Cap.1
L’ospedale delle bambole e la fantasia degli artigiani
Negli ultimi anni si è cercato, attraverso iniziative encomiabili
come Monumenti porte aperte, di far riemergere da un colpevole oblio
i tesori artistici della città, che potrebbero costituire
un’irresistibile attrazione turistica, ma poco si è fatto per
difendere e valorizzare una realtà culturale ancora più sommersa e
misconosciuta di quella monumentale: l’artigianato artistico.
Napoli è ricca di botteghe di corniciai, indoratori, restauratori,
tappezzieri, tipografi, falegnami, creatori di pastori e di presepi,
tutti testimoni di attività plurisecolari.
Il costo del lavoro irrisorio, che i paesi emergenti come Cina o
India riescono a praticare, ha messo in ginocchio alcune lavorazioni
artigianali come i guanti e le calzature, le quali riuscivano ad
esportare gran parte della loro produzione e che fino a pochi anni
fa costituivano l’80% del fatturato italiano dei guanti ed il 30%
delle scarpe, con alcuni modelli di gran pregio che raggiungevano i
negozi di Bond Street, del Boulevard des Capucines, della Leids
Straat e della Wasa Gatan.
La sfida è sulla qualità che gli artigiani napoletani riescono
ancora a garantire, ma bisogna incoraggiare il ricambio
generazionale, invogliando i giovani a proseguire il lavoro dei
genitori, oltre a garantire il credito alle centinaia di aziende che
devono rinnovare i macchinari.
La globalizzazione e l’automazione hanno inferto colpi micidiali ai
valori sui quali viveva e prosperava l’artigianato, quel filone
fecondo del tessuto economico cittadino, che ha sempre rappresentato
la laboriosità e la fantasia del napoletano.
Preservare le tradizioni è quanto mai necessario oggi che la
produzione in serie tende ad annichilire quel tocco di personalità
che l’artigiano sa infondere nei suoi lavori. Bisogna rinnovarsi,
senza tradire quel patrimonio di esperienza accumulato nei secoli e
districarsi in un mercato che si presenta sempre più difficile.
Il valore artistico del prodotto artigianale è oramai ampiamente
riconosciuto, le botteghe restituiscono al visitatore atmosfere
ricche di fascino, odori antichi e particolari unici che rendono
questi centri di produzione monumenti alla creatività ed all’abilità
tecnica. In questi locali che contribuiscono a creare l’identità
urbana di un paese o di una città, storia ed artigianato dialogano e
si intrecciano ininterrottamente da decenni. In questa ottica
valorizzare le botteghe storiche significa presidiare e difendere i
centri storici della città, sempre più esposti a un progressivo
abbandono degli esercizi più antichi che lasciano il posto ad
attività di servizio standardizzato.
Il cittadino, il turista, l’appassionato possono scoprire, seguendo
le tracce delle antiche botteghe, i segni di un vissuto non solo
commerciale, ma anche culturale ed artistico del territorio. In una
logica di sistema, l’artigianato legato al progetto di
valorizzazione turistica resta un volano culturale insostituibile
per l’aumento dell’occupazione, soprattutto delle nuove generazioni.
Ad incoraggiare tanti umili artigiani valga l’esempio di coloro che
hanno raggiunto con il loro lavoro notorietà internazione come Lello
Esposito con i suoi Pulcinella, Marinella con le sue cravatte o il
mitico ospedale delle bambole.
Lello Esposito, uno dei grandi artigiani artisti internazionali che
la città esprime, vive e lavora tra Napoli e New York. "La mia
sfida” ci ha confidato” è parlare in napoletano ed andare in giro
per il mondo, mentre continuo a dare segnali universali attraverso
l'amore, l'ostinazione di lavorare sulla città in una continua
evoluzione dei miei pulcinella."
Il personaggio, scultore e pittore, da circa trent'anni lavora su
alcuni simboli partenopei: Pulcinella, la maschera, l'uovo, il
teschio, il vulcano, il cavallo, San Gennaro al corno nelle varie
possibili metamorfosi, che sembrano percorrere parallelamente, per
poi incontrarsi su un piano artistico e contemporaneo attraverso le
diverse metamorfosi espressive di Pulcinella e della sua maschera in
una danza pura ed elegante di alto contenuto simbolico.
Svolge una ricerca che nel tempo gli ha permesso di sperimentare
scultura e pittura e di realizzare un’evoluzione di significati, di
dimensioni e di tecniche artistiche. Per le sculture e le
installazioni utilizza materiali di vario tipo - bronzo e alluminio
– e dipinge tele di grandi dimensioni. Egli ama definirsi “artista
di culto" per l’indagine portata avanti sugli archetipi, sui simboli
della città, sull’immaginario culturale che dal profondo emergono in
superficie, vengono restituiti ed assumono nuove forme e
raffigurazioni, contribuendo significativamente alle nuove
interpretazioni della tradizione, indispensabile per ogni forma di
sperimentazione artistica e culturale. Ha coniugato la passione
totale per l’arte e per Napoli, diventandone indubbiamente un
artista rappresentativo e fortemente riconoscibile. Il suo lavoro è
noto in Italia e all’estero dove ha esposto in numerose mostre.
Maurizio Marinella è il simbolo di una signorilità tutta napoletana
e del successo planetario di un articolo, quando si affianca al
genio dell’imprenditorialità, il rispetto dei propri dipendenti e
dei clienti e non si ha paura del lavoro, anche se si è ricchi e
celebri. Per convincersene bisogna alzarsi presto e vedere all’opera
il titolare, mentre apre il suo elegante negozio in piazza dei
Martiri alle sette e mezzo in punto per mettere tutto in ordine,
come faceva il genitore, che alla cassa era sempre affabile e
gentile ed offriva il caffè a mio padre ed a me bambino il gelato,
per intrattenerci durante la meticolosa scelta delle sue cravatte.
Maurizio è un vero signore, non ha smanie di protagonismo, sa
consigliare senza invadere il gusto del cliente, trattare con il
personale e battersi con orgoglio per dare di Napoli l’immagine
migliore.
Negli ultimi tempi, con la città invasa dalla monnezza ha fatto
sentire alta la sua voce cercando una disperata difesa di un passato
glorioso. Racconta che quando aveva otto anni il nonno gli disse che
sarebbe dovuto rimanere sempre a Napoli, perché la città sarebbe
sempre stata con Parigi e Vienna una delle grandi capitali europee.
I suoi clienti sono stati i più celebri vip della Terra, presidenti
di Stato, manager, nobili, ma anche illustri sconosciuti amanti
della moda e degli straordinari colori che contraddistinguono una
cravatta Marinella. Sfoggiarne una significa fare un figurone in
Italia, ma anche e soprattutto all’estero. Personalmente ho ricevuto
i complimenti e lo sguardo compiaciuto delle signore a Parigi come a
New York, in occasione di importanti ricevimenti.
Di fronte all’imponente scalinata di via Filangieri sorge da un
secolo un negozio che rappresenta una vera e propria istituzione per
l’eleganza napoletana: London House, la rinomata sartoria della
famiglia Rubinacci. Oggi vi è Mariano Rubinacci a dirigerla, un
abile conversatore in grado di ricreare, attraverso aneddoti e
storielle il volto di una città che è cambiata radicalmente.
Attraverso le firme dei clienti e le foto ricordo scorre un secolo
di personaggi famosi che amavano vestire come dio comanda, da
Scarpetta a De Sica, dai De Filippo ai componenti della Corte
sabauda, in tempi più recenti i giocatori del Milan ed il
sottoscritto, che in occasione del matrimonio feci tre completi ed
uno smoking, pagando 16 milioni.
Mariano ama ricordare la figura del padre, amico di pittori e
letterati clienti del suo negozio, il quale ha diffuso il marchio
nel mondo, dove è riconosciuto come sinonimo di eleganza e gusti
raffinati ed ha trasformato la sua sartoria in un salotto
frequentato dai napoletani doc.
Un’altra interessante attività di artigianato tradizionale è
rappresentata dalla bottega Penelope, la quale si nasconde
all’interno del cortile di palazzo de Majo, che si affaccia su
piazza Vittoria contraddistinto dal numero civico 6. Qui la signora
Dora Formicola, coadiuvata dalla figlia Mariella, propone la
riscoperta di antichi tessuti ricamati, sia nel loro originario
splendore ed uso, sia come brani inseriti in moderne ed intelligenti
realizzazioni di sartoria per l’arredo ed in queste ultime
elaborazioni traspare chiaramente anche il genio del marito Angelo
noto ed affermato scultore.
L’ospedale delle bambole, sito alla fine di via San Biagio dei
librai, angolo via Duomo, del decano don Luigi Grassi, purtoppo
deceduto nel 2012, ed oggi curato dalla bella figliola Tiziana è
sulla piazza dal 1800 e gode di fama internazionale grazie agli
articoli che televisioni e giornali di mezzo mondo gli hanno
dedicato. Esso si interessa di restauri sacri, manichini, maschere,
oggetti d’arte, cose utili ed inutili. Specializzato in bambole
d’epoca e dotato di ambulatorio veterinario per peluche.
Nell’aria si respira un clima di altri tempi con le centinaia di
bambolotti di ogni taglia in attesa di essere riparati, con la serie
di teste in attesa di trapianto… con i manichini che fiduciosi
sperano di tornare all’antico splendore.
Un tempo il bonario don Luigi ci intratteneva con tanti deliziosi
aneddoti e ci confidava che la sua maggiore soddisfazione era stata
l’aver trovato un rimedio ad una misteriosa malattia che colpiva in
Inghilterra le bambole antiche costruite in vinile; un morbo crudele
ed inesorabile che produceva dei rigonfiamenti tali da mutare
l’espressione dei volti che diventavano tristi. Grazie alla sua
terapia le bambole guarivano come d’incanto e tornava loro il
sorriso.
Se far gioire un essere umano è impresa difficile, far ridere un
oggetto inanimato non è forse un miracolo?
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Il mitico Ospedale delle bambole
Il miracolo di don Luigi
Ospedale delle bambole
Ospedale delle bambole
Pulcinella di Lello Esposito
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