Cap.12
L’intelligente, acuta, caustica voce di Napoli
Luigi Compagnone
Narratore, poeta, giornalista Luigi Compagnone è stato sempre uno
scrittore errante fra poesia e romanzo, conservando la stessa carica
di aggressività di quando era giovane e la causticità, senza dubbio
il carattere dominante della sua personalità. Se lo sdegno e l’ira
possono essere considerati un metro per valutare la vivacità
intellettuale, si può ben dire che quella di Compagnone è stata per
lunghi anni all’apogeo.
Quaranta anni fa Anna Maria Ortese nel suo famoso libro «Il mare non
bagna Napoli» mise alla berlina Luigi Compagnone, non ancora celebre
scrittore, in tono ironico e con grande malignità.
A certi sgraditi apprezzamenti della Ortese, alla sua gratuita
cattiveria, Compagnone rispose con tutta la violenza di cui era
capace: la scrittrice venne bersagliata su giornali e riviste dalle
feroci ironie, dai sarcasmi, dalle insinuazioni di colui che lei,
nel suo libro si compiaceva di chiamare «funzionario della radio»,
ben conoscendo il suo odio per i funzionari! e per quelli della Rai
in particolare, ignorando volutamente con quella fredda qualifica,
le attività di giornalista e di scrittore svolte da lui, il quale in
quella occasione confermò di esser una delle migliori malelingue del
mondo intellettuale napoletano, capace, con le sue corrosive battute
di stroncare un avversario, di farlo a pezzi, sempre pronto ad
aggredire chicchessia per ridurlo in poltiglia.
L’Ortese nel suo libro volle colpire come bersaglio privilegiato una
piccola compagnia di intellettuali napoletani, quelli che avevano
fondato tra il 1945 ed il 1947 la mitica rivista «Sud».Per loro ella
intonava una sorta di elogio del fallimento, ma del noto furore che
domina la nostra città Compagnone è eletto quasi a simbolo. La
scrittrice non riconosce più in lui il giovane affascinante che
aveva conosciuto (e del quale era forse stata innamorata). Il suo
camminare le ricorda un volatile stanco, il suo sorriso è astratto e
morto ed assume un’assonnata disperazione da sconfitto. A distanza
di 40 anni l’occasione di una ristampa del libro della Ortese ha
risvegliato antichi furori a Napoli, una città fedele alla
inimicizia.
L’Ortese con l’illusione interiore di gettare acqua sul fuoco degli
antichi sdegni ha solamente riacceso l’invettiva di Compagnone che
le si è scagliato contro con la sua proverbiale ira funesta
controbattendo che il libro della scrittrice testimonia soltanto
ribrezzo e paura per la città ritenuta in rovina, la quale invece se
trova parole per far parlare di se vuol dire che non è morta.Alla
voce indignata di Compagnone si sono unite quelle di altri
napoletani doc tra cui Franco Rosi che ha ribadito «La litigiosità
rientra nell’umore della nostra gente. C’è nell’aria una
provocazione continua. Siamo in troppi ad essere creativi nelle
cinta... Napoli è sterminata, ma lo spazio per conviverci tutti in
pace risulta troppo stretto».
Del periodo di Sud e delle frequentazioni di casa Prunas Compagnone
si ricorda volentieri di un aneddoto riguardante la contessa Prunas,
la madre di Pasquale, il proprietario della rivista, la quale
temeva, si era nel 1952, una vittoria comunista alle elezioni. Ella
ebbe un’idea brillante di prezzolare un tranviere, categoria
considerata a Napoli il massimo del bolscevismo e fattolo installare
nella sua casa di Monte di Dio, lo convinse a proclamare di aver
visto la Madonna. Popolane e signore alto borghesi accorsero in
pellegrinaggio a casa Prunas, ma ci fu un traditore, il quale
scrisse la verità su di una rivista milanese in un articolo ilare
intitolato «Il miracolo della contessa». L’autore della delazione
era lo stesso Pasquale Prunas, primogenito della casata!
Nel 1972 ebbi il piacere di conoscere personalmente Luigi
Compagnone, grazie al figlio Massimo, valente psicanalista
freudiano, di cui sono fraterno amico da tempo immemorabile.
Dovevo completare la mia preparazione in vista della partecipazione
a «Rischiatutto» la nota trasmissione televisiva di Mike Bongiorno e
la materia principale in cui mi presentavo era costituita dai Premi
Nobel. Per approfondire gli autori che avevano avuto tale
riconoscimento per la letteratura consultai la vastissima biblioteca
dello scrittore, che mi meravigliò per l’elevato numero di libri e
per il perfetto stato di conservazione degli stessi che apparivano
come nuovi.
Lo scrittore, all’epoca abitava in una splendida villa immersa nel
verde a Posillipo, e tutte le pareti del grande salone erano piene
di volumi e riviste, quasi tutti di letteratura.
Compagnone mi confessò che i libri, molte migliaia, erano nuovi,
nonostante li avesse consultati quasi tutti, perché era sua
abitudine comperare sempre due copie, una per la biblioteca ed una
per la sua consultazione, che spesso avveniva comodamente a letto
sotto le coperte, dopo aver sezionato l’opera in ottave più facili
da tenere tra le dita per la lettura.
Egli mi prestò gentilmente anche il Dizionario delle opere e degli
autori, un’enciclopedia in molti volumi, che mi fu utilissima per la
preparazione e mi confidò che una volta era stato prescelto come
consulente dagli esperti di «Rischiatutto» per la compilazione dei
quesiti di letteratura contemporanea per un concorrente e lui, tra
le domande finali da leggere in cabina ne aveva preparata una che
riguardava un suo libro vincitore di un importante premio
letterario, allo scopo di poterlo pubblicizzare.
Il mio sogno, che negli anni sono riuscito a realizzare, di
possedere una grande biblioteca, credo che mi sia cominciato,
ammirando quella di Compagnone con tanti bei volumi allineati che
sembravano grondare cultura per chiunque volesse abbeverarsene.
Luigi Compagnone nato a Napoli nel 1915, ha avuto dal primo
matrimonio due figli: Sandro giornalista della Rai ed apprezzato
critico musicale della «Repubblica» e Massimo, laureato in medicina
e psicanalista convinto ed apprezzato.
Rimasto vedovo ed immalinconitosi, ha trovato una nuova dolce
compagna, Rachele, raffinata pittrice seguace di Otto Dix, Munch e
Savinio e valida poetessa, autrice di ben sette libri di poesia. Con
la nuova moglie Compagnone rinacque e si buttò con rinnovato
entusiasmo nel suo lavoro di scrittore errante sempre tra poesia e
romanzo e di opinionista su «Il Mattino» e su «la Repubblica», con
articoli su aspetti della realtà napoletana, sempre caustici,
disincantati e sul filo di una ironia sottile e beffarda.
Il primo importante premio letterario «Il Marzotto» Compagnone lo
vinse nel 1954 con il romanzo «La vacanza delle donne». In seguito
si è dedicato con passione anche all’attività di traduttore di molti
grandi scrittori, tra cui Pejrefitte di cui ha trasferito in
italiano tutta l’opera. Egli nell’arco di circa trenta anni ha
pubblicato oltre 30 libri ed in una delle sue ultime opere «L’oro
nel fuoco» ha inteso realizzare una onesta summa del suo itinerario
attraverso tutte le possibili vie che conducono dal drammatico al
patetico, dal realistico al surreale, dal razionalismo all’assurdo.
Tra i suoi lavori più importanti dobbiamo ricordare: «La vita vera
di Pinocchio», «Ballata e morte di un capitano del popolo»,
«Malabolgia», «L’ultimo duello», un’opera in cui Compagnone, in uno
stile perfettamente kafkiano, racconta una fiaba allucinante, una
metafora ferrigna su Napoli, con al centro un borghese piccolo
piccolo; «Nero di luna», un romanzo popolato da ombre e fantasmi ora
comici, ora tragici, ora grotteschi, ora divertenti, ora
raccapriccianti. In quest’ultimo romanzo vi è come una
riaffermazione delle sue scelte letterarie precedenti per cui si può
notare un impasto tra lingua e dialetto, tra la visceralità
napoletana ed il barocchismo, tra l’intelligenza delle cose e
l’intelligenza di essa, tra la mente pura vichiana e l’impurità dei
disastri esistenziali, tra la irrazionalità della storia e le sue
terribili ragioni.
Compagnone nell’arco dei vari anni ha ottenuto con i suoi libri i
più prestigiosi premi letterari che si assegnano in Italia. In
seguito ha manifestato una sorta di idiosincrasia assoluta verso
queste «gare» e con la sua sottile ironia ci ha disegnato un quadro
di questi «Certami letterari», mettendo alla berlina tutti i
personaggi che nuotano attorno a queste competizioni.
Questo disgusto verso tante manovre meschine messe in atto dalle
case editrici per favorire i propri scrittori è un segno tangibile
della maturità e della saggezza raggiunta con l’età da Compagnone,
il quale ci confida che un tempo anche lui ha praticato il medesimo
malcostume di petulare preferenze e solo così ha ottenuto tanti
premi letterari.
Egli nel periodo dell’assegnazione dei grandi premi letterari, dallo
Strega al Campiello, dal Viareggio al Bancarella, viene sollecitato
in continuazione da smaniosi appelli telefonici da parte degli
scrittori partecipanti con un tono del discorso che va dal
supplichevole al sottilmente minaccioso, dallo spregiudicato al
mollemente ruffianesco.
Tali comportamenti che apparentano il costume letterario a quello
del mendicante o del magnaccio fanno riaffiorare il vuoto e la
miseria morale di questi strani questuanti.
Essi pregano, impongono, suggeriscono con impennate
sproporzionatamente elevate, escursioni stilistiche e lessicali
patetiche e squillanti, liriche o perentorie.
Compagnone ha creato un breve e divertente epigramma per descrivere
queste incresciose situazioni.
DEI PREMI LETTERARI
NON INVIDIAR LA GIOSTRA,
CHE MICA È COSA TUA:
È SOLO COSA NOSTRA
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