Cap.10
Mattia Preti tra Caravaggio e Luca Giordano
fig.01-Autoritratto
La più grande esposizione sul Cavaliere
calabrese, alias Mattia Preti, si terrà presso la reggia di Venaria
dal 16 maggio al 15 settembre a cura di Vittorio Sgarbi e Keith
Sciberras.
La mostra copre anche il periodo maltese, ritenuto più modesto dalla
critica e quasi completamente sconosciuto agli appassionati, una
fase durata quasi 40 anni, dal 1661 al 1693, perché l’artista non
riuscendo a reggere il confronto col Giordano, si ritirò nella
“Piccola isola dalla grande storia” dove, coadiuvato da una fiorente
bottega, continuò la sua attività, inviando opere in tutta Europa
per committenti anche di alto rango.
Primo grande interprete della pittura barocca che viene a
interrompere definitivamente alla metà del secolo, il corso del
naturalismo napoletano, è Mattia Preti (fig. 1) (Taverna 1613-Malta
1699), detto il Cavalier calabrese perché Cavaliere di Malta dal
1642. Dopo un primo soggiorno a Napoli si stabilì a Roma
(1630-1656), compì viaggi in Italia settentrionale (a Modena nel
1652-1653 dipinse cupola e coro di San Biagio). A Roma dove lasciò
molte opere (affreschi in San Carlo ai Catinari, 1642, e in
Sant’Andrea della Valle, 1651), Mattia Preti fu direttamente
partecipe di quel felice momento di fervore innovativo, di
incontro-scontro di tendenze e di idee e che accompagna il primo
fiore del barocco romano. Esperienza ben presente nella sua arte,
che è stata definita “geniale trasposizione in campo barocco dei
principi formali del caravaggismo”. Il Preti si avvale infatti degli
effetti di luce particolare e radente, ma li applica in funzione
dinamica a composizioni affollate di personaggi in continuo
movimento su fondali di cielo tempestoso o di scenografie
architettoniche in un ricchissimo repertorio di variazioni
luministiche, lampanti nella “Resurrezione di Lazzaro” (fig. 2)
conservata a Roma nella Galleria Nazionale di Arte Antica o nel
“Convito di Baldassarre” (fig. 3) e nel “Convito di Assalonne” del
Museo di Capodimonte, che dedica un’intera sala al sommo pittore.
fig.02-Resurrezione di Lazzaro
fig.03-Convito di Baldassarre
La fase napoletana è la più pregnante del suo percorso artistico,
ricca di capolavori, mentre la gamma cromatica della sua tavolozza,
come in passato era capitato ad Artemisia, vira vigorosamente verso
colori rossiccio bruni, cianotici, con volti sofferenti ai limiti
dell’anossia.
In passato si credeva che il suo soggiorno all’ombra del Vesuvio
fosse durato solo 4 anni, viceversa copre dal 22 marzo 1653, data
indicata su una polizza di pagamento, al settembre del 1661, quando
si trasferisce definitivamente a Malta, dopo esserci stato 3 mesi
nel 1659, per favorire l’accettazione della sua pratica come
Cavaliere di Grazia.
Appena nell’”Isola dei Cavalieri” fu subito attivo nella decorazione
della co-cattedrale di San Giovanni Battista a La Valletta, per la
quale aveva già inviato da Napoli alcune tele: intorno al 1656 il
“San Giorgio con il drago”(fig.4), un “San Francesco Saverio” nel
1658, per la cappella d’Aragona e nel 1659 un “Martirio di Santa
Caterina” (fig.5) per la chiesa della nazione italiana.
fig.04-S.Giorgio e il drago
fig.05-Martirio di S.Caterina
Numerose sono le opere da ricordare eseguite durante gli anni
napoletani, tra queste spiccano il grandioso soffitto cassettonato
(fig.6) con “Storie di San Pietro Celestino e Santa Caterina” nella
chiesa di San Pietro a Maiella e soprattutto il ciclo di affreschi
sulle porte di Napoli con il drammatico groviglio di corpi,
provocato dalla peste del 1656, un documento impressionante, di cui
purtroppo è rimasta una labile traccia, sotto una coltre di
sudiciume, nella decorazione di Porta San Gennaro (fig.7),
fortunatamente ci sono giunti due splendidi bozzetti preparatori
(fig. 8), dai colori squillanti, conservati nella sala Preti della
pinacoteca napoletana.
fig.06-Storie di S.Pietro Celestino
fig.07-La Vergine e i Santi patroni
fig.08-Bozzetto per la Peste
E ci sia permesso citare una nostra scoperta: una chicca preziosa
custodita nella sacrestia della chiesa di San Francesco d’Assisi a
Forio d’Ischia. Si tratta di una spettacolare “Pietà” (fig.9), dai
colori lividi e cianotici, da assegnare senza ombra di dubbio a quel
gigante del secolo d’oro che fu Mattia Preti. In passato la critica
si è distrattamente occupata del dipinto foriano adombrando
l’ipotesi che potesse trattarsi di una copia; ma sia le figure
femminili che il volto del Cristo mostrano una morbidezza di tocco
ed una preziosità materica che, vanamente potremmo pretendere dalla
mano di un copista, anche se molto abile. Se vogliamo invece vedere
una copia di questa tela autografa, dobbiamo recarci al Prado, dove
potremo ammirare lo stesso soggetto, ma di minore qualità, replicato
da uno dei più noti allievi ed imitatori del Preti: lo spagnolo
Pedro Nugnez de Villacencio. Quanto siamo ricchi e spreconi noi
napoletani! Conserviamo chiusa e non visitabile una tela di uno dei
grandi maestri del Seicento europeo, mentre all’estero, in uno dei
più celebri musei del mondo, espongono la copia.
fig.09-Pietà
Passiamo ora ad esaminare la fase maltese del Preti, la quale
richiede una visita extra mostra, costituita dal grandioso impianto
decorativo della co-cattedrale di San Giovanni Battista a La
Valletta, premettendo che ci farà da bussola l’esaustivo studio
dell’architetto Costanzo, il quale ha dedicato all’argomento un
corposo capitolo nel suo monumentale volume” Pittura tra Malta e
Napoli nel segno del Barocco”.
Questo ciclo di affreschi (figg. 10-11)rappresenta l’apice della sua
maturazione figurativa, memore delle esperienze romane e napoletane.
La tematica ricorrente è in linea con le indicazioni della
rappresentazione sacra post-tridentina. L’agiografia giovannea
illustra con cura l’apoteosi dell’ordine che sconfigge l’eresia, in
una corale apoteosi della religione controriformista.
Gli scenari neoveneti rappresentano lo sfondo ideale nelle Storie di
San Giovanni, rivisitate secondo un gusto decorativo ispirato alla
luminosità veronesiana, con l’inserimento di echi caravaggeschi e
stilemi caraccioleschi nella definizione volumetrica delle figure.
fig.10-Battesimo di Cristo
fig.11-Flagellazione di Cristo
A questo sommo capolavoro si affianca una vasta produzione di tele a
carattere religioso, in gran parte presenti in mostra, come
l’”Eterno Padre”, il “Battesimo di Cristo” (fig. 12) e
l’”Incredulità di San Tommaso”, normalmente conservate Museo
Nazionale di Belle Arti. Ricordiamo inoltre il “San Giorgio e il
drago”, realizzato nel 1678 nella Basilica di San Giorgio, a
Victoria, il pregiatissimo “Matrimonio mistico di S. Caterina”
(fig.13) nella cappella d’Italia della co-cattedrale ed infine tra
le ultimissime opere “La guarigione del padre di San Publio” della
cattedrale di San Paolo a Mdina ed il “San Pietro Penitente” del
Museo del Collegio Wignancourt a Rabat.
E concludiamo sottolineando quanto l’influenza del Preti si
estenderà ad un valido gruppo di pittori locali, tra cui Giacchino
Loretta e Giovanni Paolo Chiesa, attivi nella sua bottega, mentre al
suo decorativismo si accosteranno Giuseppe Arena, Carlo Gimach e
Gian Nicola Buhagiar.
fig.12-Battesimo di Cristo
fig.13-Matrimonio mistico di S.Caterina
Bibliografia
-
della Ragione A. – Il Secolo d’oro della
Pittura Napoletana (10 volumi)1998-2001
-
della Ragione A.– Ischia Sacra. Guida alle
chiese– Napoli 2005
-
Costanzo S.– Pittura tra Malta e Napoli nel
segno del Barocco– Napoli 2011
-
della Ragione A.- La pittura del Seicento
napoletano (Repertorio fotografico a colori). Tomi 1-2– Napoli
2011
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