Cap.53
La nascita di Fuorigrotta
Fino all’inizio del secolo scorso Fuorigrotta era tutta verde,
abitata da famiglie di contadini.
Era un luogo alquanto malfamato, rifugio di latitanti e chi vi
accedeva attraverso la Canzanella (l’attuale Via Caravaggio) lo
faceva col cuore in gola perchè continue erano le aggressioni alle
quali il Fascismo, con le maniere forti, mise fine.
La spiaggia di Coroglio era un paradiso in terra, affacciata su un
mare limpidissimo, meta di villeggiatura delle famiglie borghesi,
che avevano le loro villette a Bagnoli (inclusi i miei nonni, i
quali possedevano un palazzetto in Via Ilioneo, che ancora esiste,
trasformato in un condominio di sottoproletari).
Erano ancora lontani i tempi dell’Ilva, che rappresentò a lungo il
fiore all’occhiello della siderurgia italiana e collaborò alla
formazione di una classe operaia consapevole, per diventare poi
Italsider e, crollato il mercato, una roccaforte comunista, che ha
divorato migliaia di miliardi allo Stato, ha inquinato il mare e
l’ambiente, per trasformarsi infine in quel mostro ecologico
inamovibile, per le beghe dei politici, che grida vendetta a Dio,
perché preclude ogni progetto di rinascita della città, mentre
potrebbe trasformarsi in un grande porto turistico con alle spalle
alberghi di lusso e, semmai, anche un casinò che, attirando una
ricca clientela internazionale, procurerebbe benessere e posti di
lavoro.
Ed arriviamo al fatidico 6 maggio 1936, quando Mussolini, dal
balcone-pulpito di Piazza Venezia, ad una folla accorsa ad osannarlo,
annuncia trionfante, “Al di là dei Monti, al di là dei Mari, al di
là degli Oceani”, la fine della guerra di colonizzazione ed il
“ritorno dell’Impero sui colli fatali di Roma”.
Un anno dopo stabilisce la creazione di un grandioso complesso per
ospitare ogni tre anni una mostra delle “Terre Italiane d’Oltremare”
non a Palermo, non a Bari, non a Genova, bensì a Napoli, centro del
Mediterraneo, ed in meno di due anni, lì dove erano vecchi casali
agricoli, sorgerà la Mostra D’Oltremare, un polo di grande
attrazione turistica e commerciale.
Dopo le triennali di Mussolini vi furono quelle repubblicane.
All’architetto Carlo Cocchia fu affidato il compito di dare una
nuova identità alla struttura ed il 9 giugno 1952 il presidente
Einaudi inaugurò la prima triennale della nuova epoca dedicata al
“Lavoro Italiano nel Mondo”.
La Mostra d’Oltremare, uno degli ultimi grandi lavori pubblici della
Napoli moderna, rappresentò il canto del cigno dell’imprenditoria
artistica meridionale.
Fu l’atto finale del decennio d’oro dell’architettura e
dell’urbanistica a Napoli, che vide sorgere gli ospedali collinari
“XXIII marzo” ed il sanatorio “Principe di Piemonte” (poi
ribattezzati “Cardarelli” e “Monaldi”), il nuovo Rione Carità (con i
palazzi delle Poste, delle Finanze, della Provincia, della Questura,
del Banco di Napoli), le strade panoramiche di Posillipo, la
stazione di Mergellina e la stazione marittima, l’Istituto dei
Motori fino ad arrivare al Collegio Ciano, che diverrà la sede della
Nato ad Agnano.
La triennale delle Terre d’Oltremare era suddivisa in tre padiglioni
indipendenti, ognuno dei quali illustrava le caratteristiche
geografiche delle zone conquistate e le opere di valorizzazione
industriale messe in atto dall’Italia. Vennero impegnati 120 artisti
che realizzarono sculture, mosaici e tappeti di ceramica.
Vi erano anche dei leoni berberi, divisi dai visitatori da un
profondo fossato, che dava l’impressione di essere a stretto
contatto con quei felini stupendi. Nel padiglione della Libia si
gustava un ottimo caffè turco, mentre si poteva ammirare una
splendida libica che danzava a seni nudi.
Erano i tempi in cui il pubblico affollava i cinema per godere dei
seni di Clara Calamai, che comparivano per cinque secondi.
Che tristezza vedere una superba struttura, adibita negli ultimi
anni ad ospitare, al massimo, la “Fiera della Casa”.
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Coltivazioni al posto dell'Italsider
Lavori per la Mostra d'Oltremare
Luigi Cosenza -La facoltà d'ingegneria
Mostra d'Oltremare
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