Cap.60
Gli Ebrei a Napoli
articolo di Dante Caporali
La comunità ebraica di Napoli è tra le più antiche d’Italia: i primi
insediamenti risalirebbero al I secolo d.C. e si sarebbero protratti
quasi senza interruzioni fino ai giorni nostri.
Un’interessante studio del prof. Giancarlo Lacerenza, docente di
lingua e letteratura ebraica all’Istituto Orientale di Napoli, dal
titolo I quartieri ebraici di Napoli, ha tracciato la storia della
presenza ebraica a Napoli, individuando i loro principali
insediamenti cittadini, che erano dislocati nel Vicus Iudaeorum
all’Anticaglia, sull’altura di Monterone o di San Marcellino, nelle
zone di Forcella e di Portanova.
Il Vicus Iudaeorum, nominato la prima volta in un documento del
1002, era un cardine dell’antica Neapolis, che collegava il decumano
superiore alle mura settentrionali in prossimità di Porta San
Gennaro. Qui molto probabilmente c’era una Sinagoga e potrebbero
esservi stati ebrei già in età romana o tardoromana.
Dice il Celano a proposito: “… il vicolo oggi detto del Limoncello
anticamente si chiamava dei Giudei, perché vi abitavano Giudei: e si
disse ancora Spogliamorti perché qui dagli stessi Giudei si
vendevano le spoglie di coloro che morivano negli ospedali …” Sembra
che gli Ebrei non abbiano più abitato la zona dell’Anticaglia dopo
il secolo XI. In un documento del 984 viene poi citata una sinagoga
hebreorum presso l’altura del Monterone nelle adiacenze dell’antico
Monastero dei Santi Marcellino e Pietro, diventato verso la fine del
secolo XVI dei Santi Marcellino e Festo.
Fra i secoli X e XII la popolazione ebraica del quartiere era
aumentata perchè in un documento del 1153 si parla dell’istituzione
di una sinagoga. Inoltre verso la metà del secolo XIII, in età
sveva, la giudecca di San Marcellino aveva già superato i limiti del
Monterone e si era estesa fino alla Piazza di Portanova, indicata
anche come Porta Iudaica, presso l’antica chiesa di Santa Maria in
Cosmedin. Sorgeva così la Giudecca di Portanova e con essa anche una
nuova Sinagoga, forse la futura chiesa di Santa Caterina Spinacorona.
La Giudecca di Portanova è stata la più estesa delle giudecche
napoletane, dove gli Ebrei avevano impiantato fin dal periodo svevo
varie attività connesse alla lavorazione ed al commercio dei
tessuti. Verso la metà del XV secolo, sotto la dominazione
aragonese, che fu particolarmente favorevole agli Ebrei, la Giudecca
di Portanova crebbe notevolmente estendendosi per un’intera strada,
Via Giudecca Grande, che iniziava da Piazza Portanova e proseguiva
fino alla chiesa di San Giovanni in Corte. Da un capo all’altro di
Via Giudecca Grande vi erano poi alcuni insediamenti satellite, tra
i quali una Giudechella, sita tra Via San Biagio ai Taffettanari e
il Vico I San Vito ai Giubbonari.
La Giudecca di Forcella, che sembra non essere stata di lunga
durata, risalirebbe al periodo normanno o svevo ed era situata
presso Via Giudecca Vecchia al termine della quale era un Vico
Giudechella, presso l’Ospedale di Santa Maria della Pace, un tempo
palazzo di Sergianni Caracciolo.
Gli Ebrei furono espulsi dal regno di Napoli nel 1541, durante la
dominazione spagnola, e vi tornarono soltanto due secoli dopo,
richiamati dai Borbone, ma per un breve periodo dal 1740 al 1747,
per stabilirsi poi definitivamente nel 1831, per interessamento
della nota famiglia di banchieri tedeschi Rothschild, di origine
ebrea.
I Rothschild avevano elargito un cospicuo prestito ai Borbone per
poter sovvenzionare la spedizione austriaca che li aveva ricollocati
sul trono nel 1821. Nel 1827 poi Carl Meyer von Rothschild,
trasferendosi a Napoli, aveva aperto qui la prima filiale della
banca Rothschild in Italia. Nel 1841 i Rothschild avevano acquistato
la Villa Pignatelli che avevano occupato fino al 1860 per poi
cederla nel 1867 ai Pignatelli Cortes d’Aragona. Per vari anni una
sala della villa era stata adibita ad oratorio per gli Ebrei
residenti e di passaggio a Napoli, per consentire loro di poter
partecipare alle funzioni religiose.
L’attuale sede della comunità ebraica, con annessa Sinagoga, si
trova in alcuni locali del palazzo Sessa, al n. 31 del vico Santa
Maria a Cappella Vecchia, e fu inaugurata il 19 giugno del 1864,
grazie all’appoggio dei Rothschild, che parteciparono sempre
attivamente alla vita della comunità fino al 1900, anno della morte
del barone Adolph Carl von Rothschild. Nel 1910 Dario Ascarelli, che
era il presidente della comunità, lasciò un’ingente somma di denaro
per consentire l’acquisto definitivo dei locali, operazione che fu
finalizzata nel 1927. La comunità contava allora circa un migliaio
di Ebrei, che si ridussero a poco più di 500 dopo il secondo
conflitto mondiale, per attestarsi all’attuale numero di 160 unità,
piuttosto esiguo se confrontato con i circa 20000 di Roma e i 10000
di Milano.
Il palazzo Sessa è ubicato sul luogo ove un tempo sorgeva il
complesso monastico di Santa Maria a Cappella Vecchia, appartenuto
ai Basiliani dal 1134 fino al XV secolo, poi ai Benedettini ed in
seguito agli Olivetani.
Con la soppressione dell’abbazia nel 1788 una parte del complesso fu
acquistato dal marchese Giuseppe Sessa e trasformato nel palazzo che
fu la residenza cittadina di sir William Hamilton, ambasciatore
inglese presso la corte dei Borbone dal 1764 al 1800, e di Emma Lyon,
divenuta poi sua moglie ed anche amante di Lord Horace Nelson. Il
palazzo fu frequentato nel 1787 da Johann Wolfgang Goethe, che
descrisse con grande precisione il panorama che si ammirava dai suoi
balconi, da uno dei quali nel 1791 il pittore Giovanni Battista
Lusieri eseguì lo straordinario dipinto Napoli da Pizzofalcone, ora
al Paul Getty’s Museum di Malibu in California.
Come già detto al primo piano di questo palazzo dal 1864 vi è la
sede della comunità ebraica napoletana.
Superato l’ingresso dell’appartamento, alle pareti vi sono due
lapidi di marmo, una a ricordo degli ebrei deportati da Napoli
durante la seconda guerra mondiale e l’altra in memoria di Dario
Ascarelli. Percorso un breve corridoio, sulla sinistra si apre la
sala adibita a Sinagoga, dal greco synagogé, “assemblea, luogo di
riunone”, traduzione del termine ebraico Beit Kenneset. Indossato il
Kippah, caratteristico copricapo degli Ebrei maschi, si accede alla
sala che consta di due ambienti rettangolari separati da un arco ed
è orientata nella direzione di Gerusalemme, verso cui i fedeli si
rivolgono durante la recita delle preghiere.
Secondo le regole della religione ebraica gli uomini devono pregare
tre volte al giorno, al mattino, al pomeriggio e di sera, negli
stessi momenti in cui, nel corso della giornata si svolgevano i
sacrifici nel tempio, ormai sostituiti da secoli con la preghiera.
L’orazione è quasi sempre collettiva e viene effettuata da un minimo
di dieci fedeli maschi adulti.
Al centro della sala si trova la Bimàh, una pedana da cui
l’officiante recita le preghiere e legge il rotolo della Toràh, il
testo sacro della religione ebraica, corrispondente ai cinque libri
del Pentateuco e contenente le istruzioni impartite da Dio al Popolo
di Israele sul Monte Sinai.
L’Aron Ha-Kodesh, ossia l’arca-armadio contenente i rotoli della
Toràh, è incastrata nella parete orientale, rivolta verso
Gerusalemme. Intorno alla Bimàh sono disposte alcune panche e sulla
destra vi è un pulpito ligneo. Su di un soppalco è posizionato il
matroneo, che separa le donne dagli uomini durante le funzioni
religiose.
Troviamo inoltre le Menorah, i candelabri a sette o a nove braccia,
importanti oggetti liturgici, sempre presenti in tutte le sinagoghe,
che vengono accese il Venerdì sera per celebrare il Sabato, giorno
sacro per il popolo ebraico. La Menorah, fiancheggiata da due
rametti d’olivo, è raffigurata nello stemma ufficiale dello Stato di
Israele.
Nella Sinagoga non vi sono immagini sacre, proibite dalla religione
ebraica, mentre non può mancare la Maghen David (lo scudo di
Davide), cioè la tipica stella a sei punte presente nella bandiera
dello Stato di Israele, diventata ormai da più di un secolo il
simbolo del Sionismo.
La visita della Sinagoga napoletana, saldo centro di riferimento per
la piccola comunità locale, costituisce in definitiva non solo un
motivo di curiosità per gli appassionati di storia della nostra
città ma sicuramente una significativo esperienza di approfondimento
della storia, della cultura e della religione di questo importante
popolo.
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Via dell'Anticaglia
Rampe S. Marcellino
Villa Pignatelli
Ercole Gigante-S. Maria a Cappella Vecchia (Napoli, Museo di S.
Martino)
Interno della Sinagoga di Napoli
Bandiera d'Israele
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