Cap.48
Lo scrittore operaio
Erri De Luca
Erri De Luca nasce nel 1950 a Napoli in una famiglia della media
borghesia.
Dopo gli studi al Liceo Umberto si trasferisce a Roma dove abbraccia
l’azione politica, respingendo la carriera diplomatica alla quale
era avviato. Negli anni ‘70 è dirigente attivo del movimento
d’estrema sinistra Lotta Continua. Sarà in seguito operaio
qualificato alla FIAT, magazziniere all’aeroporto di Catania,
camionista e muratore: come tale lavorerà in cantieri francesi,
africani ed italiani. Benché non avesse smesso di scrivere dall’età
di vent’anni, il suo primo libro, Non ora, non qui, è pubblicato in
Italia soltanto nel 1989. Ha praticamente quarant’anni al momento di
questa prima pubblicazione e continua a lavorare nell’edilizia.
Durante la guerra nella ex Iugoslavia, è conducente di convogli
umanitari per la popolazione bosniaca. Autodidatta, ha imparato
numerose lingue tra cui l’yiddish e l’ebraico per tradurre la
Bibbia, alla quale dedica ogni giorno un’ora di lettura, anche se si
dichiara non credente.
Ha ricevuto, in Francia, il premio France Culture nel 1994 per
Aceto, arcobaleno, il Premio Laure Bataillon nel 2002 per Tre
cavalli (congiuntamente alla sua traduttrice francese, Danièle Valin)
ed il Femina Étranger, ugualmente nel 2002, per il romanzo
Montedidio. E’ collaboratore de Il Mattino, La Repubblica, Il
Manifesto ed altri quotidiani. Per la sua compagna, la brigatista
Barbara Balzerani, ha scritto Ballata per una prigioniera.
Vive nella campagna romana ed è amante della lettura. Suoi libri
preferiti sono La montagna di Thomas Mann ed il Don Chisciotte di
Cervantes.Nel 2003 ha fatto parte della giuria del Festival di
Cannes.
Nel 2011 partecipa alla trasmissione Che tempo che fa di Fabio
Fazio, dove ha presentato l’ultimo libro I pesci non chiudono gli
occhi edito da Feltrinelli.
Erri De Luca ha esordito come poeta nel momento in cui la sua
consacrazione ad autore di culto è già avvenuta. Nel 2002, a 52
anni, la collana “bianca” di Einaudi pubblica Opera sull’acqua, sua
prima prova poetica. Nei lavori di De Luca compaiono spesso le
figure di Cristo e della Madonna, in special modo ne In nome della
madre (Feltrinelli 2006), racconto in prosa cui si alternano, non a
caso, all’inizio ed alla fine, alcuni componimenti in versi. Il
senso paolino della croce come “scandalo”, pietra d’inciampo, è
perfettamente rivissuto dallo scrittore, che da non credente
dichiarato, non può essere tacciato di devozionismo e racconta la
storia di Cristo quasi come una provocazione mentre la Madre, che
già conosce il destino che Dio ha riservato loro, si sforza
umanamente di tenerlo all’oscuro della storia, proteggendolo dalla
sua stessa identità divina, per farne solo un bambino come gli
altri.
Nella poesia inedita Pietre c’è ancora un richiamo a Gesù, lo
sconosciuto accovacciato in terra che invita chi è senza errore a
tirare per primo la pietra di lapidazione:
“Pietre
So le pietre da lanciare, in pochi contro molti
e ho visto pietre contro armi da fuoco.
Ho maneggiato pietre sui cantieri
ho abbattuto pareti, costruito case.
Ci sono stati giorni per lanciare pietre
e gli anni per rinchiuderle nei muri.
Ma non conosco le pietre di lapidazione
scagliate all’indifeso.
Chi è senza errore, tiri lui la prima,
disse lo sconosciuto accovacciato in terra.
Chi è senza errore: non chi si è dato autorità di legge.
Chi è senza errore ha diritto di alzarsi per colpire.
Chi è senza errore: perchè non lo farà.
Chi lancia pietre di lapidazione profana il regno minerale,
la materia di vulcani e stelle,
il letto dei fiumi e i frantumi dei fulmini.
Chi lancia pietre di lapidazione
possa il suo braccio irrigidirsi in pietra
e lui sia maledetto di rimbalzo”.
Pietre è un inno contro la guerra. E la guerra De Luca l’ha
conosciuta nella ex Jugoslavia, dove si è recato per essere
“volontario muratore di pace”, descrivendo l’emozione provata a
Mostar, sul ponte assurto a simbolo di quell’assurdo conflitto: "Fu
a causa del ponte. Vengo da una città di mare, senza fiumi, il ponte
per me era una figura astratta della geometria e la sagoma rara
dell’ arcobaleno. Sapevo dalla narrativa che ci dormivano sotto
quelli senza riparo. Poi in una città lontana dalla mia, ne
attraversai uno a piedi, affacciandomi al parapetto per vedere la
corrente. L’ ho amato subito, al primo passaggio e a prima vista. Ho
amato le sue zampe piantate una di qua e una di là a saltare lo
sbarramento delle acque. Fu a causa del ponte, di quello distrutto
dai Croati di Mostar ovest, fu quell’ abbattimento che mi agitò e mi
prese per il bavero. Era un antico manufatto musulmano, in pietra
bianca, la perfetta parabola di un sasso lanciato da una sponda e
caduto sopra quella opposta. Era lo Stari Most, il Vecchio Ponte di
Mostar est, la sponda musulmana. Aveva quattro secoli di tuffi, di
piedi che staccavano lo slancio dal suo bordo per infilarsi nella
schiuma verde della Neretva, dopo quindici metri circa di caduta. I
musulmani della sponda est avevano cercato di proteggerlo,
rivestendolo di copertoni di camion. Era diventato una barca coi
parabordi fuori: questo è il suo ultimo fotogramma, prima dello
schianto, in un giorno di novembre del ‘ 93. Eretto dai turchi nel
1556, il maestoso Ponte di Mostar crollò il 9 novembre 1993 per un
colpo di mortaio esploso dalle truppe croato-bosniache. Lungi dal
costituire un obiettivo strategico, lo Stari Most era il simbolo
della convivenza pacifica tra le due parti della città, quella
croata e quella musulmana. I lavori di ricostruzione sono cominciati
il 7 giugno del 2002 e il nuovo ponte sul fiume Neretva è stato
inaugurato il 23 luglio 2004”.
Notevole è il nuovo lavoro di Erri De Luca, Il giorno prima della
felicità, (Feltrinelli), romanzo sulla Napoli che si ribella. E’ un
contenitore di storie che ruota intorno al rapporto paterno tra un
orfano dei Quartieri nei primi anni ‘50 ed il portiere del suo
palazzo, don Gaetano. Il ragazzo, "lo Smilzo", apprenderà dal suo
maestro quel che c’è da sapere per cavarsela, ma anche
l’appartenenza al popolo della sua città. Una specie di "iniziazione
della coscienza". Le storie di don Gaetano danno luce alla storia
del ragazzino, monca di memoria. Sullo sfondo la Napoli delle
Quattro Giornate, che si ribella e conosce la libertà, una città
diversa ed opposta rispetto all’attuale, dove la politica trova poco
spazio ed è difficile combattere "contro un nemico che è Napoli
stessa".
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