illuminati solo dalla ragione e dalle conoscenze di chi è abituato alla ricerca della verità».
E corriamo ora indietro nel tempo fino al 1927 anno in cui il piccolo Gerardo nasce in una austera casa di vico Campane a Donnalbina nel centro storico di Napoli per trasferirsi dopo pochi anni al Vomero nei pressi del liceo Sannazzaro che frequenterà da ragazzo.
Il padre Egidio è avvocato capo della Provincia di Napoli, il nonno, da cui prende il nome, di origini lucane è un infaticabile studioso, mentre lo zio è un illustre clinico allievo di Cardarelli e direttore della rivista di clinica medica. Gerardo è il primogenito seguito da altri due fratelli e una sorella. La sua infanzia e la sua adolescenza trascorrono nello studio praticato con una grande dedizione. Uniche distrazioni permesse: qualche partita a pallone o qualche puntata al mare.
La letteratura e la filosofia; il diritto e la storia sono le sue materie preferite. Durante l’adolescenza fu attratto, come tanti altri giovani, dalla figura carismatica di Benedetto Croce, che splendeva all’epoca di una luce abbagliante nel panorama culturale napoletano e da ciò crebbe l’ansia di terminare al più presto gli studi liceali e conseguita la maturità potersi iscrivere alla facoltà di Giurisprudenza affascinato dai molti risvolti di questa facoltà.
Negli anni dell’università fece parte di quei giovani studiosi, che stretti intorno alla figura di Benedetto Croce, frequentavano assiduamente l’Istituto Italiano per gli Studi Storici fondato dal filosofo, inoltre fu più volte eletto negli organismi rappresentativi dell’ateneo e per alcuni anni fu presidente del fronte democratico universitario.
Egli pur dividendo le ore della sua giornata tra la frequenza dei corsi, lo studio casalingo e la biblioteca, trovava il tempo per organizzare importanti seminari.
Egli fondò l’associazione «Cultura Nuova» assieme ad alcuni colleghi universitari che divennero in seguito celebri nelle loro branche da Luigi Compagnone a Corrado Alvaro, da Vittorio Viviani a Domenico Rea, da Luigi Incoronato a Roberto Pane, da Vasco Pratolini al geniale Renato Caccioppoli.
Tale associazione ebbe il merito di far conoscere nell’ambito della cultura napoletana poeti del calibro di Pablo Neruda, personalità della letteratura come Natalino Sapegno, artisti come Renato Guttuso, che poté esporre per la prima volta a Napoli e lo scultore Augusto Perez che cominciò a farsi conoscere in mostre collettive che ebbero grosso clamore. L’attività dell’associazione «Cultura Nuova» fu molto feconda e risvegliò su di essa l’attenzione della stampa che dedicava molto spazio alle varie manifestazioni; ma a volte veniva anche osteggiata quando ad alcune conferenze venivano invitati intellettuali notoriamente di sinistra.
Il quel periodo il conformismo era imperante e talune volte fu vietato l’accesso nell’ateneo a noti studiosi come il prof. Crisafulli, la cui conferenza sulla Costituzione italiana, il giovane Marotta fu costretto a dirottare nella meno accademica palestra del CUS. Ad alcuni studiosi fu comminata una censura.
Erano anni difficili per l'ateneo napoletano che fu anche chiuso più di una volta a seguito di gravi incidenti esplosi tra gli studenti e la polizia; erano però anche anni in cui personaggi di spicco della cultura come Luigi Cosenza rappresentavano un punto di riferimento per un folto movimento giovanile, incoraggiato da docenti illuminati come Adolfo Omodeo, Renato Caccioppoli e Giuseppe Montalenti.
Tale fremito di entusiasmo culturale culminò nella fondazione dell’Istituto Italiano di Studi Storici, il quale fermento voluto da Croce permise di riunire in un gruppo omogeneo le figure più rappresentative della «intellighenzia» da Federico Chabod a Giovanni Pugliese Carratelli. In questo Istituto Gerardo Marotta ha trascorso gli anni più entusiasmanti della giovinezza e come lui tutta una generazione di studiosi che correvano ad assistere alle lezioni ed ai seminari attratti dalla luminosa figura del filosofo abruzzese, sempre pronto al consiglio e disponibile al contatto umano.
Completati gli studi e conseguita la laurea in Giurisprudenza discutendo brillantemente una tesi in filosofia del diritto: «Il concetto dello Stato nella sinistra hegeliana», Gerardo Marotta continua per qualche anno ancora a seguire con grande trasporto i dibattiti ideologici che fervono nella nostra città fino alla morte di Benedetto Croce, dopo di che nella cultura giovanile napoletana si apre un periodo di crisi e di sfiducia che spinge molti giovani a chiudersi nelle proprie professioni.
Per circa venti anni a partire dal 1953 il giovane avvocato Marotta tralascia la partecipazione attiva alla vita culturale cittadina e si dedica intensamente alla pratica professionale, esercitando nel campo civilistico ed amministrativistico nello studio di famiglia assieme al fratello Lucio ed al cugino Giorgio Scala.
Si sposa con Emilia Mancuso, professoressa di letteratura francese e vede crescere la sua famiglia con la nascita di Valeria, Barbara e Massimiliano.
Nel frattempo ha modo di dedicarsi al suo amore più grande: la catalogazione ed il potenziamento della sua biblioteca, che cresce ogni giorno di più fino ad occupare ogni angolo libero della pur grandissima casa di Viale Calascione. A casa sua vi sono le bellissime librerie che furono di Gioacchino Murat, stracolme di volumi amorevolmente selezionati e schedati; una pila di libri, opuscoli e riviste accatastati per ogni angolo della casa, anche in camera da letto, crescono ogni giorno come funghi, creando una barriera sempre più alta alla luce del sole ed impedendo, quasi completamente, la vista dello splendido panorama.
Un totale di circa 120.000 libri che fanno di quella di Gerardo Marotta la più ricca e completa biblioteca privata d’Italia; donata negli anni successivi all’Istituto degli Studi Filosofici per renderla accessibile a tutti gli studiosi.
Nel rapporto di amore tra Gerardo e la sua biblioteca credo di intravedere l’aspirazione di onniscienza che si impossessa di ogni studioso che mira ad una conoscenza globale ed universale (la qual cosa è possibile?).
La brevità della vita umana e le limitate risorse di tempo e di apprendimento, costituiscono come una intollerabile catena che ostacola la volontà di conoscenza dell’uomo, il quale se può, tenta di sublimare attraverso il possesso fisico di tanti libri la sua insaziabile ansia di conoscenza.
Novello Ulisse, Gerardo, io ritengo, ha in tanti anni accumulato tanti libri e riviste con la folle speranza di poterli tutti leggere e studiare.
Un’altra lodevole iniziativa dell’avvocato fu quella di creare assieme all’amico Francesco del Franco una casa editrice specializzata, Bibliopolis, la quale si interessa in modo esclusivo della pubblicazione di libri di alto valore scientifico e letterario ed in particolare cura le riedizioni dei grandi pensatori medioevali e stampa gli atti dei numerosi convegni che si svolgono presso l’Istituto di Monte di Dio.
Nel 1975, dopo tanti anni trascorsi unicamente nell’esercizio della professione e nella cura della biblioteca, il sacro fuoco dell’organizzazione delle attività culturali si impossessò di nuovo di Marotta, il quale, assieme agli amici più cari e più prestigiosi volle creare un punto di riferimento per gli studiosi, che potesse custodire, come nel passato il cenacolo intorno a Benedetto Croce, un approdo sicuro per le giovani generazioni desiderose di arricchirsi spiritualmente, in un periodo di sfrenato consumismo in cui tutti sembrano interessati unicamente alla carriera, al successo personale ed al possesso di beni materiali.
Personaggi come Elena Croce, figliola del filosofo, Enrico Cerulli presidente dell’Accademia dei Lincei, Giovanni Pugliese Carratelli, direttore dell’Istituto crociano e Pietro Piovani, notissimo intellettuale, gli furono vicini nell’attuazione della sua idea, decisi quanto lui a «resistere» ed a non voler restare indifferenti di fronte al degrado e allo sfascio di Napoli, una grande capitale del passato, che da tempo ha smarrito il suo ruolo e la sua memoria storica.
Le difficoltà incontrate all’inizio furono notevoli in una città come Napoli ormai usurpata e conquistata dalle forze neofeudali. Una città nella quale da tempo gli intellettuali hanno abbassato la guardia ed in cui il mal costume politico, la camorra e la droga devono essere combattute con tutti i mezzi a disposizione.
L’Istituto fondato con una solenne cerimonia svoltasi a Roma presso l’Accademia dei Lincei ha svolto la sua attività inizialmente presso la casa di Marotta, per poi trovare nel 1983 una sede prestigiosa nel monumentale palazzo Serra di Cassano nella storica via del Monte di Dio. Da allora svolge instancabilmente, sotto l’amorevole attenzione e direzione dell’avvocato e con la collaborazione del fedele professor Gargano, la sua opera di esaltazione dei valori della cultura e della sollecitudine morale per il bene pubblico, cercando di forgiare le nuove generazioni di studiosi affinché essi portino in tutto il mondo l’immagine di una Italia, grande paese europeo, con alle spalle grandi tradizioni artistiche, culturali e morali. Si cerca disperatamente di far conoscere alle nuove generazioni lo spirito pubblico che animò la borghesia napoletana schiacciata dalla reazione borbonica e sanfedista del 1799 e non più risorta.
Il grande portone del palazzo Serra di Cassano, sbarrato da circa due secoli, doveva essere riaperto soltanto il giorno in cui grazie ai quotidiani insegnamenti dell’Istituto del benemerito avvocato Marotta, ci si avvicinerà al grande sogno del saggio Platone, quando cioè gli uomini di governo saranno divenuti filosofi ed i filosofi saranno divenuti uomini di governo.
Incautamente al periodo del fantomatico Rinascimento napoletano l’avvocato acconsentì alla riapertura del mitico portone, credendo che un nuovo luminoso futuro si presentasse per Napoli ed i napoletani. Mai errore fu più clamoroso. Da allora la nostra sventurata città è precipitata sempre più in basso, battendo tutti i record negativi. Ma non bisogna demordere, fino a quando uomini come Gerardo Marotta continueranno a combattere in trincea la speranza di un domani migliore ha motivo di essere coltivata.
Una civiltà muore inesorabilmente quando tutti si arrendono e perdono il gusto di lottare contro la barbarie della violenza e dell’ignoranza, trovando vano conforto nell’inutile gioco delle carte, unico passatempo della decadente borghesia napoletana.


Quei Napoletani da ricordare  (vol. 1)

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