Cap.16
DA CARAVAGGIO IN CAMICIA NERA A CIVILTÀ
DELL’OTTOCENTO
A differenza di tante altre cariche apicali dai prefetti ai
questori, dai ministri agli imprenditori, la Sovrintendenza alle
belle arti di Napoli negli ultimi 70 anni ha costituito un’isola
felice abitata da insoliti titani. Prima Bruno Molajoli gestì i
difficili anni del dopo guerra salvando il patrimonio artistico
dalla furia dei bombardamenti, trasferendolo al sicuro e, cessate le
ostilità, riaprendo a tempo di record tutte le gallerie, dalla
Nazionale ai Gerolamini, dalla Floridiana a San Martino; quando le
truppe di occupazione alleate ... strappavano senza ritegno le sete
dei saloni di Palazzo Reale e regalavano antiche poltrone alle
sciagurate signorine dei vicoli off limit dei quartieri spagnoli, in
cambio del soddisfacimento delle loro più turpi pulsioni sessuali.
Poi venne il ciclone Raffaello Causa, l’ideatore di mostre che hanno
sbalordito il mondo, da Civiltà del Settecento a La pittura da
Caravaggio a Luca Giordano, tappe incalzanti di un trionfo clamoroso
dell'arte napoletana. E scomparso prematuramente Causa, il testimone
è stato degnamente ereditato da Nicola Spinosa, che ha continuato,
incrementandola, l'opera meritoria del predecessore.
Senza dimenticare la luminosa figura di Ferdinando Bologna, che dopo
sessanta anni di indefessa attività, durante la quale ha investigato
ogni angolo della pittura napoletana dalle origini, ha recentemente
organizzato una esaustiva mostra su Antonello da Messina.
Con Raffaello Causa in accesa quanto rispettosa competizione,
percorse le tappe del cursus honorurn. Furono per trenta e più anni
i numi tutelari degli studi, sulle arti figurative meridionali,
felice connubio tra amministrazione dello Stato ed università, a tal
punto da essere definiti, giustamente, i due Dioscuri. Vi furono poi
per entrambi l'incontro con il gran maestro. Il Longhi, che da
Firenze pontificava sull'arte europea ed aveva aperto quella
leggendaria palestra intellettuale costituita dalla rivista
Paragone, della cui redazione faranno parte assieme alla crema della
intellighenzia italiana: Arcangeli, Bologna, Briganti, Gregori,
Toesca, Volpe e Zeri.
Nel cenacolo, dominato dalla figura incontrastata del sovrano, si
parlava un linguaggio forbito, una vera e propria lingua con
desinenze particolari. A parte il lessico del Longhi, inimitabile,
si oscillava dal periodare del Briganti, che in età matura sarà la
stella di un grande quotidiano italiano, alla costruzione della
frase sontuosa e neo proustiana di Arcangeli.
La pittura napoletana ha potuto godere di intonati cantori, che ne
hanno permesso una conoscenza da parte di un pubblico
internazionale, attraverso una serie ininterrotta di mostre di
inusitato spessore culturale, partite da Napoli per approdare nei
più celebri musei del mondo.
Sotto il regno di Causa si partì con Civiltà del settecento, seguita
dalla memorabile mostra sul Secolo d’oro, mettendo così in moto un
circuito virtuoso che non accenna a fermarsi e che fa di Napoli una
indiscussa capitale delle arti figurative.
Caravaggio: Sette opere di misericordia (Napoli)
Parata militare per la mostra sui tre secoli della pittura a Napoli
il re Vittorio Emanuele in visita alla mostr
Tutto cominciò nel 1938 con la mostra della Pittura Napoletana del
600-700-800, tenutasi nelle austere sale del Maschio Angioino e
fortemente voluta da Mussolini.
La mostra di Napoli nacque dall’idea del geniale e ambiguo Ugo
Ojetti, Accademico dell' Italia fascista e animatore culturale, che
capì come dalla mostra di Firenze sul Seicento e Settecento in
Italia (1922) potesse nascere una rassegna sui secoli dell'arte
migliore di Napoli. Tale visione è all' origine di tutte le
ricostruzioni successive, che hanno posto i «Tre secoli» al centro
della storia delle arti a Napoli con esiti controversi: da un lato
il lungo oblio di quasi tutto ciò che in città risale a prima del
Seicento, e anche di quanto continuò a prodursi dopo l'Ottocento
fino al 1938. Dall'altro lato l'aporia - tipica del fascismo - tra
la retorica vuota e l'organizzazione, ben più efficiente di quella
di oggi; lo iato tra il mix ideologico che alimentava la politica
culturale del regime e il peso dei contributi in catalogo, con cui
generazioni di studiosi si sarebbero misurate nei decenni
successivi.
Il catalogo della mostra, mai ristampato, costituisce un libro cult,
una chicca antiquariale che non può mancare dalla biblioteca dei
napoletanisti e che ricordo, dopo lunghe ricerche, riuscii ad
acquistare per un milione.
I tre curatori: Sergio Ortolani, Costanza Lorenzetti e Michele
Biancalana stilarono dei saggi sui quali si sono confrontate
generazioni di studiosi ed intellettuali, generando l'immagine
attuale della pittura del Seicento. Immagine perpetuata in mostre,
libri, saggi infittitisi dal dopoguerra ad oggi in un sedimento di
filologia, acquisizioni, ma anche ritorni indietro dei lavori di
studiosi giovani e di lungo corso.
La mostra di Napoli fu un unicum per la Città ma non per la vita
italiana del tempo. La sola mostra su Augusto Imperatore (Roma,
1937) fa capire come il Fascismo producesse eventi fondati sulla
retorica e la demagogia ma affidati a studiosi, curatori, tecnici di
primo piano, in grado di produrre ricerche di grande portata
scientifica. Piaccia o no, in molti ambiti - compresa la storia
dell'arte - dopo l'ultima guerra si ricominciò da dove il Fascismo
era stato interrotto. Ed è triste prendere atto come gli eventi
culturali abbiano fatto passi indietro nella considerazione sociale
dell’Italia dei nostri giorni, che vergognosamente annovera ministri
i quali perentoriamente affermano che “con la cultura non si mangia”
Caravaggio: Flagellazione (Napoli)
Bruno Molajoli
Causa con Pertini
Ferdinando Bologna
Ugo Ojetti
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