Cap.29
Il mare non bagna Napoli
Il mare non bagna Napoli è il titolo di un famoso libro di Anna
Maria Ortese, ma purtroppo, e da tempo, costituisce un’amara
metafora dello scempio inflitto dai napoletani ad una risorsa, che,
diversamente adoperata e rispettata, avrebbe potuto costituire una
ricchezza incommensurabile per la città. Il percolato scorre nelle
nostre vene, devastando la salute ed inquinando irreparabilmente la
coscienza.
Osservare la spiaggia di Vigliena a San Giovanni a Teduccio
significa meditare sulla deriva della città, al mare si giunge
infatti attraverso palazzi dirupati, strade allagate, muretti
imbrattati, che più imbrattati non si può. Nei pressi la vecchia
centrale termoelettrica, un mostro di cemento a dominare la miriade
di luride carcasse di imbarcazioni, che sinistramente interrompono i
flutti. A fare coraggio un cartello ammonitore: pericolo di morte,
destino che toccò tempo fa alla giovane madre tuffatasi
coraggiosamente per salvare i suoi figlioli dai gorghi provocati a
causa dell’elettricità che in loco si produce.
Non si spaventa della scritta un incrocio tra un barbone e Caronte,
il quale traghetta per pochi spiccioli i pescatori desiderosi di
portarsi sul lungo braccio delimitante il porto di Napoli, con la
speranza di una pesca copiosa lì dove le prede ingurgitano una melma
dalla consistenza e dall’odore degli escrementi e che infatti è
merda che galleggia.
La sabbia è nera, non perché vulcanica, ma perché piena di rabbia,
sporca, viscida e cosparsa da miriadi di siringhe, lattine di Coca
Cola e rifiuti di ogni genere. Bagnarsi in queste acque più luride
del Gange è una sfida alla razionalità più che all’igiene ed anche
soltanto camminarci a piedi scalzi è un insulto alla decenza. A
farlo sono solo barboni, extra comunitari disperati e squallide
badanti dalla ciccia debordante, i loro piedi puzzano di catrame ed
i loro passi non spaventano i pochi gabbiani alla ricerca di qualche
tozzola di pane o di qualche pesce semi putrefatto. D’inverno la
spiaggia è abitata da pochi zombi arroccati in decrepite casupole
dalle mura trasudanti di lezzo di orina. Alcuni cartelli tradiscono
l’utilizzo estivo della zona: vietata la balneazione(è il minimo),
non consumate acqua a vuoto(vicino ai resti di una doccia), cercate
di essere puliti(patetico, su un muro sbrecciato).
Frequentare durante la stagione questa spiaggia è il segno più
eloquente del degrado che da tempo si è impossessato degli abitanti
della zona, che nel 1799 ha visto la difesa dei repubblicani
dall’assalto delle truppe sanfediste, come testimoniano i resti del
fortino, nel quale i patrioti si fecero saltare in aria pur di non
arrendersi.
I progetti di riqualificazione non mancano, anche se come spesso
capita, sono destinati a rimanere nel libro dei sogni e delle
promesse elettorali. A Vigliena dovrebbe sorgere un porto turistico
tra i più grandi del Mediterraneo(all’anima della palla), da
collegarsi alla litoranea di Torre del Greco, aperta da oltre
cinquanta anni e, priva di manutenzione, simile ad un percorso di
guerra. Si parla da anni della realizzazione di una barriera
frangiflutti, ma nel frattempo gli audaci frequentatori estivi di
queste spiagge improbabili hanno fatto i capelli bianchi.
Il mare spostandosi verso la zona flegrea acquisisce un colore
marrone ed una patina giallastra condita da materiale schiumoso,
mentre la concentrazione di colibatteri raggiunge la ragguardevole
cifra di 200.000 ogni 100 millilitri, ben 100 volte superiore ai
limiti di tolleranza. La situazione apocalittica delle acque è
provocata dallo sversamento a mare di liquami putridi, infetti e
tossici provenienti da un entroterra dove abbandono rifiuti di ogni
genere, incluse scorie radioattive.
Una retata di colletti bianchi: dall’ex prefetto al braccio destro
di Bertolaso, dal funzionario corrotto al tecnico compiacente, hanno
portato sulle prime pagine dei quotidiani per qualche giorno la
drammatica situazione del mare e del litorale a nord di Napoli, dove
per decenni una quantità immane di percolato prodotto dalle
discariche è stato convogliato a mare senza essere sottoposto ad
alcun processo di depurazione.
“Versiamo tonnellate di merda in mare, ma i lidi balneari vanno alla
grande” è il contenuto agghiacciante di una intercettazione
telefonica. Alla cornetta il responsabile del ciclo delle acque
della regione.
Infatti, disperati, i napoletani continuano a frequentare i lidi di
Licola e Varcaturo, per prendere un po’ di sole a due passi da un
mare infrequentabile, nonostante lo sciabordio delle onde pare
invitare suadente ad un’impossibile immersione, per rinfrescarsi
docce negli stabilimenti più casarecci e piscine in quelli alla
page, come Varcadoro, dove qualche poppa al vento di lusinghiere
proporzioni può dare ai più eccitati l’illusione di trovarsi in
costa azzurra. Tutto intorno un’edilizia di rapina ha devastato in
egual misura il paesaggio e le coscienze, mentre da più punti, come
da un’immonda gola profonda viene vomitata giorno e notte una melma
puzzolente che va a depositarsi sulla sabbia sottomarina,
distruggendo flora e fauna marina ed appestando l’aria per
chilometri con un tanfo pestilenziale.
Decine di chilometri di lungomare da bandiera nera, che più nera non
si può, in agonia irreversibile con una schiuma gialla piena di
bollicine, che lambisce minacciosa un arenile nerastro, dove i
gabbiani impassibili banchettano tra rigagnoli, nei quali
galleggiano rifiuti di ogni tipo.
Una zozzimma che ha trasformato una costa da favola in un girone
infernale, mettendo in fuga le stesse divinità marine, che
presidiavano da sempre questi luoghi incantati.
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Gaetano Esposito-La marina di Napoli (Firenze, Galleria d'arte
moderna)
La spiaggia di Coroglio negli anni Cinquanta
La spiaggia di Vigliena
Lo sbocco di un depuratore
Manifattura Massa-Veduta marina (Napoli, Chiostro di S. Chiara)
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