Le
chiese di Ischia:
"Barano"
di
Achille della Ragione
Parrocchia di San Sebastiano
Altre chiese di Barano
Chiesa di San Giorgio
Cappella dell'Assunta
Chiesa di Sant'Alfonso Maria de' Liguori
Chiesa di Santa Maria la Porta
Chiesa della Madonna di Montevergine allo Schiappone
Chiesa di San Rocco
Chiesa della Madonna del Carmine
Chiesa di Sant'Alfonso al Vatoliere
Chiesa di San Giovanni Battista
Parrocchia di
San Sebastiano
Nel centro di Barano, in piazza San Rocco, da dove si può godere lo splendido panorama della costa, da Punta San Pancrazio a Sant'Angelo, trova posto la chiesa parrocchiale di San Sebastiano, dalle solide linee geometriche, ricca di storia e di opere d'arte.
L'edificio, che affaccia sulla provinciale, risulta documentato dal 1604, anno in cui le autorità locali affidarono a fra' Cosmo da Verona, autore anche di una famosa carta dell'isola d'Ischia, il compito di erigere un convento per gli Agostiniani, affianco ad una preesistente chiesetta.
Nel 1653 , a seguito di una Bolla emanata da papa Innocenzo X, che ordinava la chiusura di tutti i monasteri abitati da meno di sei religiosi, il convento fu soppresso, mentre la sede parrocchiale, fino ad allora nella vicina chiesa di San Rocco, venne trasferita in San Sebastiano.
La basilica presenta tre navate ed abside curva. Il prospetto è rigoroso quanto elaborato, con un ordine unico di paraste che si chiudono in un ampio frontone con timpano triangolare spezzato al centro, in cui si inserisce una finestra cieca, ripetuto nel secondo timpano sul portale. Sulla piazza vi sono due porte laterali attraverso le quali si accede alla chiesa.
Sul lato sinistro svetta un campanile, con ampia base tronco piramidale, arricchito da un orologio con quadrante, visibile anche a distanza, che per secoli ha scandito quotidianamente i ritmi di lavoro dei contadini del circondario.
chiesa di San Sebastiano
L'interno è a croce latina, la navata centrale, coperta da una volta a botte decorata da elaborati motivi geometrici a stucco è illuminata da ampie finestre, mentre le navate laterali hanno una copertura a scodella. Il vano absidale è sottolineato da una bassa cupoletta estradossata, illuminato da quattro piccole finestre poste nel tamburo del cupolino.
Entrando dall'ingresso principale, sulla sinistra, di fianco alla cappella dell'Immacolata, incontriamo una Incoronazione della Vergine con i santi Giacomo, Aniello e Lucia, firmata Luigi Zeppilli e datata 1762. L'autore, un mediocre solimenesco, probabilmente ischitano, ricalca stancamente i tardi moduli del maestro per una clientela devozionale.
Sulla parete sinistra della cappella vi è un Sant'Antonio Abbate, in terracotta dipinta, di ignoto artista di scuola napoletana della seconda metà del Settecento. Sulla parete di fondo trovasi una Immacolata di mano di un pittore che si ispira ai modi dispignani, forse un allievo della sua bottega. La tela riveste un certo interesse per i raffronti che possono instaurarsi con altre opere presenti sull'isola che si rifanno allo stile del maestro lacchese.
Un altro quadro di questo ignoto artista si trova sulla parete di fondo della zona absidale: un'Assunzione, che realizza una composizione più dinamica per l'agitato aggrovigliarsi degli angeli ai piedi della Madonna.
Ritornando nella cappella dell'Immacolata, sulla parete destra, è collocata una Annunciazione del Di Spigna, una tela che, come sottolinea l'Alparone, prende ispirazione dall'omonima tela del Conca, conservata nella pinacoteca di Perugia, anche se tangibili sono i richiami demuriani e solimeneschi.
La Madonna, dal classico ovale paffuto dispigniano, è inginocchiata con il volto sottomesso al cospetto di un angelo dall'atteggiamento imperioso ed autoritario. Uno scenario diverso da quello inquadrato nelle altre Annunciazioni dell'artista, conservate a Forio nelle chiese di Visitapoveri e di Santa Maria di Loreto.
Proseguendo possiamo ammirare l'altare maggiore, con un paliotto in marmo chiazzato al centro da una croce raggiata a commesso.
Nella navata destra, su di una porta di ingresso secondaria, abbiamo un Tobiolo con l'arcangelo Raffaele di Alfonso Di Spigna, nel quale lampante è l'ispirazione ai modelli del De Mura e soprattutto del Diano conservato a Napoli in San Pietro in Aram.
La figura dell'arcangelo appare maestosa, mentre Tobiolo, spaventato pare tentare la fuga. Ben curato, alle spalle dei due protagonisti, è il paesaggio.
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Altre chiese di Barano
Rimanendo nel comune di Barano, lungo la strada che scende dal Cretaio, troviamo, oramai diruta e completamente abbandonata, la chiesa di Santa Maria delle Grazie, fondata nel 1740 dalla famiglia Baldino ed a lungo sotto il loro jus patronato.
Dotata di tetto a doppio spiovente e di volta lignea a capriate, interrompe all'occhio del passeggero la monotonia delle anonime costruzioni poste ai lati dell'erta stradina, che mette in collegamento il centro di Fiaiano alla zona ove era allogata la micidiale bocca di fuoco del cratere Arso, che, nel 1301, vomitò fiumi di lava incandescente fino al mare, arrecando danni gravissimi che indussero la popolazione a trasferirsi in massa nella zona del Castello, dove rimase per secoli.
Pur nella precarietà delle condizioni attuali, completamente svuotata degli arredi e delle suppellettili, con pareti crollate e mura pericolanti, emana un certo fascino di antichità ancora viva e palpitante. L'ingresso alla chiesa è attraverso alcuni gradini, ancora ben conservati, mentre la facciata presenta una divisione orizzontale per mezzo di una serie di piccole lesene poste in doppio ordine ai lati. Sul portale d'ingresso è posta una finestra quadrata, sovrastata da una piccola apertura circolare, necessaria per l'aerazione del soffitto a capriate.
Proseguendo, a breve distanza, scorgiamo nel verde della pineta il caratteristico campanile della chiesa di San Giuseppe, più conosciuta come Sant'Anna, per via di una immagine molto venerata, sede della parrocchia Maria Madre della Chiesa. Essa fu fondata dalla famiglia Santucci De Magistris.
Nel 1849 furono prese in affitto dal comune di Barano alcune terre, dove, Carlo Santucci, oltre alla sua casa, costruì una chiesetta dedicata a San Giuseppe, inaugurata dieci anni dopo.
Nell'interno vi erano quattro altari dedicati a San Carlo, Sant'Anna, San Carlo Borromeo e alla Madonna del Rosario. Oggi dispersa, vi era poi una Deposizione di Bernardo delle Notti.
Una lapide marmorea ricorda la data di morte dei coniugi fondatori, i cui corpi riposano però a Napoli, dove morirono.
Il campanile risale al 1866 e doveva essere arricchito da un moderno orologio, ma esso non fu mai montato per controversie economiche con l'artigiano Mattia Buonopane.
Dal 1965 la chiesa è divenuta parrocchia per l'interessamento del vescovo Tomassini. A sinistra dell'ingresso una lastra tombale e lapide, datata 1858, ricorda l'apertura della cappella dedicata a San Giuseppe.
L'edificio presenta un'unica navata e volta a botte; ha un solo altare, ottocentesco, di marmi policromi in stile composito, nel quale si trova una nicchia con la statua di San Giuseppe. Altre opere degne di nota sono: le statue di Sant'Anna e San Gerardo, una Addolorata e due crocifissi di squisita fattura.
Il gioiello della chiesa, che da solo merita una visita, è un quadro, frutto di una donazione e di recente restaurato, rappresentante San Giuseppe con il Bambino.
La tela è generalmente assegnata a Niccolò De Simone, una attribuzione calzante, ma a nostro parere suscettibile di variazioni, sempre nell'ambito della scuola stanzionesca. Essa, proveniente dalla zona presbiteriale, è oggi collocata sulla parete destra, e raffigura un'iconografia alquanto rara: il Santo, a mezzo busto, ha in braccio il Bambino, avvolto in un candido panno, verso il quale volge un tenero sguardo, ricambiato dalle braccia protese verso di lui in uno slancio affettuoso.
La pennellata, densa è associata a preziosismi cromatici e fini dolcezze di modellato, mentre nel volto del San Giuseppe, possono leggersi tratti di bonaria severità, che hanno indotto erroneamente in passato a classificare l'opera nella scuola del Ribera o addirittura del Caravaggio Altri due pittori, che potrebbero tranquillamente essere gli autori del dipinto sono Agostino Beltrano e Nunzio Rossi.
In ogni caso la tela, collocabile cronologicamente a metà del Seicento, è una delle più belle conservate ad Ischia del secolo d'oro della pittura napoletana.
San Giuseppe di De Simone
Lungo la via San Giorgio, nella frazione di Testaccio, incontriamo la chiesa di Santa Maria delle Grazie, fondata nel 1748 dal sacerdote Aniello Nobilone. Essa è situata lungo il tortuoso viottolo che conduce al cosiddetto Sudatorio e presenta una facciata moderna quanto modesta, che sembra scomparire tra gli edifici limitrofi, addossati fino a togliere il respiro, in palese contrasto con l'interno, molto gradevole per una magnifica decorazione a stucco, di un ignoto maestro attivo nel Settecento, che si sviluppa per tutta la superficie delle pareti.
Nella frazione di Testaccio, per quanto a lungo con dignità di comune autonomo, non necessitava una nuova chiesa, preesistendo la parrocchiale di San Giorgio, risalente alla fine del XV secolo e la Congregazione di Santa Maria di Costantinopoli, edificata nel 1600. La nuova chiesa venne realizzata per venire incontro alle esigenze dei forestieri, che frequentavano i bagni e per i contadini più anziani, i quali a fatica raggiungevano la parrocchia, situata all'estremità di una salita lunga ed in notevole pendenza.
L'impianto odierno della chiesa presenta sostanziali differenze rispetto a quello originario, descritto dal D'Ascia, che parlava di forma ovale, della quale si ha conferma attraverso l'analisi delle ornamentazioni ancora esistenti, che decorrono lungo l'unica navata, impreziosite a tratti da medaglioni ovali, che prendono luce da due finestre dall'apertura trilobata.
La zona absidale, dove è posto l'altare, sontuosamente decorato, si conclude nel catino, sormontato da coppie di costoloni che si abbracciano con le lesene. La decorazione, dipinta in bianco e grigio, comprende le incorniciature delle finestre, le paraste, sormontate da capitelli compositi, i cartocci nei pennacchi della cupola, l'incorniciatura del dipinto sull'altare maggiore e l'ornamentazione del catino absidale.
Tra le opere d'arte conservate all'interno ricordiamo due tele attribuite a Cesare Calise, una posta sul soffitto, rappresentante la Madonna col Bambino ed i Santi Francesco ed Antonio da Padova, proveniente dall'abolita congrega adiacente la chiesa di San Giorgio e l'altra collocata sull'altare. Inoltre alcune statue lignee policrome di buona qualità.
A destra dell'ingresso è collocata un'acquasantiera in marmo bianco, di fattura settecentesca, costituita da una vaschetta semicircolare con stemma a scudo sul davanti.
Sulla parete di fondo dell'abside vi è un dipinto della Madonna delle Grazie, nel quale l'autore riprende un'impostazione cinquecentesca, risalente a prototipi raffaelleschi.
Nel vano adiacente la sacrestia è collocata una scultura lignea policroma, raffigurante la Madonna col Bambino, di ambito provinciale, databile alla prima metà del secolo XVIII ed un'altra rappresentante l'Angelo custode.
Nei locali della sacrestia tra i vari arredi sacri conservati, descriviamo una cornice ovale poggiante su una base decorata da volute e da un motivo fogliaceo al centro, che racchiude una stampa a colori con l'immagine del cuore di Maria ed un'elegante pianeta tessuta in raso di colore azzurro pavone ed i galloni gialli.
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Chiesa di San Giorgio
Scendendo la strada verso il mare si incontra il vecchio comune di Testaccio, oggi frazione di Barano, la cui piazza principale è delimitata dalla chiesa di San Giorgio e dalla contigua Congrega di Santa Maria di Costantinopoli. Quella di San Giorgio è una parrocchia molto antica ed un atto legale testimonia già nel 1300 la presenza di una cappella lì dove oggi sorge la chiesa. Una lapide ricorda che un tempo la chiesa era sotto il patronato della famiglia Cervera. L'edificio fu ingrandito nel secolo XVIII e, nel 1599 elevato a sede parrocchiale. Nel 1792 l'arcivescovo di Brindisi don Annibale De Leo, trovandosi a Testaccio per cure termali, si trovò così bene da decidere di rimanere a dirigere la parrocchia. Tra i lavori di ampliamento venne costruito un campanile. Nella prima metà dell'Ottocento fu completamente decorata dallo stuccatore Domenico Savino, mentre nel 1854 fu aggiunta la navata sinistra. La navata di destra di oggi era in passato un antico oratorio privato, che nel 1773 fu rifatto ed ampliato, assumendo il titolo di Confraternita di Santa Maria di Costantinopoli, che dal 1928 si è trasferita nella chiesa della Madonna delle Grazie.
Alla chiesa si accede attraverso un atrio molto ampio, il quale crea un sagrato di grande respiro, mentre la facciata, lineare nella scansione fornita dalle lesene, mostra un originale frontone curvo, che riprende l'andamento della volta di copertura. Il campanile è posto sul fianco destro e termina con una formazione a pera su cui svetta una piccola croce.
L'interno presenta un impianto a croce latina, con cappelle sul lato sinistro, mentre a destra vi è lo spazio riservato alla congrega, suddiviso da due robusti pilastri riuniti in un robusto arcone e coperto da volte a vela lunettate.
Entrando in chiesa si è accolti sui due lati da una coppia di acquasantiere settecentesche a forma di conchiglia, poggianti su una mensoletta a voluta.
Lungo la parete della navata sinistra, in una nicchia del secondo pilastro, è collocata una scultura lignea policroma raffigurante San Michele, eseguita da un artista campano di gusto popolare, attivo nella seconda metà del Settecento.
Sull'altare della terza cappella è collocato un Crocifisso ligneo di buona fattura, eseguito nei primi anni del Seicento da un artista di ambito provinciale, che risente ancora dei modi della tradizione tardo manierista.
In sacrestia sono conservati numerosi arredi sacri argentei, alcuni particolarmente belli come, ad esempio, un tronetto per esposizione liturgica, di artigianato campano ottocentesco ed una statua lignea a manichino raffigurante la Madonna col Bambino, settecentesca, che ricalca una tipologia diffusissima in ambito meridionale. La Madonna, dal finissimo modellato, è attribuibile ad un artista attivo ad inizio secolo.
Nella zona presbiteriale, l'altare maggiore in marmi policromi, eseguito nella prima metà dell'Ottocento, è di modesta fattura e privo del paliotto, eliminato, quando, in ottemperanza alle nuove norme liturgiche, la mensa è stata staccata e rimontata separatamente adoperando i reggimensa originali. Di maggiore importanza il secondo altare della navata destra, il quale, come si evince dall'iscrizione, fu fatto realizzare nel 1858 per espresso desiderio del re Ferdinando II.
Sulla parete a sinistra del secondo altare della navata destra vi è un dipinto settecentesco raffigurante Sant'Agnello, opera di un ignoto seguace del Solimena, mentre in una bacheca nella navata destra vi è una scultura lignea policroma raffigurante il santo titolare, Giorgio, con indosso una corazza ed un elmo piumato sulla testa. L'opera è collocabile alla seconda metà del secolo XVIII.
In una nicchia, sul primo altare della navata destra, è conservata una Madonna col Bambino, in legno scolpito e dipinto, ottocentesca, opera di un ignoto scultore napoletano vicino ai modi di Francesco Citarella. Il punzone sulla corona, siglato "G.L.", potrebbe appartenere all'argentiere artefice di due reliquari nella chiesa di San Gregorio Armeno a Napoli.
Sulla cantoria è posto un dipinto raffigurante la Gloria dell'Immacolata e Santi, di un ignoto artista attivo nella seconda metà del Settecento, seguace della lezione del De Mura.
Sempre sulla cantoria ed oggi quasi completamente illeggibile, vi è poi una tavola raffigurante i Santi Lucia, Francesco da Paola ed Onofrio, attribuita dall'Alparone a Cesare Calise, che ne pubblica un'antica foto, quando il quadro era in discrete condizioni di conservazione.
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Cappella dell'Assunta
Allontanandoci da piazza San Giorgio e percorrendo via Veronesi, giungiamo, alla fine di una stradina in forte pendenza che conduce al monte Cotto, alla Cappella dell'Assunta, costruita nel 1748 da don Simone Buono, come apprendiamo dal Notamento degli Atti Beneficiali della diocesi d'Ischia. La chiesa, posta in un luogo isolato da cui si apprezza uno splendido panorama, è oggi abbandonata, anche se all'interno la decorazione in stucco, eseguita da maestranze non ischitane, è perfettamente conservata.
Alla facciata, semplicissima, si accede attraverso una breve gradinata. L'interno ha una pianta quadrangolare e presenta quattro grossi arconi che sottendono alla cupola, priva del tamburo e con una lanterna che dà luce con due piccole finestre.
La zona absidale, molto profonda, presenta l'unico altare, in stucco, sormontato da una cornice, priva oramai della tela, sormontata da una squillante composizione floreale con angeli rubicondi, anche essi realizzati in stucco.
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Chiesa di Sant'Alfonso Maria de' Liguori
Partendo sempre da piazza San Giorgio e dirigendosi verso la frazione di Piedimonte percorrendo via Regina Elena, incontriamo un luogo di culto moderno: la chiesa di Santa Maria Alfonso de Liguori, del tutto priva di interesse artistico.
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Chiesa di Santa Maria la Porta
Giunti nella frazione di Piedimonte, nella piazza principale, dedicata alla memoria del sacerdote Luigi Scotti, si affaccia la chiesa di Santa Maria la Porta, fondata nel 1750 come cappella dedicata al nome dell'Immacolata. Nel 1866 venne ingrandita e furono aggiunti due altari, dedicati a San Giuseppe ed alla Madonna della Porta. In quella occasione la tela raffigurante l'Immacolata fu spostata nella navata destra nei pressi della tomba dei fratelli Scotti: monsignor Giovanni, arcivescovo di Rossano Calabro e monsignor Ciro, vicario generale dell'isola d'Ischia, entrambi morti in odore di santità. Il titolo parrocchiale fu ottenuto nel 1920.
Sulla facciata è collocata un'immagine in maiolica della Vergine commissionata dall'attuale parroco, don Vincenzo Iacono.
L'interno è suddiviso in tre navate e presenta quattro altari.
Entrando, sulla parete destra, è collocata un'acquasantiera in marmo bianco, della seconda metà del Settecento, a forma di conchiglia, poggiante su di una mensola di stucco decorata da un motivo fogliaceo.
In una nicchia nella parete di fondo della navata sinistra è conservata una scultura lignea ottocentesca, raffigurante San Giuseppe col Bambino.
Nella zona presbiteriale, l'altare maggiore, in marmi policromi, della seconda metà del Settecento, appartiene alla classica tipologia di ambito napoletano.
In una nicchia, nella parete di fondo del presbiterio, trova posto una scultura lignea, ottocentesca, con la Madonna ed il Bambino, eseguita da un ignoto artigiano di ambito provinciale, che riprende i modi napoletani dell'epoca.
Tra i numerosi oggetti sacri conservati in sacrestia ricordiamo: una navicella eseguita da Gaetano Pane intorno al 1820 ed un ostensorio di fine secolo XVIII, punzonato con le iniziali "A.N.", opera di un ignoto argentiere che riprende una tipologia molto diffusa all'epoca.
Lungo tutte le pareti della chiesa vi sono affisse le stazioni della via Crucis, in legno intagliato e dipinto, opera di artigiani campani attivi nel primo quarto del secolo XX.
Per finire descriviamo la tela dell'Immacolata, posta oggi nella navata destra e indicata nelle antiche guide come opera della prestigiosa scuola del Murillo. L'opera è viceversa di scuola napoletana e, nonostante le devastanti ridipinture ne falsino la lettura, riteniamo di poterla assegnare a Giuseppe Marullo, uno stanzionesco attivo fino al 1685.
Percorrendo la strada panoramica che si snoda tra i castagneti del monte Cretaio, alle pendici del monte Rotaro, si giunge alla chiesa del Crocifisso, edificata dalla nobile famiglia di Francesco Menga nel 1731. La proprietà è passata poi ai D'Orso ed ai Fumarolo, che si impegnarono in alcuni lavori per cederla poi al canonico d'Ischia Ciro Onorato. Più volte restaurata, subì gravi danni per il terremoto del 1883 e giaceva in stato di deplorevole abbandono, fino all'iniziativa del comune di Barano, che l'ha sottratta all'occupazione senza titolo da parte di privati.
La facciata è delimitata ai lati da esili lesene, che si concludono in una cornice, delimitante la copertura a capriate della chiesa. Il portale, di modesta fattura dà adito all'unica navata, che prende luce anche da un finestrone e da un piccolo foro circolare. Arretrata rispetto al corpo centrale, è collocata la sacrestia, mentre una quinta muraria presenta due archetti, che fanno da sostegno alle campane. All'interno varie lapidi rammentano le tappe storiche della chiesetta.
Sull'altare, in marmi policromi, si venera un Crocifisso monumentale in legno scolpito e dipinto eseguito nella prima metà del Settecento da un artista, seguace di Nicola Fumo, che si rifà ai modelli in voga in ambito napoletano. Il Cristo morto sulla croce ha i fianchi coperti da uno straripante perizoma bianco.
Dalla viva voce di don Attilio Buono abbiamo appreso una storiella riguardante le origini della chiesa: da Casamiciola un giorno partì un asinello, ma forse era un ciuccio, che portava in groppa il crocifisso oggi venerato dai fedeli. La bestia, senza padrone, stanca per la ripida salita e giunta nei pressi di un ombroso frutteto, si gettò a terra e si rifiutò di proseguire. Gli indigeni, dopo aver tentato di convincere il riottoso animale a continuare la marcia, decisero allora di edificare una piccola cappella per custodire il crocifisso.
La popolazione dell'isola, nei venerdì di marzo è solita venire in allegro pellegrinaggio alla chiesa e dopo la celebrazione della messa ed aver ritemprato lo spirito, si sparpaglia negli accoglienti boschi limitrofi per consumare una rigenerante colazione. Nel pomeriggio dell'ultimo venerdì di Quaresima si celebra poi una via Crucis, con ampia cornice di popolo, che forma una folta processione che si snoda, partendo dalla chiesetta, per via Cretaio, fino a raggiungere la lontana parrocchia di Sant'Anna a
Fiaiano.
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Chiesa della Madonna di Montevergine allo Schiappone
Ritornando verso Piedimonte, percorrendo via Vincenzo Di Meglio, arriviamo in località Molara, presso cava Nocelle, da cui parte un irto sentiero pedonale che, attraversando una fitta e rigogliosa vegetazione, conduce alla sommità della collina dello Schiappone, alle pendici del monte Vezzi, lì dove è situato il Santuario dello Schiappone, dedicato alla Natività della Madonna. Saliti pochi malfermi gradini si è accolti da un rustico sagrato. La chiesa nacque nel 1665 come eremitaggio, per iniziativa dei fratelli Rossi, nativi del luogo. Agli inizi dell'Ottocento, su sollecitazione di un eremita, un tale Baldovino, furono eseguiti lavori di ampliamento. La proprietà passò poi al nobile genovese Bertarelli, una cui figlia sposò un ischitano, Siniscalchi, da alcune fonti ritenuto erroneamente il fondatore. Gli eredi conservarono la proprietà fino al 1806 ed il patronato fino al 1935, quando, per iniziativa del vescovo d'Ischia, il santuario fu elevato a sede parrocchiale. Utilizzata per secoli dagli eremiti, la chiesa era chiusa al pubblico ed era aperta soltanto l'otto settembre per la festività della madonna, allorquando folle di pellegrini, provenienti da tutta l'isola ed anche da Procida si recavano a piedi, già dalla sera precedente, sulla collinetta dello Schiappone. Assunse poi dal 1953 il titolo di Santa Maria di Montevergine ed ebbe il suo primo parroco nella persona del giovane sacerdote don Luigi Iorio.
La facciata presenta due ordini di lesene terminanti in un cornicione che segue l'estradosso della volta.
L'interno a croce latina presenta una sola navata ed una bella ornamentazione a stucco lungo le pareti e la volta a botte, eseguita nell'Ottocento da Domenico Savino; tale decorazione si può oggi ammirare, ben conservata, nelle ghirlande d'edera, di quercia, di rose e di stelle. All'altezza del transetto vi è la cupola, priva del tamburo.
All'ingresso, in una nicchia a destra, vi è una statua lignea, raffigurante Sant'Anna con la Vergine bambina, di un ignoto scultore attivo nella seconda metà dell'Ottocento.
L'altare e la balaustra, rimossa negli ultimi anni, presentava lo stemma della famiglia Siniscalchi ed era in marmi policromi settecenteschi. Sull'altare pendeva un quadro, fine Seicento, della Madonna di Montevergine e Santi, di ignoto napoletano, tutt'ora esposto alla venerazione dei fedeli in occasione delle festività.
Nei locali della sacrestia segnaliamo: un lavabo, di artigianato campano settecentesco, una tela, realizzata intorno al 1750, con l'immagine di Santa Caterina d'Alessandria ed una statua della Madonna, opera di ebanisti napoletani della seconda metà del secolo XIX.
Rimanendo in zona, poco più avanti, vi è l'antica cappellina di San Pancrazio, posta quasi a picco sul mare, che ha dato il nome alla celebre punta.
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Chiesa di San Rocco
Ritornati a Barano, in fondo alla piazza sorge la chiesa di San Rocco, dedicata al santo patrono del centro abitato, mentre san Sebastiano è ritenuto patrono del comune. Venne edificata nel Seicento e nel Settecento fu abbellita di stucchi, specialmente nella facciata, di altari in marmi policromi e di statue lignee.
A lungo è stata sede di una confraternita, dedicata alla Madonna del Rosario, in auge fino al Novecento e simboleggiata da una famosa pala d'altare, firmata e datata 1632, di Cesare Calise, trasferita da alcuni anni nella vicina chiesa di San Sebastiano.
Entrando, ai lati dell'ingresso, vi è una coppia di confessionali, di artigianato campano della seconda metà del secolo XIX.
Sulla parete sinistra, nella prima nicchia, vi è una statua lignea policroma, raffigurante San Giovanni Giuseppe della Croce, attribuibile a Francesco Verzella, per la vigorosa plastica di gusto espressionista, caratteristica dell'artista. La scultura è stata eseguita probabilmente negli anni successivi alla beatificazione del santo ischitano, avvenuta nel 1789, quando tutte le chiese ischitane fecero eseguire un effige del santo, spesso servendosi, per una maggiore rispondenza fisionomica, della maschera funebre in cera conservata nella chiesa dello Spirito Santo ad Ischia Ponte.
Sulla parete destra è collocata un'acquasantiera, ottocentesca, costituita da una vaschetta rettangolare priva di decorazione con orlo aggettante.
Nella zona presbiteriale l'altare maggiore, in marmi policromi, dalla data del bollo camerale impressa sulla porticina argentea del ciborio, sembra eseguito nel 1757.
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Chiesa della Madonna del Carmine
Proseguendo, poco più avanti, si incontra la chiesa della Madonna del Carmine, fondata nel 1684 come confraternita, il cui Statuto fu approvato dal re Ferdinando IV e dalla Regia Camera nel 1784.
Nel Seicento la devozione verso la Madonna del Carmine, della quale in chiesa è conservata una bella statua settecentesca, si era molto diffusa sull'isola, per la presenza dei frati Carmelitani in Santa Restituta.
Nell'edificio sacro si riunì più volte il Parlamento di Barano, quando, dovendosi prendere decisioni importanti, le riunioni erano molto affollate.
La chiesa subì nel 1883 gravi danni dal sisma, ma la struttura venne prontamente ripristinata, grazie all'impegno dei fedeli ed al contributo finanziario dei confratelli.
Di recente nell'archivio della confraternita si è rintracciato l'ultimo statuto, dal quale veniamo a conoscenza di alcune regole: per essere ammessi bisognava avere meno di trenta anni, buona condotta morale, acclarata dal parroco e buona salute fisica certificata dal medico; pagando una tassa di iscrizione ed un contributo mensile si aveva diritto all'assistenza a ben morire, ma si poteva essere espulsi in ogni momento, per cattiva condotta o per il mancato pagamento dei contributi mensili.
Entrando, in una nicchia sulla parete destra, è collocata la statua della Madonna del Carmine, eseguita in legno scolpito e dipinto e cartapesta da uno scultore campano attivo nella seconda metà del secolo XIX; la corona d'argento, di epoca successiva, è siglata.
La Madonna del Carmine è rappresentata anche in un dipinto settecentesco posto sulla parete di fondo della chiesa, opera di un ignoto seguace di Alfonso Di Spigna, del quale riprende i caratteri vagamente solimeneschi del Bambino e dei putti.
In sacrestia tra i vari oggetti sacri conservati ricordiamo: un crocifisso ligneo settecentesco di ignoto scultore campano ed una base professionale in legno scolpito e dipinto, della seconda metà dell'Ottocento, di artigianato campano molto elegante, costituita da quattro grandi volute angolari, delimitanti i piani laterali decorati ad intaglio traforato.
Nella congrega di Santa Maria del Carmine abbiamo, sulla parete a sinistra dell'ingresso, un frammento della parte dorsale di un coro che, originariamente, era ubicato nell'abside della chiesa di San Sebastiano, mentre a destra vi è un'acquasantiera ottocentesca costituita da una vaschetta a forma di conchiglia liscia.
Nella zona presbiteriale è collocato l'altare maggiore, ottocentesco, in marmi policromi, opera di un ignoto artefice campano ed una scultura in legno scolpito e dipinto, raffigurante un Ecce homo, prodotta da un artista di ambito provinciale , che riprende modi napoletani della prima metà del secolo XVII.
Ed infine, in una nicchia sull'altare maggiore, vi è una statua lignea della Madonna del Carmine, opera di uno scultore di ambito napoletano operante nella prima metà del secolo
XIX.
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Chiesa di Sant'Alfonso al Vatoliere
In via Regina Elena incontriamo poi la chiesa di Sant'Alfonso al Vatoliere, della quale descriviamo alcune delle opere conservate all'interno, partendo da un'acquasantiera posta all'ingresso, in marmi policromi della seconda metà del Settecento, prodotta da maestranze napoletane. Nella zona dell'abside è collocato un modesto altare ottocentesco, in marmi policromi, di artigianato napoletano. In sacrestia troneggia uno splendido baldacchino d'altare, in legno intagliato e dorato, eseguito nella seconda metà dell'Ottocento da artigiani napoletani ed un elegante paliotto, in seta a ricami policromi e oro, di manifattura napoletana attiva nel primo quarto del Novecento.
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Chiesa di San Giovanni Battista
Proseguendo per la provinciale ci dirigiamo verso Buonopane, l'antica Moropano, dove visitiamo la chiesa di San Giovanni Battista, risalente secondo alcune fonti al XIII secolo, edificata per volontà dei Cossa, celebre famiglia nobile ischitana. I primi documenti che parlano con certezza della chiesa sono però del 1535, durante l'episcopato di Pastineo o Falivenia.
Entrando siamo accolti da una coppia di acquasantiere di marmo bardiglio a forma di conchiglia, opera di un marmoraro campano attivo nella seconda metà del Settecento.
In una nicchia, nei pressi dell'altare, vi è una scultura a manichino raffigurante l'Addolorata, in legno scolpito e dipinto e stoffa ricamata, opera di un artista campano attivo nella seconda metà del secolo XIX.
L'altare maggiore, in marmi policromi, è ottocentesco e di manifattura campana.
In una bacheca, nella navata destra, è collocata una statua lignea della Madonna della Porta, prodotta, intorno alla metà del secolo XIX, da un ignoto scultore campano.
Ed infine, donato alla chiesa nel 1886 da don Mattia Baldino, come recita una lapide sita nella zona presbiteriale, vi è un quadro molto interessante raffigurante San Giovanni Battista. La tela rappresenta il Santo, con i fianchi avvolti da un manto rosso, seduto, con la mano destra rivolta verso l'alto ed un agnello in basso che gli fa compagnia. Il quadro, anche se rovinato e di difficile lettura, può essere assegnato a Massimo Stanzione, in una fase molto antica e poco documentata della sua attività, intorno agli anni Venti, quando ancora si potevano riscontrare nella sua pittura echi
battistelliani.
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