Cap.19
UNO SPLENDIDO SANSONE E DALILA DI NICCOLÒ DE
SIMONE
Niccolò de Simone, “geniale eclettico” dalle molteplici componenti
culturali, fu pittore e frescante, operoso per oltre venti anni
sulla scena napoletana e, pur con le difficoltà di classificare il
suo pennello multiforme, in grado di recepire le più diverse
influenze, può rientrare ragionevolmente nella cerchia falconiana,
in parte per il racconto fantasioso del De Dominici, che ce lo
descrive partecipante alla Compagnia della morte, ma precipuamente
per un evidente rapporto stilistico con la produzione di Aniello
Falcone, di Andrea De Lione e di Domenico Gargiulo, da cui prendono
ispirazione molte delle sue opere.
Nulla sappiamo sulla sua data di nascita e di morte, anche se
l’improvvisa mancanza di documenti di pagamento a partire dal 1656,
prima numerosi, fa ipotizzare che possa essere morto, alla pari di
tanti altri artisti e di un terzo della popolazione napoletana,
durante l’epidemia di peste. Nella Nota sugli artisti napoletani
che, nel 1675, Pietro Andrea Andreini spedì da Napoli al cardinale
Leopoldo de Medici l’architetto Niccolò di Simone viene citato fra
gli artisti ancora viventi, ma si tratta di persona affatto diversa.
Il primo mistero da affrontare è basato sulla molteplicità di firme
e di citazioni nei documenti con i quali l’artista viene indicato e
l’assidua presenza del nome del padre, Simone o Simon Pietro, dopo
il suo nome di battesimo, al punto da aver fatto perdere le tracce
del suo vero cognome e di averlo fatto diventare nel tempo de
Simone. Il riferimento costante al genitore fa supporre che egli
vivesse in città con lui e fosse noto, forse un pittore del quale
abbiamo perso ogni traccia. Probabilmente era lui il “fiammegno”
trasferitosi a Napoli sul finire del Cinquecento, come tanti suoi
celebri colleghi e Nicolò potrebbe anche essere nato all’ombra del
Vesuvio, mentre la città di Liegi, indicata accanto alla sua firma
nel Baccanale di collezione genovese, essere la città di origine
della sua famiglia. Se veniva dall’estero, come è probabile, non si
conosce la data del suo arrivo, né quanti anni avesse, se andò a
bottega da qualche maestro locale o fosse già indipendente. Nelle
polizze di pagamento il suo nome viene spesso accompagnato da un
soprannome: Loket, Lokel, Lopet, Lozet o Lo Zet, appellativi di
origine fiamminga e tra questi il più frequente è proprio l’ultimo,
il quale in olandese significa il matto, che compare in almeno tre
documenti, come pure sulle tele egli, alternava alla firma la sigla
NDS con le lettere intrecciate. Il biografo settecentesco lo
definiva “ragionevole pittore dei suoi tempi” che lavorava “con
studio ed amore” e nel fornirci un piccolo elenco di sue opere, ci
racconta che il pittore aveva molto viaggiato all’estero,
soprattutto in Spagna e Portogallo, ipotesi che non ha trovato
conferme documentali. Il De Dominici elargisce al pittore una breve
citazione, a differenza di altri suoi colleghi che la critica
odierna ritiene di pari importanza, ai quali dedica una Vita.
Originario di Liegi, come si evince nella sua firma, in passato
sfuggita alla critica, sotto il Baccanale di collezione privata
genovese, de Simone è documentato a Napoli dal 1636 al 1655 e non al
1677 come erroneamente indicato in tanti testi autorevoli, incluso
il catalogo sulla Civiltà del '600 e sorprendentemente anche il
recente regesto dei dipinti del secolo XVII del museo di Capodimonte.
I suoi esordi sembrano affondare nella cultura tardo manierista
dominata dal Corenzio, in seguito egli nei suoi dipinti, oltre al
marchio della cerchia falconiana risente dell'influsso del Poussin e
del Grechetto, dai quali trae spunto anche per particolari tipi di
paesaggio, tematiche preferenziali, fisionomie caratteristiche.
Citato saltuariamente nelle antiche fonti e trascurato da studiosi
come l'Ortolani che lo definì un "mediocrissimo, manierista
ritardatario".
Oggi la critica, grazie ai contributi prima della Novelli Radice e
poi, più volte, della Creazzo, conosce più che bene i caratteri
distintivi del suo stile pittorico: anatomie sommarie, tipica
concitazione delle scene, caratteristico volto delle donne, tutte
mediterranee dai pungenti occhi scuri, assenza di profondità
spaziale con bruschi passaggi di scala, evidentissimi nel dipinto
dell’Educazione della Vergine, folle in preda ad un’intensa
agitazione, cieli tempestosi e baluginanti, squisita sensibilità da
espressionista nordico, ripetitività nella costruzione dell’impianto
generale della scena, personalissima resa cromatica nell’uso di
colori stridenti ed incarnati rossicci. Il soggetto testamentario,
assieme a quello mitologico, costituisce una parte cospicua nella
produzione da cavalletto del de Simone e le opere, oramai numerose,
che gli si possono attribuire con certezza restituiscono l'immagine
di un artista assai versatile, in stretto rapporto con quel florido
mercato che nella prima metà del Seicento favorì la crescita in area
napoletana di diversi generi. Le sue composizioni affollate di
personaggi in scala ridotta non sfigurano paragonate agli esiti dei
migliori specialisti in circolazione. I suoi dipinti tracimano dai
contrasti rudi del verace naturalismo meridionale alle ovattate
atmosfere neovenete della pittura romana, esaltando il confronto con
gli esempi più illustri del Falcone, del Castiglione e del Poussin.
Accenniamo ora ad uno splendido dipinto di grande impatto cromatico:
un Sansone e Dalila, presso l'antiquario Orlando Magli a Lecce, il
quale presenta caratteri in comune con la pittura del Beinaschi nei
toni dorati e nei colori sensuali, nella composizione dal respiro
monumentale, nella luce che promana dal fondo a scandire le figure
centrali, tra le quali giganteggia quella di Dalila, dal seno
poderoso, che si accingere a castrare la forza dell'eroe
tagliandogli i capelli. Una importante aggiunta che arricchisce il
catalogo dell'artista.
Niccolò de Simone: Sansone e Dalila (Collezione Orlando Magli
LECCE)
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