Cap.35
Un eroe dimenticato da non dimenticare
Riccardo Monaco
Per decenni il nome di Riccardo Monaco (Napoli 1912-1994) ha evocato
in migliaia di signore e signorine….lo spettro turbinoso di
angosciose esperienze da dimenticare seppellendole nei più remoti
recessi dell’inconscio; nello stesso tempo ha rappresentato l’ unica
ancora di salvezza per tante che avevano sbagliato…, a tal punto da
dar luogo alla famosa canzoncina il cui ritornello somiglia ad una
parola d’ordine: “Hai fatt’ u’ mpiccio? Và addò Monaco che to ffa
passà”.
Non trascureremo certo questo aspetto da Mister Hyde nel
tratteggiare la biografia del dott. Monaco, anzi aggiungeremo nuovi
particolari ed inedite testimonianze anche personali, ma scopo
precipuo della nostra ricerca è quello di far luce su di una serie
di strabilianti atti di eroismo di cui il Nostro fu artefice,
dimostrando al massimo grado sprezzo del pericolo ed un valore oggi
desueto: l’amore verso la propria Patria.
Su queste imprese avvenute nei tristi cieli della Napoli del’43,
afflitti dalle devastanti incursioni dei bombardieri americani, le
famigerate fortezze volanti, si è a lungo favoleggiato, ma oggi su
questi incredibili atti di disinteressato eroismo e di sconfinata
audacia è sceso un velo di silenzio e quasi nessuno tra le nuove
generazioni, abituate alle imprese… scalcinate di Coccolone nei
cieli iracheni, sa cosa seppe compiere un ufficiale della nostra
gloriosa aviazione, che rispondeva al nome di Riccardo Monaco.
A questa colpevole dimenticanza… non poco ha contribuito la
collocazione politica del Nostro che, per quanto insignito di due
medaglie d’argento e due di bronzo al valore militare (l’oro per la
nostra neonata repubblica, non era certo metallo adatto ad un
fascista ostinato e non redimibile) ha subito la congiura del
silenzio da parte degli organi di informazione governativi
coagulatisi nel dopoguerra sotto la consegna dell’ammucchiata
antifascista nata dalla resistenza, per cui qualunque episodio
benemerito riferito agli anni del ventennio doveva essere rimosso e
dimenticato per sempre.
Scavare nel passato di Riccardo Monaco non è stato facile perché le
stesse memorie storiche del partito, Cantalamessa, Mazzone,
Rastrelli, che pure sono state prodighe nel riferirmi episodi ed
aneddoti, o vecchi amici come la vedova Tesse o il suo fedele
autista, oggi rigattiere domenicale nella villa comunale, non
ricordavano la data degli episodi eroici, né tanto meno l’esatto
svolgersi degli avvenimenti.
Siamo così venuti a conoscenza di manie e passioni segrete, di gusti
e inclinazioni di cui tratteremo nel prossimo articolo, in cui
percorreremo carriera professionale ed impegno parlamentare, dal
dopoguerra alla morte avvenuta il 12 gennaio 1994.
Solo dopo pazienti ricerche è stato possibile rintracciare le
figlie, Paola e Gabriella, trasferitesi da decenni nel nord Italia e
la nipote Vanda, figlia dell’unico fratello, da tempo residente in
Svezia ed a lungo consigliere regionale negli anni Settanta del
partito comunista; da cui memorabili battaglie verbali col famoso
zio, alfiere dei missini.
Ed infine fortunose circostanze ci hanno messo sulle tracce di un
nipote prediletto ed affezionato alla memoria del nonno, di cui
porta anche il nome, il professor Riccardo Fenizia docente di
filosofia nei licei della nostra città e custode di cimeli, ricordi,
foto, diari etc, che gentilmente ci ha permesso di consultare e di
rendere noti ed il cui prezioso aiuto ha reso esaustiva la nostra
ricerca.
Più complicato è stato recuperare la documentazione militare, anche
per il trasferimento dell’ archivio dell’aeronautica a Roma, ma alla
fine, grazie anche alla lettura in emeroteca di tutti i giornali
dell’epoca, non solo italiani, tutta la carriera militare è stata
ricostruita giorno dopo giorno con grande precisione e ne è
scaturito il profilo di un personaggio che nulla ha da invidiare a
gloriose leggende della nostra aviazione da Gabriele D’Annunzio a
Francesco Baracca, famosissimo pilota da caccia nella prima guerra
mondiale, il quale abbatté 34 aeroplani nemici in 63 combattimenti
aerei; ed allora il nostro Riccardo che di aeroplani ne ha abbattuti
tanti di più!!! come mai è stato completamente dimenticato? Infatti
dallo spulcio dei suoi libretti personali di volo fino al 15 marzo
1943 risultavano distrutti dal tenente Monaco, tra apparecchi
abbattuti in combattimento o annientati al suolo ben 61 velivoli,
oltre a 29 sui quali non vi era certezza.
Il velivolo al quale il nostro eroe era più legato era il BA-65, un
apparecchio sperimentale all’epoca in cui egli, come ufficiale
pilota volontario, partecipò nel 1937-‘38 alla guerra di Spagna, ma
egli era abilitato ed esperto di ben altri 22 tipi di aerei in
dotazione alle nostre forze armate dal 1934, data in cui conseguì
giovanissimo il brevetto presso la squadriglia di turismo aereo
dislocata nell’aereocentro “Miraglia alla Runa”, fino al 17 luglio
del 1943 quando, a bordo di un D.520 traditore, un incidente in fase
di decollo non gli procurò ferite tali da dover abbandonare i
combattimenti, residuandone un’ invalidità di 7°categoria.
E ferito lo rintracciarono gli americani, nostri improvvisati
alleati…,che lo internarono durante la loro occupazione! per oltre
due anni fino al 1946, facendogli conoscere prima il carcere di
Poggioreale e poi i campi di concentramento di Padula, Terni e
Riccione. La passione per il volo del giovane Riccardo era tanto
forte da superare indenne la paura di un salvataggio con paracadute,
quando in località Vomero, il 6 settembre 1934 (dodicesimo dell’era
fascista) un’avaria dei motori lo costrinse a sperimentare il famoso
“Salvator D-30”, il paracadute efficacemente in dotazione per anni
alla nostra aeronautica. La sua carriera di ardito combattente ha
inizio l’11 giugno del 1934, allorché viene nominato pilota
premilitare ed ammesso alla scuola di Capodichino Volerà per
centinaia di ore tra ricognizioni e combattimenti, prima in Spagna e
poi nel 1940 in Albania, in Russia e sui cieli della Patria per un
totale, al secondo semestre del 1943 di 583 ore e 25 minuti!!Sarà
presente anche in Africa ma mancherà la benzina per i nostri aerei
che rimarranno inattivi. Degli aerei abbattuti abbiamo già
accennato, ma prima di descrivere il suo episodio eroico più
importante vogliamo ricordare una confessione che Riccardo fece al
senatore Rastrelli, e da questi riferitaci, che ci illumina sul suo
carattere indomito e sulla sua proverbiale furbizia che conservò
anche nei lunghi anni del dopoguerra: “Molti, quasi tutti, amano il
sole, fonte di vita e di prosperità, ma io prediligo le nuvole,
perché spesso è grazie a loro che ho ottenuto la salvezza”. Infatti
la tecnica di combattimento del tenente Monaco, il quale era
costretto con un piccolo per quanto agile aeroplano, spesso da solo,
a misurarsi con le superfortezze americane, i giganteschi Liberator,
che avevano a bordo da 7 a 11 persone, consisteva nel colpire
velocemente, rifugiandosi poi momentaneamente tra nuvole
provvidenziali per ricolpire all’improvviso con rinnovata energia.
E giungiamo così al fatidico 11 gennaio 1943, il giorno della grande
impresa eroica, degna di essere tramandata ai posteri e viceversa
sepolta colpevolmente nella dimenticanza e nell’oblio più assoluti.
Dal bollettino n. 962 emesso nel pomeriggio del 12 gennaio 1943 dal
Quartier generale delle Forze Armate veniamo a sapere che:
“Un’incursione è stata compiuta nel pomeriggio di ieri su Napoli e
dintorni; danni non rilevanti: nel crollo di alcuni edifici civili
la popolazione ha subito perdite finora accertate in 23 morti e 65
feriti. Tali apparecchi risultano caduti: due nella provincia di
Salerno (presso le località di Acerno e Calvanico san Cipriano) uno
a Lioni (Avellino) e il quarto in mare tra Ischia e Procida. Alcuni
dei componenti degli equipaggi sono deceduti, altri sono stati
catturati”. La notizia dell’ episodio rimbalzò non solo sulle prime
pagine di tutti i giornali italiani ma anche all’estero come, da noi
rintracciato, sull’ungherese Pester Lloyd che esaltò su nove colonne
“I cacciatori del Vesuvio a difesa dei cieli di Napoli”.
E seguiamo la descrizione del combattimento avvenuto nei nostri
cieli attraverso la penna dell’anonimo redattore del “Roma” del 13
gennaio 1943: “Un cacciatore isolato attaccava audacemente i
quadrimotori tra Napoli e Caserta riuscendo a mitragliare
violentemente il veicolo capopattuglia, poscia impegnava l’ultimo
apparecchio di destra della formazione, che dopo alcune raffiche di
mitragliatrice si incendiava e può considerarsi probabilmente
abbattuto”. Di rimando il “Mattino” dello stesso giorno traccia un
profilo, pubblicandone una foto, del valoroso “Tenente Monaco,
napoletano, da solo ha affrontato una formazione di ben quattro
plurimotori nemici, abbattendone due. Egli è un professionista, un
medico, che vinto giovanissimo dalla passione del volo prese il
brevetto di pilota presso la squadriglia dell’aereocentro “Miraglia
alla Runa”. Ha combattuto volontariamente in terra di Spagna,
Africa, Russia. È decorato di due medaglie al valore, è padre di due
care creature Gabriella e Paola”. Sull’episodio la stampa americana
fu viceversa ben più cauta, tanto da nascondere, nei primi tempi,
completamente la notizia, salvo doverla riferire quando si seppe che
alcuni componenti dei Liberator abbattuti si erano salvati ed erano
stati fatti prigionieri. Un esemplare caso di disinformazione a fini
propagandistici precorrente le censure di oggi a riguardo dei raid
sull’ Afghanistan o di ieri sui deserti iracheni; manovra che fu
smascherata dal “Mattino” del 19 gennaio a pagina 4:“Spudorate
menzogne americane sul bombardamento di Napoli da parte di
apparecchi Liberator del 9° corpo dell’aviazione statunitense”.
Il combattimento si svolse a 500 metri di quota e fu seguito da
molti altri nei giorni e nei mesi successivi, esitandone
l’abbattimento di altre superfortezze americane, come abbiamo potuto
appurare dall’attento esame dei libretti di volo del tenente Monaco,
conservati gelosamente dal prediletto nipote Riccardo. Una
straordinaria imperitura testimonianza di quel giorno glorioso è
rappresentata da un pugnale d’argento, regalato a Monaco da un
prigioniero americano ed oggi conservato dalla figlia Paola.
Seguiranno circa 50 anni di vita civile con un impegno nella
professione e nella politica, un lungo periodo che esamineremo nel
prossimo articolo dettagliatamente, ma che non muteranno il
carattere dell’uomo, “Un fascistone come non ne esistono più”,
ricorda commossa la signora Onda, nume tutelare da sempre del gruppo
senatoriale di AN. Il richiamo più stringente al suo animo indomito
è scolpito nella struggente poesia che gli dedicò l’amico più caro,
il costruttore Enzo Tesse, che fa da epitaffio alla sua pagellina
funebre: Addio Riccardo oggi tu voli alto tanto più alto dei cieli
che ti erano familiari ….oggi tu ti allontani nei cieli
dell’eternità ma altri giovani e in tanti proseguiranno sulla strada
da te tracciata Addio Riccardo….
E passiamo ora ad esaminare la carriera medica del nostro Riccardo,
il quale, già laureato ed iscrittosi alla scuola di
specializzazione, non trova nessuno tra i maestri dell’ostetricia
napoletana che gli voglia insegnare realmente la professione, per
cui, involontariamente…, fu costretto a ripiegare sul mercato degli
aborti clandestini, allora, e non solo allora, fiorentissimo per
l’assurdità di una legge ottusa, accolta poi nel codice Rocco,
ispirata alla protezione della stirpe, che comminava pesanti pene
detentive, sia alla donna che si sottoponeva all’interruzione
volontaria della gravidanza, sia al sanitario che gliela procurava.
Sono gli anni in cui la tecnica si basava sul famigerato
raschiamento, spesso eseguito senza alcuna anestesia, che, se
praticato da mani poco esperte poteva arrecare terribili
conseguenze.
E’ l’epoca delle famigerate “mammane”, del “laccio” e per le donne
della buona borghesia, dei “cucchiai d’oro”, e Monaco era uno di
questi, conosciuto in tutto il meridione con frotte di clienti che
si affollavano nel suo elegante studio di via Caracciolo 13,
nonostante le sue tariffe, oscillanti dalle 500 mila lire al milione
(siamo negli anni ’60-’70!) non fossero particolarmente economiche.
Questa sua attività è durata per oltre 40 anni e solo parzialmente
subì un declino dopo l’avvento del metodo Karman (aspirazione) che
non volle mai adottare. Anche negli anni dei suoi mandati
parlamentari, allorchè lavorava solo nel fine settimana, ha sempre
praticato almeno quattro aborti il sabato mattina fino a poco prima
della sua morte.
In questi lunghi anni di professione egli riuscì ad accumulare una
fortuna che gli permetteva di farsi passare ogni sfizio, come
dedicare un intero piano in via Caracciolo per potersi divertire con
i suoi amati trenini elettrici: una superficie di oltre 500metri
quadrati all’ultimo piano, ultrapanoramica, che oggi sul mercato
immobiliare varrebbe non meno di 7-8 miliardi, utilizzata per
trascorrere ore di svago spensierato, interrompendo il ritmo
frenetico del suo lavoro stressante ed avendo talune volte a
compagno di giochi nientepopodimeno che Almirante, venuto
espressamente da Roma come ci confida il vecchio portiere dello
stabile in via Caracciolo 10. Un vero schiaffo alla miseria come gli
ricordava spesso il fedele amico Cantalamessa.
In codesto luogo segreto trascorreva lunghe ore di gioco spensierato
col cappello di capostazione che lo rendeva più alto, lui che era di
bassa statura, un metro e sessantuno, una corporatura robusta, il
naso marcato, un paio di baffi scuri non troppo lunghi. Questi i
tratti fisici essenziali di un personaggio il cui carattere precipuo
era costituito da una volontà di ferro che non conosceva ostacoli,
accoppiata ad un carattere ostico quanto ostinato.
La sera amava immergersi a notte fonda nelle sue letture preferite:
opere di carattere storico e di cronaca. Tra gli scrittori preferiti
D’Annunzio e Maupassant, oltre agli scritti di Gandhi, verso cui
nutriva una sconfinata ammirazione.
Un’altra costosa passionaccia egli provava per la velocità, la sua
“Dino Ferrari” gli permetteva, come ci ricorda l’onorevole Mazzone,
di raggiungere Roma in poco più di un’ora. Nella città eterna amava
cenare al ristorante “Piperno”, situato nell’antico ghetto, ove era
prodigo con i suoi colleghi parlamentari nel rievocare aneddoti del
passato e storie piccanti di donne, delle quali si professava grande
ammiratore, discettandone con disinvoltura ed allegria e terminando
sempre con la frase: “Per tanto variar natura è bella”.
Questa malcelata passione per il sesso debole non preoccupava più di
tanto donna Ginevra, moglie fedele, che una sola volta ebbe a
risentirsi visibilmente e a manifestare la sua gelosia, quando il
consorte fu fin troppo gentile con una giovane, dal cognome
illustrissimo, che si era rivolta a lui per intraprendere una
carriera politica, ancora oggi in piena evoluzione.
Ebbe tre figli: due femmine, Gabriella e Paola, da tempo non più
residenti a Napoli ed un figlio Gior, tragicamente scomparso per
infarto all’età di ventotto anni, la cui morte pesò profondamente
anche nell’esercizio della professione paterna, che, secondo la
cattiveria di tanti e le malelingue, venne esercitata con più
fervore, affinchè altre donne non avessero un figlio, spesso tanto
desiderato. Una nipote, Vanda Monaco, oggi residente in Svezia, fu
schierata politicamente sull’altra sponda: consigliere regionale del
P. C. I. fino agli anni Ottanta. Da cui interminabili diatribe
verbali in aula improntate però sempre ad estrema correttezza e
stima reciproca. Alla penna di Vanda si deve l’unica biografia
dell’illustre zio ,anche se esigua, che sono riuscito a rintracciare
nelle mie ricerche; essa trovava collocazione nell’annuario “Tutta
Napoli”edito nel 1959 dalla Deperro editore. Nella citata biografia,
stranamente, manca una dettagliata descrizione degli eroismi nel
cielo di Napoli, se non il ricordo di “Un’azione bellica che ebbe
notevolissima importanza, in quanto mai prima di allora un caccia
leggero era riuscito ad attaccare e ad abbattere due bombardieri
americani”.
Una fortunosa congiunzione astrale ci ha permesso d’incontrare la
signora Vanda, oggi artista oltre che regista di successo, di
passaggio a Napoli per interpretare un suo spettacolo alla Galleria
Toledo. Assente da anni dalla sua città vi era ritornata
fortuitamente in coincidenza con la commemorazione dello zio da me
organizzata presso il Circolo Canottieri Napoli, con l’aiuto di
parlamentari di ogni credo politico, direttori di giornali e
personalità della cultura.
La signora Vanda, figlia dell’unico fratello del dottor Monaco,
serba per lo zio un affettuoso ricordo al di là dell’opposta fede
politica ed ha tenuto a sottolineare che spesso, finite le accese
controversie verbali in Consiglio regionale, erano soliti stemperare
gli animi e riaffermare l’ affetto reciproco in interminabili cene
innaffiate da vini corposi, spesso in bettole malfamate, discutendo
ancora animatamente, ma di ben altri argomenti.
Come abbiamo potuto appurare da numerose testimonianze, non solo dei
parenti più stretti, ma anche di colleghi e da vecchie clienti con
le quali si era confidato, il ginecologo tanto famoso riteneva
l’aborto un grave problema di coscienza, un cruccio morale al quale
era lecito ricorrere solo quando non esisteva altra soluzione e
purtroppo spesso non esiste altra soluzione.
Nonostante tanti decenni di attività “contra leges” lo studio del
dottor Monaco non fu mai profanato da incursioni della polizia, né
tanto meno vi furono indagini giudiziarie, a differenza di tempi più
vicini a noi, durante i quali magistratura e forze dell’ordine hanno
fatto a gara nella repressione, in omaggio ad una legge, la 194 del
22 maggio 1978, inficiata dalla nascita da un grave peccato
originale: l’ipocrito compromesso tra forze di sinistra e cattolici,
che ha prodotto un aborto giuridico, considerando legale
l’interruzione della gravidanza eseguita in ospedale ed illecita ed
esecrabile la stessa se effettuata in una struttura privata, anche
se attrezzatissima; “O tempora o mores”.
L’unico infortunio in cui Monaco incorse nell’esercizio della sua
professione… fu, in un’epoca in cui le molestie sessuali utilizzate
come ricatto non erano come oggi di moda, una denuncia per violenza
carnale presentata da una sua attempata cliente la quale dichiarò di
essere stata deflorata nel corso di una visita ginecologica. Lo
scandalo fu grande e per il medico si riaprirono per alcuni mesi le
porte del carcere di Poggioreale, questa volta per una detenzione
non più come prigioniero di guerra ma, almeno secondo l’accusa che
fu demolita in seguito, come delinquente comune.
Fortunatamente la perizia giudiziaria fu assegnata ad un ginecologo
il quale, prendendo a cuore la sventura del più famoso collega, nel
valutare i dati anatomici della paziente, concluse che la
denunciante si era inventato tutto; infatti, nonostante la sua età
veneranda e l’imbarazzante avventura capitatele ,era ancora in
possesso del fiore della sua illibatezza.
Superata felicemente la bufera giudiziaria il dottor Monaco non fu
irriconoscente e dimostrò ampiamente la sua gratitudine verso il più
giovane collega permettendogli di sostituirlo nel suo studio durante
il mese di agosto ogni anno, senza pretendere, caso più unico che
raro nelle transazioni tra medici, una sola lira di percentuale. Il
dottor Sivo, forte di questa preferenza decise anche di aprire un
suo studio allo stesso famigerato indirizzo di via Caracciolo 13,
ove, aiutato dal foraggiato portiere, riusciva spesso a dirottare
qualche incauta cliente recatasi nella famosa “località” per
risolvere la sua spinosa situazione, senza nemmeno conoscere
l’esatto nome del professionista a cui si affidava.
La sua segreta speranza era riposta nella notevole differenza d’età
tra lui e il suo protettore, che sperava quanto prima di sostituire
per eventi naturali, accalappiandosi la sua nutrita clientela. “E’
della classe 1911!” Soleva spesso ripetere il dottor Sivo, ma per
uno scherzo del destino, egli ha lasciato prematuramente questa
valle di lacrime, chiudendo mestamente la sua carriera come
specialista mutualistico in alcuni comuni a nord di Napoli, dopo
aver dilapidato gran parte dei suoi guadagni.
La violenza sessuale di cui fu accusato il dottor Monaco non
meravigliò più di tanto l’opinione pubblica, perché forte era l’eco
di una serie di dicerie… che circolavano insistentemente a Napoli e
di cui alcune, vere o false che fossero, sono pervenute anche alla
mia attenzione nelle confidenze delle mie pazienti all’epoca dei
primi anni Settanta, quando, con l’introduzione del metodo
dell’aspirazione (Karman), lo stesso raschiamento era visto dalle
donne come una vera e propria violazione da sopportare in silenzio.
La sua collocazione a destra e la sua fama d’immarcescibile fascista
lo trasformarono continuamente in oggetto di attacchi inauditi da
parte della stampa di sinistra. Fu “Paese Sera”, quotidiano
paracomunista, a distinguersi nell’azione di linciaggio con numerosi
articoli che riportavano spesso confessioni di giovani pazienti con
particolari piccanti.
Citiamo, tra i tanti, alcuni brani di una conversazione telefonica
registrata e pubblicata dal “Paese Sera” tra il giornalista Luciano
Scateni e il professionista:
“Il prezzo è sempre mezzo milione?” “Perché non va al diavolo” “E’
vero che il suo aborto ha due facce?” “….?” “Nel senso che con le
signore bene tiene un comportamento rispettoso e con le ragazze un
atteggiamento da troglodita?” “Se non la pianta la denuncio per
molestia” “Dicono (e sono testimonianze dirette, drammatiche) che
quando si presenta una ragazza viene affrontata così: ti è piaciuto
fare l’amore vero? E ora sgualdrina che non sei altro, che vuoi? Poi
mani addosso, insulti” “…” “Come se non bastasse con gli spiccioli
dell’aborto continuato dicono ed è dimostrato che ha finanziato le
farneticanti spedizioni dei mazzieri fascisti” “Non le permetto!”.
……………..
Di nuovo, sempre su “Paese Sera” del 6 maggio 1978 a pag. 8, mentre
è in discussione in Parlamento la legge sull’aborto, viene
pubblicata una confessione choc: “La drammatica esperienza di
Annamaria” della quale pubblichiamo un ampio stralcio. Era nostra
intenzione rendere nota questa esperienza, ma per non tediare
eccessivamente il lettore, rinviamo chi è interessato ai particolari
erotici e sconvolgenti della testimonianza alla lettura diretta in
emeroteca.
Conobbi personalmente il dottor Monaco quando egli m’invitò nel suo
studio per discutere assieme di un mio libro da poco licenziato alle
stampe. Era il mese di gennaio del 1979, da poco era stata approvata
dopo lunga lotta la legge che legalizzava l’interruzione volontaria
di gravidanza e da qualche mese era uscito in libreria un mio
manuale “Moderne metodiche per provocare l’aborto”, nel quale si
descriveva per la prima volta nel nostro Paese l’utilizzo della
siringa di Karman, una nuova tecnica che permetteva di abortire
tramite l’aspirazione, una metodica rivoluzionaria che avevo avuto
modo di apprendere e d’introdurre in Italia dallo stesso inventore,
il Karman curiosamente non un ginecologo bensì uno psicologo.
Trovai, mentre lo sfogliavamo assieme, il mio libro sottolineato
quasi ad ogni pagina, segno di un interessamento da parte di un
professionista così esperto e tanto famoso e la circostanza
m’inorgoglì non poco. Fui deluso viceversa dal parere negativo
espresso sulla nuova metodica, infatti il dottor Monaco riteneva il
raschiamento insuperabile e la nuova metodica votata al sicuro
insuccesso.
Il tempo viceversa ha fatto abbandonare il vecchio curettage a
vantaggio della nuova tecnica che oggi, anche se faticosamente, è
entrata nella pratica comune. Nel mondo civile, ad eccezione
dell’Italia, l’aspirazione è l’unica tecnica adoperata oltre al
sempre più diffuso utilizzo delle metodiche farmacologiche che nel
nostro Paese, patria di bigotti e baciapile, rappresentano ancora
fantascienza. La passione per la politica attiva, frutto di una fede
incrollabile negli ineludibili ideali del fascismo ha fatto
capolinea subito nella vita di Riccardo Monaco, il quale infatti,
appena ritornato alla vita civile, dopo essere stato rilasciato nel
1946 dal campo di concentramento di Riccione, riprende gli esami per
la specializzazione in Ostetricia, che consegue nel 1947 ed è subito
nell’agone elettorale, presentandosi alle prime elezioni politiche
del 1948, quando, nelle file del M.S.I. risultò terzo con oltre
15.000 voti di preferenza, purtroppo insufficienti per il
Parlamento.
Vogliamo sottolineare che la carriera politica di Riccardo Monaco
che descriveremo brevemente non è particolarmente eclatante, anche
se egli “ci teneva” moltissimo per la sua fede incrollabile.
“Servì la patria in guerra con onore, la serve oggi in pace con
coraggio” oppure”Un voto cosciente per un uomo coraggioso al
servizio dell’ Idea”, questi slogans capeggiavano sul suo materiale
elettorale faticosamente e fortunosamente da me rintracciato. Per
anni fu editore e direttore del periodico “Azione politica”, avendo
fedele collaboratore Luigi Argiulo, oggi residente a Giugliano ed
ancora oggi attivista convinto.
I suoi articoli, permeati da una fede incrollabile, erano avidamente
letti dai giovani, che vedevano in lui una gloriosa bandiera. Ne
ricordiamo, tra i tanti, uno dei più acclamati, paradigmatico della
sua interpretazione della nostra storia repubblicana: “Il giorno più
triste. Il 25 aprile è una giornata da dimenticare perché fu la
giornata più triste d’Italia; oggi esiste soltanto un’Italia che
venti anni fa ha perduto una guerra ed una classe dirigente che è
ancora quella imposta dai vincitori…etc.” Oppure altre amenità della
stessa solfa come: “Contro il disordine demomarxista, contro la
corruzione imperante, contro il disfacimento dello Stato, per la
libertà nell’ordine, per l’onestà politica, per la riforma
corporativa dello Stato”. Parole d’ordine con le quali Monaco
martellava le nuove generazioni e furono sempre i giovani a
decretare i suoi successi elettorali.
Dal 1964 fu a lungo consigliere comunale, fino a quando, negli anni
Ottanta approdò nel Consiglio regionale, palestra per le sue
memorabili dissertazioni e ideale trampolino di lancio per il
Parlamento, ove fu eletto senatore il 3 giugno 1979 per il collegio
di Napoli V (Vomero) con 18.146 voti e confermato nella successiva
legislatura, la 9°, nel collegio di Napoli VI (Stella), in uno dei
quartieri più popolari della città. Fu membro di diverse
commissioni: Istruzione pubblica, Belle arti, Ricerca scientifica,
Spettacolo e sport.
Fu quindi convinto dal suo partito a candidarsi alla Camera e si
trattò di un vero e proprio sgambetto, perché per un nostalgico come
lui, per il quale contava molto l’idea e poco il partito, il
meccanismo delle preferenze poteva essergli fatale. Un “disorganico
al sistema elettorale” come lo definisce con affetto il senatore
Rastrelli poteva sopravvivere solo al Senato. Infatti risultò il
primo dei non eletti, con malcelata soddisfazione di una frangia
consistente del suo partito che vedeva di malocchio la sua
professione. Si ritirò quindi alla sua attività di medico, ma
soprattutto all’affetto della sua famiglia.
Negli ultimi tempi, malandato di salute, preferiva sempre più alla
sua splendida casa di via Caracciolo, una dimora più bucolica e
tranquilla in quel di San Sebastiano. Premurosamente assistito dai
familiari, metteva tutti in agitazione quando, più di una volta,
sembrò che stesse per rendere l’anima a Dio. E di quest’anima erano
particolarmente preoccupati i suoi cari, dalla moglie alle figlie,
dal prediletto nipote fino alla fedele cameriera e fu proprio lei,
quando capì che era imminente il momento del trapasso, ad insistere
per far giungere al capezzale dell’infermo un sacerdote per la
confessione. E per quest’ufficio fu chiamato un singolare
personaggio, già celebre medico e docente universitario, che in età
matura aveva avuto la “chiamata”.
Pur legato al contenuto segreto dell’ultimo colloquio, sembrò ai
suoi cari ottimista, raccomandò soltanto: sono necessarie molte
indulgenze!
Finita l’avventura terrena dell’uomo restava però per i posteri il
personaggio, delle cui imprese cercheremo di tenere vivo il
ricordo:“La vittoria di un passerotto contro due falchi infuriati”
lentamente fu dimenticata. Dalla foto sulla copertina del maggior
periodico italiano (Tempo n° 211) al silenzio della stampa del
dopoguerra, dalle lodi più solenni e sperticate dei contemporanei
alla colpevole rimozione del ricordo dei posteri.
Dall’albo d’oro dei decorati al valor militare della provincia di
Napoli ci emozioniamo a leggere la motivazione dell’assegnazione sul
campo della medaglia d’argento al valor militare per l’impresa
dell’11 gennaio 1943 compiuta nel cielo di Napoli. Dobbiamo tutti
ricordare che l’importante centro nazionale, citato nella menzione,
era Napoli, la sua città e quale onore più alto per un prode, quale
raro privilegio per un ardito è costituito dal poter mettere il
proprio coraggio e la propria abilità a disposizione dei propri
familiari e dei propri concittadini. Quante centinaia di napoletani
debbono la loro vita alla sua azione temeraria, la quale provocò la
distruzione di tanti aerei nemici, prima che potessero distribuire
sulla città il loro carico mortale.
Sugli episodi eroici di Riccardo Monaco si è abbattuta
implacabilmente la maledizione dell’oblio più ostinato e
dell’amnesia più profonda, portati in auge dalla filosofia della
“Napoli milionaria”, quando, perduta la guerra, tutti potevano,
dovevano, volevano dimenticare non solo il male, i lutti, le
sofferenze, la fame e le privazioni, ma anche gli episodi di
generosità, di altruismo, di abnegazione, di audace sprezzo del
pericolo che non erano certo mancati. Oggi vogliamo essere buoni, e
soprattutto ingenui, e credere all’espletarsi di questa ineluttabile
sindrome eduardiana: il tenente Riccardo Monaco con i suoi
indimenticabili atti di eroismo è stato dimenticato perché bisognava
voltare pagina e non perché fino alla fine ha conservato il suo
indomito carattere e la sua immarcescibile fede politica o, peggio
ancora, per l’esercizio della sua professione, espletata
costantemente con la consapevolezza delle scelte difficili e con una
sempre attiva vigile tensione morale.
Non c’è stata allora una pervicace opera di disinformazione durata
decenni, da parte dei mass media, desiderosi di sostituire le
vecchie veline con le nuove? Non c’è ancora oggi una precisa volontà
di non voler ricordare episodi e personaggi, scomodi forse, ma che
invitano alla riflessione e ad una più pacata meditazione sul nostro
passato? Ai posteri l’ardua sentenza!
|