Il 28 agosto la Cassazione ha
fatto passare in giudicato una severa condanna nei miei confronti
per aver costretto una donna ad abortire, una pena degna di uno
spietato boss della camorra, di un trafficante di droga
internazionale, di un killer. Io viceversa sono innocente, vittima
di una squallida storia di estorsione; appena la motivazione della
sentenza sarà depositata i miei avvocati chiederanno la revisione
del processo basata sulla resipiscenza della donna accusatrice ed
adiranno alla Corte di Strasburgo per segnalare le continue
compressioni al diritto di difesa esercitate nei miei confronti in
tutti i gradi del giudizio.
Ma vogliamo cominciare dal principio?
Correva il 1972, l’anno della mia laurea in Medicina, ma soprattutto
dell’incontro a Los Angeles con Karman, l’inventore dell’omonimo
metodo per indurre l’aborto nella fase iniziale della gravidanza
attraverso l’aspirazione, una metodica rivoluzionaria che relegava
per sempre nei libri di storia della medicina il famigerato
raschiamento, terrore per generazioni di donne di tutto il mondo, le
quali, in totale assenza di contraccettivi, erano costrette a
sottoporsi più volte nel corso della vita ad una inutile tortura. Un
metodo impregnato da un’onesta concezione filosofica: nei primi
giorni di gestazione l’embrione, non possedendo una parvenza di
sistema nervoso centrale, non ha acquisito pienamente la dignità di
essere umano. Un argomento controverso in stridente contrasto con la
dottrina della Chiesa, che ha sancito con un’apposita enciclica
l’inizio della vita con la fecondazione.
(Invito chi volesse approfondire la questione a consultare su
internet il mio saggio: ”Storia dell’aborto dall’antichità ai nostri
giorni”).
Lo scienziato mi insegnò la tecnica e mi fornì in esclusiva per
l’Italia il materiale per eseguire il rapido (40-50 secondi)
intervento che non richiede anestesia e viene percepito dalla donna
come una sensazione simile al dolore mestruale.
Dopo qualche anno vi fu un altro incontro decisivo con Adele Faccio,
fondatrice del Cisa, un’organizzazione la quale, mentre erano ancora
da noi in vigore le norme del codice Rocco, che consideravano
l’interruzione volontaria della gravidanza un’esecrabile reato
contro l’integrità della stirpe con pene severissime anche per la
paziente, si adoperava per aiutare tutte le donne che non potevano
pagare le salatissime parcelle dei cucchiai d’oro.
A Napoli imperavano ed imperversavano Monaco ed Ammendola con
onorari di 600.000 – 700.000 lire, mentre il Cisa richiedeva una
semplice offerta a chi poteva e voleva pagare, massimo 50.000 lire.
Divenni il punto di riferimento del Cisa ed anche dell’Aied, che
organizzavano pulman e voli charter da tutta Italia verso il mio
studio di via Manzoni. Migliaia di pazienti al punto che, nel 1978,
potevo dichiarare ad un incredulo giornalista della Stampa sceso a
Napoli per un’inchiesta: negli ultimi due anni ho eseguito 14.000
aborti.
Da quella mia incauta e spavalda (avevo trenta anni) dichiarazione,
pubblicata in prima pagina a nove colonne sul quotidiano torinese e
ripresa da tutta la stampa nazionale, sono originati tutti i miei
guai giudiziari, unica consolazione aver favorito l’approvazione
della legge 194, che stagnava nelle sorde e grigie aule
parlamentari. Il fisco mi presentò una tassazione di un miliardo e
mezzo per tre anni di attività professionale, mentre l’ospedale
presso cui lavoravo mi licenziò in tronco, ma il tempo è stato
galantuomo e, dopo una causa ultraventennale, prima il Tar e poi il
Consiglio di Stato mi diedero ragione e condannarono l’Asl ad un
risarcimento di 900 milioni.
Nel 1991 presso l’ospedale di Cava de’ Tirreni mettevo a punto una
metodica farmacologica per provocare l’aborto associando alcuni
prodotti noti alla farmacopea ufficiale per altre indicazioni. Anche
allora grande tempesta e tutti contro, dal primario al direttore
sanitario, dalla Asl alla magistratura, che sequestrò le cartelle
cliniche e sottopose le pazienti a defatiganti interrogatori. Alla
fine fu vietato ai farmaci di entrare in ospedale, io venni
licenziato e la stampa osservò un rigoroso silenzio sulla vicenda,
ad eccezione di alcune prestigiose riviste scientifiche straniere
che pubblicarono la mia esperienza clinica.
Ancora oggi l’Italia, a distanza di quasi venti anni, è ancora uno
dei pochi Paesi al mondo dove ancora non è stata introdotta una
metodica farmacologica per indurre l’aborto.
Nel 1994 un disastroso infarto e dieci giorni in sala di
rianimazione mi consigliarono di ridurre al massimo la professione
ed a chiudere definitivamente con l’aborto. Occasione per poter
dedicare il mio tempo alla scrittura, all’arte, agli scacchi
(disciplina nella quale in pochi mesi divenni maestro).
A ventinove anni avevo pubblicato il mio primo libro(Moderne
metodiche per provocare l’aborto), dopo erano seguiti altri volumi
prevalentemente di divulgazione medica, ricordo in particolare la
Frigidità nella donna, del 1992, nel quale portavo a conoscenza un
apparecchio da me ideato per favorire l’orgasmo:il vaginometro.
Ora ho più tempo per pensare, studiare, scrivere.
Il secolo d’oro della pittura napoletana, un’opera in dieci tomi sul
nostro glorioso Seicento, una serie di monografie su importanti
collezioni private di dipinti e su alcuni artisti (Pacecco De Rosa,
Giuseppe Marullo ed Aniello Falcone) che attendevano da tempo una
degna consacrazione.
Una carrellata tra serio e faceto con i seni più belli di tutti i
tempi immortalati dagli artisti, un’indagine sulle chiese di Ischia,
una rivisitazione storica del mito di Achille Lauro ed un’inchiesta
rigorosa ed in anticipo sui tempi del disastro rifiuti in Campania.
L’ultima mia fatica letteraria, a giorni in tutte le edicole e
librerie, è le Tribolazioni di un innocente, una denuncia delle
spaventose condizioni di vita nel carcere di Poggioreale, già
consultabile sul web digitando il titolo.
In totale trenta libri e circa mille articoli su riviste
scientifiche, di storia, di scacchi, di filosofia, di politica, di
attualità e la collaborazione a numerosi quotidiani cartacei e
telematici.
Nel frattempo vi è anche il tempo per un’esperienza elettorale con i
radicali conseguendo la migliore percentuale di voto in Campania e
non divenendo senatore soltanto per il mancato raggiungimento del
quorum.
Negli ultimi dieci anni divenni poi il deus ex machina del salotto
culturale che mia moglie Elvira teneva settimanalmente nella sua
villa di Posillipo, un cenacolo al quale hanno partecipato come
relatori i migliori cervelli della Campania, tutti i nomi che
contano nei vari campi dello scibile. Personaggi prestigiosi:
docenti universitari, scrittori, registi, giornalisti, politici che
accoglievano felici l’invito alla discussione e che oggi, salvo
pochi, affermano di non avermi mai conosciuto e se mi incontrano
girano sdegnosamente lo sguardo.
Sono centinaia di nomi, ne ricordo qualcuno, in rigoroso ordine
alfabetico, scusandomi con coloro che non nomino: Giancarlo Alisio,
Antonio Baffi, Antonio Cirino Pomicino, Guido D’Agostino, Renato De
Falco, Giovan Battista de Medici di Ottaviano, Italo Ferraro, Arturo
Fratta, Pietro Gargano, Giuliana Gargiulo, Benedetto Gravagnuolo,
Marta Herling, Goffredo Locatelli, Alfonso Luigi Marra, Titti
Marrone, Eugenio Mazzarella, Riccardo Mercurio, Mauro Maldonato,
Giuseppe Montesano, Luigi Necco, Vincenzo Pacelli, Giulio Pane,
Mario Alberto Pavone, Silvio Perrella, Eleonora Puntillo, Fabrizia
Ramondino, Massimo Rosi, Aldo Loris Rossi, Domenico Scafoglio,
Luciano Scateni, Jean Noel Schifano, Alfonso Scirocco, Michele
Serio, Aurora Spinosa, Boris Ulianich, Valerio Ventruto.
Ad un’attività culturale sedentaria affiancavo ogni anno una
sessantina di visite guidate (dal sottoscritto e da mia moglie) ai
monumenti, alle chiese, alle mostre, ai musei della nostra città,
con puntate mensili nella regione ed in giro per l’Italia, lì dove
si svolgevano importanti rassegne artistiche. Visite seguite nel
tempo da migliaia di persone, dal semplice appassionato allo
specialista erudito.
Ogni mese organizzavo, con la collaborazione di studiosi di fama
nazionale, conferenze sugli argomenti più vari nelle più prestigiose
sedi di dibattito dall’Istituto per gli studi filosofici al Goethe ,
dal Grenoble alla Feltrinelli.
Negli ultimi mesi ho girato le scuole della Campania, prediligendo
quelle del Bronx più profondo da Scampia a Forcella, per
sensibilizzare i giovani, il nostro futuro, sul dramma del problema
dei rifiuti, regalando a tutti (grazie alla sensibilità
dell’editore) una copia del mio “ Monnezza viaggio nella spazzatura
campana”.
La breve autobiografia potrebbe essere giunta alla conclusione (con
l’invito, per chi vuole conoscere i miei lavori, a consultare il mio
sito internet www.guidecampania.com/dellaragione), perché gli ultimi
avvenimenti risalgono all’estate scorsa e potrebbero agevolmente
collegarsi all’incipit del racconto, ma per completezza ed onestà
vorrei rispondere alle domande che potrebbero essermi formulate da
un ipotetico avvocato del diavolo
1)In due anni 14.000 aborti, quanti in 30 anni di attività?
Nel 1996 nel corso di un’indagine che, dopo l’interrogatorio di
oltre 400 mie clienti, portò alla scoperta di 4-5 casi di
interruzioni di gravidanza avvenute nel mio studio, nel
complimentarmi con le due giovani pm che avevano condotto
l’inchiesta, segnalai che erano sfuggiti alle pur rigorose
inquirenti altri circa 40.000 aborti dei quali dichiarai di essere
l’autore.
2) Si sente colpevole per quel che ha fatto?
Ritengo di aver agito sempre e soltanto nell’interesse delle
pazienti che, spontaneamente, si rivolgevano a me per essere
aiutate. Sono fermamente convinto che la volontà della donna vada
rispettata, se si manifesta nelle primissime fasi della gestazione
(quelle nelle quali si può adoperare il metodo Karman, l’unico da me
utilizzato) quando l’embrione ha caratteristiche tali da non poterlo
identificare come persona; viceversa sono del parere che
l’interruzione della gravidanza a mese alto, anche se permessa dalla
legge, sia poco diversa da un omicidio.
3) Tanti interventi corrispondono ad una bella cifra, quanto ha
guadagnato?
Ho guadagnato cifre ragguardevoli, ma sarei criticabile se le avessi
realizzate praticando banali appendicectomie?
In Italia una donna è libera di rivolgersi ad un medico di sua
fiducia per qualunque patologia, ma non per un’interruzione di
gravidanza, che deve essere praticata solo in centri pubblici. Ben
diversa è la legislazione in nazioni ben più civili della
nostra:Spagna, Inghilterra, Olanda, Stati Uniti, Francia ecc…, dove
la paziente è libera di rivolgersi al suo ginecologo; è una
situazione paradossale, figlia dell’ipocrita compromesso tra la
sinistra ed i cattolici quando fu varata la legge 194, un aborto
giuridico, che dopo 30 anni richiede una revisione in più punti,
facendo salva naturalmente l’autodeterminazione della donna, la
quale deve essere libera di rivolgersi presso un medico di sua
fiducia.
Per trovare una soluzione tutti, a partire dai mass media, dobbiamo
abituarci all’idea che un aborto praticato da un abile
professionista in uno studio medico debba chiamarsi semplicemente
privato e non, pomposamente, clandestino.
Achille della Ragione |