Cap.3
Scipione Compagno un elegante petit maître
Scipione Compagno nasce secondo lo Zani nel 1624 e muore dopo il
1680, è documentato tra il 1638 ed il 1664. Il De Dominici lo cita
come pittore di paesaggi e di marine, una veste nella quale ci è
ancora sconosciuto. Egli è influenzato dai modi del Corenzio e di
Filippo D’Angeli e mostra inoltre il marchio delle architetture
fantastiche del De Nomè, oltre a risentire dell’impronta del Brill e
di pittori olandesi come Breenbergh e Polenburgh. Il Causa, dal
carattere arcaico delle sue scenografie, aveva ipotizzato che egli
appartenesse alla generazione precedente a Micco Spadaro, ma i
documenti ed i dati anagrafici scoperti di recente hanno dimostrato
che trattasi di pittori coevi.
Ignazio Compagno lavorava nella bottega del fratello Scipione ed era
specializzato nelle repliche di soggetti richiesti dalla committenza
e, secondo il De Dominici, era particolarmente versato
nell’esecuzione delle figure grandi.
Il Salerno ha ipotizzato una sua partecipazione nei quadri del
fratello, perché nel catalogo di questi sono presenti quadri di
impostazione ed esecuzione diversa, che, se non dipendono da
un’evoluzione stilistica dell’artista, possono presupporre
l’intervento di un collaboratore.
Anche per il Compagno la massa anonima diventa la protagonista dei
suoi quadri nei quali è abile a collocare gran popolo in poco spazio
e ad immergere gli avvenimenti in un’atmosfera fantastica e
surreale.
Fino agli anni Settanta gli erano riconosciute poche opere, poi il
Salerno ritenne di aggiungere al suo corpus tutto il gruppo di
dipinti che il Longhi, riconoscendone la stessa mano, aveva
attribuito a Filippo Napoletano, di cui allora poco si conosceva. Il
folto gruppo di tele fu raccolto intorno ad un grande dipinto
firmato e datato”Compagno 1658”.
Nel suo catalogo così ampliato, con l’aggiunta di varie tele
firmate, si possono distinguere chiaramente due tendenze, che come
abbiamo detto in precedenza hanno fatto ipotizzare la mano di due
diversi pittori, una caratterizzata dai colori chiari e
dall’esecuzione più accurata, l’altra da un fare sciolto e
compendiarlo, con impasti cromatici più sostanziosi e con una
tavolozza di colori più scuri, dominata dai toni bruni e terrosi.
Di recente qualche sua tela è stata trasferita nel corpus di
Cornelio Brusco, un artista risorto da un oblio secolare grazie alle
ricerche della Nappi.
Pochi i documenti di pagamento, pubblicati dal D’Addosio e riferiti
al 1641, rare le citazioni inventariali.
Le sue opere di maggior successo furono più volte replicate, spesso
su rame ed alcune sono molto suggestive come l’Eruzione del Vesuvio
del 1631 (fig. 1) del Kunsthistoriches di Vienna, firmata, nella
quale oltre all’interesse documentario per un luogo famoso della
città di Napoli oggi scomparso, molto ben rappresentata è la folla
formicolante in preda al panico, espressa con una vivacità di tocco
rara a vedersi negli altri specialisti del genere, come possiamo
osservare anche in una replica (fig. 2) su tela con numerose
varianti, di maggiori dimensioni, conservata nella collezione
Costantini a Roma, imperniata sulla famosa processione con in testa
San Gennaro per intercedere sulla fine dell’eruzione del 1631 ed
eseguita con una pennellata sciolta e sommaria e colori più cupi, al
punto che qualche studioso ha ipotizzato il pennello del fratello
Ignazio.
La sua produzione anche se inferiore qualitativamente e
quantitativamente a quella del Gargiulo, a cui può essere
paragonato, esercitò ad ogni modo un influsso su altri pittori tra
cui Nicola Viso ed il tedesco Franz Joachim Beich, presente a Napoli
all’inizio del Settecento.
Il pittore era affezionato a poche iconografie molto richieste dal
mercato, che replicava numerose volte, spesso con significative
varianti.
Un esempio calzante è rappresentato, nel campo della pittura
raffigurante scene di martiri, che tanto successo ebbe a Napoli a
metà secolo, dalle numerose varianti del Martirio di S. Orsola e le
sue compagne. Si tratta di un soggetto citato anche negli archivi
sotto il nome dell’artista, infatti il Perez Sanchez segnala un suo
quadro, datato 1647, in Spagna nella collezione dell’Almirante de
Castilla.
Noi abbiamo raccolto circa dieci composizioni e ci limitiamo a
segnalare quella (fig.3) in collezione Lemme a Roma, pendant della
Strage degli innocenti della Galleria Nazionale d’arte di Roma,
firmata per esteso e datata 1642 e dell’Entrata di Cristo in
Gerusalemme (fig. 4) di collezione della Ragione, firmata “compagno”
e datata 164…(facciamo notare nelle tele l’identica disposizione
allineata delle teste dei personaggi) e quella (fig. 5), transitata
sul mercato internazionale e talmente influenzata dal De Nomè da far
presupporre una collaborazione, che raffigura il martirio della
santa e delle sue 11.000 compagne vergini avvenuto fuori delle mura
di Colonia.
Anche per la Decollazione di San Gennaro esistono svariate versioni,
tutte molto differenti, caratterizzate da consistenti prelievi,
negli sfondi, dall’architettura surreale e visionaria del De Nomè
Noi proponiamo quella (fig. 6) del museo di Nantes, la più famosa,
che dimostra l’elevato grado di maturità raggiunta nell’assemblare
il gruppo di personaggi in primo piano, pregni di una carica
dinamica che dà movimento e carattere alla scena, mentre si delinea
l’ampio paesaggio sullo sfondo. Ricordiamo poi quelle conservate a
Vienna, Pèrigueux ed in collezione napoletana, presentata nel 2006
alla mostra sui Campi Flegrei e proveniente dalla vendita in asta
nei mesi precedenti di un lotto di ben sei quadri di Scipione.
Questa serie comprendeva anche una Resurrezione di Lazzaro,
un’Adorazione del vitello d’oro, una Strage degli innocenti, un
Martirio di S. Orsola ed un’Entrata di Cristo in Gerusalemme (fig.
7), replica autografa, di dimensioni leggermente
maggiori(raffrontare la scena sui margini), di quella in collezione
della Ragione a Napoli. Tutti dipinti nei quali è fitta la folla di
figurine la cui massa indistinta vive in paesaggi e vedute definiti
da alcuni elementi architettonici e strutturali ricorrenti, sempre
giocati con una tavolozza dove predominano colori bruni e marroni.
L’iconografia della Strage degli innocenti ebbe un successo notevole
e il Compagno ne realizzò numerose redazioni. Oltre a quella celebre
della Galleria d’arte antica di Roma, proponiamo un tondo (fig. 8)
dai colori accesi in collezione Alisio a Napoli, una (fig. 9) in
collezione Romano, firmata e datata 1649, ed un’altra transita a
Firenze sul mercato antiquariale.
Tra i soggetti biblici segnaliamo un Mosè fa scaturire l’acqua dalla
rupe (fig. 10), firmato “Sc. ne compagno” del museo Camon Aznar di
Saragozza ed un Tripudio del popolo ebraico intorno al vitello d’oro
(fig. 11) , esitato in un’asta Semenzato del 1992, entrambi
caratterizzati da colori caldi e vivaci; il cielo costellato di cupe
nubi di chiara ispirazione spadariana e la folla che diventa la vera
protagonista del racconto sono una costante precipua dello stile
pittorico del Compagno, che in queste due tele è abile nel
raccogliere tante figure in poco spazio, curando di dare un
gradevole cromatismo alle vesti dei personaggi. Inoltre una
Moltiplicazione dei pani e dei pesci (fig. 12) passata sul mercato
della capitale ed un’Adorazione del vitello d’oro (fig. 13), firmata
e datata 1649, in collezione privata romana.
Di fondamentale importanza nello scandire il percorso dell’artista è
La Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre (fig. 14) già in
collezione Rosa, firmata e datata 1658, la quale rinvia, per
impaginazione della composizione al Giudizio universale (fig. 15) in
vendita negli anni Cinquanta presso un antiquario a L’Aquila.
Di argomento diverso e molto vicino ai modi di Filippo D’Angeli il
paesaggio fluviale con soldati(fig. 16), di collezione bolognese,
mentre il Trionfo di un imperatore romano (fig. 17), esitato presso
Christie’s a Roma lascia qualche dubbio sull’autografia, alla pari
dei Mangiatori di maccheroni (fig. 18) della galleria d’arte antica
di Roma, assegnato sul Lessico della Treccani addirittura al
Gargiulo e la Costruzione della Croce (fig. 19) ad ubicazione
sconosciuta, che siamo tentati di attribuire ad un anonimo
napoletano, vicino al Coppola più che al Compagno.
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