Cap.49
Il mago della fotografia
Mimmo Jodice
Il bianco e nero dei grandi fotografi è agli antipodi del colorismo
bulimico che caratterizza i nostri giorni. Dalla fotografia alla
fotomanìa, è l’effetto del passaggio dall’analogico al digitale. Dai
pochi fotogrammi di una volta che fissavano la storia in un lampo di
luce, agli attuali 375 miliardi di immagini scattate ogni anno nel
mondo, che polverizzano la storia.
Vi è un abisso tra la sobria essenzialità del bianco e nero ed il
diluvio di immagini che ambiscono ad immortalare ogni momento
dell’esistenza.
L’effetto è uno tsunami di pixel che si riversa quotidianamente sul
web.
Le 200 milioni di foto caricate ogni giorno su Facebook, per un
totale di 6 miliardi al mese e settanta all’anno, diventano un
accumulo ingestibile di ricordi che disperde la memoria in un
eccesso di particolari: volendo fissare tutto, si travolge ogni
ricordo.
Era d’obbligo questa premessa per presentare il lavoro di colui che
è stato in grado di fissare la luce: Mimmo Jodice, uno dei grandi
nomi della storia della fotografia italiana. Vive a Napoli, dove è
nato nel 1934.
Fotografo di avanguardia fin dagli anni Sessanta, attento alle
sperimentazioni ed alle possibilità espressive del linguaggio
fotografico, è stato protagonista instancabile nel dibattito
culturale che ha portato alla crescita e successivamente all’
affermazione della fotografia italiana anche in campo
internazionale.
Da ragazzo ama l’arte, il teatro, la musica classica e il jazz; da
autodidatta si dedica al disegno ed alla pittura. Agli inizi degli
anni Sessanta scopre la fotografia. Inizia allora una serie di
sperimentazioni sui materiali fotografici e sulle possibilità della
fotografia, non come mezzo esclusivamente descrittivo, ma come
strumento creativo.
Durante questi anni Mimmo Jodice vive a stretto contatto con i più
importanti artisti delle avanguardie che frequentavano Napoli in
quegli anni: Wahrol, Beuys, De Dominicis, Paolini, Kosuth, Lewitt,
Kounnellis, Nitsch e molti altri. Particolarmente sensibile alle
nuove idee, si dedica sempre più alla fotografia creativa.
Nel 1970 è invitato a tenere corsi sperimentali all’Accademia delle
Belle Arti di Napoli, dove poi insegnerà Fotografia fino al 1994. Le
sue prime mostre sono al Palazzo Ducale di Urbino nel 1968 ed al
Diaframma di Milano nel 1970: quest’ultima, dal titolo Nudi dentro
Cartelle Ermetiche, aveva un piccolo catalogo con una prefazione di
Cesare Zavattini.
Nel 1980 pubblica Vedute di Napoli: in questo libro Jodice avvia una
nuova indagine sulla realtà, lavorando alla definizione di uno
spazio urbano vuoto ed inquietante di metafisica memoria.
Questa ricerca segna una svolta nel suo linguaggio: le sua
fotografie saranno sempre più lontane dalla realtà e sempre più
immerse in una dimensione visionaria e silenziosa.
Nel 1981 partecipa alla mostra “Expression of Human Condition” al
San Francisco Museum of Art con Diane Arbus, Larry Clark, William
Klein, Lisette Model. In seguito, sue personali vengono presentate
in prestigiose gallerie e nei musei più importanti del mondo, da New
York a Dusseldorf, dal Louvre di Parigi alla Galleria Nazionale
d’Arte Moderna di Roma, da San Paolo del Brasile alla sua Napoli,
dove espone, al Museo di Capodimonte, nel 1998 e nel 2008.
Nel 2003 dall’Accademia dei Lincei riceve il prestigioso “Premio
Antonio Feltrinelli”, dato per la prima volta alla Fotografia. Nello
stesso anno, il suo nome è inserito nell’Enciclopedia Treccani. Nel
2006 l’Università Federico II di Napoli gli conferisce la Laurea
Honoris Causa in Architettura.
Per Mimmo Jodice il percorso artistico nasce a Napoli, sua città
natale. Le sue fotografie sono un’indagine socio antropologica sulla
cultura popolare, la ritualità, la vita quotidiana delle
persone. Durante gli anni Sessanta, svolge ricerche su molti temi:
dalle feste ed i rituali religiosi del mondo popolare del Sud ai
problemi della sanità e della malattia mentale, dalla scuola alla
reclusione, dal lavoro all’emarginazione sociale nella grande
periferia napoletana. La sua fotografia sociale non si colloca però
nel quadro del reportage tradizionale. L’attenzione di Jodice si
rivolge più allo scenario che all’azione, più alla maschera ed al
gesto che all’evento in corso: più che raccontare, punta ad
organizzare il campo visivo ed a studiare il valore simbolico della
luce e degli spazi nei quali si muovono le figure. Negli anni
Ottanta le figure e le storie degli uomini escono di scena e nelle
fotografie resta soltanto la città vuota (Napoli ed altre città e
territori italiani ed europei) come metafisico contenitore.
Verso gli anni Novanta il suo lavoro si orienta verso uno studio
profondo ed appassionato delle impronte del passato sul presente e
delle radici lontane della cultura mediterranea. Il presente diventa
spessore di cose passate, il paesaggio diviene luogo della memoria e
tutto il lavoro di Jodice acquista il significato di una ricerca
delle origini.
L’ultimo suo libro, Le savoir sur la falaise (Electa, Napoli), è un
vero capolavoro: il presidente Napolitano ha voluto riceverlo per
congratularsi personalmente con lui.
Napoli è più facile riconoscerla che conoscerla perché è una delle
città più rappresentate del mondo. Pittura, letteratura, cinema,
fotografia ne hanno fatto un deposito di mitologie positive e
negative. Nella metropoli vesuviana è possibile vedere tutto ed il
contrario di tutto, il bello e l’orribile.
Mimmo Jodice, uno dei più grandi fotografi del mondo, si è
addentrato nel cuore femminile della città per farcene conoscere,
attraverso settantacinque scatti, la sua parte migliore. Lo ha fatto
oltrepassando le alte mura seicentesche del convento di Suor Orsola
Benincasa.
Le savoir sur la falaise, infatti, racchiude la storia di un’immensa
cittadella monastica che, alla fine dell’Ottocento, si era aperta al
sapere ed alla cultura laica, diventando la prima università libera
del nostro Paese, con il fine, in notevole anticipo sui tempi, di
contribuire all’emancipazione delle donne del Sud. L’idea era
partita dalla principessa Adelaide Pignatelli e dalla femminista
Antonietta Pagliara, prima italiana a vestire gli abiti delle
suffragette inglesi e primo Rettore donna della storia nazionale.
Oggi, questo sconfinato labirinto barocco fatto di corridoi a
perdita d’occhio, refettori imponenti, ambulacri sorprendenti,
giardini lussureggianti, cappelle silenziose, scale vertiginose,
chiostri favolosi, ipogei misteriosi, viene restituito in tutta la
sua bellezza dall’obiettivo di questo maestro della visione, che
insegue il filo secolare che lega passato e presente di quest’oasi
aristocraticamente partenopea, falaise luminosa consacrata al
sapere, come l’ha definita uno dei più grandi storici dell’arte:
André Chastel, professore al Collège de France, stregato
dall’incanto della cittadella come lo erano stati prima di lui
Benedetto Croce, Marussia Bakunin, Giuseppe Mercalli, Nicola
Zingarelli ed altri grandissimi del Novecento che hanno tenuto corsi
nelle aule di quest’antico eremo che oggi ospita quattordicimila
studenti italiani e stranieri.
Gli scatti di Mimmo Jodice mostrano le tracce materiali di questa
eredità vivente, trasformando in immagini che raccontano più e
meglio di cento libri una storia densa e stratificata perché la sua
arte del vedere, che nasce dall’avanguardia e dalla sperimentazione
degli anni Sessanta, entra in sintonia con lo spirito che aleggia
nella cittadella, nata per le donne, che da alcuni anni ha aperto
anche agli uomini. Jodice si muove nel dedalo del Suor Orsola come
un viaggiatore incantato, in cerca di immagini capaci di spalancare
le porte del tempo che fanno irrompere il passato nel presente. Con
il suo bianco e nero, coglie l’anima del luogo fotografando in
controluce anche il profilo di una Napoli che non finisce mai di
sorprenderci.
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