Prefazione
Proporsi di
scrivere un libro sull’amore e dargli il titolo di Bibbia
può sembrare un atto di superbia ma io voglio considerarlo uno
stimolo a trattare l’argomento a 360°, vivisezionandolo secondo i
più diversi punti di vista.
Voler preliminarmente consultare i libri scritti sull’amore da
filosofi, poeti, sociologi, psicanalisti e scienziati è impresa
improba perché se ci rechiamo in qualsiasi biblioteca scopriremo che
metà dei volumi parla d’amore, dalle Sacre Scritture al Kamasutra,
dalla Divina Commedia al Decamerone, dall’Ars Amandi di Ovidio al
Convivio di Platone, ed infiniti sono stati gli autori che ne hanno
fatto oggetto dei loro romanzi, senza considerare cantanti,
musicisti, registi, pensatori di ogni genere.
Come pure è impensabile proporre alla fine del lavoro una
bibliografia: sarebbe infinita e si farebbe il torto di dimenticare
centinaia di persone che hanno dedicato la vita a cercare di
definirlo.
L’amore è il dono più bello che il creatore ha fatto all’uomo e
nello stesso tempo lo ha diffuso per tutto l’universo: “L’amor che
muove il Sole e le altre stelle”.
Partiremo da un tentativo di definizione e concluderemo cercando di
convincerci che siamo padroni delle nostre passioni, dopo che la
materia è entrata sotto l’osservazione della scienza, dalla
biochimica cerebrale alla psicologia evoluzionistica, dallo studio
dei mediatori chimici delle emozioni, all’identificazione della
struttura delle sinapsi dei loci che la Pet ci dimostra entrano in
attività quando scatta la magica scintilla.
Tutti credono di sapere cosa è l’amore, salvo forse i filosofi che
si sono affannati a distinguerne vari tipi.
Per la maggioranza l’amore è la relazione sentimentale che unisce i
viventi tra di loro e non solo necessariamente un uomo con una
donna; per i filosofi esso è una nozione più astratta ed al tempo
stesso più vasta, includendo intuizione, comprensione, simpatia
verso tutti i viventi e la stessa natura.
Già Platone nel “Convivio” distingueva diversi livelli e gradi
dell’amore, a seconda si riferisse ad un essere carnale, ad un’idea,
ad un valore morale, alla ricerca della verità, alla scoperta della
sua essenza estrinseca.
Nello stesso tempo Platone ci fornisce un’idea dell’amore che nei
secoli è stata male interpretata. Infatti, per il sommo filosofo,
l’amore, cosiddetto “platonico”, non è quello di un uomo ed una
donna che, mano nella mano, occhi negli occhi, si toccano solo
attraverso baci casti sulla fronte e debbono conservarsi puri. Nella
sua configurazione egli vede la sublimazione dell’essere, la brama
di assoluto, la ricerca di una forma ideale. Amando una donna
particolare si viene a conoscenza dell’essenza di tutte le donne,
sublimate e mitizzate.
Secondo Pascal l’amore è una forma suprema di conoscenza, il miglior
mezzo a nostra disposizione per conoscere gli altri, la natura e
tutta la realtà che ci circonda, una forma d’intuizione al di sopra
della ragione e dei sensi come comprensione del mondo e del
prossimo. Nella filosofia classica si opera una distinzione
fondamentale, valida soprattutto per gli Scolastici, che
distinguevano un “amore di concupiscenza” , che fa desiderare il
possesso esclusivo dell’essere amato, da un “amore di benevolenza”,
che ci fa desiderare il bene di chi si ama, distinzione confermata
da Cartesio nel suo trattato delle passioni.
Un aspetto focalizzato dagli psicanalisti che parlano d’amore
possessivo, ai limiti del patologico, è quando, raggiunto
egoisticamente il proprio appagamento, si trascurano i desideri
dell’altro.
Diametralmente opposto è l’amore di dedizione, quando si è disposti
a sacrificare la propria personalità per soddisfare i desideri
dell’altro.
E’ un tipo d’amore sviscerato che si realizza anche fuori della
sessualità: infatti questa passione, fatta di sacrificio e rinuncia,
caratterizza tutti coloro che si dedicano anima e corpo alla
religione, alla patria, all’arte, alla scienza.
Vi è poi la forma più alta dell’amore, la più pura e perfetta, che
consiste non nel guardarsi l’un l’altro, ma nel guardare assieme
nella stessa direzione.
Sono i grandi amori mitizzati dalla letteratura: Filemone e Bauci,
Paolo e Francesca, Orfeo ed Euridice, Romeo e Giulietta, Dafni e
Cloe, Tristano e Isotta, Abelardo ed Eloisa, splendidi esempi di
passione travolgente che spinge due destini nella stessa direzione.
Potremmo ricordare altri nomi famosi, celebrati dalla mitologia e
dalla letteratura, ma vorrei aggiungere, a futura memoria, due
sconosciuti: Mustafà ed Amina, genitori di un ragazzo africano che
ho conosciuto a Rebibbia.
Durante un viaggio della speranza e della disperazione dalle coste
libiche a Lampedusa, su un gommone per venti passeggeri che ne
conteneva quaranta, dopo due giorni di navigazione, il mare
s’increspò minaccioso con onde di tre metri. Gli schiavisti decisero
che bisognava diminuire il peso, gettando a mare un po’ di zavorra
umana. Il primo ad essere prescelto fu Mustafà, che pesava 110 chili
ed altri cinque sventurati. Amina decise di voler morire con il
marito: affidò il suo bambino ad una donna, salvando in tal modo uno
dei prescelti e scomparvero abbracciati tra i flutti, sotto gli
occhi impietriti del figlioletto di 8 anni. Un episodio d’amore
supremo che non sfigura al confronto delle storie di personaggi resi
immortali dalla penna degli scrittori.
In questi casi, strappati totalmente dalle condizioni materiali
della vita quotidiana, è concesso di vivere momenti esaltanti, dove
ogni momento fornisce l’illusione dell’eternità.
Continuando a seguire il parere sull’argomento dei grandi pensatori,
possiamo citare Stendhal che, nel suo trattato “Dell’amore” cerca di
stabilire una distinzione fra i gradi elementari dell’inclinazione
(oppone all’amore “fisico l’amore “vanità”) e la vera passione
amorosa che si colloca al polo opposto del flirt.
E’ stato Kant ad accentuare l’opposizione tra sentimenti
superficiali e la vera passione: «L’emozione agisce come una massa
d’acqua che rompe la diga, la passione come un torrente che scava
sempre più profondamente il suo letto…l’emozione è come
un’ubriacatura da smaltire, la passione come una malattia per
intossicazione».
L’emozione amorosa è il colpo di fulmine, è il punto di partenza di
un folle amore. Mosso da questa emozione, l’appassionato si sentirà
interamente preso, “posseduto”, dominato, vale a dire “alienato”,
dalla passione. L’innamorato passionale non sa più resistere alla
sua “folle passione”, una malattia dell’anima che strappa e trascina
tutto al suo passaggio senza che si possa far nulla per imbrigliare
questa piena.
Il problema che si pone da un punto di vista filosofico è quello di
accertare se la passione può servire come scusa; se si possono
perdonare i disordini, le stravaganze cui conduce; se è tollerabile
che la persona passionale possa fare qualsiasi cosa per amore, che
si comporti come un forsennato che nessun ragionamento può
trattenere. Bisogna infine accertare se è vero che il passionale non
può impedire a se stesso di agire male, di fare del male, di ferire,
di ammazzare, precisamente per passione, e se è esatto dire che «non
siamo padroni delle nostre passioni».
Ben inteso, l’amore può anche essere tiepido e persone
appassionatamente innamorate possono anche non impazzire. Ma allora
c’è del vero quando si dice che i popoli felici non hanno storia… e
che l’amore comune non ha filosofia. Perché l’amore ponga problemi
filosofici, deve raggiungere una certa dimensione; si potrebbe anche
dire che bisogna oltrepassare un certo livello per giungere alla
dimensione del delirio, senza la quale l’«amoretto», l’infatuazione
passeggera non diventeranno mai amore.
L’amore può provocare delle vere e proprie devastazioni dell’anima,
dando luogo ad un sentimento di esaltazione. Montaigne giustamente
affermava che “l’amore non rapisce ma devasta”, provocando una sorta
di maremoto mentale.
San Tommaso afferma: “Le passioni in se stesse non sono né buone né
cattive”, sta a noi, vincendo il nostro egoismo, canalizzarle verso
la scienza, la verità, il benessere dell’umanità.
Sartre riteneva che “l’uomo è una passione inutile”.
La ragione non riesce a dominare la passione, naviga
nell’irrazionale, come sottolinea lo psicanalista Daniel Lagache:
“Là dove c’è una scelta razionale non vi è amore”.
Tutti gli sforzi fatti dai grandi pensatori, in 3000 anni di
riflessione filosofica, da Socrate e gli Stoici, fino a Sartre e
Camus, vertono sulla volontà di superare la passione amorosa e
canalizzare questo slancio impetuoso nella professione, nella
creazione artistica o letteraria, nelle relazioni interpersonali e
tra nazioni e popoli, trasformando l’amore individuale in un grande
amore per l’umanità, traducendo un capriccio personale in una grande
passione universale, dominando gli istinti e raggiungendo uno dei
più alti obiettivi che si è proposta la filosofia, dando convalida
all’affermazione di Hegel: “Nulla di grande può essere compiuto
senza passione”.
^^ TORNA SU ^^
Introduzione
L’amore è la più sfuggente,
la più misteriosa e intensa delle emozioni che possiamo provare.
Può essere euforia e angoscia, paradiso e inferno, medicina e
veleno. Può essere glaciale oscurità. Può essere luce accecante. Può
innalzarci a vette inaudite, farci precipitare in abissi insondati.
L’amore ci offre la ragione per vivere e quella per morire. Ha
creato la vita e l’ha distrutta, innescato guerre e unito imperi.
L’amore ha ispirato opere immortali dell’arte e della letteratura.
In nome dell’amore, capolavori sono stati censurati, demoliti,
bruciati.
L’amore tira fuori il peggio e il meglio della natura umana. Questo
paradosso è la vera essenza dell’amore. E’ ciò che rende l’amore
così intangibile e indefinibile. Malgrado l’infinità di parole che
sono state impiegate per catturarne la natura, l’amore resterà
sempre “questa cosa” che non può mai essere pienamente circoscritta.
Forse è proprio in questo che risiedono la bellezza, il potere e il
mistero dell’amore. Il dilemma di cosa sia l’amore ha tante risposte
quante sono le persone che hanno amato.
Nel corso dei secoli, pensatori e scrittori hanno cercato di
sciogliere il mistero dell’amore. Le idee sull’amore sono l’elemento
fondante di miti, poesie e canzoni.
Senza dubbio la visione più poetica sull’origine dell’amore risale a
Platone, filosofo dell’antica Grecia. Nel suo Simposio, in occasione
di un banchetto in onore di Eros, ogni partecipante è invitato a
spiegare il segreto dell’amore.
Un tempo – racconta il drammaturgo Aristofane – uomo e donna erano
una sola cosa: grassottelle, impressionanti creature doppie, con
quattro braccia, quattro gambe e due teste che si guardavano l’un
l’altra amorevolmente, in un unico corpo. Ma il loro vigore, il loro
orgoglio e la loro arroganza non avevano limiti. Desideravano salire
sempre più in alto, percorrere tutta la strada che portava al
paradiso, sfidando gli dèi stessi. Il dio Zeus si sentì così
minacciato e adirato che spaccò in due con violenza quelle creature,
schiacciandone l’orgoglio e annullandone il potere.
Apollo provò pietà per il genere umano e rimodellò l’anatomia delle
restanti metà nelle forme strane e incomplete in cui ci troviamo noi
ora. Da quel giorno, vaghiamo su questa terra, e una delle nostre
due parti cerca disperatamente l’altra, per potersi riunire a lei.
Il desiderio e la ricerca della completezza – conclude Aristofane –
sono ciò che chiamiamo amore.
Ma che cos’ha da dire la scienza riguardo all’origine dell’amore?
Fino a poco tempo fa, la scienza non aveva tempo per l’amore.
L’amore veniva archiviato come un’invenzione della mente romantica.
Era una fantasia occidentale, un rituale la cui storia si poteva far
iniziare con i nobili cavalieri in scintillante armatura e le loro
cavalleresche interazioni con le dame di corte.
Definizioni retoriche, romantiche, ciniche, o semplicemente
originali; ce n’è per tutti i gusti. La stessa parola “amore” si
presta a mille interpretazioni perché è utilizzata per esprimere una
vasta gamma di sentimenti che possono anche non avere quasi nulla in
comune tra loro.
L’amore per un figlio, l’amore per la patria, l’amore per il
prossimo, l’amore per un Dio, ecc., sono espressioni di stati
d’animo molto diversi tra loro. Ma quando si dice “amore” e basta,
penso che tutti noi sappiamo a cosa ci si riferisce.
L’amore più importante, dirompente, incontrollabile, che può
renderci schiavi o pazzi, inermi o aggressivi, colmi di gioia o
disperati, è senz’altro e soltanto quello che può nascere tra una
coppia.
L’amore è un sentimento irrazionale, non c’è dubbio.
Non conosce confini di sorta: può colpire persone di età, razze,
religioni, culture diverse. Possiamo avere vissuto per anni a fianco
di una persona senza avere provato alcuna attrazione particolare per
lei e poi, di punto in bianco, sentire una vampata di desiderio
irrefrenabile, accorgerci che non possiamo più farne a meno, che
desideriamo con tutte le nostre forze la sua presenza, il suo
contatto, il suo affetto … in una sola parola: il suo amore.
Non so dare una spiegazione a questi fenomeni, che hanno anche
origini sicuramente fisiologiche, ma so per certo che esistono, così
com’è vero che il più delle volte queste improvvise esplosioni di
sentimenti sono reciproche. La stessa cosa può accadere a due
persone che si incontrano per la prima volta. Anche in questi casi
il fenomeno d’attrazione è inspiegabile, anche se meno facile che
sia reciproco.
L’amore, come tutti i sentimenti più forti, è invadente e molto
esigente. Nessun rapporto umano può dare più di quanto dia l’amore,
com’è vero che nessun rapporto umano può far soffrire quanto
l’amore.
L’unico sentimento che gli assomiglia è l’odio, che potrebbe
comunque considerarsi un aspetto negativo dello stesso amore. Sempre
restando nel concetto di amore di coppia, amare vuol dire non essere
più capaci di vivere bene con noi stessi e sentirci soli anche tra
mille persone, se manca la persona amata, così come sentirsi amati
vuol dire non sentirsi mai completamente soli.
Lo stato d’innamoramento è a metà strada tra la malattia e la
beatitudine fisico-intellettuale. Come “malattia” coinvolge tutta la
nostra fisicità, che risulta attratta esclusivamente dal contatto
con l’altra persona, mentre come “beatitudine” invade tutta la
nostra sfera psichica, che non trova modo di concentrarsi su
null’altro che non sia il ricordo, la presenza o il desiderio
dell’altra persona.
Durante la fase acuta dell’innamoramento scompaiono tutti i difetti
della persona amata: si potrebbe dire che essa rappresenti in quel
momento l’ideale della nostra vita. Nessuno è più desiderabile,
attraente, bello, dolce, affettuoso dell’oggetto del nostro amore.
Ma sotto l’amore spirituale verso un’altra persona, quanto gioca la
pulsione sessuale, che cerchiamo di “nobilitare” caricando di
passione un semplice desiderio istintivo?
L’idea che nel tempo questo stato d’animo possa evolversi, lasciando
una grande delusione o un grande vuoto o più semplicemente tanta
indifferenza, sembra inaccettabile a chi è veramente innamorato. Ma
la vita insegna che nessun grande amore si mantiene costante nel
tempo, anzi, forse si potrebbe dire che più è stato grande un
sentimento e più facilmente ne avverrà un crollo rapido e
ingovernabile. Una parabola come tante altre: nascita, crescita,
culmine, decadimento. Tutto l’universo è una parabola.
In amore fanno eccezione quei rapporti che hanno la fortuna di
trasformarsi lentamente in profondi sentimenti d’affetto; affetto
alimentato da stima reciproca e condivisione d’interessi.
Parlando più in generale dell’amore io direi che assai spesso il
sentimento nasconde un’origine egoistica e possessiva, mentre il
puro concetto d’amore dovrebbe essere totalmente altruistico, ma è
molto difficile trovarne validi esempi. In questo gioca un ruolo
importante la società, che ci insegna e ci spinge ad amare più in un
modo che nell’altro, a parte il nostro innato senso egoistico.
Laddove il possesso di beni è considerato un elemento di successo è
naturale che anche il possedere persone si allinei al principio
generale. Ed è per questo che molte madri non sanno praticare l’arte
di allontanare i figli dal loro seno, neppure quando i figli
giungano ad età più che matura.
L’amore per i propri figli è comunque un sentimento originato dal
nostro stesso istinto di mammiferi, quindi in esso non c’è nobiltà,
ma condizionamento genetico. Ma esistono tante altre forme che
definiamo “amore” e di cui sarebbe interessante parlare. Fa
anch’essa parte dell’amore l’amicizia?
O l’attaccamento che abbiamo per un amico nasce dalla solidarietà
verso qualcuno che riconosciamo molto simile a noi, come vedute,
comportamenti, problemi, stato sociale, passioni e interessi, e via
dicendo? Anche l’amicizia sottintende un criterio di reciprocità,
compresi i casi in cui si sia amici di qualcuno che ci faccia pena,
che sentiamo fragile e bisognoso del nostro aiuto.
Nel nostro profondo ciò che oggi facciamo per lui nasce da un
processo di identificazione. Se fossimo nei suoi panni vorremmo
essere aiutati, così scatta in noi il gesto d’aiuto. Oggi a te,
domani a me.
Forse l’amore più disinteressato che riusciamo a manifestare è
rivolto alla natura. Ma è giusto dire che si “ama” la natura? O
piuttosto la si ammira, ne godiamo, la usiamo a piacer nostro? Basti
vedere con quanto spirito poco rispettoso la sfruttiamo, la natura,
per i nostri bisogni e piaceri.
^^ TORNA SU ^^
La chimica dell'amore
Quando scocca la fatale freccia di Cupido e noi ci innamoriamo,
presi completamente da quel sentimento primordiale, non sappiamo
cosa succede, né ci interessa.
Gli scienziati interrogati a tal proposito non sapevano cosa
rispondere: famosa la frase di Einstein “La forza di gravità non può
essere ritenuta responsabile dell’amore”. Questo in passato ma, da
alcuni anni, sappiamo molto di più sui meccanismi dell’attrazione
sessuale, forse tutto, ma dobbiamo stare molto attenti a non
confondere un artificio della natura per perpetuare la specie con un
sentimento nobile ai limiti dell’immateriale.
L’amore risponde a meccanismi ben diversi dai processi
neurofisiologici che si svolgono nel nostro cervello,i quali
presiedono all’attrazione sessuale in base a meccanismi
geneticamente programmati che cercano non solo la riproduzione ma
anche una prole sana e progressivamente sempre più adatta
all’evoluzione.
Per l’emozione provocata da uno sguardo furtivo e per il tenero
toccarsi di due mani il corpo si mette in allarme: il polso
accelera, il cuore pompa più sangue, la cute diventa madida di
sudore mentre alcune zone del cervello cominciano ad elaborare
sofisticati mediatori chimici. Tra questi citiamo per primo la
feniletilamina, una molecola dalla struttura chimica semplice, che
induce perdita dell’equilibrio, euforia, ebbrezza, diminuzione
dell’appetito, crampi allo stomaco.
Prima di ritornare su questa sostanza esaminiamo altri messaggeri,
noti da tempo: la serotonina e l’ossitocina. La prima produce
sensazione di benessere per cui, nelle prime fasi dell’attrazione,
dovremo ipotizzare un suo aumento; viceversa, soprattutto quando fa
capolino la gelosia, la sua concentrazione tende a diminuire,
provocando sensazione di disagio ed una paura del futuro.
Per quel che riguarda l’ossitocina, di cui parla in maniera
elogiativa Baskast nel suo “La formula dell’amore”, essa aumenta in
maniera esponenziale in situazioni diverse, di cui la più eclatante
non è il sesso, come afferma l’autore del citato libro, bensì, il
momento del parto, quando induce ritmiche e sempre più efficaci
contrazioni uterine: non per niente la sua etimologia dal greco vuol
significare”espressione veloce”.
Anche nell’allattamento il livello dell’ossitocina rimane molto alto
ed in caso contrario, se non s’interviene con farmaci, la lattazione
s’interrompe.
Semplici quanto gradevoli effetti collaterali sono calma, benessere
e rilassatezza ma,
nello stesso tempo, l’ossitocina favorisce l’instaurarsi ed il
perpetuarsi di uno stretto rapporto tra il neonato e la madre.
Osserviamo un incremento del tasso ematico dell’ossitocina anche
quando s’instaura una fraterna amicizia e nelle prime fasi
dell’amore.
Oggi il funzionamento del cervello può essere esplorato attraverso
un sofisticato esame: la PET, che riesce a valutare il movimento dei
positroni. Sono stati effettuati esperimenti su gruppi di volontari
ai quali si mostrava la foto del partner: si osservava
simultaneamente l’entrata in funzione delle aree cerebrali deputate
alla felicità, mentre quelle collegate alla malinconia tendevano a
disattivarsi. Questa constatazione c’induce ad avvalerci della
facoltà, concessaci in quanto uomini, di innalzarci e sublimarci
attraverso i vari gradi dell’amore.
Siamo ad un livello non superiore a quello dei rettili, nostri
antichi compagni nel cammino evolutivo, quando badiamo unicamente
alla nostra sopravvivenza. Siamo semplici mammiferi, quando la
nostra principale preoccupazione è la conservazione della specie.
Diventiamo pienamente uomini (e, naturalmente, donne) quando
c’innalziamo facendo dono della nostra affettività agli altri,
migliorando noi stessi e contribuendo alla felicità di tutta
l’umanità.
Non siamo a livello degli animali inferiori come il pavone, che
utilizza la sua splendida coda per cercare un partner per
l’accoppiamento: abbiamo, invece, un prezioso patrimonio d’idee, di
fede, di moralità che può riscattarci dal nostro passato di scimmia
o di lemure che ci fa giocare una carta vincente nella sfida
dell’evoluzione, confermando la nostra specie all’apice della
creazione.
Siamo scimmie nude, come con acume ci definì lo zoologo Desmond
Morris che affermò che siamo l’unica scimmia sprovvista di peli ma
siamo anche, e soprattutto, uomini in grado di meditare e
confrontarci con l’universo, anche se esso può apparirci ostile o,
quanto meno, indifferente al nostro destino.
Ritorniamo ora nel nostro discorso alla molecola di feniletilamina,
cui abbiamo accennato prima.
Cerchiamo di trovare una spiegazione al perché siamo attratti da una
persona e non da un’altra. Molti pensano che seni prorompenti ed
occhi sconvolgenti, oppure muscoli possenti, o, meglio ancora, un
bel portafoglio, siano starter sufficienti a spiegare pulsioni e
desideri ma vi è qualcosa di ben più potente che entra in azione:
l’odore, che gioca un ruolo fondamentale negli animali con i loro
ferormoni, ma anche l’homo sapiens è tributario, ancora più del
naso, che del cuore, nonostante gli stimoli olfattivi giungano alla
parte più antica del cervello, la zona limbica, dove si annidano
impulsi primordiali ma anche emozioni e sentimenti.
Sono stati proposti esperimenti basati sulla dimostrazione, da tempo
acquisita, che i topi femmina si accoppiano con maschi in possesso
di un patrimonio genetico diverso, per fornire alla prole un sistema
immunitario più efficiente.
Anche tra gli uomini e le donne si attua un identico meccanismo,
basato sull’odore.
Si scelsero volontari maschi cui fu chiesto d’indossare per alcun i
giorni delle T-Shirt, che furono marcate e fatte annusare ad
altrettante donne che mostravano una marcata preferenza verso
“l’aroma” di portatori di geni diversi dai loro, mentre ritenevano
non gradito l’odore di uomini portatori di un patrimonio genetico
loro simile. Molte, anzi, ricordavano l’odore di fidanzati e mariti
precedenti.
E’ cognizione comune che le donne decidano di fare o meno sesso
(niente a che vedere con l’amore) con un uomo facendosi guidare dal
profumo del corpo.
Questa realtà venne intuita da un romanziere, Patrick Suskind, nel
libro “Profumo”, nel quale raccontava di un bimbo orfano, Grenouille,
nato privo di odore, perciò emarginato da tutti, che era,
però,dotato del dono sovrannaturale di percepire e carpire l’odore
degli altri, distillando da altri esseri umani l’essenza stessa
dell’amore, creando irresistibili profumi. Si dedicò alla ricerca
del profumo perfetto in grado d’indurre tutti ad amarlo alla follia.
Nessuno poteva opporsi al suo aroma irresistibile e lo amavano
nonostante il suo aspetto repellente: il profumo arrivava al cuore e
ne comandava le emozioni.
La percezione subliminale di odori rappresenta una bussola alla
ricerca del compagno ideale ed il mistero dell’amore, un tempo
dominio di filosofi e letterati, è divenuto terreno di caccia degli
scienziati alla ricerca di una risposta a come ci si innamora.
^^ TORNA SU ^^
L’amore come una droga
La risonanza magnetica dimostra che innamoramento e stupefacenti
attivano le stesse aree celebrali, un recente manuale diagnostico e
statistico dei disturbi mentali non include l’amore tra le
dipendenze, un errore molto grave perché la passione risponde a
tutte le caratteristiche, sia in termini di modelli di comportamento
che di meccanismi celebrali. E si tratta fortunatamente di una
dipendenza positiva.
Scienziati e profani hanno a lungo considerato l'amore romantico
come un elemento soprannaturale o un'invenzione sociale dei
Trovatori nella Francia del Dodicesimo secolo. Ma canzoni d'amore,
poesie, racconti, opere, balletti, romanzi, miti e leggende, filtri
d'amore, suicidi e omicidi per amore si riscontrano in più di
duecento società nell'arco di più di mille anni a dimostrazione che
in tutto il mondo uomini e donne si struggono per amore, vivono per
amore, uccidono per amore e muoiono per amore.
L'amore romantico umano, noto anche come passione amorosa o
«innamoramento», è considerato una caratteristica universale
dell'uomo. Inoltre l'innamoramento ha tutti i sintomi della
dipendenza. Anzitutto l'innamorato è concentrato allo spasimo sulla
sua droga preferita: l'oggetto del suo amore. Il pensiero di lui o
di lei è ossessivo (pensiero intrusivo) e spesso l'innamorato prova
una spinta compulsiva a telefonare, scrivere, o presentarsi
all'improvviso, per non perdere il contatto. Di massima importanza
in questo tipo di esperienza è la forte motivazione a conquistare la
persona amata, un po' come il tossicodipendente è fissato sulla sua
droga. In preda alla passione gli innamorati inoltre distorcono la
realtà, cambiano priorità e abitudini per adeguarsi ai loro amati,
subiscono cambiamenti di personalità (turbe affettive) e talvolta
adottano comportamenti inappropriati o rischiosi per far colpo sullo
speciale «altro». Molti sono disposti a sacrificarsi, persino a
morire per «lui» o per «lei». L'innamorato brama anche l'unione
sentimentale e fisica con l'amato (dipendenza). E come il
tossicodipendente soffre quando non riesce a procurarsi la droga,
l'innamorato soffre quando è lontano dalla persona amata (ansia da
separazione). Le difficoltà e le barriere sociali non fanno che
intensificare il desiderio (fascino dell'ostacolo). In effetti gli
innamorati mostrano tutte e quattro le caratteristiche fondamentali
della dipendenza: intenso desiderio, tolleranza, astinenza e
ricaduta. Provano una «scarica» di euforia quando sono assieme alla
persona amata (effetto inebriante). Nel momento in cui si crea la
tolleranza l'innamorato cerca di interagire sempre più con la
persona amata (intensificazione). Se l'amato pone fine alla
relazione l'innamorato manifesta sintomi di astinenza da
stupefacenti, come ribellione, crisi di pianto,letargia, ansia,
insonnia o ipersonnia, perdita di appetito o bulimia, irritabilità e
solitudine. Gli innamorati, come i tossicodipendenti, spesso
giungono a comportamenti estremi, talvolta degradanti o pericolosi,
pur di riconquistare la persona amata. E hanno ricadute, proprio
come i tossicodipendenti: dopo molto tempo dalla fine della
relazione, avvenimenti, persone, luoghi, canzoni o altri elementi
esterni associati alla persona amata possono scatenare ricordi e
rinnovare il desiderio. Forse però, delle numerose indicazioni che
portano ad annoverare l'amore romantico tra le dipendenze, la più
convincente viene dal numero crescente di dati forniti dalle
neuroscienze. Utilizzando la risonanza magnetica per immagini (Mri),
vari ricercatori hanno dimostrato che le sensazioni legate a un
forte innamoramento attivano aree del «sistema di gratificazione
cerebrale», in particolare le vie dopaminergiche associate a
energia, concentrazione, motivazione, estasi, disperazione e
desiderio, comprese le aree primarie associate alle dipendenze da
stupefacenti e non. Effettivamente il nostro gruppo di ricerca ha
individuato negli innamorati respinti l'attivazione del nucleus
accumbens - l'area del cervello associata a tutte le dipendenze.
Inoltre altri recentissimi dati della nostra ricerca (non ancora
pubblicati) indicano l'esistenza di correlazioni tra l'attivazione
del nucleus accumbens e la passione romantica tra persone
felicemente innamorate. Il premio Nobel Eric Kandel ha dichiarato di
recente: «Gli studi sull'attività cerebrale ci sveleranno infine
l'essenza dell'umanità». In base alle attuali conoscenze la
neuroscienziata Lucy Brown, utilizzando la risonanza magnetica,
sostiene che l'amore romantico . una dipendenza naturale; io
ribadisco che questa dipendenza naturale, per evoluzione dagli
antenati mammiferi, si è affermata tra i primi ominidi circa 4,4
milioni di anni fa, in associazione all'evoluzione della monogamia
(seriale, sociale) - caratteristica della specie umana. Lo scopo era
motivare i nostri predecessori a concentrare la fase di
accoppiamento e l'energia metabolica su un solo partner alla volta,
dando vita a un vincolo di coppia per allevare i piccoli (quanto
meno nell'infanzia) assieme, in squadra.
Quanto prima accetteremo le indicazioni che ci vengono dalla
scienza, e ne useremo i dati per adeguare il concetto di dipendenza,
tanto più saremo in grado di conoscere noi stessi e i miliardi di
altri individui di questo pianeta che si crogiolano nell'estasi e
lottano con le pene che derivano da questa dipendenza potentissima,
naturale, spesso positiva: l'amore romantico.
Possiamo benevolmente concludere che l’amore è un droga, ma guai se
l’umanità non fosse «tossica».
^^ TORNA SU ^^
Le sottili sfumature
dell'amore
L’amore è una scintilla che muove il sole e le altre stelle, energia
misteriosa che permea l’universo e presiede benevolmente al
movimento degli atomi e delle molecole, ma è anche una prodigiosa
forma di attrazione tra uomini e donne con delle regole che invano i
sapienti hanno cercato di codificare. Dall’antica Grecia ai nostri
giorni sono state fatte infinite indagini e sono stati scritti fiumi
di inchiostro per definirlo. Filosofi, poeti, scienziati lo hanno
sviscerato, cantato, vivisezionato per cercare di scandagliare i
meccanismi che ne regolano il modo di manifestarsi. Uno stesso amore
può vivere fasi diverse, alti e bassi, può essere intenso o
duraturo, folle o saggio, disinteressato o pragmatico. Siamo schiavi
dei nostri ormoni, di inafferrabili mediatori chimici, siamo
debitori all’ambiente ed al nostro codice genetico, ma tutti, almeno
una volta nella vita, possiamo provarlo inebriandoci o soffrendo,
passando dalla gioia al dolore, dall’esaltazione alla tristezza. I
primi contatti con questo ingovernabile sentimento rientrano in un
gioco di sensazioni che potremmo definire Ludus, una giocosa
altalena di libidine e tenerezza, di attrazione frivola,
disimpegnata alla ricerca di una soddisfazione marcata dall’egoismo
più che dalla gioia di donarsi. Quando si vive la fase del Ludus si
possono amare simultaneamente più persone senza impegnarsi con
nessuna. Un grado più spiccato di attrazione che può oscurare il
raziocinio e scatenare gli istinti sessuali più potenti è l’Eros,
amore appassionato, sensuale, accaparratore, estenuante; è quello
più intenso e meno duraturo, le donne lo sognano, gli uomini lo
temono. Mania è amore ossessivo, totale, possessivo, irrazionale,
dominato dalla gelosia per la persona amata dalla quale si dipende
totalmente. Spesso rappresenta l’ultimo grado dell’amore, il più
sofferto, quasi ai limiti con la patologia. Filia è un amore
affettuoso, rassicurante, fatto di esperienze e sensazioni comuni,
che si intrecciano in un dialogo senza parole, fatto di sguardi, di
silenzi, di complicità. Ognuno antepone ai suoi i problemi
dell’altro, vi è un grande confidenza, massima stima, aiuto
reciproco.
Agape è amore altruista, delicato, generoso, basato più sull’affetto
che sul richiamo della carne. Il contrario dell’Eros, ognuno cerca
con premura di entrare nell’universo dell’altro, senza coercizione,
né condizionamenti, allo scopo di divenire una cosa sola. Pragma è
il sentimento che unisce spesso gli adulti provenienti da altre
esperienze fallite, esso si basa sul calcolo, sul dare ed avere,
sulla compatibilità più che sull’affettività, senza eccessivi
sacrifici. Il sesso costituisce il sale ed il pepe dell’amore, è
nello stesso tempo brio, dinamismo, aggressività, ma anche sapore,
stabilità, possesso esclusivo. Esso deve fare i conti con la nostra
bestialità ed è legato allo scorrere inesorabile del tempo. Fa
mutare negli anni gli stadi dell’amore, tramutando l’Eros in Filia o
a volte in Mania, più raramente in Agape. L’amore, a differenza
dell’innamoramento, che è fugace, può essere eterno, basta saper
tenere sempre acceso il sacro fuoco riscaldandosi senza farsi
bruciare.
^^ TORNA SU ^^
La psicologia dell’amore
L’amore è semplicemente un processo neurofisiologico che ha sede nel
nostro cervello?
L’attrazione sessuale si può attribuire a una funzione geneticamente
programmata che ci consente di decifrare gli impercettibili messaggi
chimici indicatori della compatibilità genetica? Forse non siamo
altro che macchine “di sopravvivenza” e amore non è altro che un bel
nome dato al desiderio di generare una prole sana, per assicurare la
continuità in futuro del nostro materiale genetico. Ironia della
sorte mentre il desiderio di immortalità può essere negato a noi
come individui, esso in realtà ci è garantito dalla sopravvivenza
dei nostri geni nella nostra discendenza. Ma che siamo o no,
efficaci macchine di sopravvivenza il nostro viaggio nell’amore può
continuare, facendoci sentire di volta in volta onorati o umiliati,
passionali o distaccati, ossessionati o sereni, fiduciosi o
sospettosi, a prescindere da quello che i nostri geni hanno in mente
e dai loro progetti a lungo termine.
Quanto al nostro modo di amare, alla nostra esperienza sull’amore e
al nostro modo di esprimerlo, è tutta un’altra storia. Una storia
che non può essere imbrigliata esclusivamente in termini di geni o
neurochimica, e che può prendere una piega molto differente per
ciascuno dei suoi protagonisti. Per il personaggio interpretato da
Bogart nel film “Il diritto di uccidere” la vita è cominciata nello
stesso modo repentino in cui è finita, con il dono dell’amore di una
donna e con la sua perdita. L’immortale amore di Orfeo per Euridice
lo condusse nel terribile mondo degli Inferi per recuperare la sua
amante morta. La passione incrollabile di Romeo e Giulietta, li
indusse a preferire la morte alla vita. L’insaziabile brama di
Casanova per le donne lo spinse tra le amorose braccia di qualcosa
come centoventidue donne, Re Edoardo VIII rinunciò al trono per la
donna amata, e fu il temerario amore di Paride per Elena a fornire
il pretesto per la guerra di Troia.
Le nostre personalità, le nostre storie ed esperienze di vita, di
cultura, l’ambiente e l’epoca in cui viviamo, plasmano ed
influenzano fortemente “i paesaggi” del nostro amore. Noi ci
muoviamo danzando dall’uno all’altro di questi paesaggi, cercando di
padroneggiare passi complicati all’unisono con il partner. Le teorie
sul nostro modo di muoverci in questi paesaggi e di esplorarli
abbondano, come abbondano le teorie sul perché noi tutti amiamo in
modo differente l’uno dall’altro. Freud fu il primo a dare un colpo
di piccone sui territori dell’amore e scavò in profondità. I suoi
scavi andarono a sbattere contro l’inconscio e da allora il mondo
non e più stato lo stesso. La parte inaccessibile e sommersa di ogni
individuo dotato di una volontà propria, l’inconscio e le esperienze
della prima infanzia giocano un ruolo cruciale nel renderci ciò che
saremo da adulti. Stando a Freud, l’amore adulto e la sessualità
sono radicati nell’infanzia e sono estensione della riscoperta di
ciò che sperimentiamo per la prima volta al contatto con il seno
materno. Freud credeva che la nostra personalità, la nostra
sessualità e il nostro modo di amare fossero modellati in base al
modo in cui, durante la crescita, abbiamo risolto il sentimento di
attrazione per il genitore del sesso opposto. A dispetto della
biologia, quando si tratta di vivere l’amore siamo tutti diversi.
L’amore è per alcuni un gioco del caso, per altri una questione di
destino. Il passato di un individuo e il significato accordato
all’amore nell’ambito della sua cultura ne influenzano fortemente
l’approccio all’amore. La gente riceve e dà amore in modi molto
diversi. Alcuni sentono che l’amicizia è un elemento fondamentale in
amore e desiderano ardentemente un compagno fedele. Altri affrontano
l’amore come una trattativa d’affari, soppesando i pro ed i contro
di una potenziale società. Molti si imbarcano in una relazione
passionale e selvaggia, alla ricerca del cavaliere dall’armatura
scintillante o della dama in difficoltà. Molti vogliono tutte queste
cose insieme, la relazione tempestosa, la passione, la società, il
profitto, l’amicizia. E ci sono anche quelli che non vogliono
saperne di nessuna di queste cose. Se l’amore è una danza, può
essere un valzer galante, un tango sensuale, o un rock’n’roll
scatenato. La danza dell’amore ha luogo in territori che possono
essere piani o accidentali, brulli o lussureggianti, aridi o umidi,
freddi o caldi. Alcuni si avvicinano impazienti alla pista da ballo,
fanno un giro o due, solo per ritirarsi sudando freddo. Altri non ci
pensano due volte, afferrano la mano del partner e ballano finché
non cadono si trovano a proprio agio in passi falsi e movenze
maldestre, amano ogni singolo passo sulla pista. Altri ancora se ne
tengono lontani e declinano gentilmente l’invito, dicendo che non
sanno ballare. Ci sono ballerini il cui primo amore è anche l’ultimo
e ballerini il cui ultimo amore è anche il primo. Chi può capire i
misteriosi movimenti della danza chiamata amore?
Recenti studi sul genoma mostrano che uomini e scimmie hanno in
comune il 98,4% del patrimonio genetico, ma nel corso della sua
evoluzione l’uomo (la scimmia nuda) sviluppò il cervello e si dotò
di una forma di cultura, che cominciò a prevalere sull’istinti.
Quando ci innamoriamo scattano meccanismi atavici, un mix di istinto
e umanità, il frutto di una lunga evoluzione, che lega il cucciolo
alla madre, per estendersi al rapporto tra maschio e femmina, che si
prende cura della prole, garantendone l’incolumità. La selezione ha
premiato gli individui che sapevano meglio amare i figli ed amarsi
tra loro. L’amore ha garantito la nostra sopravvivenza, ha
contrastato la nostra rabbia di carnivori e predatori, un domani
riuscirà a mitigare l’odio che ci rende gli unici animali che fanno
la guerra a praticano la violenza intraspecifica. Siamo angeli
caduti, ma anche soprattutto scimmie nude!
Su questo argomento invito a consultare su internet il mio breve
saggio: “Monogamia virtù o necessità?”
Nella nostra testa è ricapitolata tutta la storia dell’evoluzione:
Vi è una struttura cerebrale antica, uguale a quella dei rettili,
che adoperiamo per camminare e respirare e vi sono dei centri
corticali superiori con dei loci specifici, dove, tra le sinapsi
vibra l’amore.
Nello stesso tempo rappresentiamo il risultato più alto della
filogenesi, pur essendo costituiti da minerali, il che ci obbliga a
rispettare le ferree regole imposte alla materialità, ma vi è una
forza sovrana: l’amore che connette tutte le realtà e permette loro
di sopravvivere ed evolvere e fa dialogare, come acutamente
sosteneva Bateson, “Il granchio con l’aragosta, l’orchidea con la
primula e tutti e quattro con me? E me con voi? E tutti e sei noi
con l’ameba da una parte e lo schizofrenico dall’altra”.
Attrarre un individuo di sesso opposto è uno dei due compiti
fondamentali per un animale
e di conseguenza per l’uomo. Bisogna sopravvivere fino all’età
fertile e poi accoppiarsi per riprodurre una prole da allevare con
amore. Non utilizziamo code di pavone o artigli per essere
desiderabili, ma il cervello con la sua creatività che rappresenta
la più genuina matrice della nostra storia e della nostra civiltà,
espressa sotto varie forme: musica, pittura, scrittura, filosofia,
diritto, scienza.
Il premio Nobel Edelman, nel suo ultimo libro riporta le celebri
parole di Emily Dickinson: “Il cervello è più grande del cielo”,
perché nel pensarlo lo può contenere. Allo stesso tempo
tranquillamente si può affermare che “E’ più profondo del mare” e di
sicuro è l’oggetto materiale più complesso che esista al mondo.
Trenta miliardi di neuroni, grandi tre millesimi di centimetro, e un
milione di miliardi di collegamenti tra loro (Edelman, 2004).
Infinitamente più complesso di un calcolatore, poiché non è frutto
di progettazione, ma di una lunghissima storia evolutiva durante la
quale, da semplice organo che faceva comunicare gli altri organi, è
diventato “laboratorio biochimico che produce anima”. Grazie alla
sua complessità il cervello ci consente di essere coscienti, vigili,
attenti a ciò che accade, memori del passato, in grado di anticipare
il futuro e anche coscienti di noi stessi. Autoconsapevolezza: non è
questa la radice cognitiva dell’anima umana?
Vogliamo concludere sottolineando come al perché dell’amore abbiano
tentato di dare una risposta sin dall’antichità. La questione non è
mai stata risolta: perché ci innamoriamo? Perché ci innamoriamo
proprio di quella persona? E non di un’altra che magari teoricamente
ci corrisponde di più e potrebbe essere molto più adatta a noi?
Periodicamente delle questioni vengono riproposte e le spiegazioni
più disparate e poiché il problema non è nuovo, a dire la loro in
materia sono stati anche i Romani. A uno dei quali, Lucrezio, si
deve un’interessante teoria. Per chi non lo ricordasse Lucrezio
vissuto nella prima metà del primo secolo a.C., poeta e filosofo,
scrisse un poema didattico intitolato “De rerum natura”, nel quale
per dimostrare la falsità dei timori dovuti alla credenza
superstiziosa degli interventi divini sulle vite umane, si rifaceva
alle teorie di Epicuro. Il mondo spiegava Lucrezio, è regolato da
leggi meccaniche di natura; l’anima è mortale, scompare con la morte
del corpo; e il piacere (venendo al nostro tema) altro non è che la
soddisfazione di trasferire il proprio seme nel corpo di un’altra
persona, il cui fascino ha provocato la formazione e l’accumulo del
seme stesso: “Chi è colpito dalle frecce di Venere dunque è attratto
da chi lo ha colpito, e aspira a unirsi a lui”.
Al di là (ovviamente) della sua attendibilità, una teoria per alcuni
versi apprezzabile: indiscutibilmente infatti, non contiene la
minima traccia omofoba (anzi il fanciullo, nell’ordine, viene prima
delle donne). Ma rimane un dubbio: le donne, che non hanno seme, non
si innamorano mai? Non hanno mai voglia di fare l’amore?
^^ TORNA SU ^^
L’amore nella
mitologia
Il mondo greco antico, soprattutto prima di
Socrate aveva un’idea dell’amore diversa dai Romani ed Afrodite era
considerata la dea della bellezza e della seduzione, assieme alle
altre divinità del Pantheon che simboleggiavano le nostre passioni.
Nel panorama dedicato all’amore erano presenti anche Hermes, un dio
ed Eros, un demiurgo.
Diana e Atteone - Diana (la greca Artemide) è la vergine del bosco e
nel racconto punisce Atteone, il bel giovane, che aveva osato
spiarla mentre faceva il bagno nuda con le sue ninfe, trasformandolo
in un cervo, l’animale che lui stava cacciando e lo fa divorare dai
suoi stessi cani. A dimostrare che chi si avventura in un territorio
sconosciuto senza un’adeguata preparazione finisce per perdersi
irrimediabilmente.
Giove e Callisto - Il mito racconta che per sedurre la ninfa
Callisto, al seguito di Artemide, Zeus (Giove) assume le sembianze
della stessa dea della caccia. La ninfa però rimane incinta e quando
la dea se ne accorge la allontana. Malgrado la sua evidente
innocenza, le punizioni per la ninfa proseguono: Era, moglie di
Zeus, per gelosia la tramuta in orsa e le aizza contro una muta di
cani. Prima che la sbranino, Zeus la salva tramutandola nella
costellazione dell’Orsa maggiore mentre suo figlio, Arcade, diventa
l’Orsa minore.
Apollo e Coronide – Coronide, regina dei Lapidi, viene sedotta da
Apollo. In seguito, nonostante sia in attesa di un figlio da lui, si
innamora di un uomo mortale, Ischi ed Apollo viene a sapere del
rapporto segreto della ragazza, grazie ad un corvo che aveva
lasciato a custode della fanciulla. Accecato dalla gelosia Apollo
con una freccia uccide Coronide, ma quando si accorge che attende un
figlio cerca disperatamente di salvarla. Non vi riesce però salva il
bambino, che, con il nome di Esculapio diverrà il dio della
medicina.
Venere e Marte sorpresi da Vulcano – Efeso (Vulcano) marito di
Afrodite (Venere), sospetta che la moglie abbia una relazione con
Ares (Marte). Decide allora di disporre sul talamo una rete
invisibile, che imprigionerà i sospettati non appena vi si
stenderanno. Così puntualmente avviene. Ares e Afrodite sono colti
in flagrante. Efeso, rabbioso, convoca tutti gli dei per mostrare
loro i due amanti. Il Pantheon si raduna e tutti esprimono
costernazione di fronte all’evidenza dei fatti. Tutti, ma non Hermes
che esclama: «Accetterei volentieri i vostri rimproveri pur di
giacere con Afrodite, come sta facendo adesso Ares».
Pan e Siringa – Il dio Pan, figlio di Afrodite ed Hermes, insegue la
ninfa Siringa per possederla, ma lei fugge e si trasforma in un
canneto. Pan taglierà le canne facendone uno strumento musicale.
Ades rapisce Proserpina – Ades, il signore dei morti e delle ombre,
rapisce Persefone (Proserpina), la figlia di Demetra, e la porta
nella sua dimora sotterranea. Demetra si dispera e le sue preghiere
vengono accolte dagli dei: Zeus stabilisce che Persefone passi una
parte dell’anno (autunno e inverno) con Ades e l’altra (primavera ed
estate) con la madre. Il mito è quindi legato al succedersi delle
stagioni, ma ha anche significati ben più profondi, legati al
rapporto madre figlia. Demetra soffoca Persefone, l’ha rinchiusa nel
cerchio asfissiante della madre, e Ades con il rapimento la libera.
Giove e Semele – Zeus è innamorato di Semele e le promette che
esaudirà ogni suo desiderio. Era, come al solito gelosa, le tende
una trappola: la induce a chiedere al signore degli dei di mostrarsi
a lei in tutto il suo splendore. Vincolato dalla promessa fatta, il
dio supremo si manifesta nel suo fulgore e Semele rimane incenerita.
Il mito testimonia un altro aspetto del rapporto con il divino.
Quando si giunge direttamente a contatto con il potere numinoso
senza adeguata preparazione si rimane annichiliti. Dal punto di
vista della filosofia ermetica e junghiana questo mito testimonia
anche l’impossibilità di entrare direttamente in contatto con
l’inconscio che, essendo molto più forte dell’Io razionale, lo
travolge, annientandolo.
^^ TORNA SU ^^
Amore
universale e religioso
Il più bel canto d’amore universale è senza
dubbio il “Cantico delle creature” scritto da San Francesco
(1182–1226), il quale, oltre ad essere stato forse il più grande
santo della Chiesa cattolica, è stato anche un poeta, il primo della
letteratura italiana. E lo dimostra lo slancio fantastico e
l’immensa gioia con cui, tra il 1224 ed il 1226, loda e ringrazia
Dio nel Cantico delle creature per avere creato la bellezza della
natura, compresa la morte che apre all’uomo le vie del Cielo se
sulla terra non ha vissuto “ne le peccata mortali”.
Un giorno a scuola lo si imparava a memoria, leggendolo non si
riesce a trattenere l’emozione.
Laudes creaturarum
Altissimu, onnipotente bon Signore,
Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.
Ad Te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature,
spetialmente messor lo frate Sole,
lo qual è iorna, et allumeni noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si', mi Signore, per sora Luna e le stelle:
in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.
[…]
Laudato si', mi Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
[…]
Laudato si' mi Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po' skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.
[…]
E vorremmo concludere con due canti che vengono a
volte durante la celebrazione della Santa Messa e la cui forza
dirompente, l’amore che si sprigiona impetuoso è sotto gli occhi di
tutti: laici e credenti.
TU SEI LA MIA VITA
Tu sei la mia vita, altro io non
ho;
Tu sei la mia strada, la mia verità.
Nella Tua parola io camminerò
finché avrò respiro, fino a quando Tu vorrai.
Non avrò paura, sai, se Tu sei con me;
io Ti prego resta con me.
Credo in Te Signore, nato da Maria,
Figlio eterno e Santo, Uomo come noi,
morto per Amore, vivo in mezzo a noi,
una cosa sola con il Padre e con i tuoi;
fino a quando, io lo so, Tu ritornerai
per aprirci il Regno di Dio.
Tu sei la mia forza, altro io non ho;
Tu sei la mia pace, la mia libertà.
Niente nella vita ci separerà.
So che la Tua mano forte non mi lascerà,
so che da ogni male Tu mi libererai;
e nel Tuo perdono vivrò.
Padre della vita, noi crediamo in Te;
Figlio Salvatore, noi speriamo in Te;
Spirito d'amore, vieni in mezzo a noi.
Tu da mille strade ci raduni in unità
e per mille strade, poi, dove Tu vorrai,
noi saremo il seme di Dio.
SANTA MARIA DEL CAMMINO
Mentre trascorre la vita,
solo tu non sei mai:
santa Maria del cammino
sempre sarà con te.
Rit. Vieni o Madre in mezzo a noi,
vieni, Maria quaggiù.
Cammineremo insieme a te
verso la libertà.
Quando qualcuno ti dice:
"Nulla mai cambierà",
lotta per un mondo nuovo,
lotta per la verità!
Lungo la strada la gente,
chiusa in se stessa va;
offri per primo la mano
a chi è vicino a te.
Quando ti senti ormai stanco
e sembra inutile andar,
tu vai tracciando un cammino:
un altro ti seguirà.
TU SCENDI DALLE STELLE
Tu scendi dalle stelle, o Re del
cielo,
e vieni in una grotta al freddo e al gelo. (2 v.)
O Bambino mio divino,
io ti vedo qui a tremar;
o Dio beato !
Ah, quanto ti costò l'avermi amato! (2 v.)
A te, che sei del mondo il Creatore,
mancano panni e fuoco, o mio Signore. (2 v.)
Caro eletto pargoletto,
quanto questa povertà
più m'innamora,
giacché ti fece amor povero ancora. (2 v.)
Tu lasci il bel gioir del divin seno,
per giunger a penar su questo fieno. (2 v.)
Dolce amore del mio core,
dove amore ti trasportò
O Gesù mio,
per ché tanto patir per amor mio! (2 v.)
^^ TORNA SU ^^
Amore e frigidità
Molti hanno paragonato l’amore ad una danza, che
può essere un tango cadenzato o un rock’ n ‘roll scatenato. Alcuni
si avvicinano timorosi alla pista da ballo, fanno un giro o due per
poi ritirarsi, altri ancora declinano l’invito, affermando che non
sanno ballare. Ci sono ballerini il cui primo ballo è anche l’ultimo
ed altri per i quali l’ultimo è anche il primo. Nessuno potrà
penetrare in profondità i misteriosi passi della danza dell’amore.
L’amore di coppia, anche il più sublime, si esprime attraverso il
sesso ed il mancato raggiungimento dell’orgasmo, che interessa oltre
il 50% delle coppie, è un problema per il quale medicina e
psicologia hanno trovato da tempo opportuni rimedi, ancora poco noti
(consiglio ai lettori di leggere il mio libro “La frigidità e la
verginità della donna”).
L’orgasmo produce notevoli benefici fisici, sia nell’uomo che nella
donna: sollievo dal dolore mestruale, miglioramento dell’umore,
aumento dell’intimità, diminuzione dello stress, facilità nel
prendere sonno, mentre nell’uomo aiuta il cuore a rimanere
efficiente, dona un aspetto giovanile, innalza le difese immunitarie
ed allunga la vita.
Inoltre l’orgasmo, soprattutto simultaneo, favorisce la riproduzione
ed è un meccanismo che la natura ha previsto per la nostra specie
che, a differenza delle altre, si accoppia in ogni periodo
dell’anno.
Nello stesso tempo si è avuta una riduzione di dimensioni e forza
contrattile del muscolo costrittore della vagina, il quale negli
altri mammiferi, fa sì che la femmina tenga in ostaggio il pene
maschile fino all’eiaculazione (sarà capitato a tutti di vedere una
coppia di cani o di gatti attaccati inesorabilmente durante la
copula).
Ed è proprio su questo muscolo che agisce la terapia della
frigidità, prima misurandone il tono, attraverso il vaginometro (uno
speciale apparecchio ideato dal sottoscritto) e poi assegnando alla
donna degli esercizi di contrazione e rilasciamento dello stesso da
eseguire a casa, prima con l’ausilio di un tutore rigido posto in
vagina e poi senza. Bastano 1-2 mesi per ottenere spettacolari
benefici nel trattamento della frigidità con tangibile miglioramento
dell’intimità dell’unione di coppia.
Nello stesso tempo spesso è necessario trattare nell’uomo
l’eiaculazione precoce, un’altra causa dell’anorgasmia ed anche in
questo caso esistono farmaci e tecniche efficaci (consulta su
internet un mio recente articolo sull’argomento: “Terapie per
l’eiaculazione precoce”).
^^ TORNA SU ^^
Perché
l’amore finisce?
Come superare la fine di una relazione amorosa
La dottoressa Daphne Rose Kingma affronta nel suo
ottimo libro (“Perchè l'amore finisce”) le motivazioni che conducono
alla fine di un rapporto amoroso, mostra al lettore come riconoscere
se il proprio rapporto è in una fase critica e offre un efficace
metodo per superare il trauma in maniera positiva. Perché un uomo e
una donna inizino una relazione è cosa che in molti hanno cercato di
indagare. Volendo analizzare i meccanismi dell'attrazione vediamo
contrapporsi un'idea della coppia nata casualmente (la diversità
genetica) e ad alcuni valori comuni quali cultura, religione,
gestione delle risorse comuni ecc. e un'idea più filosofica che vede
la coppia anche come uno strumento per costruire la propria
personalità per questo motivo la scelta del partner è condizionata
non solo dalla diversità genetica e dalla condivisione di alcuni
valori ma anche dalla possibilità del partner di insegnarci qualcosa
e,come dice la dottoressa Kingma, di farci superare alcuni
condizionamenti dell'infanzia.La psicologia assegna molto valore al
primo periodo della vita perché considera l'infanzia il momento in
cui i caratteri essenziali del comportamento vengono definiti. Anche
grazie alle ultime scoperte sul funzionamento del cervello sappiamo
che effettivamente quest'organo alla nascita non è pienamente
formato e vive proprio nei primi anni di vita uno sviluppo notevole
in funzione anche delle sollecitazioni ambientali. Secondo la
dottoressa Kingma, noi ricreeremmo le stesse situazioni verificatesi
durante l'infanzia al fine di comprenderne la lezione e quindi
portare a compimento il nostro personale processo di crescita e
maturazione. Quindi secondo questavisione, c'è una via di uscita ma
soprattutto l'evoluzione verso una maggiore consapevolezza di se
stessi è il compito di ogni essere umano.Partendo da quest'ultima
considerazione il partner non è quindi solo qualcuno che ci aiuta e
ci sostiene ma, anche se non ce ne rendiamo conto, è colui che:
compensa alcuni nostri difetti; ci insegna cose che non conosciamo;
ci permette di crescere e capire meglio noi stessi; ci consente di
sviluppare le nostre potenzialità e la nostra creatività. Se quindi
la relazione tra due esseri umani è un processo di crescita in
continua evoluzione e non un punto di arrivo è evidente che ogni
relazione può terminare per il semplice motivo che ha dato tutto
quello che doveva dare esaurendosi e che quindi la relazione non può
più contribuire alla crescita di entrambi i partner.
Questa considerazione porta due importanti conseguenze:
1) la fine di un rapporto non è necessariamente un fallimento ma
anzi può essere visto come il sintomo di un processo che ha concluso
il suo iter e da cui usciamo migliori di quando lo abbiamo iniziato
2) le relazioni non sono eterne ma è possibile vivere più storie
d'amore nel corso della propria vita e ognuna di queste contribuirà
ad un pezzo della nostra crescita.
Perchè allora è così doloroso chiudere una relazione?
Perchè così facendo contraddiciamo il mito del vissero felici per
sempre; perchè tutto ciò che davamo per scontato e che ci veniva
assicurato dal partner dovremo procurarcelo da soli; perchè temiamo
di non poter più vivere un altro amore. Può ovviamente capitare che
un partner abbia raggiunto i suoi obiettivi ma l'altro no. Si tratta
di una situazione molto dolorosa sia da parte di chi lascia a causa
dei complessi di colpa sia da parte di chi viene lasciato che vede
allontanarsi la persona a cui si era appoggiato. Un' altra fonte di
rotture è dato dal cambio di programmi di uno dei partner; E' questo
il caso tipico del marito che decide di abbandonare il proprio
lavoro da dipendente e mettersi in proprio oppure il caso della
moglie che decide di intraprendere una carriera che rivoluziona la
vita familiare. O ancora il caso in cui uno dei partner decide di
non volere figli pur sapendo che l’altro non potrebbe vivere senza
questa progettualità. C’è chi si sveglia un giorno e decide che è
venuto il momento di provare nuove strade all’estero e prende il
volo.Veramente interessante è il capitolo riguardante lo studio
della storia di alcune coppie selezionate in modo da coprire le
principali tipologie di relazione che si concludono in maniera più o
meno traumatica. Ben fatto è lo schema delle fasi , tutte descritte
sapientemente, che portano alla fine della relazione. Utili sono i
semplici esercizi per superare bene e al più presto il trauma della
separazione e l'appendice "diagnostica" dove è possibile verificare
se la propria relazione è in una fase critica. Una crisi di coppia
può essere l'occasione per cambiare la tua vita, per rinascere. Ogni
crisi serve proprio a questo. Dobbiamo imparare a viverla come un
cambiamento positivo, un’opportunità da saper cogliere per
migliorare la nostra vita verso nuovi orizzonti. Le storie d’amore
possono finire. Poco male quando la cosa succede da entrambe le
parti e ci si lascia di comune accordo. Quando invece si è lasciati,
allora non è più un semplice dolore: l’angoscia di essere
abbandonati può divenire una vera malattia, una frattura che spezza
la vita in due (prima e dopo l’abbandono), lasciando svuotati e
confusi.
Anche biochimicamente le cose cambiano nell’organismo: durante
l’innamoramento si ha un aumento della produzione di endorfine e di
feniletilamina (con conseguente senso di benessere, euforia,
vitalità e desiderio sessuale); quando la relazione finisce, per
contro, si ha un crollo dei livelli di queste sostanze (con
conseguente ansia, apatia, senso di frustrazione, irritabilità).
Terminiamo questo capitolo, cercando di fornire al lettore qualche
suggerimento per meglio reagire alla fine di una relazione amorosa e
per arginare il dolore che ne consegue:
• Concedersi un giusto "periodo di lutto " (E’naturale che ci vuole
un tempo adeguato per poter elaborare l’infelicità e la fine di una
relazione)
• Farsene una ragione (trovare una spiegazione, provare a capire, e
apprendere dall’esperienza della perdita)
• Sviluppare il proprio spirito d’iniziativa, affrontare la
situazione con coraggio, piuttosto che lasciarsi andare alle nostre
paure ed insicurezze, autodistruggersi.
• Fare nuove conoscenze: Iscriversi ad un club sportivo, frequentare
un corso di arti creative o di cucina. L’importante è non chiudersi
in se stessi, non isolarsi.
• Adottare la filosofia (dell’antica Cina) "può essere una
disgrazia, o può essere una fortuna ". Forse non era davvero la
persona giusta per noi, forse possiamo aspirare a meglio. Crediamo
nelle nostre capacità di amare ancora e di essere amati.
• Viversi il tempo come un nostro alleato per cicatrizzare la
ferita. Si dice che tutto passa e tutto arriva. Il tempo fa
miracoli.
• Approfittare del nostro tempo libero per fare quel famoso viaggio
che abbiamo sempre desiderato. Non c’è momento migliore per
distrarsi.
• Investire su se stessi; portare a termine un corso di studi,
impegnarsi in un nuovo progetto, imparare una nuova lingua
straniera.
• Far leva sulle forze residue per prendere in mano la situazione,
accettando l’evento traumatico come una sfida, verso ulteriori
traguardi possibili, poiché "la vita continua ", è meravigliosa ed è
l’unica che abbiamo. Non sprechiamola a piangere e a stare male per
qualcuno che non ci merita!
^^ TORNA SU ^^
Sesso e destino
Un recente romanzo di un autore francese Eric-Emmanuel Schmitt “La
giostra del piacere” ci accompagna nel labirinto delle varie forme
dell’eros, tra sogni, fantasmi ed ipocrisie. Un viaggio avventuroso
che l’autore ci illustra.
Un'opera sorprendente, ricca di avventure e disavventure
erotico-sentimentali che s'intrecciano e si rincorrono in una
continua sarabanda di desideri, amplessi e sentimenti amorosi. Lo
scrittore francese già autore di una trentina di opere - tra
romanzi, saggi, raccolte di racconti e opere teatrali - vi evoca
l'universo multiforme dell'eros, seguendo le peripezie di un folto
gruppo d'individui, diversi tra loro per età, sesso, professione e
preferenze sessuali, ma tutti alle prese con l'anonima dichiarazione
d'amore che inevitabilmente scatena in loro sogni e fantasie, ma
anche equivoci e incomprensioni. Il tutto in nome di un edonismo
diffuso che però è costretto a scontrarsi con le ipocrisie e i
conformismi della società.
"Volevo scrivere una specie di romanzo enciclopedico sulla varietà
delle relazioni amorose", spiega Schmitt, il cui libro in Francia è
in classifica da undici settimane. «In amore, facciamo tutti gli
stessi gesti, ma attribuendo loro ogni volta un significato diverso.
Ogni pelle che tocca un'altra pelle ha una storia particolare e
unica. Le forme dell'amore sono infinite, e non esiste una forma
canonica da privilegiare rispetto alle altre».
I molti protagonisti del romanzo abitano tutti attorno a una famosa
piazza di Bruxelles, dove tra gli alberi vivono moltissimi
pappagalli. Perché questa ambientazione?
«In quella piazza, chiudendo gli occhi si ha l'impressione di essere
in una giungla nel bel mezzo della civiltà. Mi è sembrata una bella
metafora della nostra condizione di uomini dominati dalle pulsioni,
ma prigionieri di corpi che sono sociali e razionali. Insomma, la
nostra parte di natura fatta di desideri e pulsioni è spesso sepolta
da strati di civiltà sociale, politica, culturale e ideologica».
È per questo che nella Giostra del piacere i sentimenti dell'amore
si scontrano spesso con le complicazioni del sesso e del desiderio?
«Le relazioni tra amore e erotismo sono di moltissimi tipi. Spesso
la sessualità è un modo per arrivare all'amore, nel senso che una
relazione iniziata nel nome del desiderio erotico può in seguito
trasformarsi in sentimento amoroso. Altre volte invece la sessualità
impedisce all'amore di nascere. Naturalmente esistono anche gli
amori senza sessualità. A me interessava mostrare questi diversi
aspetti e spazi dell'eros sullo sfondo di una società dominata
dall'ossessione del piacere sessuale a tutti i costi».
Indagando la varietà delle forme dell'eros, quello che le interessa
è la difesa di una certa forma di edonismo?
«Certamente. Occorre approfittare della vita, dell'amore e del sesso
senza preoccuparsi del giudizio degli altri. La mia è un'apologia
del piacere che rifiuta di giudicare moralmente e di discriminare le
diverse forme di piacere sessuale. Contemporaneamente però cerco
anche di riflettere sulla dialettica tra libertà e destino. La
sessualità infatti assomiglia al destino, giacché un desiderio è
sempre subito. Non scegliamo un desiderio, lo proviamo e basta. Il
desiderio non dipende dalla volontà o da una scelta. Nel romanzo, mi
domando quale sia il nostro spazio di libertà rispetto a questo
destino».
Che risposta s'è dato?
«La sola libertà possibile è quella che nasce dalla coscienza di
tale destino e dalla sua accettazione. Alcuni personaggi del romanzo
finiscono per scoprire quello che desiderano e si realizzano
accettando di essere quello che sono. Altri invece distruggono la
loro vita proprio perché non hanno la lucidità di ammettere quello
che sono. Così facendo provocano sofferenze a se stessi e agli
altri».
L'erotismo ha bisogno di fantasia e di fantasmi. È questo il
significato delle anonime lettere d'amore al centro del romanzo?
«Effettivamente l'amore è il territorio dei fantasmi e dei sogni. Un
territorio che ognuno crea in funzione di quello che è, di quello
che ha vissuto, di ciò che gli manca e di ciò che desidera. Secondo
me, le lettere d'amore dovrebbero essere sempre anonime, perché il
vero amore è fatto di generosità disinteressata, mentre chi firma
una lettera d'amore si attende sempre qualcosa in cambio. Il vero
amore è un dono di sé all'altro senza condizioni, motivo per cui è
quasi sempre impossibile. La sessualità invece è fondata sullo
scambio, non è mai disinteressata. Per questo amore e sessualità
convivono così difficilmente. Forse il solo vero amore è quello
asessuato che si prova per i figli o i genitori. Dicendo ciò,
riconosco di avere una visione idealistica dell'amore, una visione
quasi evangelica. Il che non m'impedisce di riconoscere il valore
positivo della sessualità».
Era la prima volta che scriveva delle scene erotiche. È stato
difficile?
«È stato delicato, perché volevo evocare con precisione la realtà
del sesso, ma senza scrivere delle pagine per un'antologia della
letteratura erotica. Il mio non è un romanzo erotico, è un romanzo
sull'erotismo, che però non arretra di fronte a nulla. Non a caso,
evoco tutte le forme dell'erotismo, dagli amori eterosessuali a
quelli omosessuali, dallo scambismo alle relazioni sadomaso, e via
dicendo. Volevo parlare di tutto, con una scrittura suggestiva, ma
restando pudico».
Non c'è il rischio di trasformare il lettore in un testimone un po'
voyeur?
«Uno scrittore è un bambino che cammina per le strade cercando di
immaginare quello che succede dietro le finestre. È nata così la mia
vocazione di scrittore. Questa forma di voyeurismo è magnifica
perché fa appello all'immaginazione. Io non mostro, preferisco
suggerire, lasciando che sia il lettore a completare la scena con la
sua immaginazione. In questo modo, egli diventa un voyeur attivo e
fantasioso che partecipa alla costruzione del libro. Immagina molto
di più di quello che vede, proiettando sulla scena i propri sogni e
i propri fantasmi. È questo il lato meraviglioso della letteratura».
^^ TORNA SU ^^
L’amore nella poesia
La poesia, meglio della prosa, riesce ad esprimere i tormenti e le
estasi della passione amorosa. L’amore è ritornato ad essere materia
per i poeti, dopo decenni di invasione della filosofia, impregnata
di razionalismo, la quale pensava di poter affermare la neutralità
affettiva della ragione, separarata dal fiume delle emozioni.
I poeti, sin dalle origini della lirica provenzale, cortese e poi
fiorita in Sicilia ed in Toscana, passando per la Bologna del
Guinizzelli, sanno molto bene che non si può conoscere il mondo e la
sua vita senza il coinvolgimento della forza dell’amore.
Bastardo, l'amore. Ci ricorda che siamo limitati, ma golosi di
qualcosa che rifiuta il limite. Nessuno (per fortuna) ama o è amato
giustamente. Un tizio vissuto mille anni fa circa e che di mestiere
faceva il teologo, Guglielmo da Saint-Thierry, mentre litigava con
altri testoni del suo tempo su come conoscere - cioè amare - Dio,
diceva che l'amore è una «volontà impetuosa di bene». Cioè l'amore
vuole impetuosamente qualcosa che ha assaggiato o intravisto, il
bene sperimentato in qualcosa, in una dimostrazione di bellezza (il
profilo di una ragazza, gli occhi di un uomo, le sue mani). O
sperimentato in un gesto buono. L'amore vuole "impetuosamente" quel
bene intravisto. Per questo ha una sua strana "violenza" - vuole
toccare il bene che ha visto, lo vuole "impetuosamente".
Ingiustamente. Spesso attraversando pure cose che con la testa
riteniamo sbagliate. Per Andrea Cappellano, estensore del trattato
sul tema più noto e discusso per molti secoli, l'amore è "passione
naturale per la quale cosa alcuno desidera d'averla [la
persona veduta o pensata] sopra ogni altra cosa». Quel testo, come
tanti altri che fiorirono nell'epoca delle corti d'amore, proviene
dalla matrice della Ars amandi di Ovidio. L'antico poeta latino
scrisse che "l'amore si prolunga con l'arte», e così rimatori e
scrivani, proseguendo fino al Roman de la Rose passando per i
Documenti d'amore di Barberino o Giacomo di Basieux e Il Fiore,
hanno nutrito e dato varie sistemazioni nei loro trattati alla
materia complessa - tra devozione, poesia erotica, eresia, segreti
d'amore - che ispirava i trovatori e i fedeli d'amore, che non a
caso avevano come obiettivo da abbattere l'orgoglio.
Come i monaci si elevavano amando cioè conoscendo Dio, oggetto
troppo grande e misterioso per essere posseduto, così i cavalieri
delle poesie erotiche provenzali si votavano ad amare una donna che
mai sarebbe stata loro (sposata, lontana), oggetto d'amore
somigliante a Dio, portando su un terreno "profano" le medesime
dinamiche che i teologi e i grandi abati prevedevano per la santità
dei loro monaci e fedeli. Non a caso una grande studiosa del
Medioevo come Régine Pernoud ricorda che non pochi di tali
trovatori, animati da quella tensione, finirono i loro anni in
convento. "Quali armi porteranno quelli che combatteranno contro
tali genti per debellare il loro grande orgoglio?», si chiede
Giacomo di Basieux, autore del trattato Feudi d'amore di certo noto
a Cavalcanti e forse anche a Dante.
Questi autori di trattati e di poesie davano forma, come accennato,
a una materia complessa e viva, dove s'intrecciano istanze culturali
e religiose di cui qui non s'ha tempo e nemmeno studio di
considerare. Ma Giacomo dà voce a tutti quando afferma che coloro
che sono preda dell'orgoglio non possono essere iniziati all'amore e
ai suoi segreti. L’amore infatti è capace di ogni ingiustizia. E
quindi tende ad abbattere ogni orgoglio, fosse pure quello tremendo
di "sentirsi" giusti. O di ritenere giusto il proprio desiderio,
confondendo - come ancor oggi spesso capita - il desiderio con un
diritto. In un certo senso, ma senza voler semplificare troppo,
l'amore rappresenta sempre una forza "eretica" rispetto a ogni
orgoglio fondato sul pensare di sapere cosa è "giusto" desiderare e
possedere. Giacomo, come abbiamo visto, rilancia dopo cinquemila
anni a noi, del millennio successivo al suo, il grido del pastore
galileo che compose il Cantico dei Cantici, unico libro della
Bibbia in cui Dio non ha quasi bisogno d'esser nominato perché si
parla d'amore: amore è forte come la morte. Ne è infatti il
contrario: ''Amor / a-mor(t)". Quel Cantico non a caso è uno dei
testi più amati e commentati dai mistici di tutti i tempi.
Dante ha alle spalle questi due grandi fuochi di riflessione
teologica e poetica e, toccato da una vicenda personale durissima,
crea la grande sintesi: amando una donna conosce il mistero di Dio.
Nel suo viaggio a ritrovare il senso dell'incontro con Beatrice,
«venuta da cielo in terra a miracol mostrare», e affranto, perso
nella selva per la sua morte, diviene esperto di Dio e dell'amore
seguendo quel trasporto rischioso che viene indotto dalla forza di
amore.
Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia, quand'ella altrui saluta,
ch’ogne lingua devèn, tremando, muta,
e li occhi no l'ardiscon di guardare
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d'umiltà vestuta,
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che 'n tender no la può chi no la prova
e par che de la sua labbia si mova
un spirto soave pien d'amore,
che va dicendo a l'anima: Sospira.
(Vita Nova, XXVI)
In tale "sospiro" dell' anima, così simile e diverso dal sospiro con
cui i monaci di Benedetto iniziavano il giorno e attraversavano
l'epoca di più dura crisi della storia occidentale, sta la forza
dell'amore dei poeti. Senza sospiro non c'è poesia d'amore.
Scorgerò quella riva estrema del tuo
essere
e ti vedrò forse per la prima volta
quale Dio deve riconoscerti
annullata la finzione del Tempo
senza l'amore, senza di me.
(Jorge Luis Borges, Amoroso auspicio)
Si può trasformare in sospensione come nella poesia di Borges, che
osserva la propria donna amata dormire forse come la vede Dio, o si
può, quel sospiro, acuminare in fiato stretto tra i denti nella
poesia di Anne Sexten dedicata all'amante che se ne sta tornando
dalla moglie. Ma è sempre quel sospiro, che si mette in movimento,
che può errare, errare ma sempre cerca il proprio vento.
Ciò che per gli antichi poeti rendeva l'amante un vero nobile
cavaliere è la mortificazione dell'orgoglio. L’amore può essere
davvero forte come la morte e il suo contrario, a patto che l'amante
sia disposto a passare attraverso una "quasimorte", a subire
un'ingiustizia. Forse proprio perché introducevano questa
mortificazione dell'orgoglio nell'uomo che abita il mondo,
riconducendolo a farsi "fedele d'Amore", i trovatori vengono
chiamati in una supplica a un re spagnolo "chiarificatori
dell'universo". E per questo vanno protetti.
Qualcosa di vertiginoso, una suprema ingiustizia si sperimenta
infatti nell'amore non corrisposto. È come volare su un precipizio
che finora avevamo solo sfiorato. È una dura rivelazione, ma - come
abbiamo accennato - proprio nell'amare una donna non possedibile,
l'amor de lohn, lontano, l'amor cortese, nasce la grande fiamma
della poesia occidentale. È un momento importante - e confuso da
mille forze contrastanti - del movimento che, nato dal cristianesimo
mille anni prima, conduce a scoprire la nobiltà come qualità del
cuore e non dell'avere. Infatti se l'amato, pur non corrisposto,
continua ad amare, indica in questa sua tensione comunque positiva,
in tale onorare ugualmente, in tale "devozione" la sua vera nobiltà.
La devozione a una donna amata che non corrisponde al tuo amore
coincide, nei fatti, anche con l'esperienza d'essere innamorati di
qualcuno che non ti ama come vuoi tu. Come cantava il piccolo grande
Lucio Dalla: «lo che qui sto morendoooo ... e tu che mangi il
gelato» (Cara). O con più durezza e visione diceva in versi Anne
Sexton:
Tu mio viaggiatore diretto a Ovest
gironzolavi randagio il vecchio globo;
e io restavo al panico dei fringuelli.
Sola nella nostra stanza ero un'ospite
(Diciotto giorni senza di te, 3 dicembre)
Lo esprime in modo semplice ma diretto una frase che la poetessa
Ingeborg Bachmann scrive a un altro grande poeta, Paul Celan, e che
forse noi tutti abbiamo pensato a volte: «Non so perché e a che
scopo ti voglio». Sapessimo sostare in quel "non so"! In questa
povertà e purezza, quasi un rimbambimento, una stupefazione, Un
essere in noi e fuori di noi completamente ... L’essere privi di
sapere solito, di conoscenza consueta, di progetti chiari, di
desideri uncinati, di voglie precise ... "Non so", ma so che "voglio
te" che sei un mistero per me. Qualcosa da non manomettere. Lo aveva
intuito il meraviglioso tremendo Rainer Maria Rilke in una delle
lettere alla sua amara Lou Salomé: «Un appunto che ho letto di
recente da qualche parte mi ha riportato alla memoria la
straordinaria visione formulata da Spinoza riguardo al rapporto di
non-dipendenza tra chi ama Dio e la risposta d'amore da pane di Dio
stesso: e io davvero non potrei sviluppare la mia tesi, se non in
questa precisa direzione».
L’amore non dipende dalla risposta che riceve! Tremenda vertigine in
cui si dimostra l'intera statura di una persona. Paragonare
un'esperienza d'amore con la devozione religiosa in assenza di una
risposta di Dio (o, meglio, di una risposta secondo i nostri
desideri) rende almeno il senso di quanto seria sia la faccenda in
cui spesso impelaghiamo i nostri giorni, le nostre ore e i nostri
cuori. Il Dio "muto" di cui parla Rilke somiglia alle dame medievali
verso cui si elevava la nobiltà dei poeti cavalieri ... E alla
devozione verso la ricerca, che anche nella scienza si rivolge verso
un oggetto il cui mistero supera sempre ogni tensione conoscitiva.
La realtà e Dio rispondono sempre in modo sorprendente, si fanno
scoperte.
Agli amanti, dice Rilke nella sua splendida Seconda elegia duinese,
che forse possono «dire meraviglie» noi «chiediamo di noi».
Perché nell'esperienza d'amore si conosce qualcosa della vita che
altrimenti non si può dire. Per lo stesso motivo quasi mille anni
prima, in un testo che il grande poeta (e innamorato) Ungaretti
definiva «forse il più bello mai scritto da uomo», Jacopone da Todi
esalta l’''amore muto", ovvero l'amore che - con immagine potente -
fa "partorire dentro" i sospiri, non si affida alle chiacchiere, non
si manifesta se non nel dire e non dire della poesia. L’amante dice
la verità solo poeticamente. Quando mio nonno a ottantacinque anni
si rivolse a mia nonna con un'espressione metaforica, con
un'immagine colorita nel suo dialetto romagnolo chiamandola - dopo
oltre sessant'anni di matrimonio - "e’ mi galet", il mio galletto,
espresse "poeticamente" il colore e l'animazione che quella donna
avevano portato nella sua vita.
Molto belle sono le nenie e tra queste le più struggenti sono quelle
di un poeta piemontese Tino Richelmy (1900-1991). La sua Nenia ha il
ritmo di una ballata antica in teneri endecasillabi, ultimo esito di
quella purissima fons amoris che scorre e brilla nella lirica
italiana dal Duecento a oggi, ogni tanto inabissandosi in misteriose
voragini carsiche, ma sempre poi riemergendo limpida, forte,
trasparente nel suo linguaggio cristallino. «Deh Violetta che in
ombra d'Amore / negli occhi miei si subita apparisti», canta il
giovane Dante, e gli fanno eco lungo i secoli tante altre voci,
dalla Ballatella tristissima e gentile del suo amico Guido
Cavalcanti alle Chiare, fresche et dolci acque di Petrarca
innamorato, agli struggenti madrigali di Tasso («Qual rugiada o
qual pianto / quai lagrime eran quelle / che sparger vidi dal
notturno manto / e dal candido volto delle stelle? / / Fur segni
forse della tua partita / vita della mia vita?»).
Amore e morte sempre s'intrecciano nella poesia, ma in questa Nenia
non c'è violenza di distacco né le tenebrose correnti della
passione; qui è signore il tempo, quello mortale e quello dell'
eternità: «Più meraviglia morte che l'amore», dice infatti il
dolente verso conclusivo. Questi teneri amanti erano due che
«camminavano insieme, egli robusto / il corpo, il volto soleggiato e
duro, / ella infiammata e ondata da uno scialle / nel dolce
portamento delle spalle». Ma ora - continua la sommessa cantilena,
come una ninnananna - «non li puoi trovare, / nemmeno discendendo
fino al mare». Perché «non c'è più fiato in loro, non c'è bocca».
«Erano lì dove ora il mirto ha fiore»: la concretezza carnale
della bocca scompare nel "fiato", il respiro che non c'è più. Non
c'è più movimento, né calore. Ecco la morte. Ecco la misteriosa,
vittoriosa "meraviglia" della morte.
Una delle cose peggiori che si fa con l'esperienza d'amore è
banalizzarla. Siamo circondati e rintronati da media giornali,
chiacchiere di amici al bar, in discoteca, ovunque, che banalizzano
l’esperienza d’amore. Una specie di esercito impegnato con
impressionante dispiegamento di forze a banalizzare l'amore. Il più
compatto e brulicante esercito del mondo lanciato con un solo
nemico. Miliardi di cavallette a disquisire in modo vuoto sull’amore
dalle radio, su internet, sui giornali, i social network e da
qualunque buco si possa dire qualcosa. I peggiori sono i pettegoli,
coloro che pretendono di leggere e giudicare banalmente gli amori
degli altri. Non è che fa paura parlarne seriamente? La poesia
contemporanea ha ricominciato a parlare d’amore (i grandi non
avevano mai smesso) dopo che sterili accademici e poeti di mestiere
senza poesia la volevano relegare a giochetto linguistico.
C’è qualcosa di opposto tra l'attività del creare "immagini" in
senso superficiale, come capita troppo spesso nel mondo televisivo o
massmediatico, e il movimento immaginoso dell’amore. Un movimento
contrario: esigenza dei media è sempre offrire immagini, dare in
pasto videate di roba, miliardi di link. Buttarcele addosso. L’amore
invece genera un movimento di sottrazione, di svelamento. Le
immagini emergono dal fondo dell’oceano. Nei migliori poeti moderni
e contemporanei (e ce ne sono poesie forti d’amore tra i
contemporanei italiani!) resiste la consapevolezza che parlare
d’amore assomiglia tremendamente a parlare del rapporto con un fondo
misterioso dell’essere e del reale. Con il destino.
^^ TORNA SU ^^
L’amore nella musica
Più che la letteratura o le arti figurative la musica e la danza,
senza utilizzare parole o immagini, sono in grado di raggiungere il
cuore dell’uomo e rendere le sottili sfumature dell’amore.
In principio la musica fu imitazione della natura, il canto degli
uccelli, il fruscio del vento, la goccia della pioggia in una vasca,
il rimbombo del tuono fra le pareti rocciose della montagna. Non è
facile per noi uomini della civiltà metropolitana immaginare lo
stupore dell’homo sapiens primitivo. Né tantomeno gli stadi per i
quali questi suoni naturali si sono trasformati in qualcosa di
autonomo, di artificiale.
A differenza delle pitture rupestri di Altamura – documento
meraviglioso dell’abilità pittorica e manuale dei nostri antenati –
la musica è qualcosa d’impalpabile, transeunte e sfuggente (e forse
anche per questo tanto più prezioso) che si percepisce non
attraverso la vista, ma attraverso l’udito. Possiamo solo immaginare
la sofferenza di Beethoven per la tragica, progressiva condanna alla
sordità. Che tuttavia, nell’Inno alla gioia, per una sorta di
straordinario ribaltamento metafisico, si trasforma in amore per
l’umanità.
Intorno alla musica – dono degli dei e motore dell’universo, e
“trasumanar” dei sensi e delle parole nell’armonia del Paradiso di
Dante – si sono arrovellate le menti dei filosofi, dei matematici e
dei poeti.
Poesia, ritmo, melodia ed armonia costituiscono una sola
indivisibile materia. Ora l’esaltazione iperbolica delle passioni.
“Lasciatemi morire” implora Arianna rimembrando il tempo dell’amore.
Ma eguale forza spirituale possiede l’invocazione ardente di
Sant’Agostino: “Chi canta prega 2 volte”.
Se approfondiamo il canto di alcuni uccelli rimaniamo stupefatti ed
ammirati. Vi è un piccolo uccello dell’Amazzonia l’uirapurù, poco
più grande di un passero, ma dal piumaggio variopinto dal rosso
corallo con venature di giallo al nero della livrea. Il suo canto,
cui gli indigeni dell’Amazzonia brasiliana attribuiscono un valore
profetico sulla vita e sull’amore, si esprime con note perfette: un
do e un sol (tonica e dominante), primo e quinto grado della scala
pitagorica.
Scoperta importante, se si pensa che il linguaggio ornitologico
delle varie specie canore è ricchissimo di trasgressioni melodiche,
mentre lo scricciolo andino con queste due note fondamentali – di
stasi e tensione, di quiete e movimento – traccia la mappa della
musica occidentale. In esse riconosciamo i rudimenti primitivi, i
pochi frammenti (notazione) della musica greca antica, il canto
gregoriano, il madrigale, il melodramma e la cantata barocca, Bach,
Haydn e Beethoven… e i Beatles. Forse anche per questo il
compositore Heitor Villa-Lobos, autore di diverse Bachianas
Brasileiras (come si vede Bach continua a ispirare la musica del
Novecento) gli ha dedicato nel 1917 il poema sinfonico Uirapurù.
Sembra la dimostrazione lampante di come la celeste armonia della
musica da Monteverdi a Beethoven e Wagner si fa imitazione e
ripetizione della natura. Olivier Messianen, musicista, ma anche
grande ornitologo era affascinato dal canto degli uccelli, che
riteneva i più grandi musicisti dell’intero universo. Nel suo
catalogue des oiseaux, usando artifici di note sovrapposte ed altre
“diavolerie”, trascrive (adatta) perla tastiera del moderno
pianoforte e per l’orchestra anche il cinguettio più bizzarro e meno
ortodosso, anzi opposto al canone suggerito dal nostro uirapurù. Per
il compositore francese, dichiaratamente cattolico, tutte le
creature alate lodano – francescanamente – la presenza di Dio nel
mondo. Un linguaggio così spurio ed esotico – le cui tracce
avvertiamo in opere importanti come la Sinfonia Turangalila e il San
Francesco d’Assisi.
E allora che sarà dell’Amore? Domanda da lasciar cadere. Forse basta
lasciarsi trasportare dall’onda dei suoni. Credo ergo sum. La lyra e
l’aulos (flauto), la poesia lirica e la poesia aulica. Saffo e
Catullo: «Su, lira divina, parlami, fa risuonare la tua voce»
(Saffo); «Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris / Nescio,
sed fieri sentio et excrucior» (Catullo). Non serve altro per dire
che l’amore canta se stesso, «che move il sole e l’altre stelle»,
l’«Amor ch’a nullo amato amar perdona», l’amore «croce e delizia»,
eccetera.
Pitagora ha scoperto le leggi matematiche che regolano la musica:
rapporti fra un tono e l’altro della scala musicale, differenze
nell’altezza dei suoni espressi in numeri interi per cui metà di una
corda dà (suona come) l’ottava superiore; tre quarti della stessa
rivela la quarta; due terzi, la quinta. L’amore supera l’aritmetica,
può essere limitato o illimitato, meschino o sublime.
Ecco con quanta emozione Wagner annunciava a Liszt, nel 1854, il
progetto di una nuova opera (rappresentata a Monaco di Baviera nel
1865). E’ la storia di un amore procurato da un filtro bevuto per
errore: «Ho sbozzato nella mia testa un Tristano e Isotta; un
concerto musicale della massima semplicità, ma puro sangue; col
bruno vessillo che sventola in fine del dramma [in cui] voglio
avvolgermi per morire. Per morire o per nascondersi, perché si
avverte in nuce che è il dramma stesso dell’autore, costretto dallo
scandalo di una vicenda amorosa a fuggire a Venezia.Qui, «in una
notte d’insonnia, affacciatomi al balcone verso le tre del mattino,
sentii per la prima volta – scrive in una nota autobiografica – il
canto antico dei gondolieri. Mi pareva che il richiamo, rauco e
lamentoso, venisse da Rialto. Una melopea analoga rispose da più
lontano ancora, e quel dialogo straordinario continuò così a
intervalli spesso assai lunghi. Queste impressioni restarono in me
fino al completamento del secondo atto del Tristano». Forse il più
lungo duetto d’amore della storia del melodramma.
^^ TORNA SU ^^
L’amore tra
mitologia e religione
L’eros è il forte desiderio di fondersi nella persona amata, di
sentirsi una sola cosa, anima e corpo.
Il desiderio ti lacera l’anima ma è una lacerazione preziosa perché
apre una fessura esplosiva.
Gli esseri umani hanno un bisogno insopprimibile di beatitudine e di
estasi. Il sesso è un aspetto di quest’anelito ma l’erotismo è un
gradino superiore rispetto all’eccitazione sessuale. L’amore, quello
vero, nutre l’anima e non solo il corpo. L’erotismo si manifesta nel
piacere di esplorare l’altra persona e rappresenta la forma più
piena di comunicazione. Tutti i nostri sensi sono allertati: gli
occhi ammirano, le orecchie sentono, le mani toccano, il naso odora,
la bocca gusta, un tocco che accarezza, la vista di un sorriso, il
gemito di un orgasmo, il sapore di un bacio, uno sguardo tenero.
Eros colpisce al cuore con le sue frecce e nasce l’amore ed anche
gli dei, se si innamorano di un mortale, soffrono. E’ capitato ad
Apollo, ad Artemide, ad Orfeo, ma soprattutto a Dioniso che penetra
nei corpi per inebriarli ma deve lasciarsi uccidere affinché
l’ebbrezza invada Menadi e Baccanti: la sofferenza è il pedaggio per
raggiungere l’estasi.
Solo Eros non soffre perché è immune dal desiderio che infonde agli
altri: non è una divinità, come molti credono, ma un vento cosmico
di smisurata potenza.
Nel racconto di Esiodo, Eros ha amato Psiche, la perde, la ritrova
ed è riamato con grande empito. Diventano una coppia inscindibile
che noi possiamo percepire perché Psiche è la nostra anima, la
nostra essenza più profonda dalla quale sgorgano i desideri che ci
posseggono.
Eros avvolge Psiche come il cielo avvolge la terra.
Poco diversa è la favola di Apuleio di Madaura che, nelle sue
Metamorfosi, scritte nel II secolo D.C., raffigura Eros come un bel
giovane che dapprima procura alla sua amata molti tormenti ma alla
fine le dona la felicità ideale.
Nella tradizione biblica Adamo ed Eva rappresentano i progenitori
del genere umano che, per un sacrilegio, persero l’immortalità. La
versione più nota della storia biblica della creazione, secondo la
quale Dio diede solo ad Adamo forma e vita dalla terra mentre poi
formò Eva da una costola, non corrisponde letteralmente al testo
(Genesi,1,27) dove si dice soltanto “li creò maschio e femmina”.
Alcune immagini create dall’arte, come l’affresco del Masaccio nella
chiesa del Carmine a Firenze, ci descrivono l’uscita drammatica
dell’uomo dall’innocenza, la colpa di aver trasgredito. Quelle due
figure nude, che si riparano il corpo ed il volto,ed Eva seno e
pudenda, rappresentano gesti di una disperazione senza limiti che
differisce dalla raffigurazione che dei nostri progenitori ci
fornisce Van Eyck, con un sapore completamente diverso, legato ad
una visione quasi fotografica dell’anatomia dei corpi, con Eva che
ha già peccato, perché mostra il pomo della dannazione, ed un
chiaroscuro potente, in grado di restituirci la condizione
d’infelicità e di dramma.
E’ da quel momento di desiderio e trasgressione che comincia la
storia con il demonio che, a sua volta,assume importanza come motore
dell’universo ed artefice della scimmia cosciente.
Quasi tutte le religioni, accanto agli dei che aiutano l’uomo,
pongono uno spirito maligno che gli si accanisce contro. Tra i tanti
nomi dati alle forze del male, il più intrigante è Lucifero, accolto
dal cristianesimo, e non vi può essere ossimoro più affascinante:
portatore di luce e sovrano dell’inferno. Era l’angelo più caro al
Signore ma si ribellò e fu precipitato nelle tenebre. Conservò,
però, il potere d’insidiare l’uomo, al quale era stato concesso il
libero arbitrio, e tentò addirittura anche Cristo, quando si fece
uomo.
La sua figura è molto complessa e vuole simboleggiare i due modi
d’essere della condizione umana: l’amore egoista e verso gli altri,
l’egolatria e la carità, il potere e la misericordia.
Gli uomini non sono un animale ma nemmeno un angelo, costretto a
scegliere tra il bene ed il male.
La letteratura ha messo in risalto questa duplicità della natura
umana, da Dostoevskij, che celebra l’antagonismo tra angelico e
diabolico, l’uno contrapposto all’altro, fino a Stevenson che opera
un’analoga operazione, creando Jekill e Mister Hyde.
^^ TORNA SU ^^
Amore e morte
L’ammore è comme fosse nu malanno ca,
all’intrasatta, schioppadint’ ‘o core
senza n’avvertimento, senza affanno,
e te pòffàmurì senza dolore.
Cominciamo questo capitolo con i versi immortali di una poesia di
Totò (al secolo Antonio De Curtis), che, noto per la sua ‘A Livella,
ha scritto numerosi versi ispirati al nobile sentimento.
Spesso gli amanti, nel culmine della passione, adoperano frasi ad
effetto: “Ti amo da morire”, “Se mi lasci mi ammazzo”, ma, sempre
più spesso, anche “Se mi lasci ti ammazzo”. Infatti, una delusione
amorosa, un abbandono, possono farci divenire santi ma, con sempre
maggiore frequenza, anche assassini.
Sono sempre di più gli uomini, di ogni cultura e latitudine, che non
tollerano che la persona amata possa amare ed essere amata da altri.
Da qui nasce la piaga esponenziale di cui vogliamo parlare,
analizzandone motivazioni ed origini.
Per millenni gli uomini, sulla base di una concezione patriarcale e
maschilista della società, hanno educato le donne a ricoprire nella
famiglia un ruolo subordinato sottoponendole ai voleri ed agli
ordini degli uomini, costringendole a pagare un pesante tributo di
violenza e di sangue ad ogni, pur larvato, tentativo
d’insubordinazione.
Ancora oggi, in gran parte del mondo, soprattutto nelle società
dominate da princìpi religiosi, ha dominato un modello maschilista e
questo non solo nei paesi islamici, dove il Corano esplicitamente
prevede sanzioni e comportamenti che le donne devono pedissequamente
rispettare, ma anche nel mondo cattolico, dove la figura di Dio
addossa interamente la concupiscenza, considerata peccato mortale,
alla responsabilità femminile, a tal punto che più di una volta,
preti ultramoralisti, oltre ad omelie infuocate dal pulpito contro
gonne troppo corte e seni in libera uscita, hanno distribuito
volantini nei quali giustificavano le violenze ai danni delle donna
come giusta reazione ai loro comportamenti provocatori e spudorati.
Chi legittima i rapporti di possesso dell’uomo sulla donna? Il
Vaticano, ancora nel 1988, si esprimeva senza remore sulla “dignità
e la vocazione della donna”, facendo esplicito riferimento ad essa
unicamente come “moglie e madre ubbidiente, succube dell’uomo per
fondamentale retaggio dell’umanità”. Ovvero, come fatto voluto da
Dio, che, dunque, non gradisce una donna autonoma ed indipendente,
impegnata in un’attività lavorativa qualsiasi, magari di natura
dirigenziale. La Riforma protestante, per parte sua, liberò le suore
dai loro voti controllando, tuttavia, che esse divenissero brave
“donnette” di casa, docili e mute. Lutero in persona definì l’uomo
“superiore e migliore” e la donna “un mezzo bambino, un animale
pazzo”.
Anche questo monaco, in verità, parlò con l’animo ed il lessico più
tipico del proprio sesso predicando come “massimo onore della donna
mettere al mondo figli maschi”. Ma anche Papa Giovanni Paolo II, nel
1996, si è richiamato all’apostolo Paolo utilizzando una tra le
innumerevoli frasi più misogine del celebre santo dispregiatore
della femminilità: “La donna impari in silenzio, con sottomissione.
Non sia permesso ad essa d’insegnare, né di usare autorità sul
marito, perché Adamo fu formato per primo, poi venne Eva; perché
Adamo non venne sedotto, bensì fu la donna, la quale cadde in
tentazione. Nondimeno, essa sarà salvata partorendo figlioli e
perseverando nella fede, nell’amore e nella santificazione con
modestia”. Così parlò San Paolo: che le donne sappiano, una volta e
per sempre, cosa debbono o non debbono fare. La misoginia clericale
dimostra, insomma, come la volontà della Chiesa non senta
minimamente bisogno di trasformarsi: i suoi capisaldi rimangono
univoci, la definizione dei ruoli sociali immutabili, stabiliti nel
tempo. Ma quel che storicamente appare più grave è il fatto che,
quando la predicazione clericale inizia a non dare più frutti, ecco
che si comincia a far ricorso al “femminicidio”.
Innumerevoli sono state, nella Storia, le donne denunciate come
“streghe” che, in base a tale accusa, dovettero morire, perché così
vollero gli annunciatori della “Lieta Novella”. Fintantoché questa
Chiesa avrà potere sugli animi e non rianalizzerà le proprie colpe
millenarie, gli uomini la faranno sempre “pagare” alle donne,
mantenendole in una condizione di subalternità. Di quale e quanta
morale dispone, dunque, la Chiesa cattolica? Il “Maglio delle
streghe”, pubblicato nel 1487, ebbe la benedizione di un Papa. Esso
venne divulgato in tutto il mondo come autorevole documento della
Chiesa e, in tutte le sue edizioni (una trentina), vi è perennemente
rimasta inclusa una “bolla” che incitava espressamente all’uccisione
delle donne. Contro di essa, per più di 200 anni, non vi fu uno
“straccio” di pontefice disposto a spendere una parola in senso
contrario. Ecco, dunque, con quale pretesto giuridico le donne
vennero sottoposte a penosi interrogatori o furono oggetto di
invereconde investigazioni da parte dei religiosi. Essi estorsero
confessioni utilizzando la tortura, unitamente ad altre innumerevoli
sconcezze. L’Occidente cristiano si è concesso migliaia di carnefici
che mai si sono stancati di esaminare sul corpo e sulla pelle delle
donne la loro appartenenza a Satana. Le donne, in ultima analisi,
come anche dichiarato nel protocollo di un processo del XIV secolo,
“non possono che lasciarsi conciliare con la Chiesa, senza tuttavia
impedire di essere consegnate al potere temporale, che provvederà
alle pene richieste”. Il Concilio di Trento (1545-1563) fruttò nuovi
importanti dogmi per reagire allo scisma luterano, senza spendere
nemmeno una parola sullo sterminio degli eretici, degli ebrei e
delle donne. La qual cosa ha sempre dato luogo a legittimi
interrogativi circa le effettive origini del nazismo, fondato da un
cattolico austriaco di nome Adolf Hitler. I roghi, che da quel
Concilio discesero, non hanno mai destato, più di tanto, l’interesse
degli storici, soprattutto in Italia. Eppure quella strage,
protratta nei secoli, non ha riguardato solamente alcuni casi
isolati di “peccatrici”: fu una vera e propria dottrina papale. Si
pose fine alle uccisioni solo dopo che s’imposero voci provenienti
dall’esterno della Chiesa, che si è sempre giustificata attribuendo
le proprie “malefatte” alla volontà di Dio.
Il sommo teologo Alberto Magno definiva le donne “esseri difettosi”,
mentre San Tommaso d’Aquino, dottore supremo, sulle cui
disquisizioni si basa gran parte dell’edificio culturale della
Chiesa, oltre a corbellerie del tipo che l’anima entra nel corpo
dell’uomo a 40 giorni dalla fecondazione e nella donna dopo 90,
definiva l’altra metà del cielo come “degli uomini mal riusciti,
delle persone cui manca qualcosa per realizzare la più autentica
natura umana”.
La tradizione cattolica ritiene che le donne devono aspirare a
presentarsi come verginali fidanzate del Signore, come consorti
fedeli e madri di molti bambini. La conseguenza non può essere che
una società esposta al dominio del maschilismo più retrivo. Viviamo
in una società, giustamente definita “liquida”, rissosa e priva di
guida, condannata a seguire gli errori e gli orrori della storia, in
preda all’aridità morale ed alle più ataviche delle pulsioni.
Non vi è più speranza nel futuro: cadute le ideologie, siamo
divenuti un popolo di morti che camminano.
^^ TORNA SU ^^
Una dolce morte
Lettera pubblicata il 7 dicembre 2012 su "il Venerdi di Repubblica"
nella rubrica "questioni di cuore" di Natalia Aspesi
Per le coppie anziane, dopo tanti anni passati
assieme sorge il desiderio anche di morire insieme.
A me e mia moglie questa rara occasione capitò anni fa in un aereo
in avaria, che tentò un atterraggio di fortuna senza carrelli, ma
riuscimmo fortunatamente a salvarci. Da allora tanto tempo è
passato: Gli occhi si cercano sempre, le mani si accarezzano più di
prima. Il desiderio si trasforma, i corpi stanchi e rugosi,
diventano il soffice cuscino cui adagiarsi.
Il vecchio desiderio di Filemone di essere trasformato con l’amata
Bauci in una quercia e in un tiglio uniti per sempre nel tronco e
nelle radici è una mera utopia. In un paese che non permette
l’eutanasia, non resta che bere assieme una tazza di dolce veleno,
regalandosi vicendevolmente la morte
Achille Della Ragione
risposta di Natalia Aspesi
André Gorz, scrittore, filosofo, uno dei
fondatori del settimanale francese Nouvel Observateur, si uccise nel
2007 assieme alla moglie malata, non potendo immaginare di vivere
senza di lei,
erano insieme da 58 anni. Di lui, Sellerio ha pubblicato nel 2008
Lettera a D. inno: d'amore a Dorine, la compagna di tutta la vita da
cui non ha voluto separarsi.
Mi perdoni se le ricordo che altri hanno fatto ciò che lei immagina,
se segnalo ancora una volta il film Amour che racconta una storia
simile.
Mi perdoni anche se le dico che, se ovviamente penso che l'eutanasia
sia un diritto per chi vuole porre fine alla sofferenza o per chi
sopravvive con le macchine come un vegetale, non posso pensare che
si rinunci alla vita, perché muore una che sino a quel momento l'ha
divisa con noi. Davanti saranno anni vuoti, tristi, ma varrà sempre
la pena di viverli anche in solitudine, perché comunque la morte non
unisce, cancella soltanto e non ci sono dei, che, come racconta
Ovidio nelle sue Metamorfosi, premino Filemone e Bauci facendoli
morire insieme e trasformandoli, per sempre, in alberi.
^^ TORNA SU ^^
Amore sacro ed amore
profano
Dal titolo si potrebbe credere che intendiamo parlare del celebre
dipinto di Tiziano conservato a Roma nella Galleria Borghese, invece
intendiamo parlare del folle amore che legò Abelardo ed Eloisa, una
passione contraddistinta da sacro e profano. Lo slancio dello
spirito e la violenza dei sentimenti sono abituati coabitare, senza
queste apparenti contraddizioni, non ci sarebbe umanità, ma solo una
collezione di manichini. Siamo collocati temporalmente ad un
migliaio di anni fa, in un’epoca piena di fermenti intellettuali e
di scontri violenti.
Eloisa era la nipote sedicenne di Fulberto, canonico di Notre Dame,
Abelardo quarantenne era un celebre teologo e pensatore, tra i più
importanti filosofi del medioevo, precursore della Scolastica,
fondatore di scuole che contribuirono a diffondere il pensiero
filosofico e scientifico, nonché abile dialettico. Egli ebbe
l’incarico da Fulberto di fare da maestro ad Eloisa. Fu come mettere
la polvere da sparo accanto al fuoco. Abelardo ci perse il sonno ed
il senno, diventò un pessimo predicatore ed uno squisito poeta. Vi
fu tra i due un matrimonio segreto, un figlio, che nacque in
Bretagna, e assunse l’astruso nome di Astrolabio. Il filosofo chiese
di poterla sposare morganaticamente per non compromettere la propria
carriera ecclesiastica a cui tanto teneva, ma la notizia si divulgò
e scoppiò lo scandalo. Lo zio inferocito si vendicò in maniera
orrenda, mandandogli di notte due sicari che nel sonno lo evirarono.
Parigi fu più deliziata dal lato piccante di questa vicenda che
commossa dalla furia della passione.
Abelardo si disponeva anche lui a chiudersi in convento, ma gli
studenti implorarono di non interrompere le sue lezioni. Stette per
un periodo in convento, ma l’amore per Eloisa lo tormentava e
nonostante la vita monastica e la riflessione filosofica, ripresa in
esame, che lo portò a confrontarsi su aspetti dottrinali con
Bernardo da Chiaravalle, egli continuò a mantenere un fitta
corrispondenza epistolare con Eloisa scrivendo tra le più belle
lettere d’amore di ogni tempo, un amore intriso di carnalità, al
punto che alcuni storici hanno messo in dubbio l’autenticità. Ma a
torto. Anche Eloisa, chiusa in convento gli scriveva e sono lettere
stupefacenti che parlano un linguaggio che supera agevolmente il
tempo che ci divide da loro: “Se l’appellativo di moglie sembra più
santo e di maggior valore, a me è sempre apparso più dolce quello di
amica o, se non lo giudichi sconveniente, di concubina o
sgualdrina”.
Dante avrebbe avuto mille motivi per metterli all’inferno, come
Paolo e Francesca, ma non lo fece. “Chi. dimmi, non correva a
guardarti quando avanzavi in pubblico? Non c’era una donna, sposata
o fanciulla, che non ti desiderasse in tua assenza e non ardesse in
tua presenza. Qualunque regina, qualunque femmina potente non
avrebbe voluto per se le mie gioie e il mio talamo”.
Eloisa che nel frattempo era divenuta badessa grazie alla sua
condotta esemplare, venne a riprendersi il cadavere di Abelardo,
quando questi morì nel 1142 e lo sotterrò nel cimitero del suo
convento. Forse lei sola col suo intuito femminile, aveva compreso
il dramma di quell’uomo singolare e tormentato che aveva predicato
in nome della ragione, ma era vissuto sotto il segno della passione
ed era perciò la prima vittima del conflitto ch’egli stesso aveva
aperto.
Ed ecco qualche altra lettera di Abelardo:
“Col pretesto delle lezioni ci abbandonammo completamente all'amore,
lo studio delle lettere ci offriva quegli angoli segreti che la
passione predilige. Aperti i libri, le parole si affannavano di più
intorno ad argomenti d'amore che di studio, erano più numerosi i
baci che le frasi; la mano correva più spesso al seno che ai libri.
E ciò che si rifletteva nei nostri occhi era più spesso l’amore che
la pagina scritta oggetto della lezione. Per non suscitare sospetti
la percuotevo spinto però dall’amore, non dal furore, dall’affetto
non dall’ira, e queste percosse erano più soavi di qualsiasi
balsamo”.
Vorrei approfittare per citare alcuni passi di confessioni di
monache scostumate che ho rintracciato in alcune ricerche di
archivio.
“Sono pazza di Don Vladimiro, nel convento di clausura che mi ha
esclusa dal mondo e accolta nell’eden della voluttà, pur fra canti
gregoriani, inni liturgici, messe diurne, notturne, rosari,
estenuanti esercizi spirituali, al bisogno autoflagellazioni, pasti
frugali, silenzi sepolcrali, voti stretti di castità e carità. Don
Vladimiro, come sai, è il nostro confessore. Bello come un Dio greco
uscito dal bulino di Fidia o di Prassitele, me ne sono follemente
invaghita. E lui di me. Non ho dimenticato, incunaboli e codici
miniati e sfoglio spesso anche le Sacre Scritture, sia pure con
occhio e mano profana, ma con diligenza e intelligenza. La Bibbia
per me non ha segreti, e il Cantico dei cantici lo so a memoria. Ho
con i padri della chiesa – da San Paolo a Sant’ Ambrogio, a Sant’
Agostino, a Sant’ Girolamo – la stessa dimestichezza che
mutatismutandis, ho con Ovidi, Catullo Giovenale e Saffo.
Il solo pensiero di dover dire addio all’abbazia e di non vedere più
Vlad, non mi lascierà altra scelta che il suicidio. Forse mi butterò
dalla finestra, forse mi farò murare viva per espiare i miei
peccati. Che peccati non sono, ma solo focosi abbandoni al mio
spasimantissimo-spasimante, che non reggerà al dolore, invocando non
più Afrodite, ma Proserpina.
“Après l’amour” come cantava Charles Aznavour recitiamo il rosario,
per poi riprendere in mano il Kamasutra e sceneggiamo, oramai con
professionale maestria, le più spericolate posizioni”.
^^ TORNA SU ^^
Le leggende dell’amore
La nostra tradizione culturale, greco-romana e giudaico-cristiana ha
creato miti e leggende che hanno come motivo l’amore, divinità
maggiori e minori affollavano il Pantheon greco da Venere ad Eros,
da Afrodite a Cupido, ma pochi sanno che gran parte di questo
materiale proviene da una fonte risalente al 2500 a.C., a Gilgamesh,
il Re sumero di Uruk ed è stata scritta su tavolette di argilla, le
quali fortunatamente, ci sono pervenute. Anche tante radici di miti
letterari e religiosi derivano da quell’antica Epopea: dal serpente
che condanna gli uomini alla mortalità al diluvio universale, ai
numerosi viaggi nel regno dei morti che ispirò quelli di Orfeo, di
Enea, di Dante. Gilgamesh fonda Uruk, la prima vera città e da
sicurezza ai propri sudditi, ma in cambio pretende da loro, uomini e
donne, che obbediscano ad ogni suo capriccio. A renderlo più docile
arriva Enkido, una sorta di suo alter ego: se Gilgamesh è per due
terzi Dio, Enkido è un uomo animale (un antenato dei centauri), fino
a quando una donna non gli fa scoprire il sesso e lo rende uomo a
tutti gli effetti. Tra Gilgamesh ed Enkido nasce una rivalità, che
sfocia in un combattimento feroce, dopo il quale nasce una forma di
“amicizia particolare” come quella che Omero farà nascere tra
Achille e Patroclo. Quando Enkidu muore, Gilgamesh disperato lo
cerca nell’oltretomba e scopre una verità ben diversa da quella
raccontata dalle altre epiche: non vi è nulla che attende l’uomo
oltre la morte e questo rende la vita terrena un bene prezioso da
utilizzare fino in fondo.
Per chi volesse approfondire questa straordinaria epopea,
consigliamo un libro uscito di recente “Gilgamesh, l’epopea del Re
di Uruk”, un affascinante viaggio dall’argilla all’acquerello, un
volume a tre mani tra la grafica francese Lurie Elie, la pittrice
iraniana Forough Raihani e la giornalista italiana Alessandra
Grimaldi, a cui è collegato un mp3 letto da Francesco Pannofino con
musiche di Giorgio Giampà.
^^ TORNA SU ^^
Avvinti per
l’eternità: Paolo e Francesca
“Poeta volentieri parlerei a quei due che insieme
vanno e paiono sì al vento esser leggeri” con questi versi immortali
Dante, nel V° canto dell’Inferno descrive i due amanti che vanno in
coppia, sbattuti da un forte vento tempestoso, costretti alle fiamme
eterne, perché in vita si erano dati alla lussuria e all’amore
carnale. E di conseguenza, per la legge del contrappasso, in vigore
nell’oltretomba, come nel mondo terreno si erano lasciati travolgere
dal richiamo della carne, così nell’Inferno sono eternamente
tormentati da una tempesta che non cessa mai.
Dante li invita ad avvicinarsi e loro rispondono positivamente alla
richiesta e raccontano la loro storia. A parlare è Francesca da
Rimini, la quale si innamorò del cugino Paolo Malatesta, ma il
marito, dopo averli scoperti, li uccise. Alludendo a questo grave
fatto di sangue la donna dice: “Noi che tignemmo il mondo di
sanguigno”cioè noi che fummo la causa per cui nel mondo il nostro
sangue tinse la terra di rosso. Prima di continuare possiamo
affermare che questo canto è uno dei più belli della Divina Commedia
e della letteratura universale.Seguono tre terzine incalzanti:
“Amor ch’al cor gentile ratto s’apprende prese costui de la bella
persona che mi fu tolta; e il modo ancor m’offende”.
Quindi Dante annuncia la legge formidabile dell’amore che non
permette a nessuno amato di non ricambiare l’amore ricevuto:
“Amor, ch’a nullo amato amar perdona mi prese del costui piacer sì
forte che, come vedi, ancor non m’abbandona”, e poi l’amara
conclusione terrena della vicenda:
“Amor condusse noi ad una morte: Caina attende chi a vita ci spense,
queste parole da lor ci fuor porte”.
Il poeta si commuove e vuole saper maggiori dettagli della loro
travagliata passione:
“ A che e come concedette amore che conosceste i dubbiosi disiri?”
Francesca riferisce che stavamo semplicemente leggendo la storia di
Lancillotto, rimanendo turbati, ma vi fu poi un momento che il
richiamo della lussuria fu insostenibile:
“Quando leggemmo il disiato riso esser baciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso la bocca mi baciò tutto
tremante”.
Dante non riesce a trattenere la commozione e per quanto condanna
Paolo e Francesca, nello stesso tempo, come uomo, non riesce a
resistere alla forza e alla bellezza della loro tragedia, che aveva
condotto i due amanti alla dannazione infernale.
^^ TORNA SU ^^
L’amore tragico di Romeo e Giulietta
Questa tragedia ha per oggetto l’amore e la
tragicità dell’amore.
Quando lo sguardo di Romeo incrocia quello della dolce Giulietta, è
amore a prima vista. Una passione divorante e profonda, ma proibita:
le loro famiglie, infatti, sono mortalmente nemiche. Il destino fa
di tutto per separarli, e solo l'ombra della notte permette
l'incontro dei due giovani amanti. E l'incanto assoluto che li
unisce in segreto su un balcone in una profumata notte veronese. Un
paradiso, destinato però a non conoscere la beatitudine
dell'eternità. L'immortale capolavoro di William Shakespeare, la più
grande e sofferta storia d'amore della letteratura di tutti i tempi.
Da questo momento in avanti l’amore e Romeo e Giulietta faranno
tutt’uno nell’immaginazione di tutti. È di scena l’amore puro,
rarefatto e senza condizioni, sembrerebbe neanche sotto l’ipoteca
sessuale: a questo riguardo l’amore maturo e adulto di Antonio e
Cleopatra potrà costituire la verifica realistica se Romeo e
Giulietta ne è la trattazione idealistica o romantica. Certamente il
Romanticismo si è impadronito dell’opera e l’ha fatta propria: ma
altre sono le sue radici e il suo spazio simbolico di fondo. In
controluce c’è l’idea d’amore del Rinascimento con i suoi
riferimenti neoplatonici di radice italiana passato ai poeti della
Pléiade e certamente noto a Shakespeare che edificando una
concezione del sentimento amoroso su forti basi idealistiche e quasi
mistiche, che non riguarda solo i sentimenti umani, ma tutta la
concezione del cosmo. L’amore fra i due adolescenti si esprime anche
con un vocabolario religioso e mistico cui la presenza di Fra
Lorenzo dà quasi il carisma del mistero religioso.
Montecchi e Capuleti, famiglie veronesi offuscate dai soldi e
dall’orgoglio smodato ed egocentrico, lasciano scorrere gli anni
alimentando un odio recondito l’una verso l’altra, e senza
permettere spiragli di chiarimento.
Sotto l’ombra di quest’odio sono cresciute le generazioni giovanili,
intolleranti tra loro quanto gli stessi adulti; ma per quanto i due
casati non possano prendersi nemmeno in fotografica (o in dipinto
onde evitare anacronismi di natura tecnologica) un tenue filo sembra
unirli segretamente: l’amore tra i rispettivi figli: la dolce
Giulietta, e il baldo Romeo. Queste nobili famiglie si osteggiano da
generazioni per il controllo della città e per il dominio economico
e politico del territorio. Nel prologo della storia, la rivalità si
è sempre più spesso trasformata in vere e proprie risse tra le
strade della città turbando la quiete pubblica. Durante la rissa che
apre la tragedia interviene il Principe della città il quale
annuncia che, in caso di ulteriori scontri, i capi delle due
famiglie saranno considerati responsabili e pagheranno con la vita.
Quindi fa disperdere la folla.
Paride, un giovane nobile, ha chiesto al Capuleti di dargli in
moglie la figlia Giulietta. Capuleti lo invita ad attirarne
l'attenzione durante il ballo in maschera del giorno seguente,
mentre la madre di Giulietta cerca di convincerla ad accettare le
offerte di Paride. Il rampollo dei Montecchi, Romeo, è innamorato di
Rosalina che però ha deciso di prendere i voti e non può ricambiare
l’amore di Romeo che di questo soffre enormemente. Mercuzio, (amico
di Romeo) e Bianca e Baldassarre cercano invano di distogliere Romeo
dalla sua malinconia, quindi decidono di andare mascherati alla
festa nella casa dei Capuleti, per divertirsi e cercare di
dimenticare.
Romeo, che spera di vedere la sua Rosalina al ballo, incontra invece
Giulietta. I due ragazzi si scambiano poche parole, ma sufficienti a
farli innamorare perdutamente l'uno dell'altra e a spingerli a
baciarsi teneramente.
Prima che il ballo finisca, la fedele Balia rivela a Giulietta il
nome di Romeo. Rischiando la vita, Romeo si trattiene nel giardino
dei Capuleti dopo la fine della festa. Durante la famosa scena del
balcone, i due ragazzi si dichiarano il loro amore e decidono di
sposarsi in segreto. Il giorno seguente, con la complicità della
Balia, il francescano Frate Lorenzo unisce in matrimonio Romeo e
Giulietta, sperando che la loro unione possa portare pace tra le
rispettive famiglie.
Purtroppo invece, le cose precipitano quando Tebaldo, cugino di
Giulietta e di temperamento iracondo, incontra Romeo e cerca di
provocarlo a un duello. Romeo rifiuta di combattere contro colui che
è ormai anche suo cugino, ma Mercuzio (ignaro di ciò) raccoglie la
sfida. Così tentando di separarli, Romeo inavvertitamente permette a
Tebaldo di ferire Mercuzio, che muore.
Romeo, accecato dall'ira, uccide Tebaldo. Il Principe condanna Romeo
solo all'esilio: dovrà lasciare la città prima dell'alba del giorno
seguente. I due giovani sposi riescono a passare insieme un'unica
notte d'amore. All'alba si separano e Romeo fugge a Mantova.
Giulietta dovrebbe però sposarsi tre giorni dopo con Paride. Frate
Lorenzo, esperto in erbe medicamentose, dà a Giulietta una pozione
che la porterà a una morte apparente per quarantadue ore. Nel
frattempo il frate cerca di raggiungere Romeo a Mantova per
informarlo della situazione e aiutarlo a ricongiungersi con
Giulietta. Ma sfortunatamente Romeo viene a sapere da Bianca del
funerale di Giulietta prima che arrivi Frate Lorenzo. Distrutto dal
dolore, Romeo si procura un veleno, torna a Verona in segreto e si
inoltra nella cripta dei Capuleti, determinato ad unirsi per sempre
a Giulietta nella morte. Romeo, dopo aver guardato teneramente
Giulietta un'ultima volta, si avvelena e muore. Quando dopo poco
Giulietta si sveglia, trovando l'amante morto accanto a lei, si
uccide.
“Dramma d’amore”, “storia d’amore maledetto “, “storia di due tristi
amanti“, e via dicendo, su “Romeo e Giulietta” quotidianamente
vengono messe centinaia di targhe chiarificatrici quanto
ingiustamente riassuntive. L’opera scespiriana non è un commento
così spicciolo, “Romeo e Giulietta” è innanzitutto poesia (essendo
scritta per la quasi totalità in versi, a tratti anche ritmati), poi
è l’esaltazione del sentimento umano, un’architettura stabile e
inattaccabile come se giocasse su forze fisiche tanto numerose
quanto di diversa intensità orientate tanto da annullarsi tra di
loro. In origine c’è l’odio, così forte e sopra ad ogni cosa da
portare solo pensieri di morte:, «…portami la spada, ragazzo. Ma
come, quel vigliacco osa venire qui […] Ecco, per il sangue e
l’onore della mia stirpe, non reputo un peccato colpirlo a morte.» (Tebaldo,
Atto 1, sc. 5)
Non importa che cada qualcuno colpito a morte, la sola cosa che
conta animati da quell’odio è che la famiglia e il nome vengano
messi in salvo dal semplice pensiero di un disonore ipotetico.
"Romeo e Giulietta" è una storia emblematica di altri tempi; Due
giovani che si amano immensamente e che non possono coronare il loro
sogno d'amore a causa dell'opposizione delle famiglie e a causa
della tragedia della loro storia. Romeo e Giulietta sono diventati
il simbolo dell'amore con la A maiuscola, dell'amore ideale, del
vero amore che tutti sognano e a cui tutti tendono l'animo e il
desiderio. Un amore che sceglie di vivere nel tempo e oltre la vita,
oltre la morte. Un amore che sopravvive oltre tutte le barriere, che
nonostante la morte dei due protagonisti, vive nella memoria di
tutti noi, per l'emozione, e l'eco che ha provocato nel cuore di
tutti. Vi sono state varie riproduzioni sceniche nel teatro e varie
trasposizioni cinematografiche, ma l'importante non è la loro
qualità, è la storia di Romeo e Giulietta che sopravvive nel tempo.
La fama di questo capolavoro shakespeariano è immensa, vuoi per le
rese cinematografiche mirabili (eccezionali, per motivi diversi, sia
quella di Zeffirelli che quella di Luhrmann), vuoi per la trama,
così attuale e capace di raggiungere una vasta gamma di persone,
dagli incurabili romantici ai più scettici. Shakespeare mescola
abilmente elementi comici e tragici, accostando alle figure dei due
innamorati quelle di altri personaggi che danno un tocco di sapore
alla storia. La balia di Giulietta, fedele, affettuosa e logorroica,
ci fa sorridere, così come Mercuzio, amico fraterno di Romeo, ci
conquista con la sua arguzia, il suo intelletto e la pirotecnia
verbale. L'ironia di Mercuzio è un efficace contrappunto alle
sdolcinatezze di Romeo, e il suo monologo sulla Queen Mab è uno dei
pezzi più interessanti dell'opera. Il linguaggio poetico è
sicuramente il pezzo forte, non per nulla ci si ritrova a citare dei
versi di "Romeo e Giulietta" pur non avendolo mai sfogliato.
Giulietta che chiede a Romeo di rinnegare il suo nome e che si
interroga sull'importanza che la gente dà ai nomi, la celebre
similitudine della rosa, sono passi immortali, che mantengono il
loro impatto emotivo intatto, senza subire l'usura del tempo. Il
linguaggio stesso di Romeo, così vuoto e astratto nelle primissime
scene, si evolve e si colora a mano a mano che il suo amore per
Giulietta divampa. Si tratta di poesia raffinata, che non diventa
mai arido esercizio stilistico. La maestria di Shakespeare sta nel
mescolare tragedia e commedia, alta poesia e scherzacci da taverna
(vedi lo scontro verbale tra la balia e Mercuzio)e a introdurre il
lettore in una storia che ha la consistenza di un magma vitale.
A chi può consiglio la lettura in lingua originale, sbirciando
magari la traduzione in italiano per aiutarsi, perché ne vale la
pena.
^^ TORNA SU ^^
Amore assoluto
Tristano ed Isotta
Intorno al 13° secolo vi fu una fioritura di leggende tra cui la più
diffusa fu la saga di re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda
nella quale si parla anche della storia amorosa di Lancillotto e
Ginevra su cui ritorneremo più diffusamente, moglie del re, che, in
punto di morte la perdonò per la sua scappatella ed affidò il regno
allo stesso Lancillotto.
La storia di Tristano ed Isotta è completamente diversa, non solo
nel finale tragico ma soprattutto nel suo svolgimento e nel tipo di
amore che lega i due protagonisti; infatti Lancillotto e Ginevra,
pur amandosi intensamente amavano anche gli altri, mentre Tristano
ed Isotta vivono in uno spazio fuori dall’esterno e non si
interessano degli altri nei castelli dei grandi feudatari.
La loro passione scoccò durante il viaggio dall’Irlanda alla
Cornovaglia, come una tempesta in sintonia con tuoni e fulmini che
accompagnarono il trasferimento. Il primo a raccontare la loro
storia fu Straburg, in un periodo in cui la letteratura europea era
dominata dalla poesia dei trovatori, che tessevano le lodi
dell’amore “cortese”, non nel senso di gentile, bensì perche si
svolgeva nelle corti dei principi e nei castelli dei grandi
feudatari. I menestrelli frequentavano i saloni della nobiltà,
mentre gli studenti allietavano le aule severe delle università tra
una lezione e l’altra. Erano giovani ed entusiasti della vita, si
accompagnavano con flauti e liuti, e si emozionavano nella
descrizione di coraggio e d’avventure condite da gelosia e vendette.
Erano storie d’amore tra cavalieri e belle dame, spesso ambientate
in Provenza e si mescolavano senza problemi, alle leggende di
Roncisvalle e Les chansons de geste, con l’esaltazione delle
crociate e delle battaglie contro i Mori, sacro e profano, mescolati
bene come nella saga dei Nibelunghi, popolata da fate, streghe,
elfi, folletti, esseri sovrannaturali, sulla cui esistenza, masse di
contadini avrebbero giurato.
L’amore tra Tristano ed Isotta è assoluto esclude gli altri ed il
mondo e precorre quello che sarà secoli dopo, il tema dominante del
Romanticismo, che sfocerà nell’ideale e nel termine di amore
romantico, distinto da tutte le altre denominazioni. Un sentimento
che esclude e non si interessa dell’aldilà, ma solo e soltanto
dell’aldiquà, da cui l’ostilità della Chiesa con il consueto corteo
di processi e scomuniche.
Le gerarchie ecclesiastiche avevano i loro tribunali e vietavano il
cosiddetto giudizio di Dio, al quale ricorrevano i Signori Feudali,
con l’illusione di riuscire a raggiungere la verità.
La cerimonia avveniva davanti al popolo radunato nella piazza
principale della città ed era costituita da una lamina di ferro
incandescente, che l’imputato, dopo aver giurato, doveva stringere
nelle mani. Se avesse provocato una piaga, era una prova lampante di
colpevolezza, se la mano rimaneva integra, il giudicato veniva
liberato e visto da tutti con rispetto.
Isotta accusata di aver tradito il marito Re Marke, viene sottoposta
a questa improba prova e ne esce indenne, perché aveva pregato Gesù
Cristo in persona di aiutarla e questo atto di misericordia,
miracolosamente viene concesso. Nel frattempo Tristano sta morendo e
dal poema si passa alla musica, perché Wagner dedicò al dramma
amoroso di Tristano ed Isotta una delle più alte espressioni del
Romanticismo dell’Ottocento. Le parole del libretto affermano in
materia perentoria, il concetto di assoluta compenetrazione tra i
due amanti, ma solo la musica riesce a rendere la fusione di due
anime e due corpi in uno soltanto, grazie agli archi, ai fiati ed
alla percussione dei tamburi, che esaltano le ondate di passione
giunte al parossismo, mentre tacciono quando subentra la dolcezza e
l’oblio di un sonno senza sogni ed allora sono gli archi che
sussurrano alle due anime strette in un abbraccio senza fine.
Il racconto diventa tragedia allorché Tristano muore ed Isotta,
giunge sul posto con la nave, seguita da Marke che la ha perdonata e
vuole che sua moglie si ricongiunga col suo amante, ma lei si getta
sul suo corpo sanguinante ed implora la morte di ghermirla, perché
solo lei potrà riunirli,sopravvivere sarebbe inconcepibile. Rimarrà
a farli rivivere nella memoria dei posteri, la leggenda del loro
amore che presto si trasforma in un mito, in grado di esaltare la
pienezza della coppia come totale identificazione di due anime in un
corpo senza alcun interesse verso il mondo circostante, due
specularità ad incastro con la convessità dell’uno che si incastra
alla perfezione solo e soltanto con la concavità dell’altro.
^^ TORNA SU ^^
L’amore nell'arte
L’amore da sempre ha costituito il motivo ispirativo più frequente
per scrittori, poeti, scultori, pittori, musicisti, registi. Da
decenni è alla base dell’industria del tempo libero. Quest’esigenza,
non solo d’innamorarsi e praticare il sesso, ma di riflettere
sull’argomento e di fissarlo sulle pagine di un libro, sulla tela,
sul marmo, di musicarlo o trasformarlo in un film o in uno
spettacolo di danza o di teatro, risponde ad una profonda esigenza
della nostra mente. Oggetti con valenza artistica che celebrano la
bellezza dell’amore li ritroviamo dalla notte dei tempi. La nostra
specie, a partire dai nostri più lontani antenati, è stata sempre
attirata dal sesso, anticamera dell’amore.
Un esempio convincente della trasposizione del sesso nell’arte lo
abbiamo a Pompei, una delle città più importanti dell’antico impero
romano che, nell’arco di poche ore, venne sepolta dalla lava del
Vesuvio nel 79 D.C. bloccando il tempo per quasi due millenni,
quando, grazie ai Borbone che riportarono alla luce ciò che era
stato ricoperto, si poterono scoprire usi e costumi degli abitanti.
La sorpresa più grande per gli archeologi fu la constatazione che
ogni angolo di Pompei era costellato di figure e simboli legati
all’immaginario sessuale e che ci fossero più bordelli che botteghe
per fare pane, a dimostrazione che si pensava più all’amore, anche
se spesso mercenario, che a mangiare.
Oltre che all’esterno, dove disegni espliciti indicavano le
specialità della padrona di casa anche a chi non sapeva leggere,
pure l’arredamento interno era ispirato ad una forte erotismo, con
sculture e mosaici che rappresentavano tutte le posizioni che poteva
assumere una coppia nell’amplesso e non solo nelle camere da letto,
ma anche in sala da pranzo e lo stesso arsenale corredava terme e
giardini.
Falli di ogni dimensione erano ubiquitari, perché si credeva che
portassero fortuna. Essi ornavano oggetti domestici a partire dal
campanello sull’entrata fino ai lampadari ed agli utensili da
cucina. Decoravano inoltre collane, gioielli e bracciali.
Tenuto a lungo chiuso al pubblico e riaperto solo da pochi anni,
presso il Museo Archeologico di Napoli, esiste un reparto dedicato
all’argomento fin qui trattato, il “Gabinetto erotico”, al quale ho
dedicato un capitolo nel II tomo del mio libro Napoletanità: arte,
miti e riti a Napoli (consultabile in rete) al quale rinvio per un
approfondimento.
^^ TORNA SU ^^
Amore e perversioni
Dal sadomasochismo alla pedofilia, dal feticismo alla necrofilia le
perversioni sessuali sono sempre state ritenute delle aberrazioni da
giudicare con ripugnanza e disprezzo, per cui non dovrebbero trovar
posto in un libro sull’amore, se sull’argomento non avesse
pontificato Freud, il quale affermava che “l’onnipotenza sull’amore
non si rivela mai con tanta forza come in queste aberrazioni”.
Egli interpreta l’origine della perversione, a differenza della
nevrosi, che nasce dal conflitto tra le pulsioni dell’inconscio ed i
divieti del Super-Io, nel miscelamento delle differenze che il
bambino acquisisce nella fase edipica, quando si delinea la
differenza tra i sessi e tra le generazioni; un momento delicato,
nel quale un universo caotico cerca una sua organizzazione e
classificazione. Un esempio magistrale di questa confusione di
ruoli, che si conclude in un’ammucchiata generale, ce lo fornisce il
marchese De Sade nelle 120 giornate di Sodoma, da cui
Pasolini ha ricavato un film che fece scalpore, nel quale uomini e
donne, vecchi e bambini, suore e prostitute, vergini e maitresse,
fratelli e sorelle, padri e figlie, nobili e plebei si abbandonano
ad ogni genere di perversioni dalla sodomia all’incesto. E’ la
dimostrazione lampante del caos originario, nel quale ogni
differenza sessuale è abolita e non esiste barriera tra generazioni
e classi sociali. L’aspirazione del perverso è quella di raggiungere
una mescolanza che escluda ogni struttura organizzativa, un anelito
in contrasto non solo della morale corrente, ma anche della
tradizione giudaico cristiana, che fa sorgere l’universo dalla netta
separazione della luce dalle tenebre. Il perverso non riesce a
godere di una sessualità naturale, ma cerca di portarla oltre quel
limite dove vi è l’incontro con la morte e per Freud:
”opportunamente organizzata può fornire una carica d’energia in
grado talune volte di dare un contributo alla società”.
A dimostrare l’esattezza di queste parole vi sono gli artisti ed i
poeti che attingono al caos primitivo, dove non vi sono regole né
leggi, cui si può attingere per definire e plasmare la realtà.
^^ TORNA SU ^^
Amore e
prostituzione
Cosa c’entra l’amore con la prostituzione che di
questo nobile sentimento rappresenta la deriva? Eppure dobbiamo
parlarne perché il sesso mercenario non rappresenta un fossile della
nostra cultura, residuo di tempi passati, bensì è argomento continuo
di dibattito tra progetti di privatizzazione e medicalizzazione.
Inoltre, è la dimostrazione del diverso modo in cui uomini e donne
intendono il rapporto di coppia. Infatti le donne attribuiscono un
grande valore alla fedeltà e sono meno inclini ad avventure
extraconiugali per cui, se inizia una nuova relazione che le
coinvolge affettivamente, questa, quasi sempre, prelude alla fine
della precedente. Viceversa, i maschi ritengono la fedeltà un
optional e riescono ad intrecciare nuovi rapporti ad alto contenuto
sessuale e scarso coinvolgimento emotivo. Frequentemente gli uomini,
per evitare complicanze, scelgono la strada del sesso mercenario,
una presenza costante nella storia dell’umanità, per raggiungere il
rapido soddisfacimento delle proprie pulsioni senza inutili
corteggiamenti, attese e responsabilità.
Addirittura una percentuale molto alta di donne vorrebbe la
riapertura delle case di tolleranza, in maniera da evitare che
mariti e fidanzati portino a casa imbarazzanti malattie.
In Italia, ormai da anni, sono quasi tutte straniere le ragazze che
si dedicano all’esercizio del più antico mestiere del mondo: slave,
sudamericane, africane e, da qualche anno, anche cinesi che, in
omaggio alla globalizzazione di merci e servizi, applicando prezzi
concorrenziali, hanno allargato il mercato dei consumatori,
inglobando studenti, precari e pensionati che, per pochi euro,
possono usufruire di un servizio completo.
Terreno di caccia per le italiane, escort ed olgettine, è una
clientela con grosse disponibilità economiche, disposta a pagare
cifre considerevoli: una circostanza che tende a riscattare la
prestazione. Infatti il disprezzo, con cui la “buona società” vede
la prostituta, è tanto più forte quanto più lei è miserabile e
povera ma tende a scomparire completamente quando il prezzo,cui la
fanciulla si vende, diventa alto. Avviene così che nei salotti “in”
ha libero accesso l’attrice o la modella nota per i suoi costumi
sessuali disinibiti, che diviene, perciò, un ospite gradito e
ricercato.
Il vero problema al quale la società non è in grado di fornire una
risposta adeguata non è tanto la riapertura dei casini, siano essi
statali, privati o costituiti da cooperative, ma l’esaminare il
fenomeno sotto altro profilo, come il perpetuarsi di una tendenza
arcaica di matrice maschilista che vuole distruggere l’identità
femminile, colpendone duramente rispetto, volontà ed individualità.
Rimanendo in Italia, prima di esaminare la situazione all’estero, il
caso delle ragazzine romane di famiglia benestante sorprese a
prostituirsi ha colpito l’immaginazione degli italiani: se non hanno
bisogno, perché lo fanno? La risposta è venuta dalle ragazze stesse:
per comprarsi vestiti firmati, per viaggiare in taxi, per
frequentare alberghi di lusso, ecc.. Ma non è quello che fanno
moltissime persone con alti stipendi, come sta scoprendo in questi
giorni la cronaca: dirigenti disinvolti, presidenti senza scrupoli,
consiglieri e faccendiere che si pagavano le cene, gli alberghi, i
viaggi, le camicie firmate, con i soldi pubblici? Non è peggio che
prostituirsi? Per lo meno le ragazze davano qualcosa in cambio. Chi
ruba prende soltanto e non dà nulla e, oltre tutto, diffonde l’idea
che spendere e comprare è più importante che leggere, fare amicizia,
innamorarsi, capire il prossimo ed aiutarlo quando è necessario.
L’idea che tutto si possa vendere e comprare viene prima di tutto
dagli adulti che danno un pessimo esempio.
Ma parliamo di mercato perché di questo si tratta.
Nove milioni di maschi italiani compra sesso sul mercato nazionale
ed internazionale. Non voglio soffermarmi sul perché si trovi così
eccitante comprare un corpo adolescente sconosciuto e passivo.
Voglio ricordare che non è la merce a stabilire le regole del
mercato ma il bisogno, autentico o indotto, del compratore: se non
c’è richiesta non c’è offerta e qui sembra che la richiesta sia
massiccia e sempre più disinvolta e brutale. Se si può comprare un
senatore per tre milioni di euro, perché non una ragazzina per
trecento euro? Ma la cosa più terribile è che questa cultura
reificante ha contagiato l’immaginazione delle adolescenti che
trattano il proprio corpo come un qualsiasi oggetto in vendita. Il
mercato ne esce trionfante, l’individuo dissacrato ed umiliato. Il
massimo della beffa poi sta nel dare al venditore l’illusione di
praticare un diritto di libertà: io sono libera perché mi faccio
oggetto da sola. Senza rendersi conto che si tratta di una trappola
mostruosa da cui uscirà pesta, umiliata e manipolata. Dobbiamo, però
distinguere, quando parliamo di prostituzione, fra la libera scelta
di persone adulte ed il traffico di carne umana, in cui sguazza la
criminalità organizzata. Una cosa è il contratto fatto fra due
adulti, altra cosa la tratta delle ragazze schiave, private del
passaporto, picchiate, stuprate, comprate e vendute: chi compra, si
fa complice di questa tratta.
Certo, il fatto che le ragazze fossero molto giovani e ci fossero
adulti a fare da intermediari, è inquietante ma il motivo principale
per cui quest’episodio ha fatto tanto scalpore è quel misto di
sessuofobia ed ipocrisia che ancora domina in questo Paese. In tante
occasioni le adolescenti e le giovani donne, soprattutto quando si
trovano in condizioni di svantaggio a causa del loro ceto sociale,
sono costrette a compromettere la propria integrità in qualche
forma: servilismo verso chi possiede autorità e potere, relazioni
sentimentali in una posizione di sudditanza, mestieri umilianti che
non corrispondono al loro livello d’intelligenza e cultura. Penso
alle laureate che lavorano nei call center, alle professioniste di
altri Paesi che si adattano a pulire il sedere dei nostri vecchi, a
quante sopportano tacendo i modi da caserma e le avances dei loro
capi. Nessuno mostra altrettanta indignazione per queste “scelte”. E
il motivo è semplice: manca, o è sottaciuto, lo scambio sessuale.
Forse c’è più onestà nel mettere in vendita il proprio corpo e
riconoscere che la sessualità è tutt’ora il valore di scambio
principale per le giovani donne che piegarsi a quelle forme
socialmente accettate di prostituzione che non fanno indignare
nessuno.
Tali considerazioni hanno radici antiche, a partire da Marx ed
Engels, che consideravano lo stesso matrimonio una forma di
prostituzione ma, nel mettere in vendita il proprio corpo, vi è
qualcosa di più e di diverso: la rinuncia irrevocabile all’identità,
scindendo sessualità ed affettività, il dare libero sfogo alle
pulsioni più inconfessate.
Quando si viene a conoscenza di una bambina, istigata dalla madre,
che alterna lo studio svogliato a pimpanti prestazioni sessuali o di
un’altra già incarognita e spavalda a 15 anni, non vi è spazio per
alcun dibattito culturale sul potere del denaro, questo mostruoso
moloch in grado di acquistare qualunque cosa. Vi è soltanto sdegno,
amarezza ed impotenza.
Dopo la Svezia, anche altri paesi, come la Francia, hanno capito che
l’intero apparato alla base della prostituzione si regge sulla
violenza ed hanno cercato di ridurre il fenomeno applicando multe
salate ai clienti. Il risultato è stato di ridurre sensibilmente il
fenomeno, ma è chiaro che la tratta continua, magari spostandosi nei
Paesi vicini. Pare che i grandi trafficanti si siano dati la voce:
evitiamo la Svezia, andiamo in Olanda dove le donne vengono messe in
vetrina come una qualsiasi merce. Altri Paesi si stanno convincendo
che il problema morale e sociale non sono le prostitute ma i
clienti. E si tratta di un problema culturale, come al solito:niente
a che vedere con il genere, ma con una cultura androcentrica che
intende il sesso come uno strumento di dominio e sopraffazione.
Anche la Francia, patria della libertà, ha deciso di multare i
clienti delle prostitute, i puttanieri, con una multa di 1.500 euro,
che sale a 3.750 in caso di recidiva “a fini pedagogici e
dissuasivi, graduali e progressivi”. Le sanzioni dovrebbero colpire
il 15% della popolazione maschile che, secondo le statistiche,
pratica il sesso a pagamento. Nessuno si illude di riuscire ad
abolire la prostituzione ma di trasferire la colpa sui clienti.
Protestano le meretrici: “Più si creano problemi, più noi prostitute
saremo in pericolo” ed anche la polizia: “Solo buone intenzioni,per
noi sarà ancora più difficile”. Il dibattito sul più antico mestiere
del mondo è aperto. Chi vivrà vedrà.
Nel frattempo il Brasile, in previsione del mondiali di calcio, che
porteranno un sensibile aumento dei clienti delle prostitute, si sta
attrezzando con delle speciali card per i pagamenti.
Infine, consiglio al lettore di consultare su internet il mio
articolo “Un
esercito di puttane colorate nel regno dei casalesi” che fa
parte del II tomo del mio libro “Napoletanità: arte, miti e riti a
Napoli”.
^^ TORNA SU ^^
L’amore
al tempo della galera
Avrei voluto intitolare questo capitolo Il sesso
nelle carceri poi sono stato attirato da questo titolo di
derivazione cinematografica e ho deciso di adottarlo per discutere
di quello che, a parere dei detenuti, quasi tutti molto giovani, è
la privazione più grave: l’impossibilità di continuare a praticare
una dignitosa affettività con le persone care, anche loro
condannate, senza alcuna colpa, alla stessa pena e non vogliamo
parlare solo di sesso negato, ma anche dell’impossibilità di
continuare ad intrattenere un decente, anche se discontinuo
rapporto, con i propri figli in tenera età, che sono sottratti per
lunghi periodi da qualsiasi contatto col genitore. Tutti
riconosciamo che l’essere umano ha bisogno di affetto, tanto più
quando viene a trovarsi in situazioni di disagio e senza dubbio la
restrizione della libertà è una delle condizioni più penose da
sopportare. Nella repressione degli affetti si verificano gravi
deviazioni, comprese quelle sessuali. A questo proposito lapidario è
il pensiero di Friedrich Nietzsche: "È noto che la fantasia sessuale
viene moderata, anzi quasi repressa, dalla regolarità dei rapporti
sessuali, e che al contrario diventa sfrenata e dissoluta per la
continenza e il disordine dei rapporti." (Umano, troppo umano, I, n.
141).
Allora la soluzione va cercata in una politica illuminata che,
nell’esecuzione della pena, privilegi sin dall’inizio, se non è
possibile l’uscita dal carcere, almeno l’incontro periodico coi
propri cari e non il distacco netto e la drastica separazione, causa
di infiniti problemi esistenziali, di relazione e interpersonali.
Nell’interno del carcere è opportuno creare degli ambienti, che pur
rispondendo a tutti i requisiti di sicurezza, offrano al recluso ed
ai suoi familiari dei momenti di intimità. Se un detenuto riesce a
mantenere una rete solida di rapporti affettivi, oltre a tollerare
di buon grado la pena da scontare, corre molti meno rischi di
tornare a commettere reati, inoltre conserva un comportamento
corretto, quando queste occasioni di incontri ravvicinati sono
subordinati ad un condotta assolutamente irreprensibile. Le
sorprendenti scoperte di Reich hanno dimostrato in maniera
inequivocabile quanto la repressione sessuale generi violenza e come
le istituzioni tendano a canalizzare l’esplosione di queste pulsioni
primitive per utilizzarle nei conflitti bellici. La violenza che si
produce nelle carceri, impedendo anche solo la parvenza di
un’attività sessuale, non giova a nessuno, certamente non alla
società che si trova a ricevere individui incattiviti, nei quali
cova l’odio e la vendetta, invece che la volontà di reinserimento.
La storia del carcere è lunga quanto quella dell’uomo, ma le
segregazioni nell’antichità e nel medio evo ripugnano la sensibilità
moderna per le atrocità ed il costante utilizzo della tortura, per
cui un’analisi storica sulla nascita dei sistemi penitenziari
bisogna farla risalire alla nascita della società industriale ed
all’accentuazione dell’esercizio del potere dello Stato, in momenti
dominati dalla cultura religiosa, che ha sempre dato al sesso una
valenza particolare di demonizzazione.
Pensiamo alle Lettere di San Paolo ai Padri della chiesa, ad Origene,
a San Girolamo, a Sant’Agostino, fino ad Alberto Magno e San Tommaso
d’Aquino. Di conseguenza una soluzione al problema "affettività",
intesa in particolare nella sua dimensione sessuale, deve cominciare
necessariamente attraverso una critica storico culturale puntuale e
puntigliosa. Dobbiamo ripercorrere e rivisitare tutta la nostra
tradizione culturale sull’argomento, ereditata in duemila anni di
storia dell’Occidente, che ha accompagnato ed influito sul concetto
del sesso e del piacere in generale, vissuto costantemente come
peccato, male necessario solo per la procreazione ed a salvaguardia
della specie. La cattolicissima Spagna o la democratica Svizzera da
tempo consentono i "colloqui intimi" ed hanno ottenuto ottimi
risultati.
In Italia per evitare che qualcuno confonda le "stanze
dell’affettività" con le "celle a luci rosse" è necessaria una
rivoluzione culturale. La pena è privazione della libertà, ma non
deve significare anche distruzione degli affetti ed annullamento
completo di una normale vita sessuale.
Naturalmente non bisogna considerare unicamente le esigenze di
affettività degli uomini sposati o conviventi, trascurando i
bisogni, impellenti ed improcrastinabili dei più giovani, che non
hanno legami fissi, ma in compenso hanno ormoni in ebollizione e
desideri difficile da placare. La masturbazione o l’omosessualità, i
rimedi ai quali sono obbligati non sono certo la soluzione del
problema. Anche per loro bisogna predisporre un programma che tenga
conto delle loro esigenze. In Italia il meretricio è legale e
sarebbe eccessivamente licenzioso pensare ad una cooperativa di
prostitute che si convenzioni con le istituzioni carcerarie? Vi
sarebbe spazio anche per volontarie, moderne suffragette pronte ad
immolarsi per una giusta causa, eventualmente anche per fanciulle
poco attraenti, in virtù del fatto che molti detenuti a seguito
della lunga astinenza sarebbero pronti a tutto.
Naturalmente agli ammogliati sarebbe vietato di accedere a questo
servizio.
Naturalmente la prestazione sarebbe a spese del recluso.
Naturalmente sarebbe un evento sporadico molto dilazionato nel
tempo. Naturalmente potrebbero usufruirne solo quelli che osservano
una condotta corretta. Naturalmente tutti, politici ed opinione
pubblica devono impegnarsi per risolvere lo spinoso problema.
^^ TORNA SU ^^
L’amore senile
Più romantico titolo di questo capitolo potrebbe essere “Il tempo
infinito dell’amore”
«Poiché abbiamo trascorso gli anni in buona armonia, vorremmo
andarcene nello stesso istante. Che io mai non veda la tomba di mia
moglie o lei debba seppellirmi». La preghiera di Filemone agli dei
sarà esaudita. Racconta Ovidio nelle «Metamorfosi»: «Consunti dagli
anni e dall’età Bauci vide Filemone coprirsi di fronde e lui vide la
sua sposa fare lo stesso. «Addio amore mio», dissero insieme e
insieme la corteccia come un velo coprì i loro volti facendoli
scomparire». Storia d’amore tra le più tenere e struggenti quella di
due vecchi innamorati decisi a stare fianco a fianco in vita come in
morte. Zeus pietoso, commosso dal loro profondo affetto, li
esaudisce trasformandoli in una quercia e in un tiglio uniti per
sempre nel tronco e nelle radici.
«Nel bene e nel male, in salute e in malattia, finché morte non vi
separi». La promessa scambiata il giorno delle nozze a volte non
basta. A volte non ci si vuole lasciare neanche oltre la soglia.
Meglio andarsene insieme. Come fanno Georges e Anne (Jean-Louis
Trintignant ed Emmanuelle Riva) in «Amour», film di Michael Haneke,
Palma d’oro a Cannes, magnifica meditazione sull’amore ai tempi
della vecchiaia. Quando essere «coppia» assume significati e
sfumature inediti, inattesi. Per Georges e Anna, ottantenni ancora
in gamba, il loro «lago dorato» è tessuto di tenere complicità e
passioni comuni, la musica, i quadri, i libri, consolidato da
piccole attitudini, da quieti riti domestici. Il tempo e gli anni
hanno lasciato i segni sui loro volti, hanno reso insicuro il loro
passo, ma non hanno offuscato lo sguardo dell’uno verso l’altra.
«stasera eri molto bella ed elegante», le sussurra lui di ritorno da
un concerto.
Gli occhi si cercano sempre, le mani si accarezzano più di prima. Il
desiderio assume nuove sembianze, la carne stanca, rugosa, diventa
il soffice cuscino su cui adagiarsi.
A scombussolare quel tenero tran tran arriva, inattesa ma
prevedibile, la malattia. La mente di lei inizia a vacillare, a
perdersi. Lentamente ma inesorabilmente Anne se ne va. Qualche
sprazzo di vita ogni tanto riaffiora, brevi intervalli per
scambiarsi ancora storie e ricordi. Ma il male non si arresta. Anne
non può fare più nulla da sola e Georges, rifiutando l’aiuto di
estranei, la accudisce in ogni modo. E il dolore, lo strazio, si
fondono e confondono con la dolcezza di cantare con lei antiche
canzoncine, di aggiustarle i capelli, di abbracciarla per
sollevarla, lavarla, cambiarla. «E così quello che è stato il corpo
del desiderio si trasforma nel corpo dell’accudimento – riflette la
psicanalista Lella Ravasi Bellocchio. Come se nell’ultima parte
della vita andassero via i pudori, e finalmente puoi dirti le cose
mai dette prima. Il corpo e i sentimenti si mostrano improvvisamente
in una nudità indifesa, la passione si fa compassione, il patire
insieme diventa un nuovo, sconvolgente, modo di amarsi».
L’amore terminale. La cognizione del dolore ne è la forma estrema,
fata di solidarietà, dedizione, ostinazione nel voler difendere fino
all’ultimo respiro la dignità dell’altro. «Uno dei due ridiventa
bambino, l’altro si fa padre o madre. Si ritrova la fusione
originaria. E quando lei geme la sola parola che le è rimasta: male,
male, male…lui la accarezza, le racconta una favola, la placa».
Poi basta. Lo strazio deve finire. Con la forza che gli resta nelle
mani deboli Georges preme il cuscino sul volto di Anne. «L’ultimo
dono d’amore. Non resta che ricoprire quel corpo martoriato dalla
sofferenza di fiori e andarsene con lei».
Un gesto che ricorda il finale di un altro bel film, «Robin e Marian»
di Richard Lester, dove un vecchio e bellissimo Sean Connery, un
tempo eroe della foresta di Sherwood, ormai ferito senza rimedio,
viene «curato» con un dolce veleno dalla donna del suo cuore, una
stupenda Audrey Hepburn costellata di rughe. Che dopo avergli
dichiarato ancora una volta il suo amore, beve dalla stessa tazza e
gli si stende vicino in attesa di partire con lui.
Eutanasia d’amore, una scelta estrema. Forse da non condividere ma
anche da non giudicare. Il merito di film come questi è di farci
riflettere su quello con cui prima o poi tutti noi dovremo fare i
conti: il decadimento fisico, la malattia, la morte.
Invecchiare insieme amandosi è comunque e sempre un dono immenso. Un
privilegio e un impegno. Invecchiare è una forma d’arte, sosteneva
James Hillman, psicanalista americano, autore di un libro che di
questo parla, «La forza del carattere» (Adelphi). Un’arte che, se si
ha la fortuna di essere in coppia, bisogna coltivare insieme.
«Perché il carattere si rivela solo alla fine della vita, come un
albero diventa fascinoso solo quando è compiuto, con i suoi bozzi, i
suoi rami fiaccati dalle tempeste». Crescere uno accanto all’altro
come alberi, sostenersi, intrecciare tronchi e radici. Filemone e
Bauci insegnano. «Nell’ultima sua fase l’amore richiede questo: il
far resistenza della coppia contro le ingiurie del tempo, il saper
guardarsi ancora con occhi amorosi, il diventare lo specchio buono
dell’altro», conclude Ravasi Bellocchio.
Per dirla con un poeta, Attilio Bertolucci, «Questo raggio che
obliquo ti ferisce è ancora giovinezza, ancora, ancora». Per dirla
con un altro, Jaques Prévert, citato proprio da Trintignant,
«Bisognerebbe provare a essere felici se non altro per dare il buon
esempio». Vale per i giovani, e a maggior ragione per chi non lo è
più.
^^ TORNA SU ^^
La tenacia dell’amore
senile
Dedicato ad Elvira
L’amore può resistere in eterno ed in questo si differenzia
dall’attrazione fisica, destinata a finire con lo scorrere
inesorabile degli anni e con le ingiurie che essi, impietosi,
arrecano al corpo, quando la lunga ed allegra cavalcata della
gioventù cede il passo agli acciacchi ed al perfido filo tessuto
dalle Parche.
Proprio allora una lunga storia d’amore può vivere i suoi momenti
più esaltanti anche se la passione iniziale è svanita, sostituita
però da complicità, comprensione, rispetto, amicizia, affetto,
autoironia, attributi caratteristici di ogni autentica, libera,
fortunata avventura amorosa.
La donna che sa di essere amata incede sicura di sé tra la gente con
il passo felpato di chi si muove leggero tra le nuvole, come una
superba ragazza senza età, incurante delle rughe, che pure hanno
solcato il suo volto come capricciose onde marine o come campi di
grano dopo l’aratura.
La bellezza l’aveva resa affascinante e potente, è stata, a secondo
dei giorni e delle notti Sherazade e Mata Hari, Sophia Loren e la
fata Morgana, ha prodotto sogni, estasi ed affabulazioni, ma anche
dannazione e tormento; ora vuole semplicemente perdersi nell’amore
del suo innamorato.
Bisogna vivere senza drammi l’incedere delle lancette dell’orologio
dell’universo, perché chi ama ed è amato vive al di fuori di quelle
fugaci convenzioni rappresentate dallo spazio e dal tempo.
^^ TORNA SU ^^
L’Amore devastante
Molti di noi hanno provato l’impressione di divampare, presi da una
passione ai limiti della follia, da un amore “pazzo” che ci fa
perdere la ragione e spesso commettere azioni che a mente lucida non
avremmo mai commesso.
Un esempio calzante di questa esaltazione è costituito dalla storia
di Otello e Desdemona, resa immortale da Shakespeare.
Un uomo assennato, padrone delle sue emozioni, perde completamente
il controllo di sé, vittima della gelosia. Bastano pochi indizi per
far montare la sua collera e sprofondare in una rabbia cieca che lo
spingerà a strozzare la fragile Desdemona per cadere poi nella più
buia disperazione per aver ucciso l’essere che più amava al mondo.
Otello, ancora in preda ad un marasma mentale, afferma:”E’ stato più
forte di me”, “Non potevo fare diversamente”. Assomiglia al bimbo
viziato che, dopo aver commesso una birbonata, piangendo, per
scusarsi, balbetta:” Non è colpa mia”.
La gelosia, un sentimento utile, perché contribuisce a tenere legata
una coppia, può però trasformare, in alcuni casi, un innamorato in
uno spietato assassino. Chi è preso da una passione esaltante
diventa un megalomane ai limiti della paranoia:la ragione non riesce
più a regolarne il comportamento.
La società contemporanea, in preda a ritmi sempre più frenetici, ci
rende spesso spietati e non riusciamo più a decifrare l’alfabeto
dell’amore.
Essere amati per piacere e non per dovere deve costituire
l’imperativo categorico della nostra rieducazione sentimentale.
Molti uomini pretendono di avere il diritto a possedere
completamente la propria donna, di relegarla tra le mura domestiche,
di obbligarla ad un amore e ad una devozione non condivisa. Sono
vittime di un istinto ancestrale: quello di trasmettere il proprio
patrimonio genetico, tenendo a distanza potenziali rivali. E’ un
impulso da lemure, da gorilla, comprensibile e rispettabile in
questi bipedi, che non hanno percorso un sol gradino della nostra
evoluzione culturale, ma perverso nell’uomo che si ostina a
perseguire una forma patologica d’amore, trasformandosi in
carceriere ed, a volte, in assassino.
Come è noiosa, oltre che aberrante, l’idea di una donna domestica ed
addomesticata.
Cosa vi può essere di più stimolante di un confronto alla pari, dove
si parla e si ascolta, dove le scelte sono soggettive e passibili di
un mutamento, anche del dolore dell’abbandono, sempre preferibile
alla mortificazione dell’obbligo?
Soltanto quando gli uomini capiranno cosa perdono, mutilando la
libertà di scelta delle loro donne, la società potrà cominciare il
suo percorso verso la retta via.
La violenza del maschio è il fossile imbarazzante di una tradizione,
su base religiosa, che discrimina la donna, ma rappresenta anche la
profonda ignoranza dell’alfabeto dell’amore, un linguaggio che
bisogna apprendere se si vuole conquistare una donna, e la violenza
è il rozzo tentativo d’aggirare quest’indispensabile conoscenza: la
lingua del femminile per molti rimane ancora astrusa ed
incomprensibile.
Se ciascun uomo avesse il coraggio di guardare dentro se stesso, non
troppo in profondità, altrimenti rischierebbe d’annegare, potrebbe
riconoscere nella paura e nella spavalderia, nell’ignoranza e nella
presunzione, le radici primordiali che portano a molestare le donne
fino alle estreme conseguenze.
Quando non ci si accontenta delle gioie dell’amore, e si pretende
che l’altro lasci completamente il suo mondo, compare la gelosia
morbosa che non rappresenta un segno dell’amore, bensì una
concezione patologica di esso, ben intuita da Proust che parla di
“un inquieto bisogno di tirannia applicato alle cose dell’amore”.
Nella prigionia e nell’ansia del possesso non si gode più
dell’amore, che non ha spazio per esprimersi, ma della sottrazione
ad altri della possibilità d’amare compiutamente.
^^ TORNA SU ^^
L’amore
per gli animali e la petTherapy
Da sempre, nella sua storia, l’uomo ha intrattenuto stretti rapporti
con gli animali, non solo per cibarsi della loro carne, utilizzare
la loro pelle per coprirsi e la loro forza nel lavoro agricolo, ma
anche per godere della loro compagnia.
Negli ultimi secoli, con lo sviluppo della tecnica, vi è stato il
trionfo della razionalità sull’istinto ma nel frattempo si è persa
in parte la giusta armonia con la propria natura animale: per questo
possedere un cane o un gatto (in Italia una famiglia su tre) può
essere utile a rinsaldare questo atavico legame. Vezzeggiarlo o
fargli le coccole crea un saldo rapporto tra persone ed animali, tra
bambini e cuccioli.
Spesso l’animale diventa parte integrante del nucleo familiare,
dando luogo ad un senso di coesione molto forte.
La comunicazione che s’instaura con un animale utilizza un canale
linguistico speciale improntato su naturalezza e semplicità:
strofinamenti, carezze, gioco, sguardo negli occhi, che permettono
un momento di opportuna distensione.
Anche la medicina si è interessata alla possibilità di ottenere
concreti benefici da questa affettività e dal 1961 è sorta una
branca, la PetTherapy, che apporta notevoli benefici nel trattamento
di bambini con disturbi psicologici. In America rappresenta una
realtà consolidata da anni, ma da poco sta prendendo piede anche in
Italia. Ci si è accorti, infatti, che la presenza di un animale
migliora la vita di una persona, anche adulta, diminuendo la
pressione ed il senso di solitudine, funzionando da supporto
affettivo.
Il “dialogo” con un animale non richiede il rispetto di regole
sociali ed è tutto basato su spontaneità e naturalezza, a volte
assenti nei rapporti tra esseri umani. Inoltre, sono assenti le
tensioni provocate dalla competizione perché l’animale non giudica e
rende inutile l’instaurarsi di meccanismi psicologici ostili. Egli è
socievole, ama vivere in compagnia e giocare, stimolando chi gli è
vicino a riprendere confidenza con bisogni e desideri inconsci,
inespressi o dimenticati, ed a creare rapporti basati sulla
spontaneità e la libertà espressiva.
L’animale accetta ogni persona senza guardare i suoi difetti e non
si fa condizionare dal denaro, dall’età, dalla bellezza, dalla
posizione sociale.
Il rapporto con un gatto, e soprattutto con un cane, è fonte di
piacere e rilassatezza, infonde sicurezza e tranquillità, riesce a
ridurre lo stress, l’ansia, ed addirittura, la pressione arteriosa.
Essi conoscono meglio di chiunque altro gesti, parole, sentimenti e
rappresentano i compagni di una vita.
Dedichiamo ora la nostra attenzione al cane, spesso unico compagno
della nostra vita,soprattutto quando, avanti negli anni, rimaniamo
soli e l’unico conforto alla nostra solitudine è la loro presenza.
Avere al nostro fianco il nostro cane, divenuto anche lui vecchio, è
un’esperienza unica, una gioia paragonabile solo a quella di quando
l’abbiamo accolto da cucciolo. I cani diventano vecchi più
velocemente di noi ma, alla fine, regalano al padrone tutta la
saggezza accumulata nella loro vita, più breve della nostra, tutta
la loro esperienza di come si affronta l’esistenza.
Hanno uno sguardo struggente, profondo, d’infinita consapevolezza.
Conoscono ogni tuo gesto, ogni tua parola, anticipano i nostri
desideri. Sono insieme saggezza, dolcezza, bellezza. Spesso si
vedono camminare assieme, con passo lento, vecchi padroni
accompagnati da vecchi cani: procedono vicini e guardandoli
s’intuisce chiaramente che stanno vivendo una particolarissima
esperienza d’amore.
Ma i cani sono in grado d’amare?
Prima di cercare di rispondere meditiamo su una leggenda e due
storie vere.
C’era una volta un cane molto buono che aveva un padrone molto
cattivo che un giorno l’uccise. L’anima del cane andò in Paradiso.
Un giorno anche il padrone del cane morì e la sua anima andò
all’Inferno. Il cane, che voleva bene al padrone, andò a cercarlo
anche se era cattivo. Il Signore lo vide correre e gli chiese che
cosa cercava. Il cane rispose che cercava il padrone e quando il
Signore disse che era all’Inferno, il cane pianse tutta la vita nel
cielo.
Il cimitero dove mio padre riposa è a sessanta chilometri dalla
città dove viviamo. Infatti la nostra tomba di famiglia è in un
paese poco distante da G. ed Alex, il nostro cane, fece quel
percorso di notte, raggiunse il cimitero, vi entrò e rimase lì,
anche in seguito, sottraendosi ad ogni possibile recupero da parte
nostra. Divenne un cane di strada, così come per strada mio padre
l’aveva raccolto. Ed ogni giorno tornò a trovarlo ed a sdraiarsi
sulla sua tomba fino a quando qualcuno non provvedeva a mandarlo
via. Ma, dopo qualche tempo, la sua storia, delicata e commovente,
era diventata talmente nota che alla fine le autorità lo lasciarono
vegliare il suo padrone, in santa pace.
Da quel momento Alex non si mosse più: beveva l’acqua che gli davano
ma non accettava il cibo che veniva messo lì per lui. Divenne magro,
lo scheletro di un fox terrier che vegliava il suo padrone. Ed un
giorno morì, per raggiungerlo. Nessuno può convincermi che
quell’incontro non fosse uno speciale incontro già avvenuto altrove
e, diversamente, prima su questa terra: incontro di anime, di
pensieri, oserei dire una “ricongiunzione”. Nessun amore fu più
sincero e grande di quello sbocciato quando mia padre incontrò Alex
e quel cane incontrò lui. E nessuno dei due avrebbe mai fatto a meno
dell’altro. Sinceramente, credo, neppure mio padre.
Ogni volta che invio a casa dei panni da lavare, la mia cameriera li
fa annusare ad Attila, il mio fedele rottweiler, che mi aspetta da
oltre due anni. Attila crede che stia per ritornare a casa e corre a
mettersi vicino al mio letto sul tappetino persiano dove era solito
dormire accanto a me e mi aspetta per tutto il giorno.
Solo la sera, deluso e senza toccare cibo, si ritira nella sua
cuccia.
Prima di rispondere alla domanda che ci siamo posti, invito il
lettore a dare uno sguardo alle ultime pagine del mio libro
(consultabile in rete) “Storia del cane tra arte, letteratura e
fedeltà”.
^^ TORNA SU ^^
Cuore di cane
Lettera pubblicata su L'ESPRESSO n.50 del 2013
Cara Rossini,
il cimitero dove mio padre riposa è a 60 chilometri dalla città dove
viviamo e Alex, il nostro cane, fece quel percorso di notte,
raggiunse il cimitero, vi entrò e rimase lì, anche in seguito,
sottraendosi ad ogni possibile recupero da parte nostra. Divenne un
cane di strada, così come per strada mio padre l'aveva raccolto. E
ogni giorno tornò a trovarlo e a sdraiarsi sulla sua tomba fino a
quando qualcuno non provvedeva a mandarlo via. Ma, dopo qualche
tempo, la sua storia, delicata e commovente, era diventata talmente
nota che alla fine le autorità lo lasciarono vegliare il suo
padrone, in santa pace. Da quel momento Alex non si mosse più:
beveva l'acqua che gli davano ma non accettava il cibo che veniva
messo lì per lui. Divenne magro, lo scheletro di un fox terrier che
vegliava il suo padrone. Ed un giorno morì, per raggiungerlo.
Nessuno può convincermi che quell'incontro non fosse uno speciale
incontro già avvenuto altrove e, diversamente, prima su questa
terra: incontro di anime, di pensieri, oserei dire una
"ricongiunzione". Nessun amore fu più sincero e grande di quello
sbocciato quando mio padre incontrò Alex e quel cane incontrò lui. E
nessuno dei due avrebbe mai fatto a meno dell'altro. Sinceramente,
credo, neppure mio padre.
Ogni volta che invio a casa dei panni da lavare,la mia cameriera li
fa annusare ad Attila, il mio fedele rottweiler, che mi aspetta da
oltre due anni. Attila crede che stia per ritornare a casa e corre a
mettersi vicino al mio letto sul tappetino persiano dove era solito
dormire accanto a me e mi aspetta per tutto il giorno. Solo la sera,
deluso e senza toccare cibo, si ritira nella sua cuccia.
Achille della Ragione
Questa lettera è solo un brano di un testo molto lungo che ho
ricevuto da un detenuto del carcere di Rebibbia di Roma, un
ginecologo condannato a dieci anni con l'accusa di aver praticato
aborti clandestini. Benestante e molto conosciuto negli ambienti
intellettuali napoletani, dopo tre anni di latitanza Achille della
Ragione si è fatto tradire dalla sua passione per la scrittura. È
stato infatti arrestato in un Internet point romano da dove
aggiornava il suo blog. Ora continua a scrivere dal carcere mandando
quotidianamente lettere sui più svariati argomenti. Non ho resistito
a questa, che oltre a darei una testimonianza diretta di un amore
che supera la morte, ci dipinge con pochi tratti la struggente
nostalgia del rottweiler che aspetta il ritorno del suo padrone.
Chiunque abbia avuto accanto a sé un cane, sa di che grande amore si
tratta.
Stefania Rossini
^^ TORNA SU ^^
Amore e Matrimonio
Il matrimonio è un’istituzione molto antica e serve a rafforzare il
carattere monogamico della specie umana. Fino a pochi decenni fa ed
ancora oggi in molte culture, era un affare tra parenti degli sposi,
i quali si accordavano molto tempo prima della cerimonia, tenevano
in sommo conto l’aspetto patrimoniale e l’amore era un dettaglio
trascurabile, anche se alcune volte compariva tra i coniugi in
maniera più miracolosa che sbalorditiva.
Per i Romani era molto semplice celebrarlo e ancor più facile farne
cessare gli effetti, anche su iniziativa della donna, che era molto
più emancipata di quanto molti studiosi del settore pensano e
scrivano nei loro ponderosi trattati.
In seguito, con l’avvento del cristianesimo, la Chiesa lo ha
trasformato in uh sacramento indissolubile. “finché morte non vi
separi” ed ancora oggi la sua influenza morale si fa sentire oltre
misura come su tanti altri argomenti con notevole contenuto etico,
dall’aborto all’eutanasia.
Cerchiamo ora di capire il motivo che spinge, a parte l’amore, un
uomo ed una donna ad unirsi in matrimonio e cosa è in definitiva
questo istituto.
Una fuga dalla solitudine, una unione di forze per affrontare meglio
le difficoltà della vita, un’opportunità per lasciare la casa dei
genitori, un’ascesa sociale legata al nome o al denaro del partner,
un’autorizzazione legale per procreare, un remediumconcupiscientiae,
una forma particolare di cameratismo, un modo per sentirsi uguali
agli altri, un’assicurazione contro la malattia e la vecchiaia, un
escamotage per fare sesso a tutte le ore, l’unico modo per
abbandonarsi all’adulterio, un preludio alla separazione e tra serio
e faceto, potremmo proseguire all’infinito.
Ancora oggi l’influenza del danaro e del rango sociale hanno la loro
validità, ma ancora più spesso l’amore o l’illusione dell’amore
rappresentano la motivazione principale che spinge una coppia alla
ricerca della felicità.
Oggi le forze della tradizione si sono affievolite e recedono in
egual misura le leggi dello Stato ed i precetti della religione e
tale situazione permette all’amore di dispiegarsi in nome della
spontaneità e del sentimento.
I divorzi, che incalzano di numero, giungendo in alcuni paesi a
rappresentare l’esito più probabile di ogni matrimonio, non vengono
più considerati disdicevoli, anche se possono danneggiare l’altra
persona ed ormai l’amore nella coppia, liberato da qualsivoglia
vincolo sociale, giuridico e religioso, si presenta come sfida per
raggiungere la felicità.
L’uomo alla ricerca della passione e dell’estasi, si attende dalla
più genuina espressione dei suoi sentimenti una reviviscenza
dell’amore romantico con tutto il corredo di imprevisti e di rischi,
di gioie violente quanto appaganti.
Forse l’amore trova oggi, nel caos, la più genuina realizzazione ed
è amore vero, non quello creato dalla fantasia dei Trovatori, il
quale, dopo aver costituito un topos letterario, ha sedotto ed
ingannato filosofia e religione, antropologia e psicologia, per
trionfare come modello falso, ma accattivante negli spot
pubblicitari e per indurre, con lo stereotipo della famiglia felice
ad acquistare prodotti alimentari ed oggetti per arredare la casa.
Se avessimo chiesto in un passato ad un contadino cosa si aspettava
da una futura moglie non avrebbe risposto certo l’amore, bensì una
donna sana e saggia che gli avesse dato ed allevato una nidiata di
marmocchi, che avesse saputo cucinare e tenere in ordine la casa. Un
nobile cercava una sua pari per mantenere il suo prestigio, un
imprenditore una donna con una buona dote per accrescere i suoi
affari.
Il primo, ad inizio Novecento, a richiamare l’attenzione sull’amore
fu Freud, anche se descriveva il sentimento come patologia ed il suo
verbo indusse un esercito di persone a ricercare il benessere, non
più sul letto dell’alcova, ma sul lettino dello psicanalista, fino a
quando i Beatles con la loro canzone: “Allyouneedis love” (Tutto ciò
di cui hai bisogno è amore) hanno dato nuova vita ad una passione da
cercare con impegno.
Prima di parlare dell’attuale crisi del matrimonio dobbiamo fare un
necessario cenno al matriarcato, il termine con il quale si indica
un sistema sociale, ipotizzato da storici ed etnologi, pur senza
seri elementi documentali, nel quale la donna sarebbe a capo del
gruppo, un agglomerato di individui, da cui si originerà la
famiglia.
Soprattutto nell’Ottocento, alcuni teorici dell’evoluzionismo
supponevano che all’origine della società vi fosse stata un’orda
promiscua, in cui, mancando ogni certezza sull’identità dei padri
(Mater semper certa est, pater numquam) l’organizzazione dovesse
essere necessariamente matrilineare.
Oggi il matrimonio attraversa una crisi irreversibile, che porterà
in breve all’implosione della società prima e dello Stato poi. La
caduta di ogni regola morale è alla base di questo marasma sociale e
forse una parte della colpa va addebitata alla spasmodica ricerca
dell’amore, perché oggi tutti sono alla ricerca non più della
felicità dopo la morte, come promette la religione, ma prima della
morte.
^^ TORNA SU ^^
Amore e Verginità
Fino a pochi anni fa ed ancora oggi in molte culture la verginità
della sposa era ritenuta condizione indispensabile, al punto che i
tribunali ecclesiastici concedevano l’annullamento del matrimonio,
su richiesta del marito, se questo requisito non fosse stato
presente.
Vogliamo cercare una risposta plausibile sulle motivazioni che per
millenni hanno dato credito a questo tabù?
Dobbiamo partire dalla constatazione che l’imene non è presente solo
nella donna, ma anche in tutti i mammiferi ed ha, come tutti gli
organi, una funzione ben precisa: quella di proteggere l’ambiente
vaginale dalle infezioni, prima che, con l’approssimarsi del
menarca, il mutato quadro ormonale, permetta il proliferare del
bacillo di Doderlein, il quale abbassa il PH vaginale verso
l’acidità, fattore contrario all’attività dei batteri. Venuta meno
la sua funzione biologica e divenuta fertile la femmina, il primo
rapporto, alla ricerca della perpetuazione della specie, imperativo
categorico, infrangerà ogni ostacolo.
Su questi imprescindibili presupposti biologici, molte società, sia
per far fronte al dilagare delle malattie veneree, sia per dare una
maggiore certezza della paternità hanno creato questo tabù.
E’ lo stesso meccanismo con cui alcune religioni, per far fronte
alle infestazioni di trichinella nei suini hanno vietato di mangiare
carne di maiale.
Il sesso (proprio, ma soprattutto degli altri) angustia da sempre la
chiesa e lo Stato, i sociologi e gli psichiatri, i medici e i
fabbricanti di biancheria, i legislatori e i filosofi, gli scrittori
e i sondaggisti, gli storici egli antropologi, i poliziotti e
magistrati, e ovviamente i mai tanto indaffarati sessuologi. Più di
tutti gli altri, perché a seconda dei tempi e delle società, il
sesso non ha mai conosciuto la tranquillità. Troppo peccaminoso,
oppure criminale, punito con lapidazione, castrazione, taglio della
testa, o all’opposto troppo libero, addirittura obbligatorio, guai a
sottrarsi all’orgia e alla frusta, e per le donne soprattutto un
inferno, custodia della verginità fino alla morte (vedi la beata
Goretti), oppure di frenetica ricerca di un buon giovanotto disposto
ad eliminarla (vedi gli anni Sessanta della caotica liberazione
sessuale).
O tempora o mores verrebbe da esclamare.
Concludiamo consigliando, a chi volesse approfondire l’argomento, la
lettura del mio libro “La frigidità e la verginità della donna”.
^^ TORNA SU ^^
L’amore on line
Da qualche anno sempre più persone cercano l’amore su internet. La
fantasia di scatenare il proprio desiderio con un estraneo o
misterioso, offre non solo la possibilità di esplorare il proibito
ed il precario, ma anche l’opportunità di agire da un luogo più
sicuro rispetto alla nostra realtà di ogni giorno, senza il pericolo
che possiamo destabilizzarci.
E cosi per ridurre il rischio, separiamo la stabilità a cui tende
l’amore spontaneamente dall’avventura che il desiderio agogna e non
è facile conciliare il bisogno di sicurezza con il desiderio di
avventura, senza sapere a quanta felicità rinunciamo in cambio della
stabilità.
L’annuncio sul sito di incontri Meetup promette: Questo è un
esperimento per trovare un partner. Ti presenti ad altri single, e
vedi come va. Puoi farlo usando Power Point…. . Si chiama
“presentation date night”, ed è una serata per trovare l’anima
gemella che si tiene una volta al mese, dalle 7 alle 9, a New York,
questa metropolis di 8 milioni di abitanti dove incontrare la
persona giusta non è affatto facile e molti ricorrono a siti come
OKCupid.
L’ideatore è un ingegnere quarantaduenne, Rahul Saggar, mai riuscito
ad abbordare le ragazze nei bar. Alla fine ha avuto un'idea:
applicare le abilità apprese nel mondo della Corporate America per
trovare l’amore. Al lavoro gli era capitato di essere elogiato per
le sue presentazioni in Power Point: perciò ha voluto testarne le
potenzialità afrodisiache per sé e per gli altri.
Può capitare, ma non è detto. Passioni e interessi diventano il
collante di una nuova socialità che nasce in rete per trasferirsi
nel mondo reale. L’ultima ondata di Cupido on line abbandona gli
algoritmi complicati a favore di semplici tecniche di abbinamento:
amici in comune e stessa città possono essere il primo passo verso
il grande amore certo non viene assicurato l’amore eterno, ma i
nuovi approcci sono spesso divertenti .
Accanto al successo di siti per il sesso facile in rete, milioni di
utenti si stanno orientando verso siti certificati «no sex» che
puntano, invece, sulla comunanza di valori e la «scrematura»
iniziale avviene definendo il campo degli interessi .
La foto e il profilo restano. Come suggerisce un recente articolo
su, The Atlantic, sono il biglietto da visita per accedere a uno
straordinario bacino di potenziali partner. Ma capire chi è
compatibile è ancora il «lavoro» che resta a ogni singolo.
Ci vuole un po’ di astuzia psicologica nel proporsi e nel
selezionare. Analcolica, bionda, 31 anni medico, condivide ricette
per le polpettine di azuki e salvia e si presenta dichiarando:
«cerco la mia mezza mela».
^^ TORNA SU ^^
L’amore per le donne
“cosa vogliono le donne” si chiedeva Freud un secolo fa e la domanda
conserva la sua attualità, anche se oggi sappiamo molto di più sulle
differenze tra sessualità maschile e femminile.
Un vecchio detto popolare recita: “Non è bello ciò che è bello ma è
bello ciò che piace”. Il fatto che la bellezza non sia l’unico
criterio di scelta del partner è indubbiamente consolanti per quanti
si noi, e siamo la maggior parte, non possiedono le caratteristiche
che, nei diversi contesti culturali, vengono associate all’idea di
bellezza. Esiste però almeno una caratteristica in base alla quale
le donne scelgono il proprio partner, che è, in un certo senso,
trasversale alle diverse culture: la forza.
Il fatto certo non sorprende se pensiamo al mito del macho: a un
fisico prestante associamo, in genere, la capacità di proteggere e
rassicurare, un carattere deciso e la prestanza sessuale. In
un’epoca in cui machismo è spesso costruito in palestra, la presenza
simultanea delle caratteristiche appena descritte non è sempre
garantita. Non tutte le donne sembrano interessate alla prestanza
fisica e le dimostrazioni di fisicità fra maschi per attirare
l’attenzione delle femmine sono meno diffuse rispetto a una
cinquantina di anni or sono.
L’attrazione della prestanza fisica ha una chiara origine biologica:
in natura si assiste spesso a dimostrazioni di forza da parte dei
maschi in fase di corteggiamento e la scelta delle femmine ricade,
per lo più, sui soggetti più forti. Anche in questo caso la scelta è
funzionale all’evoluzione della specie: il maschio più forte
garantisce approvvigionamento di cibo e di protezione della prole
oltre alla trasmissione di geni che rappresentano un vantaggio per
coloro che ne saranno portatori.
Raramente il maschio dovrà esibire i muscoli, a volte basta mostrare
il portafoglio, oppure mostrarsi deciso ed attento ai bisogni della
partner.
Vi siete mai chiesti perché le donne più belle, secondo gli standard
delle diverse culture, preferiscono avere relazioni con uomini
ricchi e, spesso, più maturi? Sapere che l’età’ non è alla base
della scelta ma semplicemente una conseguenza del vero criterio, le
risorse economiche che in genere si acquisiscono con il passare
degli anni, certo non rende meno dolorosa la constatazione che, con
tutta probabilità, non avrete modo di intrattenere una relazione con
una donna da copertina patinata. Il fatto che le donne, in generale,
considerino favorevolmente il possesso di risorse economiche nel
processo di selezione del partner cozza con la vostra idea romantica
di rapporto di coppia? Fatevene una ragione. Ancora una volta sono
le leggi dell’evoluzione a fornirci la chiave di lettura di questo
atteggiamento femminile.
Scopo di maschi e femmine, secondo le teorie evoluzionistiche, è
garantire la sopravvivenza della specie. Se per il maschio il
problema principale è la disseminazione del proprio patrimonio
genetico, per la femmina, nella stragrande maggioranza dei casi, il
compito principale consiste nel far nascere e nel crescere la prole:
il fatto che il maschio sia in grado di mettere a disposizione tali
risorse rappresenta un criterio preferenziale di scelta da parte
delle femmine.
La natura delle risorse è variata nel corso dell’evoluzione della
specie umana: tra i nostri progenitori essere un abile cacciatore
rappresentava una risorsa importante (garantiva il sostentamento
alla compagna e alla prole); in tempi successivi essere un forte
guerriero è stato considerato un fattore discriminante per la scelta
del partner per motivi analoghi; attualmente è il possesso di beni e
denaro a costituire un indicatore della disponibilità di risorse e
quindi a influenzare la scelta del partner.
Esibire l’ultimo oggetto tecnologico (cellulare, computer, tv
satellitare ecc.), sfoggiare abiti griffati, presentarsi al volante
di un’automobile di lusso, frequentare locali alla moda e ostentare
una certa generosità, offrendo agli amici le consumazioni,
rappresentano atteggiamenti volti a comunicare alle potenziali
partner un messaggio tranquillizzante rispetto alla disponibilità di
risorse, aumentando, potenzialmente, il proprio potere di
attrazione. Non mancano ovviamente coloro che millantano il possesso
di risorse: all’esibizione di beni, messa in atto per aumentare la
propria desiderabilità sociale e le proprie chance di attrarre una
partner, non corrisponde il reale possesso di risorse. Pensate che
l’interesse per le risorse economiche, per il possesso di beni sia
semplicemente l’effetto di una società dedita ai consumi che inculca
nelle giovani generazioni l’importanza dell’”avere” a scapito
dell’importanza si “essere”?
Avete ragione tutte le donne dedicano attenzione alla scelta del
padre dei propri figli, sono molto selettive, danno importanza
all’aspetto finanziario ed allo status sociale.
Achille della Ragione
Gli uomini danno più importanza allo aspetto fisico ed alla giovane
età, perché ogni nuova compagna rappresenta una opportunità di
proiettare i propri geni nel futuro.
Le curve: seno, glutei, cosce sono indicatrici di fertilità e
capacità di allattamento.
Sono proprio queste differenze a rendere le schermaglie amorose più
elettriche ed eccitanti.
Gelosia, seduzione, affidabilità si confrontano da millenni e questa
battaglia senza fine rappresenta la natura intrinseca dell’amore.
Forse il sublime sentimento è una guerra senza né vincitori, né
vinti. Forse la forza dell’amore, come nelle arti marziali risiede
nella maestria nel condurre la lotta, più che sul risultato da
raggiungere.
L’aspetto più pregnante dell’amore consiste nel delicato equilibrio
tra conquista e resa, nello imparare a vincere cedendo, senza
abbozzare una inutile resistenza.
Marina della Ragione
^^ TORNA SU ^^
L’amore Saffico
Saffo è stata una poetessa greca vissuta tra il VII e il VI secolo
A.C. di famiglia aristocratica, nacque a Mitilene, nell’isola di
Lesbo, dove trascorse gran parte della sua vita. Da un suo
componimento si desume che sia vissuta a lungo, non si conoscono le
circostanze del suo decesso, che, secondo una leggenda avvenne
precipitandosi in mare da un faro per un amore non corrisposto per
un battelliere. Tale versione e’ accolta da Ovidio nelle Eroidi e da
Giacomo Leopardi nel’Ultimo canto di Saffo.
Saffo era la direttrice e insegnante di un tiaso, sorta di collegio
in cui fanciulle di famiglia nobile venivano educate. Secondo la
tradizione, fra l’insegnante e le fanciulle nascevano rapporti di
grande familiarità, anche sessuale. Probabilmente il fatto va
inquadrato secondo il costume dell’epoca, come forma prodromica di
un amore eterosessuale, cioè una fase di iniziazione per la futura
vita matrimoniale. Saffo compose degli ipitalami, struggenti canti
d’amore per le sue allieve destinate a nozze e questo ha lasciato
supporre un innamoramento anche con componenti sessuali. In realtà è
presumibile che Saffo, comunque affezionata alle sue allieve, li
abbia scritti poiché le vedeva destinate ad un triste destino:
lasciavano infatti l’isola dove si trovavano, dove erano accudite e
felici, per andare nella casa dei loro mariti senza uscirne quasi
mai; li sarebbero state in pratica rinchiuse a vita, come voleva la
tradizione greca.
L’educazione delle giovani fanciulle dell’epoca era incentrata sui
valori che la società aristocratica richiedeva a una donna: l’amore,
la delicatezza, la grazia, la capacità di sedurre, il canto,
l’eleganza raffinata dell’atteggiamento.
Nel quadro dell’eros omosessuale dell’epoca, diverso da quello delle
epoche successive e dettato da un preciso contesto culturale,
scrisse liriche che alludono a rapporti di tipo omosessuale con le
sue giovani studentesse (dedicò a una di loro la poesia “A me pare
uguale agli dei”). Non è affermabile né respingibile con sicurezza
che i rapporti cui la poetessa allude fossero reali e non
semplicemente interpretazioni auto ricavate dal contesto.
Gli antichi furono concordi nell’ammirare la sua maestria. Solone,
suo contemporaneo, dopo aver ascoltato in vecchiaia un carme della
poetessa, disse che a quel punto desiderava due sole cose: impararlo
a memoria e morire. Stradone, a distanza di secoli, la definì: “un
essere meraviglioso”.
Il poeta Anacreonte, vissuto una generazione dopo Saffo (metà del VI
secolo a.C.), accreditò la tesi che la poetessa nutrisse per le
fanciulle che educava alla musica, alla danza e alla poesia un amore
omosessuale: tale pratica non è incredibile né immorale peraltro in
un contesto storico e sociale in cui vigevano una stretta
separazione dei sessi e la visione della donna quasi unicamente come
fattrice di figli e signora del governo domestico; inoltre, per gli
antichi Greci l’erotismo – che si teneva strettamente lontano dalla
pedofilia tutelando i bambini d’ambo i sessi che non avessero
compiuto una certa età e da figure estranee – si faceva canale di
trasmissione di formazione culturale e morale nel contesto di un
gruppo ristretto, dedicato all’istruzione e alla educazione dei
giovani, qual era il tiaso femminile. Inoltre, non necessariamente
la donna Saffo doveva essere “innamorata” delle destinatarie delle
liriche della poetessa Saffo che avevano quale “io lirico” il
personaggio Saffo: esse potevano essere la riproposizione a fini
educativi di una gamma di situazioni affettive, sentimentali,
relazionali, erotiche.
Nel corso dei secoli scrittori e uomini di cultura, cui sfuggiva
come peraltro in gran parte oggi la diversa natura dell’amore
omosessuale nella cultura greca antica rispetto alle epoche
successive, con il fine di non snaturare la grandezza poetica di
Saffo con ipotesi scandalose ai loro occhi, intesero piuttosto che
tale amore fosse solo affetto puro esasperato fino all’iperbole per
fini poetici. Alla luce di un’evoluzione delle conoscenze in
proposito, si indicano tali amori omosessuali vissuti nel contesto
formativo come normale percorso educativo che le adolescenti
intraprendevano quando facevano parte del tiaso (ricordiamo i nomi
di alcune allieve di Saffo: Archianassa, Arignota, Attis, Dica,
Eirana, Girinno, Megara, Tenesippa, e Mica). Il tiaso di Lesbo aveva
come maestra proprio Saffo e alla luce di una formazione culturale
completa (artistica, musicale e sociale) in Grecia era contemplata
di norma anche l’iniziazione all’amore e al rapporto sessuale
mediante il rapporto omosessuale. Il ruolo di Saffo in proposito,
evinto dalle sue liriche, frainteso ed estrapolato dal contesto
storico-culturale, ha dato origine ai termini “lesbico” e “saffico”,
che designano l’omosessualità femminile.
La poetica di Saffo s’incentra sulla passione e sull’amore per vari
personaggi e per tutti i generi. La parola “lesbico/a” deriva dal
nome della sua isola natale, Lesbo, mentre il nome della poetessa ha
dato origine alla parola “saffico”; tale termine non è stato
applicato all’omosessualità femminile prima del XIX secolo. Le voci
narranti di molte sue poesie parlano di infatuazioni e di amore (a
volte ricambiato, a volte no) per vari personaggi femminili, ma le
descrizioni di atti fisici tra donne sono poche e oggetto di
dibattito.
Gli studiosi della biblioteca di Alessandria suddivisero l’opera
della poetessa in otto o forse nove libri, organizzati secondo
criteri metrici: il primo libro, ad esempio, comprendeva i carmi
composti in strofe saffiche, ed era composto da circa 1320 versi.
Di questa produzione ci rimangono oggi pochi frammenti: l’unico
componimento conservatosi integro dalla tradizione è il cosiddetto
Inno ad Afrodite (fr. 1 V.), con cui si apriva il primo libro
dell’edizione alessandrina della poetessa. In questo testo, composto
secondo i criteri dell’inno cletico, Saffo si rivolge alla dea
Afrodite chiedendole di esserle alleata riguardo a un amore non
corrisposto.
Più di ogni altro poeta prima di lei, Saffo indaga sulle emozioni
provate da una persona innamorata, in particolare nella
focalizzazione femminile.
La sua poesia, nitida ed elegante, si espresse in diverse forme
metriche tutte tipiche della lirica monodica, fra cui un nuovo
modello di strofe, dette “saffiche”, composte di quattro versi
ciascuna. Tale forma metrica fu ripresa da molti poeti, fino alla
“metrica barbara” di Carducci. Una curiosità consiste nel fatto che
la strofa non è chiamata saffica perché fu la poetessa di Lesbo ad
inventarla; la nascita è da attribuire ad Alceo ma la denominazione
deriva dal fatto che fu la poetessa ad utilizzarla maggiormente
ispirando anche Catullo nel carme 51 (Ille mi par esse deo videtur).
Nell’inno ad Afrodite, forse una delle più belle e delicate liriche
pervenuteci, Saffo esprime la pena e l’ansia per l’amore non sempre
corrisposto e il penoso tormento che questo le dà.
In questa poesia la forza emotiva si coniuga con l’eleganza e la
dolcezza delle espressioni che raggiungono l’acme nella sesta strofa
in cui la parola della dea diventa impegno, conciso e perentorio.
Ippolito Pindemonte, nella sua mirabile traduzione, è riuscito a
cogliere e a rappresentare lo stato d’animo che la poetessa ha
trasfuso nell’ode, mantenendo al contempo la potenza della passione
e la soavità del tono poetico.
“Afrodite eterna in
variopinto soglio,
Di Zeus figlia, artefice
D’inganni,
O Augusta, il cor deh tu
Mi serba spoglio,
Di noie e affanni.
E traggi or quà, se mai
Pietosa un giorno,
Tutto a’ miei prieghi il
Favor tuo donato,
Dal paterno venisti
Almo soggiorno,
Al cocchio aurato
Giuguendo il gioco. I
Passer lievi, belli
Te guidavano intorno al
Fosco suolo
Battendo i vanni
Spesseggianti, snelli
Tra l’aria e il polo,
Ma giunser ratti: tu di
Riso ornata
Poi la faccia immortal,
qual soffra assalto
Di guai mi chiedi, e
Perché te, beata,
Chiami io dall’alto.
Qual cosa io voglio più
Che fatta sia
Al forsennato mio core,
qual caggia
Novello amor ne’ miei
Lacci: chi, o mia
Saffo, ti oltraggia?
S’ei fugge, ben ti
seguirà tra poco,
Doni farà, s’egli or
ricusa i tuoi,
E s’ei non t’ama, il
Vedrai tosto in foco,
Se ancor nol vuoi
Vienne pur ora, e
Sciogli a me la vita
D’ogni aspra cura, e
Quanto io ti domando
Che a me compiuto sia
Compi, e m’aita
Meco pugnando.”
Saffo è il titolo di un’opera seria scritta dal compositore bavarese
Johann Simon Mayr e rappresentata al Teatro La Fenice nel 1794.
Roberto Secchioni ha scritto e cantato Il cielo capovolto (Ultimo
canto di Saffo) tratto dall’album Il cielo capovolto del 1995.
Angelo Branduardi ha scritto il brano La raccolta, tratto dall’album
Cogli la prima mela del 1979 e ispirata da un componimento della
poetessa.
^^ TORNA SU ^^
L'amore solitario
L’amore di cui parleremo brevemente è una parodia del sentimento,
provocata dalla delusione del desiderio ed il nostro giudizio sarà
di biasimo, anche se la masturbazione non provoca, come stupidamente
asseriva Simon-Andrè David Tissot, in pieno Settecento, il secolo
dei lumi, “disturbi visivi, occhiaie, foruncoli, bulimia, problemi
digestivi, tremito alle ginocchia, blefarospasmo, mal di testa,
malattie. veneree, caduta dei capelli, mieliti e simili”.
Questa sorta di medico scrisse ben due trattati sulle malattie
prodotte dalla masturbazione e riuscì ad influenzare, con le sue
teorie, non solo una legione di medici bigotti ma giganti del
pensiero come Kant e Rousseau per i quali il masturbatore può
paragonarsi al suicida: l’uno distrugge la vita in un attimo,
l’altro nel tempo.
Un collega di simile personaggio, Johann Georg Zimmermann, medico
personale di Federico II di Prussia, scrisse un saggio sulla
masturbazione femminile che definisce “obbrobriosa”, ritenendola più
pericolosa di quella maschile perché meno manifesta, capace di
minare lo sviluppo infantile perché si presenta precocemente: con
questa affermazione Zimmermann precorre di un secolo le teorie di
Freud, che era certo di aver scoperto per primo la sessualità
infantile.
In precedenza sia la cultura greca che la Bibbia non avevano emesso
una condanna severa della masturbazione, ad eccezione del
riferimento ad Onan da cui il termine “onanismo”, personaggio
biblico, nipote di Giacobbe e figlio di Giuda, che, costretto dalla
legge del levirato, vigente in Israele, a sposare la vedova del
fratello defunto e senza figli, non desiderando figli da lei perchè
sarebbero stati considerati figli del precedente matrimonio,
disperdeva per terra lo sperma per cuifu punito da Dio con la morte
(Genesi, 38, 1-9; Deuteronomio, 25, 5-10).
Chi volesse approfondire l’episodio ed altre amenità simili con
ricche illustrazioni, può leggere in rete un mio articolo su Scena
Illustrata: “Il sesso perverso nella Bibbia”.
Ippocrate e Galeno, fondatori della medicina, inquadrano la
masturbazione nella teoria umorale al pari della bile, mentre la
mitologia greca poneva il vizio solitario sotto la protezione di
Pan, un dio le cui imprese erotiche sono legate alle metamorfosi,
cui si rifanno gli stoici che, distaccati notoriamente da ogni
passione, ne lodano l’indipendenza dagli altri; solo San Tommaso
condanna la masturbazione, soprattutto perché costantemente
accompagnata da pensieri lascivi. Anche Foucault, nella sua”Storia
della sessualità”, si è occupato del tabù della masturbazione,
sottolineando che, parlandone spesso e condannandola con enfasi, si
tende ad instaurare una sorta di complicità tra persecutori e
perseguitati. Il limite dell’onanismo sta tutto nel modo anomalo con
cui viene vissuto il desiderio, non aperto verso l’altro ma chiuso
in se stesso. E’ una passione decapitata sul nascere perché vive
senza reciprocità, negando al corpo ogni possibilità di trascendersi
in un altro corpo.
Accenniamo ora alla pornografia, il pabulum di cui si nutre la
masturbazione, allucinante per il gusto dei dettagli, che lascia il
desiderio alla pura concupiscenza della visione, decretando la fine
ingloriosa dell’intimità. “Come uno schermo assorbente, nella sua
evidenza, il reale estingue il desiderio, sottraendolo al gioco
duale, lo ricaccia nei giochi estatici, solitari, narcisistici, dove
l’oggetto non è più l’altro, ma il ripiegamento del desiderio su se
stesso, nel tracciato malinconico della sua delusione” (Galimberti).
L’amore di se stesso è una nobile variante d’amore solitario ed ecco
comparire alla ribalta la figura di Narciso, giovane bellissimo, che
rifiutò l’amore delle ninfe, in particolare di Eco; punito dagli
dei, si riteneva talmente bello da innamorarsi della propria
immagine mentre si specchiava nelle acque di un lago (così lo
immortala Caravaggio), per venire alla fine trasformato nel fiore,
che da lui prende il nome.
Narciso nasce con noi e vive dentro di noi ogni qualvolta
combattiamo per difendere il nostro territorio, amiamo ma vogliamo
essere amati. Ma quando l’amore per se stesso supera la fisiologia
per sfociare nella patologia, allora insorgono solitudine e
tristezza, l’interesse verso gli altri s’affievolisce, l’egoismo si
esalta ed il nostro Io si annichila anziché espandersi.
Oltre agli artisti, anche gli scrittori sono rimasti affascinati da
questo singolare personaggio come Stendhal che, ne “Il rosso e il
nero”, con il protagonista, Julien Sorel, crea il più ambiguo
narciso della letteratura moderna.
Innamorarsi di se stesso sconfina nell’incesto quando subordiniamo
gli altri a questa passione gemella della vanagloria.
La soluzione per ritrovare gli altri e dare un senso alla vita sta
nello snidare il fantasma di Narciso dalla nostra anima, ed
attendere il germoglio della donazione, a volte della sublimazione.
I santi, senza amare la donna, se non come creatura, sono in grado
di raggiungere le più alte vette dell’amore, come San Francesco, che
ammansiva il lupo, s’incantava al volo degli uccelli, per la
bellezza dei fiori ed al momento culminante della vita, invocava la
morte come sua sorella corporale.
^^ TORNA SU ^^
L’amore nella pittura
In letteratura si parla continuamente di amore, dalla prosa alla
poesia, ma anche in pittura trova ampio spazio.
L’amore è, per esempio, uno dei temi più ricorrenti nel
Rinascimento, sia perché la riflessione filosofica sull’eros era
diffusa nel clima neoplatonico del Quattro-Cinquecento, sia perché,
più prosaicamente, c’era l’abitudine di commissionare per i
matrimoni un quadro ispirato a quel soggetto.
Appunto un dono nuziale è Venere e Marte di Botticelli (1482-1483),
ora alla National Gallery di Londra. Forse era il coperchio di un
cassone per il corredo, come fa supporre il formato lungo e stretto,
e i committenti dovevano essere i fiorentini Vespucci, come si è
dedotto dalle vespe che volano sopra i riccioli di Marte. La scena,
secondo alcuni, si ispira al commento al Simposio di Platone scritto
dal filosofo Marsilio Ficino e rappresenta la vittoria dell’amore
sulla guerra. Un “mettete fiori nei vostri cannoni” antelitteram.
Altro capolavoro è l’Amor sacro e amore profano di Tiziano,
conservato a Roma nella Galleria Borghese ed anche esso costituiva
un dono nuziale. Il titolo non fu dato dall’autore e, particolare
importante il sacro non è simboleggiato dalla donna elegantemente
vestita, ma da quella “nature”.
La donna sulla sinistra, dunque, è simbolo dell’amor profano, cioè
dell’amore della sposa per il futuro marito: nel bosco dietro di lei
corrono dei conigli che alludono alla fecondità dell’unione e in
primo piano si vede un bacile, di quelli utilizzati allora per
portare frutta e dolci alle donne che avevano appena partorito. La
donna sulla destra indica invece il cielo, come a ricordare a
quell’altra che anche il matrimonio terreno deve fondarsi sull’amore
di Dio. Le due cose, si intende, non sono contrapposte, e infatti le
due giovani si assomigliano molto, anzi sembrano gemelle.
Anche nell’arte sacra il tema dell’amore è continuamente presente e
si è tradotto in tante iconografie, dalla Madonna con Bambino alla
Sacra Famiglia. Una delle più note tra queste ultime è il Tondo Doni
di Michelangelo (1506-1508): un meraviglioso intarsio compositivo
che intreccia come in una ghirlanda le figure della Vergine, di san
Giuseppe e del Bambino.
Un significato simbolico pervade anche Amor vincit omnia (1602-1603)
di Caravaggio, oggi allo Staatliche Museen di Berlino.
Apparentemente rappresenta uno scugnizzo che invita l’osservatore ad
avvicinarsi. E’ di un realismo prodigioso: ci sembra già di
conoscerlo, quel ragazzino, che si chiamava Cecco Boneri e diventerà
noto come Cecco del Caravaggio. Sarà anche lui un pittore di qualche
pregio, ma purtroppo dal maestro imparerà più l’uso del coltello che
quello del pennello. Qualche esegeta moderno ha visto nell’opera un
richiamo osceno che invece non apparteneva alla sensibilità
dell’epoca. In ogni caso il significato del dipinto non è affatto
ambiguo: l’Amore vince tutto, la supremazia dell’amore sulle arti (la
musica e la poesia, rappresentate dagli strumenti musicali, dallo
spartito e dal libro), oppure – come hanno suggerito alcuni studiosi
– l’armonia dell’amore divino che governa come una musica
l’universo.
La rappresentazione plastica più famosa di questo intreccio tra
sacro e profano, potrebbe essere l’Estasi di santa Teresa del
Bernini nella chiesa romana di Santa Maria della Vittoria. L’altare
simula un palcoscenico e la cappella un teatro, alle cui pareti si
affacciano in vari palchetti i personaggi della famiglia Corsaro di
Venezia. Sulla scena un angelo lancia la freccia dell’amore divino
verso la santa che è immersa in un’estasi fisica e interiore di
altissima intensità, spirituale e sensuale. La vergine amante si
abbandona a Dio attraverso un amore incandescente che pervade tutto
l’essere.
Il grande scultore si è ispirato a un brano dell’autobiografia della
santa: “Un giorno mi apparve un angelo bello oltre ogni misura. Vidi
nella sua mano una lunga lancia alla cui estremità sembrava esserci
una punta di fuoco. Questa parve colpirmi più volte nel cuore, tanto
da penetrare dentro di me. Il dolore era così reale che gemetti più
volte ad alta voce, però era tanto dolce che non potevo desiderare
di esserne liberata. Nessuna gioia terrena può dare un simile
appagamento. Quando l’angelo estrasse la sua lancia, rimasi con un
grande amore per Dio” (XXIX,13).
Ma, per tornare all’amore nel senso più comune del termine, quello
fra uomo e donna, come non pensare al Bacio (1859) di Francesco
Hayez? Eppure questa icona romantica, stampata anche su una nota
scatola di cioccolatini, simboleggia in realtà l’alleanza fra
Francia e Italia dopo gli accordi di Plombieres. O, ancora, come non
pensare al Bacio di Gustav Klimt (1907-1908), immerso in un oro che
fa rinascere sul Danubio lo splendore di Ravenna?
Ma forse ol più bell’inno all’amore lo compose Marc Chagall. Nella
Passeggiata, ora al Museo di San Pietroburgo, si ritrae con la
fidanzata sullo sfondo della sua città, Vitebsk. Dipinge non una
passeggiata, ma la felicità dello stare insieme, che tramuta anche
una qualsiasi gita, piacevole fin che si vuole ma normalissima, in
un evento miracoloso. E allora Bella vola e lui, Chagall, la tiene
per mano come una bandiera. Nel 1915 Apollinaire inventa per l’arte
del pittore russo l’aggettivo “surnaturel”. E’ un aggettivo
perfetto, ma quasi intraducibile. Più che una pittura sovrannaturale
o surreale, indica una pittura “metafisica”, dove cioè l’oltre, le
verità del cuore e le intuizioni dell’anima, si affiancano alla
visione e la completano. E’ il 1917 quando Chagall dipinge La
passeggiata. Poco dopo, con la Rivoluzione russa e le sue atrocità,
non ci saranno più voli e magie, ma solo un’infinita sequenza di
sofferenze.
^^ TORNA SU ^^
Il primo amore: Adamo ed
Eva
Nel racconto della Bibbia Dio crea Adamo con la terra e gli dà la
vita soffiandogli un “respiro” sulla faccia; quindi lo pone nel
giardino dell’Eden e crea come sua compagnia dapprima gli animali,
poi una donna formata dalla stessa costola di Adamo. Dio proibisce
ad Adamo e a Eva di mangiare il frutto dell’albero “della conoscenza
del bene e del male”, ma essi seguono il consiglio del serpente e lo
mangiano, divenendo così consapevoli di se stessi e delle cose. Per
punizione, Dio li caccia dall’Eden, li priva dell’immortalità e li
condanna ad affrontare i dolori e le difficoltà dell’esistenza.
La storia della creazione di Adamo con la terra è simile ai racconti
della creazione dell’uomo presso altri popoli antichi del bacino del
Mediterraneo e del Medio Oriente: in Mesopotamia gli dei creano
l’uomo con l’argilla e con il sangue di un dio; in Egitto lo
plasmano come si farebbe con un vaso o un mattone, e anche in Grecia
il semidio Prometeo lo crea con acqua e terra. La perdita
dell’immortalità da parte di Adamo ed Eva, inoltre, ricorda i miti
di Gilgamesh e di Adapa, due leggendari re dell’antica Mesopotamia
che per errore persero l’occasione di divenire immortali.
Dio, dopo aver creato i primi uomini, Adamo ed Eva (il primo nome
ebraico è collegato con la parola che significa “terra”, poiché il
suo corpo sarebbe stato modellato con la creta; il nome di Eva ha la
stessa radice del verbo “vivere”, e infatti nel testo essa sarà
definita in seguito “la madre di tutti i viventi”), li mette a
vivere nel giardino dell’Eden, comandando loro di nutrirsi
liberamente dei frutti di tutti gli alberi presenti, tranne che dei
frutti del cosiddetto albero della conoscenza del bene e del male.
Allettati da questa tentazione, gli uomini mangiano questo frutto
(la donna lo offre all’uomo: l’immagine della donna tentatrice è
tipica di molte letterature sapienzali soprattutto nel mondo
antico). Subito si rendono conto di essere nudi. La loro nudità
esprime l’indegnità, l’insuccesso.
Spesso il “frutto proibito” viene rappresentato come una mela. Nel
testo della Bibbia si parla di “frutto”, senza ulteriori
specificazioni. In latino la mela viene chiamata malum, parola che
ha anche lo suono di quelle che significa “male”. Per questo motivo
nel medioevo si sarebbe cominciato a rappresentarla come una mela.
Per i musulmani, il frutto proibito è il fico, in quanto molto dolce
(quindi in grado di corrompere).
Al peccato fa seguito una specie di istruttoria condotta da Dio, che
ripercorre i gradini opposti a quelli del peccato: prima l’uomo, poi
la donna, poi il serpente. L’uomo, che sperimenta la paura e la
vergogna, scarica la sua responsabilità su altri (Adamo sulla donna,
e la donna sul serpente).
Dio condanna prima di tutto il serpente; la punizione della donna la
tocca nella sua duplice qualità di madre e di moglie. Anche l’uomo è
condannato, anzitutto nel suo rapporto con la terra, alla quale è
legato come a una moglie e dalla quale attende i frutti: ora la
terra diventa una nemica. Comunque né l’uomo né la donna vengono
“maledetti” da Dio, che riserva parole di maledizione soltanto al
serpente e alla terra (o al cosmo). La più aspra conseguenza del
peccato è la morte: il peccato produce una rottura del rapporto con
Dio, e la morte fisica sancisce definitivamente questa rottura.
Il termine “peccato originale” non è presente nel testo biblico, né
nell’Antico Testamento né nel Nuovo. La visione del peccato della
prima coppia umana, così come è proposta dalla religione ebraica, è
priva della componente di ereditarietà della colpa che invece viene
evidenziata nell’interpretazione cattolica e protestante.
Per il giudaismo il peccato dei progenitori assumerebbe una duplice
valenza: da una parte rappresenterebbe errore, causa della caduta e
mortalità umane e testimonianza della debolezza e della fallibilità
dell’uomo, dall’altra rappresenterebbe il libero arbitrio dell’uomo,
in grado di poter liberamente scegliere fra bene (la volontà divina)
o il male (la tentazione).
A causa della perdita dell’innocenza dal momento dell’episodio del
primo peccato dell’umanità la sessualità venne considerata con
vergogna con l’eccezione dei Patriarchi ebrei che vissero tale
relazione come Mizvak in Qedushah come sarà soltanto nell’era
messianica.
Agostino d’Ippona ritenne che l’uomo fosse stato creato simile a
Dio, ma non in tutto, perché Dio conosce il male ma in quanto amore
infinito non lo commette, mentre l’uomo conosce il male e può
compierlo; l’essere umano è stato creato con il libero arbitrio di
conoscere e fare sia il male sia il bene.
Inoltre, insegnare a fare il male è una colpa tanto quanto compierlo
direttamente: perciò Dio non può avere insegnato il male, pur avendo
lasciato la possibilità e la responsabilità all’uomo di conoscerlo.
Va evidenziato che l’insegnamento di Agostino, sebbene in continuità
con la dottrina insegnate da Paolo e dai Vangeli, e con la
tradizione veterotestamentaria (si pensi ad alcune espressioni del
salmo 51 che insistono in un uomo “nato malvagio”, “concepito
peccatore dalla propria madre”), risente nel suo vigore
argomentativi dell’accesa polemica contro Pelagio. Quest’ultimo
sosteneva che la salvezza è per l’uomo raggiungibile senza
necessariamente la grazia divina: l’uomo può salvarsi con le sole
forze, perché si trova in una condizione corrotta, e causa di questa
condizione è proprio il peccato originale, ereditato attraverso
l’atto sessuale che è all’origine di ogni vita umana.
Secondo la Chiesa cattolica per effetto del peccato originale,
l’uomo eredita, anzitutto, una colpa che, se non viene estinta con
il sacramento del battesimo, preclude la salvezza.
Solo alla luce di tale dottrina cattolica è comprensibile il dogma
cattolico dell’Immacolata Concezione di Maria madre di Gesù
(proclamato nel 1854 da papa Pio IX), secondo il quale Maria fu
concepita senza peccato originale in vista dei meriti di suo figlio,
ossia “pre-redenta”, redenta prima che la redenzione avvenisse
storicamente.
L’uomo eredita, inoltre, sempre per effetto del peccato originale,
un’inclinazione verso il male, che il battesimo non può cancellare,
e che è chiamata concupiscenza. Questa inclinazione, che accompagna
l’uomo nel corso dell’intera sua vita non costituisce in sé un
peccato, ma una debolezza di base dell’essere umano che è la causa
dell’agire malvagio degli uomini nella storia dell’umanità.
Per il cristianesimo protestante, il peccato originale è
caratterizzato dal concetto di ereditarietà della colpa evincibile
dalle Sacre Scritture (salmo 51, Vangeli), illustrato dall’apostolo
Paolo e ripreso da Agostino nella sua aspra polemica contro Pelagio.
La dottrina del peccato originale venne ripresa e reinterpretata da
Martin Lutero, il principale fautore della Riforma protestante, in
opposizione alla Chiesa cattolica. Secondo Lutero il peccato
originale avrebbe corrotto moralmente l’anima umana a tal punto da
privarla della possibilità di volgersi da sola verso il bene: l’uomo
sarebbe quindi privo del libero arbitrio che lo avrebbe
caratterizzato prima del peccato originale e che gli permetterebbe
di scegliere fra bene e il male. Il suo sarebbe un servo arbitrio,
servo del male.
Solo Dio decide, ancor prima della nascita dell’uomo, di salvarlo:
la salvezza è dovuta solo a Dio. Le azioni che un’individuo compie
durante la sua esistenza non hanno alcuna influenza sul suo destino
umano.
Nel calvinismo questa riflessione sulla predestinazione dell’essere
umano è ulteriormente sviluppata: tutti gli uomini sarebbero
meritevoli di dannazione, ma Dio ne ha predestinati alcuni (il cui
numero e la cui identità sono sconosciute agli uomini), per suo
imperscrutabile volere, ad essere eletti e salvati malgrado le loro
colpe, grazie al sacrificio espiatorio di Gesù, che si è sostituito
a loro nella meritata punizione.
A differenza delle interpretazioni cattolica e protestante, per
l’ortodossia cristiana il peccato di Adamo ha avuto delle
conseguenze per l’uomo, ma non si tratterebbe di conseguenze morali
in grado di “macchiare” con una colpa l’anima di ogni individuo.
Piuttosto il peccato originale avrebbe introdotto la corruttibilità
fisica dell’essere umano, e in particolare la morte. Le uniche
conseguenze del gesto di Adamo sono dunque, secondo la visione
ortodossa, la corruzione e la moralità, considerate da un punto di
vista fisico, non morale. Tuttavia la morte comporta un desiderio
innato degli esseri umani di “ridurre” il dolore per la certezza
della fine della vita terrena: da ciò scaturisce il peccato come
palliativo di fronte alla moralità.
Nella religione islamica è assente il concetto di eredità della
colpa, perché ognuno è responsabile del proprio peccato. Secondo
l’Islam il peccato originale sarebbe solo un errore commesso da
Adamo ed Eva, ma essi si sarebbero pentiti e quindi perdonati da
Dio, senza che il loro sbaglio si ripercuotesse sul genere umano.
Nel film del 1971 Fratello sole, sorella luna di Franco Zeffirelli è
attribuita al papa Innocenzo III una frase significativa che viene
rivolta dal pontefice a Francesco d’Assisi, recatosi in udienza per
ricevere l’autorizzazione a fondare un proprio ordine religioso. A
Francesco, che professava la propria umiltà e si diceva consapevole
del peso dovuto al peccato originale, il Pontefice rispondeva così:
“molte volte si è portati a pensare troppo al peccato originale,
dimenticando l’originale innocenza”.
^^ TORNA SU ^^
Il Cantico dei cantici: amore terreno e amore divino
"Non c'è nulla di più bello del Cantico dei Cantici": queste parole
sono pronunziate da uno dei personaggi dell' Uomo senza qualità, il
capolavoro di Robert Musil, lo scrittore austriaco morto nel 1942,
grande testimone della crisi europea del Novecento. Esse esprimono
l'ammirazione incondizionata che ha goduto questo libretto biblico
di sole 1250 parole ebraiche. Un poemetto che ha meritato appunto il
titolo di Shir hasshirim, "Cantico dei Cantici", un modo semitico
per esprimere il superlativo: il "Cantico" per eccellenza, il "canto
sublime" dell'amore e della vita.
Il massimo teologo protestante del Novecento, Karl Barth, non aveva
esitato a definire questo scritto «la Magna Charta dell'umanità».
Eppure questa "charta" del nostro essere uomini capaci di amare, di
godere ma anche di soffrire, non è sempre stata letta in modo
uniforme perché le sue sfaccettature sono molteplici e variegate
come quelle di una pietra preziosa. Sembra aver ragione un antico
rabbino, Saadia ben Joseph (882-942), il quale comparava il Cantico
a una serratura di cui si è persa la chiave: per aprirla si devono
moltiplicare i tentativi.
La chiave indispensabile per schiudere questo scrigno è però, come
spesso accade, la più immediata. Per comprendere il senso
fondamentale di questo libro, in cui Dio parla il linguaggio degli
innamorati, è necessario usare la chiave delle sue parole poetiche,
cioè di quello che un tempo si era soliti definire il "senso
letterale". Infatti l'opera raccoglie il gioioso dialogo di due
persone che si amano, che si chiamano per trentun volte dodî, "amato
mio", un vezzeggiativo molto simile a quei nomignoli che gli
innamorati si coniano segretamente per interpellarsi. Nel Cantico la
donna e l'uomo trovano tutta la freschezza e l'intensità di una
relazione che essi stessi stanno vivendo e sperimentando attraverso
l'eterno miracolo dell' amore.
È una relazione intima e personale, costruita sui pronomi personali
e sui possessivi di prima e seconda persona: mio/tuo, io/tu,
noi/nostro. La sigla spirituale e "musicale" del Cantico è in quella
folgorante esclamazione della donna: «dodî lî wa'anî lô», "il mio
amato è mio e io sono sua" (2,16). Esclamazione reiterata e variata
in 6,3: «'anî ledodî wedodî li», "io sono del mio amato e il mio
amato è mio". È la formula della pura reciprocità, della mutua
appartenenza, della donazione vicendevole e senza riserve.
Questa perfetta intimità passa attraverso tre gradi. Conosce la
sessualità che è «molto buona/bella», come si dice nella Genesi
(1,31), cioè creata da Dio e adatta all'uomo. Ma la sessualità da
sola è cieca, fisica, animale. L'uomo può salire a un grado
superiore intuendo nel sesso l'eros, cioè il fascino della bellezza,
l'estetica del corpo, l'armonia della creatura. Ma con l'eros i due
esseri restano ancora un po' "oggetto", esterni l'uno all'altro. È
solo con la terza tappa, quella dell'amore, che scatta la comunione
umana piena che illumina e trasfigura sessualità ed eros. E sono
soltanto la donna e l'uomo fra tutti gli esseri viventi che possono
percorrere tutte queste tappe giungendo alla perfezione
dell'intimità, del dialogo, della donazione d'amore totale.
Il Cantico è, quindi, prima di tutto la celebrazione dell'amore
umano e del matrimonio. In questo amore, però, il poeta biblico
intravede quasi un seme dell'amore eterno e perfetto con cui Dio ama
la sua creatura. Non dimentichiamo, infatti, che già il profeta Osea
nell'VIII secolo a.C. aveva usato la sua drammatica esperienza
matrimoniale e familiare come se fosse una parabola dell'amore di
Dio per il suo popolo, Israele (Os 1-3).
Il punto di partenza è, comunque, l'amore umano, che conosce anche
l'assenza, la paura, il silenzio, la solitudine. Ci sono nel Cantico
due scene notturne (3,1-5 e 5,2-6,3) piene di tensione, in cui
l'uomo e la sua donna sono lontani e si cercano disperatamente senza
ritrovarsi. L'apice del poema biblico è però in 8,6, ove si mettono
in tensione dialettica amore e morte: «Potente come la morte è
amore, / inesorabile come gli inferi la passione: / le sue scintille
sono scintille ardenti, / una fiamma del Signore» (curiosamente è
l'unico verso del Cantico in cui risuoni il nome divino Jah/Jhwh).
In quel duello estremo il poeta sacro è certo che l'amore debba
prevalere, come Dio è vincitore della morte e del male. Nell'interno
dell'amore umano - e non prescindendo da esso, come si è fatto
invece nella cosiddetta lettura "allegorica" che ha ridotto il
Cantico a una larva spiritualeggiante - dobbiamo cogliere un segno
ulteriore, quello dell'amore di Dio per la sua creatura.
Nel Cantico c'è l'amore primaverile, presente non solo nella coppia
bella di due giovani ma, potremmo dire, anche nell'immutata
tenerezza di una coppia anziana ancora innamorata, seduta sulla
panchina di un parco cittadino davanti ai giochi liberi e festosi
dei bambini. Un primato è assegnato soprattutto alla femminilità
perché nel Cantico la donna è più protagonista dell'uomo, nonostante
il sedimentato maschilismo dell'Oriente da cui l'opera proviene. Un
testo destinato a liquidare tutte le ipocrisie perché l'occhio del
credente è puro e vede con passione lo splendore della natura, del
corpo e dei sentimenti.
Significativa per il nostro tema è, a questo proposito, l'attenzione
riservata al volto dei due innamorati. Certo, tutto il corpo -
inteso come segno di comunicazione - è coinvolto nel poema: ci sono
le braccia, la mano e le dita, il cuore, il seno, il ventre, i
fianchi, l'ombelico, le gambe, i piedi, le carezze, la pelle scura.
Ma centrale è il volto, descritto in tutti i suoi tratti: dal capo
al collo, dalle guance agli occhi, dalla bocca alle labbra, dal
palato ai denti, dai capelli fino ai riccioli.
Il Cantico è poi, un inno continuo alla gioia di vivere: «Quando il
cielo è spento è dalle nuvole / -scriveva Paul Claudel, poeta
francese- la superficie del lago è piatta e metallica;/quando brilla
il sole / essa si trasforma in uno specchio mirabile / dalle tinte
del cielo e della terra. / Così è della vita dell’uomo quando
s’accende d’amore: / il panorama è sempre lo stesso, / il lavoro
sempre monotono o alienante, / le città anonime o fredde, / i giorni
identici l’uno all’altro; / eppure l’amore tutto trasfigura ed
allora si ama tutto / e tutto si vede con occhi diversi», perché
l’uomo sa che alla sera incontrerà la sua donna. Così, l’uomo
credente sa che alla sera incontrerà il suo Signore.
Attribuito simbolicamente a Salomone, il padre della poesia
sapienziale di Israele e il sovrano dello splendore e della gloria
di Gerusalemme, il Cantico probabilmente è stato redatto in epoca
molto posteriore, dopo l’esilio babilonese, cioè dopo il VI-V secolo
a.C., anzi, forse nel IV secolo a.C. Difficile è definire le
coordinate cronologiche precise perché accanto a vocaboli e a
espressioni recenti, si incontrano termini arcaici in un
meraviglioso impasto di colori e di tonalità. Il Cantico è uno
scritto "mobile", che non si lascia ridurre o comprimere in uno
stampo freddo e fisso.
La lettura di questi 117 versetti diventa come il viaggio in un
giardino pieno di simboli, un vero e proprio alfabeto colorato
dell'amore. Come si diceva, passa attraverso il corpo dell'uomo e
della donna esplorato in tutti i suoi dettagli e nel suo linguaggio
che rivela i misteri interiori della persona umana. Passa attraverso
il cosmo in una galassia di immagini primaverili, di alberi, di
acque, di sole, di animali, di profumi, di fiori. Passa attraverso
la società del Vicino Oriente coi suoi segreti, coi suoi usi e
costumi, coi suoi splendori e le sue miserie, le sue città festanti
di giorno e silenziose e ostili di notte.
Simile a quelle musiche orientali che sembrano una spirale sonora
che si perde nei cieli, il Cantico non segue una trama rigorosa ma
si affida a una sequenza di quadri che spesso riprendono in
crescendo scene precedenti. Talvolta, nella costruzione di questi
quadri, il poeta usa sottilmente e liberamente materiali della
poesia d'amore dell'Antico Oriente.
Nella Bibbia il testo che maggiormente fa risplendere la meraviglia
dell'amore umano e il valore di segno teologico rimane il Cantico.
Dio infatti, come insegna la Prima lettera di san Giovanni, è amore.
Un antico testo giudaico commentava così il viaggio di Israele nel
deserto del Sinai: «Il Signore venne dal Sinai per accogliere
Israele come un fidanzato va incontro alla sua fidanzata, come uno
sposo abbraccia la sua sposa».
Tutti gli innamorati dovrebbero, dunque, aprire questo libro alle
soglie del loro grande giorno. Dovrebbero riprenderlo tra le mani
quando, come la sposa del Cantico, sentono lontano il loro compagno
e quando sperimentano l'amore umiliato e vedono la sua luce
oscurata. Il Cantico deve accompagnare gli sposi credenti (ma anche
coloro che non credono e hanno avuto la grande grazia di amare)
nelle tappe oscure e serene, nel riso e nelle lacrime di quella
stupenda vicenda che è l'amore. Ma il Cantico è nella sua meta
terminale la figura suprema dell'amore tra Dio e la sua creatura,
per cui esso diventa un testo capitale anche per tutti i credenti.
Perciò aveva ragione il grande scrittore cristiano del III secolo
Origene di Alessandria d'Egitto, quando scriveva: «Beato chi
comprende e canta i cantici delle Sacre Scritture / Ma ben più beato
chi canta e comprende il Cantico dei Cantici!».
^^ TORNA SU ^^
Il fascino
perverso del sesso nella bibbia
Il libro più letto del mondo, sacro a due delle più importanti
religioni monoteiste, è infarcito di sordide storie a sfondo
sessuale, dallo stupro all’adulterio, dalla bigamia al tradimento,
passando per la masturbazione e perfino l’incesto.
I parroci nelle loro omelie domenicali, trascurano naturalmente la
lettura dei passi più licenziosi, rinviandone forse
l’approfondimento alle ore serali, dense di meditazioni, prima di
prendere sonno.
L’Antico Testamento ha sempre avuto estimatori insospettabili, dai
padrini della mafia, che lo consultano ansiosi nelle interminabili
latitanze, al figlio del grande statista inglese Churchill, che,
letti alcuni passi del sacro testo durante un periodo di breve
prigionia, confessò candidamente di essersi notevolmente eccitato.
Ma l’esempio più eclatante del sottile fascino erotico, che promana
potente da una lettura senza pregiudizi dell’Antico Testamento, è
data dallo spietato protagonista del film di Kubrick Arancia
meccanica, il quale, sottoposto in carcere a rivoluzionari
esperimenti di recupero delle sue devianze sessuali, riesce a
procurarsi una copia della Bibbia e sogna ad occhi aperti lubriche
situazioni a sfondo erotico, mentre i suoi custodi lo credono oramai
vicino alla redenzione.
Cercheremo di percorrere gli episodi più famosi con l’aiuto del
pennello degli artisti che nei secoli hanno immortalato sulla tela i
lubrici desideri dei nostri celebri progenitori. Partiamo dalla
storia di Onan, dal quale deriva il termine onanismo. Egli sposò
Tamar la vedova del fratello, ma non volle avere figli da lei,
perché non avrebbero portato il suo nome. Non è chiaro se come
anticoncezionale adoperasse il coitus interruptus, dopo aver goduto
delle grazie della cognata, che pare fosse particolarmente attraente
o con raffinato sadismo si masturbasse in sua presenza. Gli esegeti
del testo sono ancora dubbiosi, perché si afferma “che Onan sparse a
terra il suo seme”. Da questo lontano e poco edificante episodio
origina la severa condanna della chiesa verso il vizio solitario…,
causa di malesseri dello spirito e del corpo.
Lot e le figlie sono uno degli episodi più noti della Bibbia ed in
esso viene glorificato addirittura un incesto tra il vecchio
genitore e le sue due avvenenti figliole, che, mosse dal pio scopo
di continuare la schiatta, ubriacano ripetutamente con vini
misturati il padre, il quale, tra i fumi dell’alcol, non resiste
alla bramosia della carne e si accoppia più volte con le due
fanciulle fino a quando entrambe non siano gravide. La famigliola
proveniva da Sodoma, una città dove veniva praticata diffusamente la
sodomia e per questo era stata condannata ad essere distrutta. La
pratica incestuosa tra padre e figlie non era una novità, anche se
la Bibbia glissa sulle modalità adoperate da Adamo ed Eva e la loro
prole per assicurare al genere umano una degna discendenza; non
sappiamo infatti se i figli, maschi e femmine, che vennero dopo i
mitici Caino ed Abele, si accoppiarono tra loro o se anche i baldi
genitori parteciparono all’ammucchiata.
Susanna ed i vecchioni è un altro tema che ha acceso la fantasia
degli artisti, che in tutte le epoche hanno rappresentato
l’increscioso episodio nella sua fase centrale, quando i due
vegliardi fanno le loro sconce proposte di accoppiamento, miste a
velate minacce, alla fanciulla tanto casta quanto nuda, raramente
viene rappresentato invece il lieto finale, quando il solerte
giudice con acconce domande scopre la tresca e condanna i due vispi
vecchietti ad una pena severa.
Il prode Davide dall’alto del suo terrazzo aveva ammirato le sinuose
fattezze anatomiche della giovane Betsabea e seduta stante decise di
concupirla, approfittando che il marito della donna, Uria, era
impegnato in guerra, anzi il perfido sovrano diede ordine di
posizionare in prima linea l’involontario cornuto col risultato che,
in breve, Betsabea rimase vedova e poté, con tutti i crismi,
soddisfare le brame del suo signore, al quale diede in figlio il
saggio Salomone.
Ed il suo pargoletto ereditò dal padre l’irresistibile attrazione
verso l’altro sesso, infatti si creò un harem di ben 700 mogli e non
contento, per saziare i suoi insaziabili appetiti, volle sempre a
sua disposizione non meno di 300 concubine, tutte di primo pelo.
Altre storie minori sono sempre impregnate da sesso e passione, come
la tresca amorosa tra la vedova Ruth e Boaz, un suo parente,
che riesce a fare suo infrangendo allegramente alcuni codici di
comportamento tradizionali o sono intrise da terrore e sangue, come
nel caso della concubina del levita, il quale per evitare uno stupro
offre la moglie, che viene violentata fino alla morte ed allora il
marito per vendicarsi la squarta in 12 pezzi e li invia alle tribù
di Israele.
Tra i tradimenti più repellenti va annoverato senza dubbio quello
Dalila, che carpisce a Sansone il segreto della sua forza dirompente
racchiuso nei suoi folti capelli, lo circuisce con la sua procace
bellezza e, mentre lui dorme dopo l’amplesso, gli taglia la chioma e
lo consegna al nemico.
E concludiamo questa nostra carrellata con la moglie di Putifarre,
che circuisce il fedele (al padrone) Giuseppe e lo minaccia, se
recalcitrante a soddisfare le sue insane voglie, di denunciare al
marito un suo tentativo di violenza nei suoi confronti. Il marito
crederà al racconto della moglie e gettò in prigione il povero
Giuseppe. La moglie di Putifarre, per quanto parzialmente
giustificata dal fatto che il marito era impotente, rappresenta
l’archetipo ideale della seduzione femminile spinta ai confini
dell’illecito e del perverso.
^^ TORNA SU ^^
Amore ed evoluzionismo
L’uomo condivide con gli scimpanzé il 99% del patrimonio genetico ma
quello che fa la differenza è il restante 1%, perché i geni non si
comportano tutti in egual maniera e piccole differenze quantitative
possono produrre sostanziali differenze qualitative.
La nostra storia è lunga milioni di anni. Comincia nel cuore
dell’Africa, dove settanta milioni di anni fa sciamarono le prime
Australopitecine (ominidi e predecessori di ominidi), nello spettro
di tempo in cui si estinguevano i dinosauri, da cui prese l’abbrivio
la moltiplicazione e distribuzione dei primati del Paleogene.
Detta in breve, dovettero passare un’altra sessantina di milioni di
anni prima che apparissero in Africa le scimmie che avrebbero dato
origine alla nostra specie: anno domini sei milioni prima della
nascita di Cristo. Passò un altro milioncino di anni e le
australopitecine si misero su due piedi a causa di mutate condizioni
ambientali: fu il prototipo degli ominidi da cui rampollò, circa tre
milioni di anni più tardi, il genere Homo: dapprima fu quello
Erectus, che migrò verso oriente, quindi i rami si divisero e furono
il Neandertal, il Cromagnon e, finalmente, il Sapiens, comparso in
Africa 200 mila anni fa, da dove colonizzò l’intero pianeta.
La successiva storia della diffusione planetaria del Sapiens è nota,
ciò che è meno nota è invece la definizione della nostra natura, che
è insieme biologica e culturale, ovvero la confutazione vivente
della teoria lamarckiana dei caratteri acquisiti: detta in parole
povere, da un palestrato non nascerà per forza un palestrato;
palestrati ( o musicisti) lo si diventa per questioni culturali.
Similmente, la specie umana è l’unica ad avere trasformato l’impulso
procreativo in una forma di rapporto sociale e culturale, infine
sganciata dalla finalità della riproduzione; così siamo gli unici,
fra gli animali, a trarre un vantaggio competitivo nella strategia
della seduzione da cose come la musica, il senso etico e l’arte,
ovvero da quell’uno percentuale di cui fanno piazza pulita i
neoriduzionisti, fra cui possiamo annoverare l’antropologo Robin
Dunbar, per il quale quell’uno per cento differenziale è poco più
che spazzatura. Il suo saggio Amore e tradimento (Raffaello Cortina
editore, pagg.300, euro 23) è infatti un esempio dell’applicazione
del riduzionismo biologico al fenomeno dell’amore. Dunbar, da par
suo, si diverte a demistificare l’amore romantico evidenziandone le
motivazioni evoluzionistiche, con tutto il kit d’attrazione per assi
morfologici e somiglianza di odori, sino alla teoria che lo scambio
di saliva tra innamorati sia essenziale per capire se il partner sia
appropriatamente corredato per l’accoppiamento.
Afror di ascelle e brute pulsioni biologiche, accortamente sublimate
in fatti culturali, avrebbero innescato la trepida attesa dello
sposo del Cantico dei Cantici o il bacio galeotto di Paolo e
Francesca. E’ evidente che Dunbar, a differenza di Manzi, confonde
ciò che è animale con quanto è specificatamente umano, sino alla
teorizzazione che l’amore e il matrimonio altro non sono che
strategie per massimizzare la riproduzione dei nostri geni: da
questo punto di vista il campione dei Sapiens sarebbe Gengis Khan
dai cui lombi discende lo 0,5 per cento degli odierni viventi, e
poco importa se la progenie sia il frutto di stupri di massa
praticati da Gengis. Dopo tutto, ciò che importa a Dunbar, è quel
novantanove per cento che ci accomuna agli scimpanzè: qualche
milione di anni fa, a prestar credito a Dunbar, i nostri antenati si
sarebbero innamorati allo stesso modo che accade a noi, nell’ambito
di una strategia riproduttiva, al limite con qualche sospiro e dolce
parola in meno. Il salto evolutivo che ha condotto i nostri antenati
ad un tipo di attaccamento particolare ci ha distinto dagli altri
mammiferi. La lunga gestazione ed i cambiamenti ormonali hanno reso
più vantaggioso per i maschi proteggere la prole per trasmettere
meglio i propri geni.
La monogamia compare 200.000 anni fa, perché la donna aveva bisogno
di un maschio che proteggesse la prole. Il primo marito fu una
guardia del corpo, di certo non un procacciatore di cibo perché in
tal senso l’uomo è sopravvalutato: le calorie portate in tavola
dall’uomo cacciatore erano molto inferiori a quelle procurate dalla
donna raccoglitrice. E poi l’uomo non è nemmeno necessario per l’accudimento
dei figli: la coppia mamma-nonna si è dimostrata decisamente più
efficiente in questo compito, e forse è anche per questo che nella
nostra specie la menopausa arriva prima che negli altri primati: per
affrancare la donna dalla necessità di riprodursi e permetterle di
accudire i nipoti. Il legame continuo con un uomo è servito alla
donna non solo per difendere se stessa ma anche, e soprattutto, per
prevenire l’infanticidio da parte di altri uomini desiderosi di
accoppiarsi. E’ così che ci siamo differenziati da animali come il
leone che, quando ha una nuova compagna, le uccide i cuccioli, figli
di altri leoni, per mandarla di nuovo in estro ed avere dei figli
suoi.
L’amore romantico è un effetto collaterale di queste forti spinte
evolutive. Perché si creasse un legame specifico – anche se
temporaneo, proprio come oggi – tra un uomo ed una donna, abbiamo
dovuto aspettare di avere un cervello abbastanza evoluto da poter
cogliere ciò che distingue la nostra anima gemella dagli altri e per
differenziare noi stessi dai nostri rivali. Inoltre dobbiamo entrare
in sintonia con il partner capendo la sua prospettiva, ci tocca
ricordare ciò che il partner ama e ciò che non gradisce e
sincronizzare il nostro comportamento con il suo: tutte sfide che
fanno crescere il cervello. Facciamoci caso: in quasi tutti gli
animali le specie monogame hanno il cervello più voluminoso di
specie simili ma poligame.
L’evoluzione ci fa e poi ci accoppia ma soprattutto, ci spinge nella
mischia. Biologicamente, non possiamo perdere tempo ad aspettare
l’anima gemella così, quando vediamo una persona attraente, si
riduce l’attività nelle aree cerebrali che ci rendono lucidi. E’ il
“richiamo dell’evoluzione”: lo psicologo James Pennebaker ha
trovato, ad esempio, che chi si trova in un locale tende a trovare
più attraenti le stesse persone man mano che ci si avvicina all’ora
di chiusura. Come se qualcosa, ad un certo punto, ci dicesse: “Ma
insomma, guardala meglio: è una bella ragazza, dopotutto. E
muoviti!”. Quella persona diventa unica. Al solo vederla, anche in
foto, il nostro cervello rilascerà dopamina, neurotrasmettitore che
ha un effetto simile a quello della cocaina, perché facilita
l’attivazione dei centri cerebrali del piacere ed inebrianti cascate
di endorfine ad ogni contatto fisico con il partner. Inoltre, da
innamorati, perdiamo interesse per i potenziali rivali del nostro
amore. Lo psicologo americano Jon Maner ha trovato che tendiamo a
distogliere lo sguardo dagli altri quanto più questi altri sono
attraenti e quindi potrebbero rappresentare una minaccia per la
stabilità del nostro rapporto di coppia. I maschi dei mammiferi
hanno sempre avuto la possibilità di scegliere tra l’essere un
genitore amorevole od un implacabile Casanova. Ed anche l’Homo
Sapiens può scegliere tra questi due estremi. In uno studio del
comportamento sessuale maschile dei canadesi, lo psicologo Daniel
Perusse trovò che un terzo circa degli uomini era abitualmente
promiscuo, anche se il 90 per cento degli uomini era sposato. Una
spiegazione affascinante, ma discussa, riguarda l’ormone
dell’attaccamento maschile, la vasopressina: ha effetto soprattutto
sugli uomini accoppiati da poco. Sugli accoppiati da molti anni ha
invece lo stesso effetto blando che ha sugli scapoli. Il maschio
lazzarone tipico dei mammiferi, insomma, è lì pronto ad affiorare.
^^ TORNA SU ^^
Amore ed omosessualità
Un argomento delicato e considerato oggi politicamente corretto, ma
se partiamo da una visione biologica della questione e riteniamo che
l’etica debba trovare il suo fondamento e la sua giustificazione
sulle leggi naturali, non possiamo esimerci da un giudizio di
condanna del fenomeno, in aumento in tutto il mondo occidentale, in
preda ad un epicedio di valori e comportamenti, pronto ad accettare
e regolamentare la nuova morale sessuale.
Solo la nostra specie conosce l’omosessualità: alcuni primati, come
le scimmie, la praticano solo in condizioni eccezionali ed in
cattività, quando in un ambiente ristretto aumentano
significativamente i componenti; come se la natura, nella sua
infinita sapienza, abbia previsto, in caso di sovraffollamento, un
meccanismo compensativo che metta “fuori gioco” alcuni membri del
gruppo, per il tempo sufficiente a che si ristabilisca l’equilibrio
demografico.
Nella cultura greco-romana l’omosessualità era pratica accettata,
anche se, spesso, era una forma occasionale e transitoria di
curiosità sessuale. Il lesbismo è il termine con il quale si
definisce comunemente l’omosessualità femminile.
Gli slogan del nuovo millennio pongono davanti all’alternativa tra
libertà ed imposizione di una logica politicamente corretta e la
conseguente rivoluzione antropologicamente sta investendo e
plasmando l’intero Occidente e costituisce probabilmente la più
grande sfida globale di questo nuovo secolo, dopo che, in passato,
si è dovuto affrontare la sfida globale dell’antropologia marxiana e
nazionalsocialista.
Il Parlamento si appresta a varare una legge molto severa
sull’omofobia, al limite della violazione della libertà di pensiero
e di opinione. Raffigura una forma di criminalizzazione di approcci
alla realtà che non passano attraverso la censura del pensiero
unico.
Di recente una sentenza dell’Alta Corte di Giustizia Europea ha
stabilito che alle coppie gay vanno applicati i benefici di legge,
anche se appartenenti a Paesi che non riconoscono i matrimoni tra
persone dello stesso sesso.
Accadrà anche nei Paesi europei che ancora non riconoscono
legalmente le unioni gay, anzi questa sentenza C-267/12 sembra
tagliata su misura proprio per loro. Almeno in via di principio.
Dice infatti la Corte di Giustizia Ue: uomini che si sposano o
convivono legalmente con uomini, e donne che si sposano o convivono
legalmente con donne, hanno il diritto alla licenza matrimoniale
quando si stipula la loro unione, ed altri benefici offerti dal
datore di lavoro; né più né meno come avviene per le coppie
eterosessuali. Se così non fosse, rileva il supremo organismo che
dirime dubbi e contrasti vegliando sulle norme fondamentali comuni a
tutti i 28 Stati, allora vi sarebbe una discriminazione. Uno
squilibrio di diritti umani e sociali basato sulle scelte sessuali
dei cittadini. In altre parole: la norma europea – in questo caso
l’uguaglianza dei benefici per tutti – prevale sulle leggi
nazionali. E’ l’enunciazione di un principio, naturalmente, perché
la Corte non usa certo i carri armati per imporre le proprie
sentenze: ma quel principio viene considerato assai importante, da
molti giuristi europei, come “apripista” di futuri sviluppi
normativi.
Anche perché, per esempio, proprio in questi giorni la Croazia,
nazione “neo-europea”, ha messo in pista una legge che dovrebbe
accordare alle coppie gay più diritti civili (ma non più il diritto
al matrimonio, bocciato da un referendum popolare). Mentre,
dall’altra parte del mondo, la Corte Federale australiana ha
bloccato con un deciso “no” le stesse nozze gay. E più o meno lo
stesso è capitato in India, dove è in atto uno scontro fra la Corte
Suprema (contraria alla legalizzazione) ed il governo (favorevole).
Il caso da cui ora tutto è nato nella Ue ha origine in Francia,
nazione che ha legalizzato il matrimonio fra persone dello stesso
sesso solo dal 17 maggio 2013. In Francia, appunto, in una banca che
si chiama Crédit agricole mutuel 2, lavorava il signor Fréderic Hay.
La banca ha un contratto collettivo che offre un premio economico ed
alcuni giorni di licenza ai suoi impiegati, quando si sposano. E
anche Hay, un giorno, si è sposato: o meglio, ha concluso un Pacs
(patto civile di solidarietà, unione di fatto) con un altro uomo. Ma
per lui, niente licenza matrimoniale e niente premio economico: il
contratto collettivo, secondo i suoi dirigenti, riguardava solo i
matrimoni eterosessuali. Hay si è rivolto ai giudici, fino alla
Corte di Cassazione francese. E quest’ultima, davanti al dubbio
interpretativo, ha chiesto alla Corte di Giustizia Ue se il diverso
trattamento fra coppie, quelle licenze matrimoniali concesse o
negate, violassero il diritto dell’Unione che proibisce la
discriminazione basata sull’orientamento sessuale. La risposta è
stata “sì”, e così l’Europa ha avuto il parere giuridico che
cercava. Altri pareri, e ben più vecchi, arrivano invece dalla
Russia: nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, il presidente
Vladimir Putin ha difeso la legge contro la propaganda pro-gay e
definito la stessa Russia una trincea “contro la cosiddetta
tolleranza, sterile e senza identificazione sessuale”.
Fuori dall’Europa, l’Australia boccia le nozze gay. Infatti in quel
paese non passa la legalizzazione delle nozze omosessuali perché
l’Alta Corte di Canberra ha annullato la prima legge del Paese che
riconosceva i matrimoni dello stesso sesso. Restano così in mezzo al
guado ventisette coppie gay e lesbiche che si erano scambiate
l’anello poco tempo fa, con una cerimonia pubblica seguita con
enfasi dai media, dopo l’entrata in vigore della legge sulla
cosiddetta “uguaglianza dei matrimoni” approvata in ottobre
dall’Assemblea legislativa del piccolo Territorio della Capitale /Act).
Le loro nozze, a questo punto, non sono infatti valide. La Corte ha
accolto all’unanimità il ricorso del governo nazionale,
conservatore, secondo cui la legge è incostituzionale perché in
contrasto con quella federale in base alla quale il matrimonio resta
fra un uomo ed una donna ed ha respinto la tesi dell’Act secondo cui
la normativa locale si sarebbe limitata a definire un “tipo
differente di matrimonio”.
Nel frattempo, i gay africani perseguitati chiedono asilo da noi. Lo
scorso 7 novembre la Corte di Giustizia Europea ha sentenziato che
gli omosessuali perseguitati in patria hanno diritto d’asilo in
tutta l’Unione. I tre gay, che avevano portato il loro caso fino in
Lussemburgo, sono rimasti anonimi: X, Y e Z. Si conoscono invece i
tre Paesi da cui erano in fuga: Sierra Leone, Senegal ed Uganda,
dove la pena per “gli atti contro natura” è rispettivamente
l’ergastolo, cinque anni di carcere e di nuovo l’ergastolo. Non si
tratta di casi isolati. L’Africa è la nuova frontiera dello sviluppo
economico: la World Bank ne stima la crescita al 4,9 per cento
quest’anno ed al 5,5 per cento nel 2015, mentre gli analisti di
McKinsey già da un paio d’anni preconizzano l’era dei leoni
subsahariani dopo quella delle tigri asiatiche. Ma alle immani
contraddizioni del continente, si aggiunge ora la crescente
omofobia, che fa sì che in 38 Stati su 54 essere gay sia reato, con
un crescendo di pene che in Mauritania, Sudan, Somalia e parte della
Nigeria, porta i partner dello stesso sesso a rischiare la pena di
morte.
«Nell’Africa postcoloniale ci sono sempre state leggi
antiomosessuali», spiega Eric Gitari, attivista kenyota co-autore
del rapporto State-sponsored Homofobia pubblicato dall’International
Lesbian Gay Association. «Se queste leggi vengono ora messe in
pratica è perché il movimento gay è più visibile ed offre un
perfetto capro espiatorio ai fallimenti dei governi».
La prima Costituzione al mondo che protesse il diverso orientamento
sessuale venne emanata nel 1996 da Nelson Mandela che la presentò al
Parlamento con una semplice frase: “I’m an african”.
Cinema e letteratura si sono interessati costantemente alla tematica
ed un certo scalpore ha suscitato l’ultimo romanzo di Margaret
Mazzantini, Splendore, che racconta in chiave universale la storia
impossibile tra due gay.
La vera sfida intellettuale è, casomai, nel tentativo di
identificarsi in psicologie totalmente opposte, per comporre
monologhi di umanità, amore, rapporti d’interdipendenza che vengono
visti dall’interno. E’ questo lavoro esplorativo, mimetico, il filo
rosso dei tanti romanzi di chi ha saputo fare sue le personalità di
vagabondi, mariti fedifraghi, sorelle ossessive, ed è una voglia ed
una capacità d’immedesimazione che oggi, in Splendore trova un
esempio davvero riuscito. Non tanto, o non solo, per come l’autrice
sa calarsi all’interno del cuore e della testa di un omosessuale che
ci racconta quarant’anni di una storia di passione; non è questo a
rendere il suo protagonista, Guido, una mente “altra” da esplorare.
Il punto è diverso: il punto è che Guido è un uomo finito. Ed è in
quest’ottica straziante, questo sguardo all’indietro sui giochi già
fatti, che non è dell’autrice ma che l’autrice fa suo, ciò che
regala al nuovo libro la sua forza espressiva.
Perché, certo, Splendore è un romanzo d’amore. Ed è anche un romanzo
sull’omosessualità, ovviamente, motivo di gioia e di dolore dei
personaggi principali. E, tuttavia, leggendo bene, non si può
neanche fare a meno di pensare che qui si parli, in fondo, d’altro,
e si affronti un problema generale. I rimpianti, cioè; e la domanda
dolorosa: perché la vita non coincide con quello che siamo e che
vogliamo davvero? In fondo Guido e Costantino, chi sono lo sanno fin
da subito: il primo, rampollo trascurato di una famiglia
alto-borghese; il secondo, figlio del portiere, ragazzo sensibile e
massiccio, dell’ultima Roma proletaria. Sanno di essere due anime
sole. Sanno di essere innamorati. Sanno che non riusciranno mai a
dirsi sì ed a stare insieme totalmente, davvero. Dagli anni Settanta
ai giorni nostri, dai banchi di scuola ai matrimoni che contraggono
o per rifiuto o per inerzia, il sentimento che li unisce è profondo
e, soprattutto, inaccettabile.
Inaccettabile per l’epoca e la società italiana: da adulti,
costretti ad incontri clandestini, non riusciranno a non guardare
con invidia i ragazzi stranieri che si baciano in pubblico. Ma
soprattutto è inaccettabile perché è un sentimento così puro che non
si adatta mai ai doveri, ai cliché ed alle convenzioni che
appesantiscono ogni età: non al machismo del liceo, non alla
rispettabilità dell’età adulta, ai figli, alla malinconia; né alle
paure della vecchiaia, quando tutto ciò che cerca l’uomo è la
serenità dell’assoluzione.
Così un amore omosessuale, che è sempre vivo ed rifiutato, forse è
soltanto un rimpianto fra tanti, una di quelle passioni di cui non
abbiamo il coraggio di farci carico. E, nel suo essere racconto di
una vita intera, Splendore dà alla Mazzantini anche lo spunto per
uno stile di scrittura nuovo perché è un romanzo che procede come
potrebbe farlo un bilancio che viene scritto in tarda età: anni che
vanno avanti rapidi, come una frana, con le loro perdite, con le
mode e con gli eventi storici sullo sfondo che nascono e muoiono in
un attimo. E poi, all’improvviso, le pause: il tempo che si dilata
per lasciar spazio ai momenti significativi, di splendore, che
restano. Gli attimi in cui, per poco, l’uomo ha il coraggio di
essere autenticamente se stesso, prima che arrivi un nuovo crollo.
^^ TORNA SU ^^
L’amore
oltre la morte: Orfeo ed Euridice
La storia dell’amore tra Orfeo ed Euridice è uno dei miti greci più
belli, continuamente rivisitato dalla fantasia di pittori, scultori,
poeti, romanzieri, musicisti e registi.
Orfeo era figlio di Eagro, re della Tracia, e della musa Calliope
(o, secondo altre versioni del mito di Apollo e di Calliope). Ha
preso parte alla spedizione degli Argonauti, cioè dei guerrieri che,
guidati dall’eroe Giasone, a bordo della nave Argo erano andati alla
ricerca del "vello d'oro", custodito da un terribile drago. Però non
sono state le battaglie e i pericoli di questa impresa che hanno
reso famoso il suo nome, ma la musica e l'amore.
Orfeo era un poeta e un musico. Le Muse gli avevano insegnato a
suonare la lira, ricevuta in dono da Apollo. La sua musica ed i suoi
versi erano così dolci e affascinanti che l'acqua dei torrenti
rallentava la sua corsa, i boschi si muovevano, gli uccelli si
commuovevano così tanto che non avevano la forza di volare e
cadevano: le ninfe uscivano dalle querce e le belve dalle loro tane
per andare ad ascoltarlo.
La sua sposa era la ninfa Euridice, ma non era il solo ad amarla:
c'era anche Aristeo e un giorno Euridice, mentre correva per
sfuggire a questo innamorato sgradito, era stata morsa da un
serpente nascosto tra l'erba alta ed era morta all'istante.
Orfeo allora aveva deciso di andare a riprendersela ed era sceso
nell'Ade, nell'oscuro regno dei morti. Con la sua musica era
riuscito a commuovere tutti: Caronte lo aveva traghettato sull'altra
riva dello Stige, il fiume infernale; Cerbero, l'orribile cane con
tre teste, non aveva abbaiato; le Erinni, terribili dee infernali
(Aletto, Tisifone e Megera), si erano messe a piangere.
I tormenti dei dannati erano cessati (Tantalo non aveva più fame e
sete ...) e ogni creatura, compresi il dio Ade e sua moglie
Persefone, aveva provato pietà per la triste storia dei due
innamorati.
Così Ade aveva concesso ad Orfeo di riportare Euridice con sé, ma a
un patto: Euridice doveva seguirlo lungo la strada buia degli inferi
e lui non doveva mai voltarsi a guardarla prima di arrivare nel
mondo dei vivi (Poliziano, Fabula di Orfeo, 237.: "Io te la rendo,
ma con queste leggi: / che lei ti segua per la ceca via / ma che tu
mai la sua faccia non veggi /finché tra i vivi pervenuta sia").
Avevano iniziato la salita: avanti Orfeo con la sua lira, poi
Euridice avvolta in un velo bianco e infine Hermes, che doveva
controllare che tutto si svolgesse come voleva Ade. "Si prendeva un
sentiero in salita attraverso il silenzio, arduo e scuro con una
fitta nebbia. I due erano ormai vicini alla superficie terrestre:
Orfeo temendo di perderla e preso dal forte desiderio di vederla si
voltò ma subito la donna fu risucchiata. malgrado tentasse di
afferrargli le mani non afferrò altro che aria sfuggente. Così morì
per la seconda volta ma non si lamentò affatto del marito (di cosa
avrebbe dovuto lamentarsi se non di essere stata amata così tanto?)
e infine gli diede l'estremo saluto. (Ovidio, Metamorfosi, IV, 53)
Quando Dioniso invase la Tracia. Orfeo dimenticò di onorarlo,
iniziando invece i suoi fedeli ad altri misteri e condannando i
sacrifici umani. Ogni mattina si alzava per salutare l'alba dalla
sommità del monte Pangeo e affermava che Apollo era il più grande di
tutti gli dei. Dioniso, irritato. incaricò le Menadi di vendicarsi
per questo affronto. Esse raggiunsero Orfeo a Deio, attesero che i
lori mariti fossero entrati nel tempio di Apollo e impadronitesi
delle armi, uccisero tutti gli uomini e fecero a pezzi Orfeo.
Gettarono la sua testa nel fiume Ebro che galleggiò, sempre
cantando, fino nell'isola di Lesbo. Le Muse addolorate seppellirono
le membra di Orfeo a Libetra, ai piedi del monte Olimpo, dove si
narra che il canto degli usignoli è più dolce che in qualsiasi altre
parte del mondo. Le Menadi tentarono di purificarsi del sangue di
Orfeo nel fiume Elicona, ma il dio del fiume si tuffò sottoterra ed
emerse quattro miglia più in là con il nome di Bafira, così facendo
evitò di divenire complice del massacro. Dopo la morte di Orfeo, il
suo strumento divenne la costellazione della Lira. Altri danno
un'altra versione della morte di Orfeo: dicono che Zeus lo uccise
con una folgore perché colpevole di aver diffuso i misteri degli
dei.
Orfeo resterà fedele al suo amore per Euridice e morirà ucciso dalle
Menadi, le sacerdotesse di Dioniso, che lo faranno a pezzi, gettando
i suoi resti nel fiume Ebro. La sua testa, caduta sulla lira,
resterà a galla sull'acqua, cosicché Orfeo continuerà a cantare: "Euridice"
diceva "O mia misera Euridice!" / E lungo il fiume le rive
ripetevano Euridice. (Virgilio, Georgiche, IV, 525.). Così Zeus,
commosso, deciderà di mettere la testa di Orfeo in mezzo al cielo,
nella costellazione della Lira.
L'addio tra Orfeo ed Euridice è scolpito su un bellissimo rilievo
nel Museo Archeologico di Napoli.
Euridice è al centro della scena, e poggia la sua mano sinistra
sulla spalla di Orfeo, con un gesto pieno di tenerezza e
rassegnazione. Ma Orfeo è inconsolabile e con la sua mano tocca la
mano di lei, una carezza che è anche un inutile tentativo di
trattenerla.
Inutile, perché Hermes psycopompos ha intrecciato il suo braccio al
braccio destro di lei, e con dolcezza ma anche con determinazione la
trattiene accanto a sé: il suo compito sarà riportarla di nuovo, e
stavolta per sempre, negli Inferi.
Nemmeno una parola, solo la forza dei gesti per rendere il dolore
del distacco tra i due innamorati, e la inevitabilità del destino.
Il mito di Orfeo ed Euridice ha appassionato numerosissimi artisti,
poeti e musicisti. Da Claudio Monteverdi a Christoph Willibald Gluck
(indimenticabile nella sua opera l'aria "Che farò senza Euridice,
dove andrò senza il mio bene?), da Antonio Sartorio a Joseph Haydn,
da Poliziano a Reiner Maria Rilke al Buzzati di Poema a fumetti.
Moltissime le trasposizioni in scultura e pittura: tra le tante, il
Paesaggio con Orfeo ed Euridice di Nicolas Poussin, le due statue di
Orfeo ed Euridice scolpite da un giovane Antonio Canova e due
bellissimi quadri di Gustave Moreau, Orfeo (o Ragazza tracia con la
testa di Orfeo) e Orfeo sulla tomba di Euridice.
Naturalmente non è mancato chi ha provato a trattare questo mito in
modo ironico, ad esempio Offenbach nell'operetta Orphèe aux enfers
(Orfeo agli Inferi). Euridice, rapita e portata negli Inferi, si
innamora di Ade (Plutone) cosicché quando Orfeo scende
nell'oltretomba per salvarla, lei non ne vuole sapere di seguirlo. A
lui che insiste, lei dice grosso modo così: " ... Ma è tempo di
spiegarsi! Bisogna che una buona volta vi dica il fatto vostro! Mio
casto sposo, sappiate che vi detesto! Siete l'uomo più noioso del
creato! Orfeo, è finita, fattene una ragione e smettila di
importunarmi altrimenti lo dico a Plutone! Pensavate forse che avrei
trascorso la mia giovinezza ad ascoltarvi recitare i vostri sogni
classici?"
Orfeo ritorna, da solo, sulla terra mentre negli Inferi tutti gli
dei, che lì si sono trasferiti in cerca di emozioni "forti", si
abbandonano a un ballo sfrenato con Euridice, sulle note del
conosciuto Can Can finale.
Una moderna, e retorica, versione cinematografica del mito è il
recente What dreams may come (in italiano, "Al di là dei sogni"), di
Vincent Ward, del 1998: muoiono tutti nel giro di pochi minuti - i
due figli e il padre in due incidenti automobilistici, la madre
suicida per la disperazione. E il padre, moderno Orfeo, scende
all'inferno per salvare la moglie - Euridice che, essendosi
suicidata, è finita nel regno dei peccatori.
^^ TORNA SU ^^
L'amore
all'ombra del Vesuvio
Nel famoso dizionario filosofico di Voltaire la
voce “amore” è seguita da “antropofago” ed è imbarazzante passare da
persone che amano ad individui che divorano i propri simili.
Un anomalo dualismo che, all’ombra del Vesuvio, si attua da sempre
nei confronti dei bambini, in molti casi oggetto di un amore
assoluto ed incondizionato, ma altre volte abbandonati o sfruttati:
un’antinomia che, come sempre, esprime le contraddizioni della
città.
Ma non è di questo amore che vogliamo trattare bensì del fuoco delle
passioni che, nei secoli, si è manifestato in un luogo vulcanico e
tellurico per eccellenza sotto forma di seduzione, adulterio,
incesto, fino all’amore saffico.
Non possiamo non partire dalle avventure galanti di Giacomo
Casanova, a lungo attivo a Napoli nelle sue scorribande erotiche,
che s’invaghì di Leonilda, una procace fanciulla, ufficialmente
amante del duca Carlo Pignatelli di Monteleone, di cui il seduttore
veneziano era ospite. Decise di chiederla in moglie e si recò dalla
madre per chiedere ufficialmente la sua mano. Lucrezia, mamma della
giovinetta, era stata in precedenza “passata per le armi” dal focoso
Giacomo ed il frutto degli amplessi era stato la nascita di Leonilda
per cui l’idea del matrimonio si spense sul nascere.
Ma non tramontò mai il desiderio di possedere la fanciulla e
l’occasione per passare dalle aspirazioni ai fatti si presentò nel
giardino di un vecchio gentiluomo anziano ed impotente, che aveva
sposato la bella Leonilda, ancora vergine, perché anche il
precedente amante era, come suol dirsi, “lasco di reni”.
Tra il profumo dei fiori ed all’ombra dei cespugli, si consumò
l’incesto che fu talmente dolce da far nascere il desiderio
irrefrenabile di ripeterlo, cosa che avvenne molte altre volte,
complici altri luoghi e con la partecipazione della mamma della
fanciulla.
Dopo un amore peccaminoso, narriamo un amore casto ed infelice,
quello che sbocciò tra Giovan Battista Pergolesi, il celebre
musicista, e la fanciulla di una nobile casata, del cui nome non
siamo certi. Sappiamo, però, che i fratelli, per il suo diniego a
sposare un aristocratico, costrinsero la giovane a prendere i voti,
rinchiudendola in un convento nel quale, per il grande dolore, in
meno di un anno, rese l’anima a Dio. Pergolesi ne diresse la messa
funebre per morire anche lui, dopo pochi mesi, a soli ventisei anni
nel 1736, consumato dal mal d’amore e dalla tisi.
Due regine napoletane, Giovanna I e Giovanna II, spesso confuse tra
loro dalle leggende, occupano un posto di rilievo nell’immaginario
erotico partenopeo per le loro imprese al di fuori del talamo
nuziale ed infiniti sono i racconti che le vedono protagoniste.
La prima si sposò con il cugino Andrea d’Ungheria, all’età di sette
anni, motivo per cui fu rinviata di dieci anni la consumazione del
matrimonio, periodo durante il quale Giovanna non rimase inoperosa,
concedendo le sue grazie al figlio della sua vecchia nutrice e ad un
cugino, particolarmente dotato.
Rimasta vedova a soli diciannove anni, si consolò con vari amanti,
prima di riconvolare a nozze con un cugino, morto dopo poco in
circostanze misteriose, il cui posto fu occupato ancora da un altro
cugino, Giacomo II di Majorca, spesso assente da casa, periodi che
la regina occupava piacevolmente accoppiandosi democraticamente con
dignitari ed inservienti.
Dopo tanti anni dedicati all’amplesso, la regina chiuse la sua
esistenza in carcere, legata mani e piedi, ed oggi riposa nella
chiesa di Santa Chiara ma siamo sicuri che la sua anima inquieta
vaga ancora alla ricerca dell’eros.
Infiniti sono gli amanti attribuiti all’altra regina di nome
Giovanna, sorella di Ladislao, che ebbe anche quattro mariti ed
alcuni favoriti famosi, come ser Gianni Caracciolo, assassinato dal
popolo.
Molteplici racconti accreditano la leggenda che Giovanna II si
accoppiasse ripetutamente con giovani popolani, che, dopo aver
soddisfatto le sue voglie insaziabili, venivano gettati in un pozzo,
ancora esistente in Castel Nuovo, e venissero divorati da un famelico
coccodrillo, uccisioni che la regina, novella mantide religiosa,
provocava per tutelare il suo buon nome.
“Questa macabra leggenda ha ampliato sempre più l’idea di una figura
femminile che, pur di soddisfare il proprio piacere, fosse priva di
qualsiasi morale; ponendo quindi in secondo piano quella reale di
fiera combattente che difese strenuamente, assieme al fratello
Ladislao, il trono dei Durazzo (Aurelio De Rose).
In epoca più recente una terza regina chiacchierata fu Maria
Carolina, moglie di Ferdinando IV, il famose re “nasone”, al quale
diede ben diciassette figli.
Il sovrano era notoriamente solito dedicarsi a bettole e bordelli,
trascurando gli obblighi del talamo e la regina lo sostituiva
degnamente concedendosi a vari amanti, più o meno ufficiali, dal
Principe di Caramanico a John Acton, senza disdegnare rapporti
occasionali con soldati e popolani.
Per alimentare i trastulli faceva a volte originali scommesse, come
quella con la Marchesa di San Marco.
La posta stabilita fu un prestigioso anello di diamanti in premio a
chi delle due avesse guadagnato di più prostituendosi nel bordello
di San Camillo, tenzone che vide sconfitta Maria Carolina per 18
ducati contro 14.
Non contenta dei rapporti biblici e dando credito al carteggio
intercorso tra la regina e la moglie di Lord Hamilton, non volle
privarsi del brivido di provare anche le sensazioni degli amplessi
cari alla poetessa Saffo.
Tutti i napoletani conoscono “La Floridiana”, uno dei pochi polmoni
verdi della città, ma pochi sanno che il nome le deriva da Lucia
Migliaccio, figlia del Duca di Floridia, che sposò, con rito
morganatico, il re Ferdinando IV da poco vedovo. Come grosso dono
d’amore,ed in omaggio alla sua bellezza,il re regalò alla duchessa
la splendida e lussureggiante villa vomerese, già proprietà del
ministro Saliceti, che, in omaggio alla nuova proprietaria,assunse
la denominazione de “La Floridiana”, un luogo ameno dove la nuova
sposa si ritirò accudendo i figli di un precedente matrimonio, senza
dedicarsi alla vita di corte, concedendo al sovrano di vivere dieci
anni in pace e serenità.
Concludiamo questa cavalcata tra amori di ogni genere parlando degli
amori contrastati dalle famiglie che spesso si concludevano con la
segregazione forzata delle giovani fanciulle nei monasteri
cittadini. Le giovinette si maceravano per anni e spesso morivano di
crepacuore.
Quella che brevemente raccontiamo, sulla base di quanto scritto dal
nostro amico Aurelio De Rose, è una storia d’amore e morte, condita
da lacrime e disperazione.
Una novizia di nome Candida, monacata a viva forza, non voleva
accettare l’idea di rinunciare al suo amato e questi, pur di
vederla, si fece rinchiudere in una cassa di legno che doveva
contenere un clavicembalo.
L’ingombrante “pacco” giunse al monastero ma le monache lo
lasciarono in giardino, non riuscendo a trasportarlo fino alla cella
di Candida. L’indomani, aiutate dal giardiniere, vi riuscirono ma,
quando la novizia aprì la cassa, si accorse che il suo bel Giacomo
era morto, asfissiato durante la notte. Non le restò che portare
ogni giorno un fiore alla sua tomba, posta sotto ad un pino,e
raggiungerlo in breve tempo, distrutta dal dolore.
^^ TORNA SU ^^
Un amore
incompiuto: Eco e Narciso
Nell’antica Grecia, un giorno lontanissimo, Cefiso, il dio delle
acque, rapì la ninfa Liriope. Si amarono teneramente e dalla loro
unione nacque un figlio che fu chiamato Narciso. Gli passarono e
Narciso divenne un ragazzo meraviglioso. Liriope volle salvaguardare
la bellezza del giovinetto; si recò perciò dall’astrologo Tiresia
che, dopo aver consultato l’oracolo, le disse: - Narciso vivrà molto
a lungo e la sua bellezza non si offuscherà. Ma il giovinetto non
dovrà più vedere il suo volto.
La profezia di Tiresia si avverò: Narciso restò per sempre
adolescente, mantenendo intatta la sua bellezza che svegliava i più
teneri sentimenti nelle ninfe che l’avvicinavano.
Ma lo splendido ragazzo sfuggiva il mondo e l’amore e preferiva
trascorrere il tempo passeggiando da solo nelle foreste sul suo
cavallo oppure andando a caccia di animali selvatici.
Un giorno, mentre cacciava, sentì rimbalzare tra le gole della
montagna una voce che si esprimeva in canti e risate. Era Eco, la
più incantevole e spensierata ninfa della montagna che, al solo
vederlo, s’innamoro’ perdutamente di lui. Ma Narciso era tanto fiero
e superbo della propria bellezza, che gli pareva cosa di troppo poco
conto occuparsi di una semplice ninfa. Non così era per Eco che da
quel giorno seguì il giovinetto ovunque andasse, accontentandosi di
guardarlo da lontano. L’amore e il dolore la consumarono: a poco a
poco il sangue le si sciolse nelle vene, il viso divenne bianco come
neve e, in breve, il corpo della splendida fanciulla divenne
trasparente al punto che non proiettava più ombra sul suolo.
Affranta dal dolore si rinchiuse in una caverna profonda ai piedi
della montagna, dove Narciso era solito andare a cacciare. E lì con
la sua bella voce armoniosa continuò a invocare per giorni e notti
il suo amato. Inutilmente perché Narciso, che pur udiva l’angoscioso
richiamo, non venne mai.
Della ninfa rimasero solo ossa e la voce. Le ossa presero la forma
stessa della cava roccia ove il suo corpo era rannicchiato e la voce
visse eterna nella montagna solitaria. Da allora essa risponde
accorata ai viandanti che chiamano. Ma è fioca e lontana e ripete
perciò solo l’ultima sillaba delle loro parole: ha perduto la sua
forza invocando Narciso, il crudele cacciatore che non volle
ascoltarla.
Narciso non fu affatto addolorato e continuò la sua vita appartata.
Fu allora che intervennero gli dei per punire tanta ingratitudine.
Un giorno, mentre il superbo giovinetto si bagnava in un fiume, vide
per la prima volta riflessa nell’acqua limpida l’immagine del suo
viso. Se ne innamorò perdutamente e per questa ragione tornava di
continuo sulle rive del fiume ad ammirare quella fredda figura. Ma
ogni volta che tendeva la mano nel tentativo di afferrarla, la
superficie dell’acqua si increspava, ondeggiava e l’immagine
spariva.
Una mattina, per vederla meglio, si sporse di più e di più finché
perse l’equilibrio cadendo nelle acque, che si rinchiusero per
sempre sopra di lui. Il suo corpo fu trasformato in un fiore di
colore giallo dall’intenso profumo, che prese il nome di Narciso.
Il mito di Narciso è stato un’assidua fonte di ispirazione per gli
artisti fino ai giorni nostri, anche ben prima che il poeta latino
Ovidio includesse una versione del mito nel libro III delle sue
Metamorfosi.
Fra i principali pittori che si sono dedicati al mito di Narciso si
possono citare: Caravaggio (Narciso al fonte, 1600 ca.), Poussin
(Narciso ed Eco, 1630 ca.), Lemoyne (Narciso, 1728), Turner (Narciso
ed Eco, 1804), Waterhouse (Eco and Narciso, 1903), Dalì (Metamorfosi
di Narciso, 1937).
Il mito e la figura di Narciso sono stati ripresi in secoli più
recenti da vari poeti, ad esempio Keats e Alfred Esward Housman. Il
mito ha influenzato la cultura omoerotica vittoriana, attraverso lo
studio di Landre’ Gide del mito (Il Trattato di Narciso, 1891) e
l’opera di Oscar Wilde.
Fedor Dostoevskij utilizza in alcune poesie e romanzi personaggi con
un carattere simile a Narciso (come Jakov Petrovic Goljadkin ne Il
sosia, 1846). Nel romanzo di Stendhal Il rosso e il nero (1830) il
personaggio di Mathilde mostra un tipico carattere narcisista.
Nei “Pemi Conviviali” il poeta Giovanni Pascoli dedica il poemetto
“I Gemelli” a Narciso, traendo ispirazione dalla variante riportata
da Pausania.
Nel 1930 la figura di Narciso è riproposta dallo scrittore tedesco
Hermann Hesse col romanzo Narciso e Boccadoro, dove il personaggio è
presentato in veste di monaco medievale.
Anche il libro di Paulo Coelho L’alchimista (1988) inizia con un
riferimento a Narciso.
Sono state dedicate varie canzoni a questo tema: License to Kill di
Bob Dylan si riferisce indirettamente a Narciso; il gruppo metal
greco Septic Flesh ha inciso una canzone su Narciso (intitolata
Narcissus) nel loro album Communion; il testo della canzone
Reflection dei Tool è parzialmente incentrata sul mito di Narciso;
altre canzoni inerenti al mito sono Narcissus di Alanis Morissette e
The daffodil lament di The Cranberries.
Fra gli autori italiani si può citare: La lira di Narciso, tratta
l’album Bianco sporco dei Marlene Kuntz, Parole di burro tratta
dall’album Stato di necessità di Carmen Consoli, Una storia d’amore
e di vanità di Morgan (Da A ad A.Teoria delle catastrofi), Narciso
tratta dall’album omonimo album dei Pierrot Lunaire, La Cantata del
Fiore di Nicola Piovani, ed infine Eco e Narciso-il musical di
Nicola e Gianfranco Salvio.
La psicologia si è interessata al mito dando luogo al termine
“narcisismo” entrando nel linguaggio comune.
Nel 1899, Paul Nache è la prima persona ad utilizzare il termine
“narcisismo” in uno studio sulle perversioni sessuali.
Nel 1911, Otto Rank pubblica il primo scritto psicoanalitico
specificamente centrato sul narcisismo.
Nel 1914, Sigmund Freud pubblica uno saggio su narcisismo intitolato
Introduzione al narcisismo, dove amplia il significato del termine
introducendo i concetti di narcisismo primario e di narcisismo
secondario o protratto.
Nel 1982, Havelock Ellis, un sessuologo inglese, usa il termine
“narcissus-like” in un suo studio sull’autoerotismo, per indicare un
tipo di perversione sessuale in cui l’individuo preferisce
sessualmente il proprio corpo.
Attualmente con il termine narcisismo si intende un disturbo della
personalità e, in termini generali, l’amore, spesso patologico, che
una persona prova per la propria immagine e per se stesso.
^^ TORNA SU ^^
L’amore pastorale di
Dafni e Cloe
Le avventure pastorali di Dafni e Cloe sono una delicata storia
d’amore scritte da un romanziere greco antico, Longo, vissuto nel
III secolo, al quale, solo nel 1600 fu attribuito l’appellativo di
sofista. Probabilmente l’autore era originario di Lesbo, perché il
racconto è ambientato in quell’isola, ed è databile tra il 235 e il
238.
Il romanzo, in quattro libri, narra le vicende di Dafni e Cloe che,
abbandonati neonati e divenuti pastori (lui di capre, lei di
pecore), dopo varie traversie sono infine riconosciuti dai
ricchissimi genitori.
Nell’opera, che è più raffinato degli antichi romanzi greci
pervenutici, più delle vicende esterne interessano la descrizione
poetica del mondo arcadico e soprattutto del nascere del desiderio e
dell’amore tra i due adolescenti.
In una Lesbo bucolica e fantastica, due bambini abbandonati, Dafni e
Cloe, vengono allattati l’uno da una capra, l’altra da una pecora.
Vengono poi raccolti da due pastori, Dafni da Lamone, Cloe da
Driante. Cresciuti in campagna, trascorrono insieme il tempo
dell’infanzia, pascolando l’uno le capre, l’altra le pecore. Nei
primi due libri Longo Sofista si concentra sulle scoperte di Eros da
parte dei due giovani, nel terzo e nel quarto libro sono elencate le
varie traversie prima del riconoscimento di Dafni e Cloe da parte
dei veri genitori, ricchissimi e di famiglia nobile, Infine i due si
sposeranno in un “matrimonio pastorale”.
E’ una struggente favola d’amore moderna, attuale: non
dimentichiamoci che il tema erotico era insolito per l’epoca,
presentato solitamente di scorcio (Ulisse è solo sfiorato dall’amore
di Calipso e Nausicaa). Longo Sofista presenta, toccando anche
argomenti “piccanti”, un coinvolgimento passionale bilaterale, una
novità rispetto alla tradizione tragica. Abbiamo una successione di
elementi passionali forti, che si completano solo nella descrizione
finale dell’amplesso tra Dafni e Cloe: il sesso è lo specchio del
loro rapporto. L’amore è uno squisito godimento dei sensi che si
articoli su un climax sessuale. Il rapporto completo è il massimo
dell’Edonè, ma è eticamente perfetto solo nel matrimonio.
Il romanzo ha ripetutamente ispirato scrittori, pittori e altri
artisti sin dal Rinascimento.
Il romanzo si apre con la descrizione di un quadro raffigurante una
storia d’amore. L’autore narra allora la vicenda raffigurata: Dafni
e Cloe sono figli di due famiglie ricche e nobili, ma abbandonati da
piccoli, sono stati allevati per tutta la vita dai pastori
nell’isola di Lesbo. Cresciuti senza sapere cosa sia l’amore, i due
a un certo punto scoprono di essere innamorati l’uno dell’altro.
Cloe viene rapita, ma dio Pan interviene e la libera. Dafni riesce a
raggiungerla e la vita va avanti, con due ragazzi sempre più
attratti fra di loro, ma con un’ingenuità che impedisce loro di
unirsi. I genitori di Cloe intanto decidono di darla in sposa a un
ricco giovane; Dafni, disperato, si da’ da fare e riesce a ritrovare
suo padre, quello vero, e quindi scopre di essere ricco. Così, dopo
molte peripezie, riesce a sposare Cloe, che in seguito scoprirà di
appartenere ad una nobilissima famiglia di Mitilene. Dopo un
matrimonio pastorale, i due hanno la possibilità di vivere nel lusso
in una città, ma scelgono la vita libera e dura dei pastori e vanno
a vivere in campagna.
I LIBRO
Nell’isola di Lesbo due neonati, prima un maschio e due anni dopo
una femmina, vengono abbandonati nella campagna di Mitilene. L’uno è
allattato da una capra, l’altra da una pecora. Un pastore di nome
Carione raccoglie il maschietto e vi trova accanto una mantellina di
porpora fermata con una fibbia d’oro e un pugnale con l’elsa
d’avorio; decise di adottarlo. Un altro pastore, Driante, che abita
in una vicina fattoria raccoglie e adotta la bambina accanto alla
quale rinviene una cuffietta ricamata in oro, un paio di sandali
dorati, e cerchietti d’oro per le caviglie. I due trovatelli vengono
chiamati Dafni e Cloe. Trascorsi tredici anni i genitori adottivi
ritengono che i due fanciulli non debbano essere destinati alla vita
pastorale per il loro rango elevato, ma, avvertiti da un sogno, sono
spinti ad affidare loro il pascolo delle greggi. I due trascorrono
insieme le giornate finché Cloe comincia a provare i primi
sentimenti d’amore per Dafni. Non conoscendo Eros, è spaventata
dalle sensazioni che prova e crede che si tratti di una malattia.
Quando poi il giovane Forcone, innamoratosi di Cloe, propone una
gara di bellezza tra sé e Dafni, il cui premio è un bacio della
fanciulla, Cloe assegna la vittoria a Dafni il quale, dopo averla
baciata, se ne innamora. Forcone, deluso per la sconfitta, tenta di
conquistare Cloe con la violenza, ma il tentativo fallisce e l’amore
tra Dafni e Cloe sboccia. Durante l’estate trascorrono il tempo
vivendo continuamente a contatto con la natura e divertendosi a
narrarsi storie pastorali. (excursus: racconto della fanciulla
trasformata in uccello). In autunno inoltrato, alcuni pirati di Tiro
approdano a Lesbo per fare razzia di quanto capiti loro sotto mano:
bestiame, grano, vino, e catturano anche Dafni. Vedendo un giovane
così grande e bello, i pirati rinunciano a qualsiasi altro bottino e
prendono il largo. Le grida di Dafni e la vista delle capre del
fanciullo in grande agitazione, spingono Cloe a cercare aiuto presso
Forcone. Il giovane, steso a terra, massacrato dai colpi dei pirati,
prega Cloe di salvare la vita a Dafni, e in cambio di un suo ultimo
bacio, le dona il flauto magico suonando il quale Cloe spinge le
mucche a dirigersi in massa verso le navi dei pirati. A causa
dell’impetuoso ingresso in mare del bestiame, alcuni pirati cadono
in acqua e per la pesante armatura annegano; Dafni invece raggiunge
la riva trascinato dalle sue mucche. I fanciulli, una volta
ricongiuntisi, rendono onori funebri a Forcone. Intanto il loro
amore continua a crescere, alimentato anche dalla condivisione di
momenti di intimità, come il bagno alla sorgente.
II LIBRO
Trascorso il periodo della vendemmia i due pastorelli ricevono una
visita di Filate che narra loro come Eros gli abbia rivelato di
proteggere i due giovani. Dafni e Cloe, felici di essere finalmente
giunti a conoscenza di quale fosse la causa dei loro sentimenti e
ricevuti da Filate consigli su come soddisfare completamente il loro
desideri amorosi, incorrono però in una sventura. Infatti dei
giovani di Metimna approdati in quelle terre e essendo privi di
gomena per legare l’imbarcazione, ne fabbricano una con dei vimini
verdi. Tuttavia quando le capre di Dafni si cibano delle piante, i
giovani si trovano privati dell’imbarcazione. Dunque si recano da
Dafni per punirlo e lo percuotono, ma quando il consiglio del
villaggio stabilisce che la responsabilità di tutto ciò non è
imputabile a Dafni, decidono di tornare in patria. Convincono il
loro paese a portare guerra contro Mitilene e durante una delle
scorrerie dei Metimnesi Cloe viene rapita. Le ninfe promettono a
Dafni disperato che con l’aiuto di Pan per il giorno seguente Cloe
sarà libera. Infatti il dio ordina in sogno al capitano dei
Metimnesi di liberare Cloe e le sue greggi e il capitano obbedisce
con gioia infinita di Dafni. Seguono i ringraziamenti alle ninfe e a
Pan e festeggiamenti. (Excursus: creazione da parte di Pan della
Zampogna). I due pastorelli, felici di essersi ritrovati e ancora
più ardenti d’amore, si scambiano reciprochi giuramenti di fedeltà.
Jean Jacques Rousseau ha scritto un’opera di due atti ed un prologo,
sul libretto di Oliver Decorancez, all’amore di Dafni e Cloe, tra il
1774 ed il 1776.
Rousseau iniziò a comporre Dafni e Cloe dopo il suo incontro con
Christoph Willibald Gluck (avvenuto nel febbraio del 1774 a Parigi),
e in seguito alla prima assoluta dell’opera Ifigenia in Aulide del
compositore tedesco (a cui Rousseau ebbe occasione di partecipare in
qualità di spettatore).
Incominciò l’opera nel giugno di quell’anno, lavorando in linea con
le concezioni estetiche che aveva appena acquisito. A questo
proposito scrive: Oserei dire che il piacere delle orecchie debba a
volte prevalere sulla verità dell’espressione…
Tuttavia il lavoro non venne portato a compimento: Rousseau
abbandonò la composizione di Dafni e Cloe nel 1776 (a causa della
sua salute malferma), e nel 1778 morì.
La prima esecuzione assoluta si ebbe solamente nel 2003, nell’ambito
del Festival di Mezza Estate di Tagliacozzo. Il m° Willy Merz
s’incarico’ della revisione degli abbozzi Roussoiani, e diresse
l’orchestra Wiener Barock Soliste, al Teatro Talia di Tagliuzzo, il
6 agosto di quell’anno.
ATTO I
Philetas, anziano pastore dell’isola di Lesbo, si lamenta con la
pastorella Aphne poiché non riesce a trovare un amico che ami la
musica come lui. I due, in seguito, dichiarano la loro invidia per
l’amore che lega Daphnis (Dafni) a Chloè (Cloe), quindi si
allontanano. A questo punto giunge Chloè, che mentre attende l’amato
Daphnis si addormenta. Egli la risveglia con un bacio, e le fa
sapere di essere stato chiamato a corte dal nobile Dyras (il
signorotto del luogo), prevedendo di rimanervi per un breve periodo.
Allora Daphnis e Chloè giurano reciprocamente il loro amore.
Chloè, disperata per la partenza di Daphnis, vede arrivare un coro
di pastori al seguito del ricco Lampis (infatuato di lei). Egli le
promette ogni genere di ricchezza e bene, e poi la porta via con sé.
ATTO II
Chloè viene liberata da Philetas, ed entra in scena accompagnata da
un coro pastorale. Ma quando viene a sapere che Dyras ha
riconosciuto Daphnis come suo figlio, e che quindi dovrà rimanere a
corte per tutta la vita, la sua felicità si spegne. Tuttavia l’amato
è riuscito a fuggire, e dichiara di essere scappato per incontrarla.
Dyras va a cercare Daphnis, ma appena vede Chloè si ricorda di aver
salvato quest’ultima quand’era neonata. Gli torna in mente, inoltre,
che anche lei è di sangue blu (come Daphnis). Commosso dall’amore
che lega i due protagonisti, consente il loro matrimonio. Il finale
vede un coro di pastori cantare le lodi della vita bucolica.
^^ TORNA SU ^^
Il
suggello dell’amore: il bacio
Uomini e donne oggi hanno una grande nostalgia
sepolta, quella per l’amore, che trova il suo momento più esaltante
nel bacio.
A tal proposito consiglio a chi volesse approfondire quest’aspetto a
consultare in rete il mio libro “storia del bacio dalla preistoria
ai nostri posteri”.
Con una sofferta distanza, la gente ha paura del contatto;
l’anonimato ti offre una pseudo protezione, ti concede spavalderia
per mascherare angoscia e paura. Insomma è un amore disastrato. Non
è una rivoluzione bensì una regressione. La letteratura oggi ha un
grande compito: restituire agli uomini i suoi tempi naturali. E
restituirglieli con verità.
Più buono del vino è quello che apre il Cantico dei Cantici. La dea
Venere nelle Metamorfosi di Apuleio, ne assicura sette in premio a
chi catturerà la fuggitiva Psiche. Tremante è quello tra Paolo e
Francesca; ferale per Romeo e Giulietta; ardente e febbrile l’unico
strappato da Werther a Carlotta. E in più, dulcis in fundo (uno
speciale inequivocabile alla francese) Catullo invece, insaziabile,
ne invoca dalla sua amata e infedele Lesbia “Mille e poi cento e
altre mille e ancora cento“, e cosi via all’infinito.
Stiamo parlando come è ovvio del bacio, il gesto più semplice e più
complesso che un essere umano, unico tra le specie animali, è capace
di compiere, celebrato come apoteosi in poesie e romanzi, quadri e
sculture, dall’antichità fino alla grande stagione del romanticismo,
immortalato come icona pop del Novecento, tra splendori
hollywoodiani e refrain di canzoni, ridotto a merce di consumo nella
società di massa, in ogni caso da sempre, nell’immaginario
collettivo, emblema dell’amour-passion. Poco importa che per la
scienza, sia solo una questione di scambio di germi (milioni) e di
ormoni (ossitocina, testosterone, endorfine), e che sia residuo di
un’ancestrale forma di svezzamento (la madre che nella preistoria
dopo aver masticato il cibo lo passava direttamente dalla propria
bocca a quella del piccolo, attraverso piccoli movimenti della
lingua).
I neurobiologi hanno di recente, con ricerche approfondite,
ridimensionato il ruolo della passione e del sentimento ed affermano
perentoriamente che la funzione del bacio sia prevalentemente quella
di selezionare il partner con finalità squisitamente riproduttive.
Il bacio rappresenta una sorta di panacea, sia quello più
superficiale ed affettuoso, sia quello più approfondito, pregno di
erotismo e sensualità.
A seconda dei casi si liberano neurotrasmettitori chimici dall’ossitocina
che produce fiducia alle endorfine, che stimolano l’allegria ed
allontanano la tristezza, mentre tende a scendere il livello del
cortisolo, fattore di stress che aumenta nelle situazioni di ansia e
pericolo.
Quando il bacio è appassionato, si scatenano numerose variazioni
fisiologiche: dalla dilatazione dei vasi sanguigni, che producono
rossore delle guance ed un maggiore afflusso di sangue al cervello,
mentre il cuore comincia a pulsare più intensamente e le pupille si
dilatano. Inoltre aumenta la produzione di dipamina, che induce
desiderio, esaltazione, euforia.
Attraverso il bacio uomo e donna si scambiano una serie di germi
(circa 300) e relative informazioni di istocompatibilità genetica,
oltre a degli odori subliminali, sul tipo dei ferormoni, molto
diffusi nei mammiferi, che inducono una coppia a riprodursi.
Fino a pochi anni fa, il bacio era presente nel 90% della culture
esistenti al mondo, ma oggi grazie alla globalizzazione mediatica,
la percentuale è aumentata grazie ad icone grandiose come Clark
Gable e Vivien Leigh in “Via col vento” ed il bacio alla francese
praticato anche dai bonobo, i nostri cugini primati, che rimangono
bocca a bocca fino a 12 minuti, un primato da Guinness.
Più lungo è il bacio e più intensamente il testosterone, attraverso
la saliva, eccita la donna. Arte e letteratura hanno glorificato per
secoli quest’arte sottile ed oggi la scienza vuole ridurre tutto ad
un gioco di germi e di ormoni.
Sarà vero, ma nonostante tutto continueremo imperterriti a baciarci.
Mito e letteratura infatti raccontano tutta un’altra storia, dove il
bacio non è mai “solo un bacio” come recitava innocentemente la
canzone “As time goes by” nel film “Casablanca”: metafora e
metonimia allo stesso tempo, segno e interpretazione, il bacio
unisce e separa trova in se stesso la sua ragion d’essere eppure
rimanda inevitabilmente ad altro, nasconde e rivela.
E forse anche per questo che è sempre stato così caro a poeti e
narratori come conferma adesso anche l’uscita in perfetto tempismo
di San Valentino, di un’antologia di racconti sul tema pubblicata da
Einaudi: “In un bacio saprai tutto. Racconti di passione”.
Il titolo rimanda al celebre verso di Pablo Neruda: “In un bacio
saprai tutto ciò che hai taciuto”, a sottolineare il potere
epifanico e allusivo che spesso il bacio ha nell’economia di questi
diciotto racconti, e più in generale nella dinamica delle relazioni
umane. E quel che accade ad esempio al protagonista del bellissimo
racconto di John Cheever “Il marito di campagna”, che narra una
storia di quasi adulterio attraverso la quale la vita si rivela tra
lampi di seduzione, segni di evasione, ferite e ricomposizioni, in
tutta la sua inafferrabile complessità. O al giovane marinaio di
Karen Blixen (Il racconto del mozzo) che in un bacio nato come una
sfida spavalda, trova il coraggio di cambiare la sua vita. O al
marito ritratto da Katerine Mansfield, in quella sorprendente
riscrittura dei Morti di Joyce, che è il suo racconto “Lo
sconosciuto” dove l’uomo nel bacio atteso ardentemente dalla moglie
da un viaggio in nave avverte un improvvisa inattesa distanza che
spalanca un baratro tra i due, occupato dall’ombra di un terzo. O
ancora nel racconto di Francis Scott Fiztgerald “La cosa sensata”
dove un ultimo bacio, suggella la fine di un amore. Ma a volte il
bacio può avere all’inverso anche il potere di occultare la verità:
ne sa qualcosa il capitano del celebre racconto di Checov “Un bacio”
che ne riceve uno anonime e per errore, durante una festa, dal quale
costruisce nella sua fantasia un intero castello di sentimenti e
supposizioni, per poi vederselo crollare miseramente di fronte alla
realtà. O alla “Donna rispettabile” dell’omonimo racconto di Kate
Chopi, che con un lungo tenero bacio al marito, nasconde
l’improvvisa passione provata e repressa nei confronti del suo
migliore amico, appena conosciuto. E ancora in questa raccolta, da
Mario Vargas Liosa a Virginia Woolf, da D’Annunzio a Hemingway, da
Ugo Foscolo a O. Henry, da Maupassant a Marinetti, da Cortazàr a
Schnitzler, da Nicolo Tommaso a Igino Ugo Tarchetti, è un eterogeneo
campionato di baci, appassionati e cinici, rubati e sensuali,
promessi e immaginati, surreali e futuristi, che si dispiega a
raccontarci la forza misteriosa di un simbolo e in quell’ “Aderire
immobile, smarrito e lungo” di due bocche accostate, “La più
perfetta sensazione che sia data dagli umani”.
E concludiamo con alcune frasi famose:
«Eppure il bacio è solo una prefazione ma più incantevole e
deliziosa dell’opera» Maupassant.
«E c’è una sola saliva e un solo sapore di frutta matura. Io ti
sento tremare stretta a me come la luna nell’acqua» Cortazar.
^^ TORNA SU ^^
Ricette afrodisiache
Il rapporto tra cibo ed amore risale alla notte dei tempi, da quando
Eva tentò Adamo offrendogli una mela insidiosa. L’uomo perse per
sempre il Paradiso terrestre, ma lo stretto legame tra cibo ed amore
era destinato a durare fino ai nostri giorni.
Anche il bacio ha la sua origine dall’abitudine dei nostri antenati
di svezzare il piccolo masticando del cibo per passarglielo poi
delicatamente nella bocca a piccole dosi. Da questa atavica
consuetudine si origina il peccaminoso “Bacio alla francese” con due
lingue che si combattono e si compenetrano senza tregua.
(Sull’argomento consulta in rete A. della Ragione – Storia del bacio
dall’antichità ai nostri posteri).
Anche Freud ha voluto trovare un collegamento tra la soddisfazione
dell’allattamento al seno ed i baci da adulto e la predilezione per
il sesso orale. Di questo stretto rapporto si è più volte occupato
il cinema, come nel film Lilly e il vagabondo dove i due cani si
avvicinavano cautamente verso la ciotola, i loro musetti si
avvicinavano sempre di più fino a scambiarsi il primo bacio o nel
celebre 9 settimane e mezzo dove i due protagonisti si trovavano
davanti al frigorifero dal quale estraggono un innocente cubetto di
ghiaccio, che però scivola maliziosamente tra i seni per arrivare
alle cosce, mentre lei lo imbocca con fragole, panna e cioccolato,
leccato con avidità.
Anche la nostra terminologia culinaria è fatta di frasi in cui il
cibo si riferisce chiaramente ad atti amorosi: piatto preferito,
ubriachi d’amore, robusti appetiti o a definire parti del corpo: un
salame, dei maroni, un paio di meloni, mele opere, a secondo dei
gusti, toccare un biscotto, cogliere una primizia. E questo in tutte
le culture come ci dimostra questa antica poesia orientale
Il suo alito è aroma di miele ai chiodi di
garofano,
La sua bocca, deliziosa come un mango maturo.
Baciare la sua pelle è assaggiare il loto,
L’incavo del suo ombelico, è un ricettacolo di spezie.
Quali piaceri vi si adagino, la lingua lo sa,
Ma nessuno può dirlo.
Srngarakrika, XII secolo
Gola e lussuria sono gemelle a causa di alcuni odori penetranti che
stimolano i loci cerebrali situati nell’ipotalamo, che fanno da
starter degli impulsi sessuali.
L’insinuante rapporto tra cibo e sesso si perde nella mitologia ed
il termine afrodisiaco deriva da Afrodite, la dea greca dell’amore.
L’ostrica ha una reputazione di vecchia data ed una forma che
richiama a viva voce l’organo genitale femminile, oltre al suo
sapore tra salato e metallico, tanto gradito agli antichi romani,
disposti a pagarla a peso d’oro, per le loro orge pantagrueliche.
Stando alla leggenda, Casanova mangiava cinquanta ostriche crude
tutti i giorni, nella vasca da bagno, usando per piatto uno
splendido seno di donna. E il cibo marino fu elevato alle vette
dell’erotismo nel famoso quadro di Botticelli, La nascita di Venere,
nel quale la dea romana dell’amore emerge dalle onde dentro un
guscio di mollusco.
Anche la cioccolata, con la sua consistenza cremosa, il suo sapore
squisito che si scioglie in bocca ed il suo nome che
etimologicamente significa “Cibo degli Dei”. Ed anche ricerche
recenti dimostrano la presenza della molecola dell’amore, in una
sostanza che mette in moto il neurotrasmettitore collegato al
piacere ed all’eccitazione.
Il potenziale erotico del cibo è stato celebrato per migliaia di
anni. Non c’è ragione di interromperne la celebrazione adesso, a
prescindere del fatto che la scienza confermi o meno il carattere
afrodisiaco dei cibi. Deliziarsi gli occhi, il naso e la lingua in
compagnia della persona che amiamo, o desideriamo amare, è una delle
esperienze più entusiasmanti della vita. Se molto dell’erotismo
associato all’atto del cucinare, del mangiare e dai rituali amorosi
è frutto della nostra immaginazione, allora lunga vita alla nostra
immaginazione, l’afrodisiaco più efficace di tutti.
Ed ora dall’ “Atlante dell’amore” di Diana Issidorides, uno dei più
bei libri mai scritti sull’argomento, prendiamo alcune ricette per
preparare una coppia a celebrare degnamente l’atto sublime
dell’amplesso, predisponendosi con una cena afrodisiaca di 5
portate, seguendo il consiglio che in passato tutte le mamme davano
alle loro figlie di prendere un uomo per la gola, anche se oggi
molti uomini, a differenza del passato si cimentano ai fornelli con
risultati brillanti.
APERITIVO
champagne con semi di melagrana
* 1 bottiglia di champagne ghiacciato
* 1 melagrana matura
Un modo molto simbolico di risvegliare i sensi in questo banchetto
amoroso è quello di mettere un cucchiaino da tè o due di semi di
melagrana in ogni bicchiere di champagne.
La melagrana, con i suoi splendidi semi contenuti nel robusto
involucro, è stata a lungo e in molte culture simbolo di abbondanza,
futuro felice, rinascita e fertilità. Molti dipinti della Madonna e
del Bambino mostrano chiaramente una melagrana come simbolo di vita
eterna, e gli antichi egizi venivano spesso sepolti con delle
melagrane nella speranza di una risurrezione.
In Cina, i semi venivano zuccherati e serviti agli ospiti durante il
matrimonio. Quando era il momento di consumare il matrimonio, si
gettavano melagrane sul pavimento della camera da letto per
propiziare un’unione felice e feconda. In Grecia, allo scoccare
della mezzanotte del Capodanno, si getta una melagrana matura sul
pavimento, per farne uscire i numerosi semi, come augurio di fortuna
e felicità per il nuovo anno. Alcuni sostengono addirittura che fu
la melagrana il frutto della tentazione che causò la cacciata di
Adamo ed Eva dal paradiso terrestre.
Quelli di voi che hanno un palato fine possono invece cominciare
questa avventura culinaria con un cocktail di melagrana.
cocktail di melagrana
* 1 melagrana
* 300 ml di succo d’arancia appena spremuto
* 50 ml di Grand Marnier
* 2 fettine d’arancia
* cubetti di ghiaccio
Metti sei cubetti di ghiaccio in uno shaker. Aggiungi succo di
melagrana, succo d’arancia, Grand Marnier e scuoti bene. Versa il
contenuto dello shaker in due bicchieri da cocktail e guarnisci con
una fetta d’arancia.
STUZZICHINO
Caviale puro e semplice
Solletica la tua lingua e stimola il tuo palato con il tipo di uova
più “sexy” e più costoso del pianeta: l’uovo di storione. Il colore
grigio scuro del caviale, il suo aspetto lucido, la consistenza
ricca e il sapore salato ne fanno uno degli ingredienti preferiti
nella cucina erotica. Il caviale ha un alto contenuto di arginina,
un aminoacido che è stato messo in relazione con la potenza
sessuale. Se il re del caviale, il Beluga, esorbita dalla cifra che
sei disposto a spendere per conquistare il corpo e l’anima del tuo
ospite, comprane una varietà qualsiasi tra quelle che ti puoi
permettere.
Raccogliete una quantità generosa di caviale gelato in un cucchiaino
di porcellana, o comunque non metallico e imboccatevi l’un l’altro
con questa delizia. Alcuni intenditori sostengono che il caviale
abbia un gusto migliore quando si mangia dalla fessura tra il
pollice e l’indice. Anche nel caso in cui non fosse vero, ci pare
senz’altro un modo “sexy” con cui cominciare.
I puristi riterrebbero blasfemo ogni altro ingrediente, ma puoi
pensare di aggiungere un po’ di coriandolo fresco appena sminuzzato
e qualche goccia di limone. Se mangiarlo così è troppo, spalma il
caviale su un cracker non salato di buona qualità, o un triangolino
di pane bianco ben tostato.
ANTIPASTO
Ostriche marinate in succo di limone
* 8-10 ostriche, sgusciate (tieni i gusci per servirle)
* 50 ml di succo di limone
* 1 cipolla novella, finemente sminuzzata
* 1 pomodoro piccolo, pelato senza semi e tagliato fine
* lattuga o radicchio
* ¼ di peperoncino rosso fresco, privato dei semi e sminuzzato
(regola la quantità a seconda del grado di piccante che riesci a
sopportare)
* 1 cucchiaino di foglie di menta sminuzzate
* sale e pepe appena macinato
* foglie di menta e spicchi di limone per guarnire
Metti le ostriche in una terrina di vetro o porcellana con il succo
di limone, copri e tieni in frigorifero per una notte intera. Scola
poi le ostriche, tenendo da parte il succo di limone.
Nella terrina mescola le ostriche con il pomodoro, la cipolla, il
peperoncino, le foglie di menta e 2 cucchiaini del succo di limone
rimasto. Condisci con sale e pepe a piacere. Rivesti un piatto con
lattuga o radicchio, metti ogni ostrica con il ripieno in un guscio
e decora il piatto con i gusci rimasti. guarniscilo con foglie di
menta e spicchi di lime.
CENA
Ricette per stimolare l’amore, per gli amanti.
Risotto al limone e zafferano
* 1 tazza di riso arborio
* 2 tazze di brodo di pollo
* 2 cucchiai di succo di limone
* 1 cucchiaino di scorza di limone
* ½ tazza di erba cipollina
* 2 cucchiai di burro
* 1 cucchiaio di olio d’oliva
* 2 scalogni
* 1 pizzico di filaccia di zafferano
* 2 cucchiai di parmigiano grattugiato
* sale e pepe macinato fresco
* erba cipollina per guarnire
Riscalda a media temperatura un cucchiaio di burro in un cucchiaio
di olio d’oliva in un tegame massiccio, aggiungi due scalogni
tritati fini e un (generoso) pizzico di filaccia di zafferano. Fai
cuocere per 2 minuti, mescolando di tanto in tanto.
Aggiungi una tazza di riso arborio, o di qualità affine, mescola
finché non comincia ad imbiondire. Aggiungi 2 tazze di brodo di
pollo, mescolando costantemente, poi due cucchiai di succo di
limone; porta a bollitura. Abbassa il fuoco al minimo e mescola.
Lascia bollire fino a quando non diventa cremoso e tenero,
mescolando vigorosamente ogni 19 minuti, per 20-25 minuti, finché
tutto non è ben amalgamato.
Aggiungi un cucchiaio di scorza di limone sminuzzata ½ tazza di erba
cipollina. Condisci con sale e pepe macinato fresco. Aggiungi un
cucchiaio di burro freddo due di parmigiano appena grattugiato,
mescola con energia fino a che non è ben amalgamato. Una volta sul
piatto di portata cospargilo a piacere con erba cipollina.
Salmone marinato e insalata di spinaci con vinaigrette di lamponi
alla lavanda
* 300g circa di filetto di salmone
* 1 cucchiaino di olio extravergine d’oliva
* 2 pugni di spinaci freschi, lavati e sgocciolati
* ½ cetriolo, sbucciato, privato dei semi e affettato
* ½ avocado maturo, sbucciato e privato dei semi
* ½ cipolla rossa, tagliata fine
* ½ tazza di lamponi o 1 di kiwi
* 2-4 cucchiai di semi di melagrana per guarnire
* crostini di pane (facoltativi)
per la marinata
* 70 ml di Sauvignon blanc
* 1 cucchiaino di foglie fresche di lavanda tritate
* 1 cucchiaio di succo di lime
* 1 cucchiaio di succo di aceto di lamponi
* 1 cucchiaino di olio extravergine d’oliva
* sale e pepe a piacere
per la vinaigrette
* ¼ di tazza di olio extravergine d’oliva
* 1 cucchiaio e ½ di Sauvignon blanc
* 1 cucchiaio di succo di aceto di lamponi
* 1 cucchiaino di foglie fresche di lavanda tritate
* 1 cucchiaino di succo di limone
* sale e pepe a piacere
Prepara la vinaigrette mescolando tutti gli ingredienti in un
barattolo e scuoti finché non sono amalgamati. Assaggia e dosa il
condimento.
Prepara la marinata mescolando tutti gli ingredienti in una ciotola.
Aggiungi il filetto di salmone, assicurandoti che sia privato delle
lische. Copri e lascia marinare per un’ora nel frigo, girando il
salmone ogni 15 minuti.
Togli il salmone e metti da parte la marinata. Riscalda l’olio
d’oliva a media temperatura in un tegame antiaderente e fai saltare
i filetti di salmone su entrambe i lati per circa 5 minuti.
Versa la marinata sul salmone e lascia sobbollire finché la marinata
non si addensa in salsa, per circa 1 o 2 minuti.
Metti il salmone su un piatto con una schiumarola, e dividilo in
piccoli pezzi. Rimettilo in padella e fallo saltare con la salsa.
Togli i gambi degli spinaci e dividili in due piatti. Metti il
salmone al centro degli spinaci e versaci sopra la salsa rimasta.
Sistema il cetriolo tagliato, l’avocado, la cipolla rossa e i
lamponi o le fette di kiwi attorno al salmone: Cospargilo di semi di
melagrana e vinaigrette e servi. Se lo desideri, accompagna il tutto
con dei crostini di pane.
Pollo in salsa di cioccolato
* 2 filetti di pollo di 150 g ciascuno
* 1 cucchiaio di burro e i cucchiaio di olio d’oliva
* ½ cucchiaio di peperoncino rosso senza semi e sminuzzato
* 2 cucchiai di mandorle tostate
* ½ cipolla tagliata grossa
* 1 pomodoro piccolo, pelato senza semi e tagliato grosso
* farina q.b.
* 1 cucchiaio e ½ d’uva senza semi
* 1 cucchiaio di semi di sesamo
* ¼ di tortilla, tagliata a tocchetti
* 1 spicchio d’aglio tagliato a tocchetti
* un pizzico di cannella
* un pizzico di chiodi di garofano
* un pizzico di semi di coriandolo
* un pizzico di semi di anice
* sale e pepe a piacere
* ¾ di tazza di brodo freddo di pollo
* 20 g di cioccolato non dolcificato o amaro di buona qualità,
sciolto nel forno a microonde
* 1 cucchiaino di semi di sesamo tostati
Lava il pollo e asciugalo con cura. Cospargilo di sale e pepe.
impana entrambe i lati con la farina. Riscalda burro e olio d’oliva
in una padella pesante, a temperatura superiore alla media, fino a
che non imbruniscono. Aggiungi i filetti di pollo e falli saltare
per 4 minuti, mantenendo il burro più caldo possibile senza farlo
bruciare. Gira i filetti e falli cuocere ancora per 3-4 minuti.
Mettili da parte la padella senza risciacquarla.
Prepara la salsa speziata mettendo i seguenti ingredienti in un
frullatore elettrico: mandorle, peperoncino rosso, cipolla,
pomodoro, chicchi d’uva, semi di sesamo, tortilla, aglio in
tocchetti, cannella, chiodi di garofano, coriandolo, anice, sale e
pepe. Frulla tutto ad alta velocità finché la miscela non diventa
una crema.
Prendi la padella nella quale è stato cotto il pollo e aggiungi un
cucchiaino di burro su fuoco moderato. Versaci la salsa speziata e
falla sobbollire, mescolando costantemente, per almeno 3 minuti.
Aggiungici la cioccolata fusa e il brodo di pollo. Cuoci senza
coperchio a fuoco basso, finché gli ingredienti non si sono
amalgamati e la salsa comincia a riscaldarsi. Aggiungi i filetti di
pollo caldi e fai sobbollire a bassa temperatura per circa 2-3
minuti, ricoprendo il pollo con la salsa.
Prima di servire, sistema i filetti di pollo su un vassoio e versaci
sopra la salsa. Spolverare la cima con i semi di sesamo tostati:
servi con risotto allo zafferano e limone e insalata di arancio alla
menta, finocchio e cipolla rossa
Insalata di arancio alla menta, finocchio e cipolla rossa
* 1 cipolla rossa
* 2 arance navel
* finocchio o 4-5 teste di indivia belga
* ½ cucchiaino di semi di coriandolo
* 1cucchiaino di succo d’arancia fresco
* 1 cucchiaio di aceto di vino rosso e 1 cucchiaio e ½ di olio
extravergine di oliva
* sale e pepe appena macinato
* foglie di menta fresca per guarnire
Lascia a bagno per 15 minuti una cipolla rossa (tagliata
trasversalmente in anelli molto sottili) in una scodella d’acqua
fredda. Falla sgocciolare e picchiettala fino ad asciugarla.
Sbuccia due arance navel, togli completamente la scorza e tagliale
in tocchetti. Pela e taglia trasversalmente a fette sottili un bulbo
di finocchio (circa 250 g). Il finocchio può essere sostituito con
quattro o cinque teste di indivia belga, tagliate fini
trasversalmente.
Metti ½ cucchiaino di semi di coriandolo in una padella asciutta e
bollente, tostali per circa 2 minuti, finché non diventano
croccanti. Riducili in polvere con un macinino o con il mortaio a
pestello.
Prepara un condimento mescolando il coriandolo, un cucchiaino di
succo d’arancia fresco, un cucchiaino di aceto di vino rosso, un
cucchiaio e mezzo di olio extravergine di oliva, sale e pepe appena
macinato.
Metti cipolla rossa, arancio e finocchio in una ciotola e
distribuisci il condimento sull’insalata. Guarnisci con foglie di
menta fresche.
DESSERT
Il famoso gastronomo francese Brillat-Savarin disse una volta:
“Dimmi cosa mangi e ti dirò che sei”. Il dessert è il frutto della
creatività tua e del tuo amante. Dopo esserti spogliato di ogni
consapevolezza, mischia una generosa manciata d’immaginazione e una
coraggiosa quantità d’inventiva.
Mescola dolcemente ed entra nel mondo dell’ineffabile, perché
l’ultima portata di questo menu amoroso è a un passo da te.
^^ TORNA SU ^^
I simboli dell’amore
Da sempre i simboli hanno costituito una forma di linguaggio senza
parole,che riesce ad esprimere concetti riconosciuti da tutti e
molti di essi si associano ai riti dell’amore.
Li citiamo in rigoroso ordine alfabetico:
-
Anello- è il più importante
simbolo di dedizione tra due innamorati, tra due sposi, dalla
fedina di fidanzamento per giovanissimi, alla fede nuziale che
rende tangibile il sacramento del matrimonio e la reciproca
promessa di fedeltà e di condivisione della vita, nella buona e
nella cattiva sorte. La sua forma circolare è continuità e vita
mentre simboleggia unione e completezza.
-
Colomba- sin dalla più remota
antichità ha simboleggiato amore e fedeltà e nello stesso tempo
la pace. Essa da sola o in coppia è legata alla raffigurazione
di Venere, dea della bellezza e del desiderio di raggiungerne
l’ideale. Incarna femminilità e maternità e due colombi che
tubano ci ricordano due innamorati teneramente abbracciati.
-
Cuore- da sempre ritenuto la
sede dei sentimenti, in contrapposizione alla testa dove è
collocata la razionalità. Il cuore è simbolo dell’amore, sia nel
contesto sacro che profano. Il cuore in fiamme è simbolo di
passione estrema ed è costantemente l’attributo della Venere
ritratta dai pittori rinascimentali. Spesso è rappresentato
trafitto da una freccia con la scritta esplicativa: “Omnia
vincit amor” (L’amore vince su tutto).
-
Cupido- nella mitologia greca e
romana è il Dio dell’amore ed è molto rappresentato in pittura.
A volte è raffigurato mentre intaglia l’arco da cui partiranno
le sue frecce fatali, a volte con una benda sugli occhi a
ricordarci che l’amore è cieco, ed incarna le forze più
impulsive e potenti dell’animo umano.
-
Diamante-la sua durezza
superiore a tutte le altre pietre raffigura la costanza e la
durevolezza di un rapporto, per cui è il pegno più prezioso che
un fidanzato può offrire alla sua promessa sposa. La sua
trasparenza permette alla luce di attraversarlo dando l’idea di
purezza e perfezione.
-
Nastri e merletti- nell’età
medioevale i cavalieri affrontavano la battaglia con un nastro
regalatogli dalla dama del cuore, come a lungo una donna faceva
cadere anche in chiesa, un fazzoletto ricamato per attirare su
di sé l’attenzione di un uomo e coinvolgerlo in un’avventura
sentimentale. La stessa parola deriva dal latino lacere che
significa sedurre.
-
Oro- è non solo prezioso, ma
anche sacro e luminoso, costituisce il materiale degli anelli
che si scambiano gli sposi all’atto del matrimonio. In passato
era associato al sole, simboleggiando vita immortale e luce
infinita. A lungo gli alchimisti hanno cercato di trasmutare in
oro un altro elemento alla ricerca non della ricchezza bensì
della verità dell’anima.
-
Perla- simboleggia purezza e
perfezione, un tempo si credeva che si formasse quando un
fulmine colpiva un’ostrica di cui erano note le proprietà
afrodisiache.
-
Rosa rossa- la prima rosa rossa
in mitologia ha assunto quel colore per il sangue di Adone,
quale pegno di amore per Afrodite. Da allora rappresenta
passione e desiderio. Nell’arte è l’emblema della Dea
dell’amore. L’anagramma di rose è Eros, Dio dell’amore. Alle
donne se ne offre una dal gambo lungo o a dozzine per chi può
permetterselo, oppure nel regalare un mazzo di rose, bisogna
rispettarne il numero dispari. E’ il classico regalo che si
offre a San Valentino, la festa degli innamorati.
^^ TORNA SU ^^
Il Dizionario della
Seduzione
La seduzione è il luogo di nascita di ogni amore travolgente. E’
l’arte più antica del mondo, l’unica in cui non esistono regole da
maestri, quella di cui tutti vorrebbero essere esperti, e
soprattutto vittime. Ma cadere nella rete seduttiva può essere
pericoloso: già i tragici greci mettevano in guardia dagli effetti
distruttivi della passione, mentre il razionalismo degli antichi
romani equiparava il seduttore a un “corruptor”. Perché farsi
sedurre significa lasciarsi condurre altrove, rinunciare alle
certezze del quotidiano, abbandonarsi all’ignoto. E’ qualcosa che
non riguarda esclusivamente l’attrazione fra due individui, ma
assume molteplici sembianze e opera in molti modi. E’ la stessa
fascinazione che soggioga lo scienziato nel suo laboratorio, o che
suscita nei viaggiatori il desiderio di esplorare nuovi orizzonti;
in essa va cercato il punto di partenza di ogni ricerca.
Ripercorreremo in queste pagine la storia di un mistero su cui
filosofi, poeti, romanzieri e psicologi si interrogano da secoli; e
lo faremo attraverso un dizionario che della seduzione restituisce
tutta la ricchezza e le contraddizioni, in un percorso che riunisce
Platone e Kierkegaard, Giordano Bruno e Goethe, Shakespeare e
D’Annunzio, Dino Buzzati e Baudelaire, Neruda e Proust, Jung e
Hiliman. Lungo questo cammino il lettore scoprirà che abbandonarsi
alla seduzione può essere la chiave della rinascita. Chi non si è
mai lasciato attraversare dalla corrente di Eros, infatti, ha
rinunciato all’incontro con la parte più profonda di se stesso.
Questa discesa nel regno misterioso e sotterraneo retto dal Kaos è
una tappa fondamentale del processo di individuazione: è necessario
accettare il rischio di perdersi e corrompersi per poter accogliere
il dono della rigenerazione.
-
Adorazione -…mi si presenti una donna
che sia abbastanza sincera da dirmi: sono una Pompadour, una
Lucrzia Borgia, e io l’adorerò.
Leopold von Sacher Masoch-Venere in pelliccia
-
Afrodisiaco - Cos’è un afrodisiaco?
Possiamo definire così qualsiasi sostanza che pungola il
desiderio amoroso. Alcuni funzionano in base a principi
scientifici, ma la maggior parte agisce grazie
all’immaginazione.
Isabelle Allende-Afrodita
-
Amante e moglie – La desideravo quale
moglie e amante. Ma è decisivo il modo con cui si avvicina per
la prima volta una donna.
Italo Svevo – La coscienza di Zeno
-
Amore – Nessuna donna può resistere
contro il dono dell’amore assoluto.
Herry Miller – Sexus
-
Amore e seduzione – Quanto meno si ama
una donna, tanto più le si piace, e tanto più sicuramente la si
rovina nelle reti della seduzione.
Aleksandar Puskin – Eugenio Onegin
-
Amore-Passione – In realtà non si era
mai innamorata. Aveva usato il linguaggio dello amore –
passione, cioè dello stato nascente, per rendere più piena ed
assaporare una esperienza che altrimenti sarebbe stata scipita.
Francesco Alberoni – Innamoramento e amore
-
Artista – Più l’uomo coltiva le arti,
meno fotte. Si ha un divorzio sempre più sensibile fra lo
spirito e il bruto. Soltanto il bruto fotte bene, e chiavare è
il lirismo del popolo. Chiavare è aspirare ad entrare in un
altro e l’artista non esce mai da se stesso.
Charles Baudelaire – Il mio cuore messo a nudo
-
Bacio – Lui subito la baciò sulla
bocca. Lei ci stava, con apparente piacere, infilandogli fra le
labbra la lingua, senza intemperanze oscene, anzi con un ritegno
quasi casto.
Dino Buzzati – Un amore
-
Bellezza – La signora Bovary non era
stata mai così bella; aveva quell’indefinibile bellezza che
nasce dalla gioia, dall’entusiasmo, dal successo.
Gustav Flaubert – La signora Bovary
-
Carne – E’ una cosa buona che una
ragazza abbia un po’ di carne nei punti giusti, ad un uomo piace
aver qualcosa da stringere e da palpare.
Nell Kimball – Memorie di una maitresse americana
-
Cedere – Io ho un bello schernirmi,
voi fiaccate ogni mia resistenza e con le vostre garbate
insistenze mi fate fare tutto quel che volete.
Moliere – Il borghese gentiluomo
-
Convenienze – Trovai in lei solo la
resistenza che una gentile donna oppone per rispettare le
convenienze.
Giacomo Casanova – Storia della mia vita
-
Coraggio e amore – Amante non sia chi
coraggioso non è.
Bernando Dovizi da Bibbiena – La Calandra
-
Credimi – Credimi non si deve
affrettare il piacere d’amare, ma stimolarlo a poco a poco con
gli indugi.
Ovidio – ARS Amandi
-
Cucina e sensualità – Tutto quello che
si cucina per un amante è sensuale, ma lo è molto di più se
entrambi partecipano alla preparazione e approfittano per
svestirsi a poco a poco con malizia, mentre si pelano cipolle e
si puliscono carciofi.
Isabelle Allende – Afrodita
-
Desiderio – Ogni seduzione dipende da
un desiderio. Per creare desiderio null’altro bisogna
desiderare.
Ugo Volli – Le figure del desiderio
-
Divorziare – Io: ”Ho divorziato dal
mio primo marito perché era pazzo”. Adrian:”Mi sembra un’ottima
ragione per sposare un uomo, non per divorziare da lui”.
Erica Jong – Paura di volare
-
Donna piacente – Perché una donna
piaccia agli uomini occorre che abbia una figura perfetta e
formosa.
Muhammad An-Nafzawi – Il giardino profumato
-
Donna spietata – La donna è spietata
con chi non le piace
Alexandre Dumas – La signora delle camelie
-
Donna tenera – Una donna tenera fa la
sua felicità e quella del suo innamorato.
Denis Diderot – I gioielli indiscreti
-
Egoismo – Ci si stanca a cacciare
sempre fiche nuove. Diventa meccanico. Il guaio è che non mi
innamoro mai.
Herry Miller – Tropico del cancro
-
Eros – L’eros è una forza
rivoluzionaria anche se limitata a due persone.
Francesco Alberoni – Innamoramento e amore
-
Gioia – Tra le cose create, nulla deve
essere considerato più gioioso dell’amore reciproco, senza amore
non c’è gioia.
Bonaventura da Bagnoregio – Itinerarium mentis deum
-
Gonna – L’universo, per lui, finiva
all’orlo di seta della sua gonna…
Gustav Flaubert – La signora Bovary
-
Melodioso – Strano, il suo non era
neanche un corpo perfetto, ma era melodioso e provocante.
Henry Miller – Nexus
-
Mistero - L'amore è come un quadro di
Magritte, ne cerchi il significato e dimentichi di contemplare
il mistero.
Elvira Brudetti - Lettera d'amore ad Achille
-
Moglie e amante – E’ noto che noi
uomini non cerchiamo nella moglie le qualità che adoriamo e
disprezziamo nell’amante.
Italo Svevo – La coscienza di Zeno
-
Occhi – E’ vero, ha gli occhi piccoli;
ma pieni di fuoco! Gli occhi più lucenti, più penetranti che
esistano; I più affascinanti occhi che si possono incontrare.
Moliere – Il borghese gentiluomo
-
Ossessione – La sua immagine non fa
che perseguitarmi! Quando sono sveglio e quando sogno mi riempie
l’anima.
Johann Wolfgang von Goethe – I dolori del giovane Werther
-
Perdizione – Dove trovare scampo? Tu
riempi il mondo, non posso fuggire che in te stesso.
Margherite Yourcenar – Fuochi
-
Perfetta a letto – Vi sono tre qualità
che rendono una donna perfetta a letto, grazia, varietà e
competenza.
Nell Kimball – Memorie di una maitresse americana
-
Pianto – Il pianto è il rifugio delle
donne brutte, ma la rovina delle graziose
Oscar Wilde – Aforismi
-
Puttana – Era ignorante e lussuriosa,
metteva nel lavoro il cuore e l’anima, era puttana dalla testa
ai piedi, e questa era la sua virtù
Henry Miller – Il tropico del cancro
-
Seduttori – I seduttori parlano, le
seduttrici cantano.
Ugo Volli – Le figure del desiderio
-
Seduzione – La seduzione si presenta
come la geometria più sovversiva che si possa applicare alle
emozioni
Malek Che bel – Il libro delle seduzioni
-
Seni – Avrei voluto poter baciare i
suoi seni, non osavo chiederglielo, pensando che avrebbe saputo
offrirmeli lei stessa
Raymond Radiguer – Il diavolo in corpo
-
Sesso – Il sesso non prospera nella
monotonia, senza sentimento, invenzioni, stati d’animo, non ci
sono sorprese a letto.
Anais Nin – Il delta di Venere
-
Tentazione – Il peccato originale fu
dunque per eccellenza peccato di immaginazione erotica
Franz von Baader – Filosofia erotica
-
Tentazioni – Si può resistere a tutto
salvo alle tentazioni.
Oscar Wilde – Aforismi
-
Uomo – La nostalgia del Paradiso è il
desiderio dell’uomo di non essere uomo.
Milan Kundera – L’insostenibile leggerezza dello essere
-
Venere – A Venere dea della bellezza
Ad Elvira bussola della mia vita
Achille della Ragione – Il seno nell’arte dall’antichità ai
nostri giorni (dedica)
^^ TORNA SU ^^
100 Aforismi sull’amore
-
Amor, ch’a nullo amato amar perdona
Mi prese del costui piacer si forte
Che come vedi, ancor non m’abbandona
Dante Alighieri
-
E’ difficile guarire da un amore durato a
lungo d’un sol colpo
Gaio Valerio Catullo
-
Se togli la lotta, l’amore non dura
Publio Ovidio Nasone
-
Per l’amore il corpo non è che un tramite
Karol Wojtyla
-
Ciò che Dio ha unito, l’uomo non separi
Matteo 19,6
-
Amare è gioire, ma crediamo di gioire solo se
siamo amati
Aristotele
-
Niente è difficile per chi ama
Marco Tullio Cicerone
-
Pretendere di essere amati è la più grande
delle presunzioni
Friedrich Nietzsche
-
Nella gelosia c’è più egoismo che amore
Francois de la Rochefoucauld
-
L’amore non possiede ne’ vuole essere
posseduto
Kahlil Gibran
-
L’amore vero è come l’apparizione dei
fantasmi: tutti ne parlano, ma pochi li hanno visti
Francois de la Rochefoucauld
-
Essere sposati non può essere una scusa per
non amare
Codice d’amore provenzale
-
Amata quanto amai la mia Lesbia
Nessuna donna davvero può dirsi al mondo
Ne’ mai fedele fu amante in un patto
Quanto me nell’amor che ti ho dato
Gaio Valerio Catullo
-
Amore è amare e saper farsi amare
Salvatore Cuffaro
-
Amore è desiderio di conoscenza
Cesare Pavese
-
Amare senza amaro non si può
Pietro Bembo
-
Se vuoi essere amato, ama
Lucio Anneo Seneca
-
La maggior parte della gente ritiene che
amore significhi essere amati, anziché amare
Erich Fromm
-
19. L’uomo è di fuoco, la donna di stoppa, il
diavolo arriva e soffia
Miguel de Cervantes
-
Quel che l’uomo vede, amor gli fa invisibile
e l’invisibil fa vedere amore
Ludovico Ariosto
-
L’amore nasce di nulla e muore di tutto
A.Karr
-
L’amore è il sogno di una stella
Giuseppe Bonomo
-
Amare vuol dire non dover mai dire mi
dispiace
Dal film: love story
-
L’amore trova il suo significato solo
nell’ora della separazione
G.P. Bona
-
“Vostra moglie è una rosa”, dicevano a un
poeta cieco. “Lo immaginavo dalle spine”, rispose
A. Karr
-
Meno si ama una donna, più si è sicuri di
possederla
Alexander Puskin
-
Che una donna conceda i suoi favori o che li
neghi, le fa sempre piacere che glieli si chieda
Ovidio
-
Se uno ti porta via la moglie, non c’è
peggior vendetta che lasciargliela
S. Guitry
-
L’amore è un castigo. Siamo puniti di non
aver saputo restar soli
Margherite Yourcenar
-
L’amore è la capacità di avvertire il simile
nel dissimile
T.W. Adorno
-
Gli uomini vorrebbero essere il primo amore
di una donna.
Questa è la loro sciocca vanità, a loro piace invece essere
l’ultimo amore di un uomo
Oscar Wilde
-
L’uomo è il capo famiglia, la donna il collo
che fa girare il capo
Proverbio cinese
-
La moglie ha una sua posizione segnata fra la
serva e l’amante, un po’ più della serva e un po’ più giù
dell’amante
G. Prezzolini
-
Perfido amore, a che non costringi il cuore
umano!
Virgilio
-
Anche l’Olimpo è deserto senza amore
H. von Kleis
-
Il matrimonio è l’unione di cattivi umori di
giorno e di cattivi odori di notte
Bertrand Russel
-
Quando l’amore vuol parlare, la ragione deve
tacere
J.F-Regnard
-
Tutti infondo amano il matrimonio, solo
quelli già sposati ne parlano male
N.Mahfuz
-
Per amor venne in furore e matto, d’uom che
si’ saggio era stimato prima
Ludovico Ariosto
-
Il colpo di fulmine è pigrizia
dell’intelligenza, un errore che non si è avuto il coraggio di
riconoscere al momento di commettere
Charles Baudelaire
-
Se il Creatore lascia qualche volta cadere
uno sguardo sulla Terra, egli deve posarlo sopra due amanti
K. Kraus
-
L’amore è il collante ideale che riunisce un
uomo con una donna
Achille della Ragione
-
L’amore vince su tutto
Virgilio
-
L’amore è il più terribile dei demoni
Gabriel Gargia Marquez
-
Se ami una persona, lasciala andare, se torna
da te è tua per sempre.
E se non lo fa, non lo è mai stata
Kahlil Gibran
-
Quando vai a pesca d’amore, usa per esca il
cuore, non il cervello
Mark Twain
-
Al tocco dell’amore ognuno diventa poeta
Platone
-
L’amore è una tortura reciproca
Marcel Proust
-
Il sesso senza amore è un’esperienza vuota e
priva di significato, ma tra le esperienze vuote è una delle
migliori
Woody Allen
-
L’amore ha le sue ragioni che la ragione non
conosce
Blaise Pascal
-
Quando l’amore non è follia, non è amore
Calderon de la Barca
-
Amare non è soltanto guardarsi l’un l’altro,
è guardare nella stessa direzione
Antoine de Saint-Exupery
-
Chiunque ami, ama a prima vista
William Shakespeare
-
L’amore è solo uno sporco trucco ai
nostri danni per perpetuare la specie
Somerset Maugham
-
L’amore è una sorta di guerra, senza incarico
alcuno per i codardi
Ovidio
-
L’amore non guarda con gli occhi, ma con la
mente. Perciò l’alato Cupido è cieco
William Shakespeare
-
L’incontro di due personalità è come il
contatto di due sostanze chimiche.
Se si verifica una reazione, entrambe vengono trasformate
Carl Gustav June
-
Quando l’amore colpisce, i nostri corpi sono
veri e propri campi di battaglia e i nostri sensi sono in
allarme rosso
Diana Issidorides
-
Amare non significa rinunciare alla propria
libertà, bensì darle un senso
Achille della Ragione
-
La cosa più difficile da trovare nei legami
amorosi è l’amore
F. de la Rochefoucauld
-
Amore, croce e delizia del genere umano
Catullo
-
Nella solitudine cresce la bestia interiore
Frederik Nietzsche
-
Sono nato quando lei mi ha baciato. Sono
morto quando mi ha lasciato,
ho vissuto le poche Settimane in cui mi ha amato
Dal film “il diritto di uccidere”
-
L’amore ha tre ingredienti fondamentali:
intimità, passione e dedizione
Diana Issidorides
-
Va’ dove ti porta il cuore
Susanna Tamaro
-
Le tue parole sono il mio cibo, il tuo
respiro, il mio vino. Tu sei tutto per me
Sarah Bernhardt
-
Amare è contenere il mondo in un granello di
sabbia,
l’infinito nel palmo della mano,l’eternità in un’ora
William Blake
-
L’amore ti risveglia dentro anche l’anima,
questo è il vero amore
Pasquale Gissi
-
Il matrimonio è l’anticamera del divorzio
Roberto Gervaso
-
Non essere amati è solo sfortuna, ma non
amare è sventura
Albert Ciamus
-
Amore: amabile follia
Sebastien Roch Nicolas de Chamfort
-
Il solo tempio veramente sacro è il mondo
degli uomini uniti nell’amore
Lev/nikolaevic Tolstoi
-
Nacqui a legami d’amore, non d’odio
Sofocle
-
La cosa più importante è non pensare troppo e
amare molto.
Per questo motivo fate ciò che più vi spinge ad amare
Santa Teresa d’Avilia
-
Il vero amore è come un faro che
illumina il buio della nostra anima
Achille della Ragione
-
Chi po dir com’egli arde è in picciol foco
Francesco Petrarca
-
Due cose belle ha il mondo: amore e morte
Giacomo Leopardi
-
Odio e amo, forse mi chiederai perché; non lo
so, ma sento che è così, e sto in croce
Gaio Valerio Catullo
-
L’amore è un lusso
Honorè de Balzac
-
Ama e fa’ ciò che vuoi
Sant’Agostino
-
Di una donna mi attirano più i vizi che le
virtù
Roberto Gervaso
-
Per l’amore della rosa, si sopportano anche
le spine
Proverbio turco
-
L’amore è eterno finché dura
Henrì de Regnier
-
Non si può scherzare con l’amore
Alfred de Musset
-
A ogni donna corrisponde un seduttore; la sua
felicità sta nell’incontrarlo
Soren Kierkegaard
-
Si ama soltanto ciò che non si possiede per
intero
Marcel Proust
-
L’amore non possiede ne’ vuole essere
posseduto
Kahlil Gibran
-
L’innamorato ha sempre paura
Codice d’amore provenzale
-
Amare una bella ragazza tutti ne sono capaci
Dino Campana
-
Nubi su nubi si addensano e si fa buio.
Amore mio, perché mi lasci tutto solo sulla porta ad aspettarti
Rabindranath Tagore
-
Capisci che l’amore è finito
quando hai detto che saresti arrivato per le sette e arrivi alle
nove,
e lui o lei non hanno ancora chiamato la polizia…..allora
l’amore è finito
Marlene Dietrich
-
L’amore è lo sforzo che l’uomo fa per
accontentarsi di una sola donna
Paul Lefevre Geraldy
-
L’amore non può coesistere con il timore
Lucio Anneo Seneca
-
Senza l’amore di sè non è possibile neppure
l’amore per gli altri
Hermann Hesse
-
Oh, che fatica mi costa amarti, come ti amo!
Per il tuo amore mi duole l’aria, il cuore e il cappello
Federico Garcia Lorca
-
E prende Amore in gentilezza loco così
propriamente come clarore in clarità di foco
Guido Guinizzelli
-
Se vuoi essere amato, ama
Lucio Anneo Seneca
-
Bisogna trovare dentro se stessi quel
formidabile strumento di verità che gli uomini hanno chiamato
Amore, ancor prima di Logos, Dio, Natura
Giuseppe Bonomo
-
La lontananza fa all’amore quello che il
vento fa al fuoco: spegne il piccolo e scatena il grande
Roger de Bussy-Rabutin
-
I briganti ti chiedono la borsa o la vita: le
donne le vogliono tutte e due
Samuel Butler
-
La differenza tra una puttana ed una moglie è
che l’una si fa pagare prima, l’altra dopo
Achille della Ragione
-
Per l’uomo l’amore è parte della vita, per la
donna è tutta l’esistenza
Gorge Gordon Byron
^^ TORNA SU ^^
Aforismi
sulla omosessualità
Per migliaia di anni in tutto il mondo uomini e donne hanno desiderato l’intimità fisica ed emotiva con persone dello stesso sesso. La loro storia per secoli dimenticata, cancellata, ignorata o riscritta, è diventata di recente il centro di una straordinaria fioritura di ricerche. Partendo dall’antica Grecia e da Roma, fino alle attuali rivendicazioni delle comunità gay, rivelando nelle diverse culture l’incredibile varietà di rapporti fra persone dello stesso sesso lungo la storia dell’umanità e ovunque nel mondo, questi aforismi ci fanno meditare sorridendo.
La donna non si metterà un indumento da uomo né l'uomo indosserà una veste da
donna,
perché chiunque fa tali cose é in abominio al Signore tuo Dio.
Deuteromonio, Antico Testamento, VI-V sec. a.e.c.
Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro.
Levitico, Antico Testamento, VI-V sec. a.e.c.
I nostri cittadini non dovevano essere peggiori degli uccelli e di molti altri animali, i quali, generati in grandi frotte, sino dall’età della procreazione, non ancora accoppiati vivono casti e puri e quando giungono all’età giusta, il maschio si accoppia con la femmina che più gli è gradita, e la femmina con il maschio, e vivono tutto il resto del tempo nella santità e nel rispetto della giustizia, mantenendo stabili i primi accordi del loro amore: bisogna che i nostri cittadini siano appunto migliori delle bestie.
Platone, Leggi, IV sec. a.C.
Le relazioni carnali fra maschi, con femmine sterili, i coiti dal di dietro e le unioni incomplete androgine devono essere evitate tutte; e piuttosto ci si dovrebbe sottomettere alla natura.
Clemente Alessandrino, pedagogo, II secolo
Il modo popolare di vedere l’istinto sessuale è meravigliosamente rappresentato nella poetica leggenda che racconta della divisione degli esseri umani originari in due metà l’uomo e la donna e come queste tendessero sempre a riunirsi nell’amore. Ecco perché ci desta grande stupore venire a sapere che ci sono degli uomini il cui soggetto sessuale è un uomo, non una donna, e delle donne il cui soggetto sessuale è ancora un’altra donna, e non un uomo.
Sigmund Freud, Tre saggi sulla teoria sessuale, 1905.
Non sempre la misoginia é indizio di spirito critico e d’intelligenza. Talvolta è solo frutto di omosessualità.
Marcel Proust, All’ombra delle fanciulle in fiore, 1919
La natura è omosessuale, la cultura organizza la sopravvivenza dell’umanità.
Dominique Fernandez, Il ratto di Ganimede, 1989
Non ricordo se la mia esperienza fu omosessuale o eterosessuale: sono stato sempre troppo educato per fare domande.
Gore Vidal, Intervista a David Frost, 1971
L’amore non osa pronunciare il suo nome.
Alfred Douglas, Due amori, 1892
Ciò che l’omosessualità ama come suo amante, sua patria, sua creazione, sua terra, non è il suo amante è l’omosessualità.
Marguerite Duras, La vita materiale, 1987
Non esiste probabilmente eterosessuale sensibile a questo mondo che non si sia preoccupato della sua omosessualità latente.
Norman Mailer, Pubblicità per me stesso, 1959
Fintanto che l’omosessualità resterà repressa, quello omosessuale sarà un problema riguardante tutti, dal momento che il desiderio gay è presente in ogni essere umano, è congenito, anche se attualmente, nella maggiore parte dei casi, viene rimosso o quasi rimosso.
Mario Mieli, Elementi di critica omosessuale, 1977
L’omosessualità è una malattia, come lo stupro degli infanti o voler diventare capo della General Motors.
Elridge Cleaver, Soul on ice, 1968
Non ho mai capito come si possa andare a letto con una donna. E’ così noioso, noioso, noioso!
Truman Capote
Non c’erano anormali quando l’omosessualità era la norma.
Marcel Proust, Sodoma e Gomorra, 1921/22
Essere gay non è soltanto preferire persone del proprio sesso, E’(e dovrebbe continuare ad essere) tenersi al margine della massa dei propri simili, pensare e agire in modo diverso, apportare nel consenso sociale un fermento di discordia e di rivolta.
Dominique Fernandez, su Le Monde, 2009
L’omosessualità per la classe povera non è un vizio ma un modo per accedere alle classi superiori.
Ennio Flaiano, Frasario essenziale per passare inosservati in società, 1969
- L’omosessualità è la soluzione più realistica al problema della sovrappopolazione mondiale.
Irving Rosenthal, Sheeper, 1967
-
L’omosessualità è un dono del cielo se la si vive senza abbagli e se si investe la sua passionalità nella solitudine. E’ la sublimazione empirica del nulla fine a se stesso, l’eterosessualità la sublimazione astratta del nulla a procedere.
Aldo Busi, Sodomie in corpo 11, 1988
-
Se dell’omosessualità ciò che inorridisce soprattutto l’homo normalis, poliziotto del sistema etero capitalistico, è di prenderlo in culo, ciò dimostra che uno tra i nostri piaceri più deliziosi, il coito anale, ha in sé una notevole dirompenza rivoluzionaria.
Mario Mieli, Elementi di critica omosessuale, 1977
-
Non c’è niente di male ad andare a letto con qualcuno del tuo stesso sesso. La gente dovrebbe essere molto libera nella propria sessualità. Dovrebbe tracciare un confine davanti alle capre.
Elton John
-
L’omosessualità è sempre esistita ed esisterà sempre, consiste di amore e di vizio, di eros e di moda, di piacere e di colpa, di profondità e di futilità, tanto quanto le altre pulsioni dell’animo e dei corpo. Si può diffidarne, si può criticarla, ma solo una violenta impaurita torsione dello sguardo sulle persone, sulla vita, sull’eros, può arrivare addirittura a scacciare l’amore omosessuale dalla “natura umana”.
Michele Serra, la Repubblica, 2007
-
E’ imbarazzante vedere come il Catechismo della Chiesa Cattolica, nella sezione riservata ai grandi peccati contro la castità, affianchi con distinzioni appena percepibili pratiche così differenti come, fra le altre, gli atti omosessuali e lo stupro. Dunque un omosessuale che ha relazioni affettive e sane dovrà bruciare all’inferno come uno stupratore che scarica i propri ormoni sulla prima innocente che passa per strada?
Melissa P., In nome dell’amore, 2006
-
L’omosessualità è un esagerato omaggio al proprio sesso.
Roberto Gervaso, Il grillo parlante, 1983
-
L’omosessualità è la nuova legione straniera.
Florence King
-
Solo un cretino può dire di non amare il tabacco e i ragazzi.
Christopher Marlowe
-
Mi è sempre sembrata un po’ inutile la disapprovazione dell’omosessualità. E’ come disapprovare la pioggia
Francis Maude
-
La vita sarebbe stata senz’altro migliore in un mondo dove il sesso venisse considerato come qualcosa di naturale e di non spaventoso, e gli uomini potessero amare gli uomini naturalmente, secondo la loro inclinazione, proprio con la stessa naturalezza con cui amano le donne.
Gore Vidal, La statua di sale, 1948/65
-
Si può sperare che l’omofobia diventi questo: un repertorio di innocui stereotipi che pochi imbecilli prendono sul serio, mentre tutti gli altri ci giocano. L’omosessualità è semplicemente qualcosa che sta in tutti noi da sempre.
Tommaso Giartosio, Perché non possiamo non dirci, 2004
“Nulla si crea e nulla si distrugge” è uno dei paradigmi della
scienza e anche il nostro corpo dopo la morte, disintegrandosi,
ritorna alla terra e restituisce le sostanze della sua materialità.
Ma le nostre passioni, la felicità, gli smarrimenti, i desideri, gli
affetti, non vogliamo dire la nostra anima, dove finiscono? Se nulla
si distrugge se la nostra misera carcassa continua ad esistere
trasformandosi, perché ciò che a noi continua a sembrare immateriale
dovrebbe scomparire? Sono pensieri che ci danno l’idea della nostra miseria e della
nostra nobiltà: sperduti nell’infinita immensità degli spazi,
destinati a vivere un lampo nei confronti dell’eternità, non
riusciamo a credere che la nostra coscienza si sia accesa per caso,
a contemplare un universo ostile o quanto meno indifferente al
nostro destino. L’amore è una forma di energia che si può misurare? Ha un suo DNA
immateriale che viaggia nel tempo e nello spazio, rimanendo nel
cosmo anche dopo che i corpi che hanno vissuto la passione si sono
disintegrati, come permane perenne la luce di stelle ormai estinte
da milioni di anni luce e che noi continuiamo a vedere? Vi é un posto dove vivono in eterno Paolo e Francesca o Giulietta e
Romeo, che non siano le pagine di Dante o di Shakespeare e dove vi
potrebbe essere spazio anche per il nostro piccolo, Grande Amore?
L’amore é bello e buono, ma le altre passioni come l’odio, che ci
avvelena l’esistenza diventerebbero anche loro spazzatura celeste ed
in futuro ci si troverà davanti ad un altro mare di rifiuti tossici
da smaltire, come oggi sul nostro disastrato pianeta? Tutti noi abbiamo cognizione di cosa sia il bene e di cosa
rappresenti il male nella vita di ogni giorno; pochi si pongono il
problema se il male si annidi nell’universo dal momento della
creazione e sia in eterna lotta col principio contrario. Mentre un intelligente architetto, che tutte le religioni indicano
come Dio, creava le rose, un suo avversario gli poneva accanto le
spine; mentre nel cielo svolazzavano nugoli di variopinte farfalle,
nello stesso tempo nascevano virus e batteri. A mio parere bene e
male sono collegati all’ordine ed al disordine che regnano
nell’universo. Basta lo spostamento di un solo aminoacido, tra le centinaia che
compongono una proteina, come la mioglobina, presente in numerose
specie animali, per creare una grave malattia, come pure il tanto
decantato libero arbitrio, è influenzato da una tale quantità di
fattori, dall’equilibrio ormonale e psichico alla casualità degli
avvenimenti, da costituire una pura chimera. Il bene ed il male si fronteggiano ad armi pari e non esistono solo
come categorie del pensiero umano, destinate a destreggiarsi tra il
caso e la necessità. Noi viviamo nel mistero: non sappiamo da dove veniamo e dove
andiamo, il perché della nostra esistenza; ma la scintilla che si è
accesa nel nostro cervello ci permette di confrontarci con
l’universo e nessuno può toglierci l’illusione che il grande amore
che abbiamo provato possa vivere in eterno, sarà un sogno malizioso,
ma nessuno potrà impedire di crederci o quanto meno di sperarci.
La prefazione è quella cosa che si pone
all’inizio del libro, si scrive alla fine e non si legge né all’inizio né
alla fine; la postfazione, viceversa, serve, assieme ad introduzione e
presentazione, a fornire ad illustri personaggi la possibilità di attrarre i
lettori con il loro nome.
Nel nostro caso, ne abbiamo volentieri fatto a meno, certi della bontà del
libro, per il cui nome abbiamo scelto due tra le parole più cliccate su
internet: Amore e Bibbia. L’altra, più prosaica, è Sesso ed il blog, su cui
è pubblicato, da mesi, viaggia ad oltre 1000 visitatori al giorno. Abbiamo
cercato subito un abile traduttore per l’edizione in inglese ed i primi
contattati, professionisti del settore, ci hanno fatto presente la
difficoltà di rendere in una lingua diversa le espressioni forbite che
rendono, a nostro parere, il libro accattivante.
Quello del traduttore è un mestiere solitario e, spesso, malversato. Ma è
anche uno dei lavori più belli che esistano: scolpire la lingua, plasmarla,
inventare parole che restituiscano suoni, immagini e sapori, affrontare gli
inganni delle grammatiche e trovare la strada per uscire dai labirinti
costruiti dagli autori.
E poi tradurre è tremendamente sexy: un atto di seduzione in due atti,
l’innamoramento per il testo e l’opera stessa del tradurre. Aveva ragione
Gesualdo Bufalino quando diceva: «Il traduttore è, con evidenza, l’unico
autentico lettore di un testo. Certo più d’ogni critico, forse più dello
stesso autore. Poiché d’un testo il critico è solamente il corteggiatore
volante, l’autore il padre e marito, mentre il traduttore è l’amante».
Vogliamo concludere con altre considerazioni sulla natura dell’amore e sul
significato della vita dell’uomo.
L’esigenza di credere nel destino o in una divinità che sovrintende al
nostro futuro, si perde nella notte dei tempi.
Il pilastro che illumina il passaggio terreno dell’umanità è l’amore che
alimenta i desideri, scatena il furore delle passioni e la dolce tenerezza
degli affetti.
Il signore degli dei non è lo Zeus dell’Olimpo, né Brahma, né Iside, né
Allah, bensì Eros e la sua infinita potenza che coincide con la vita in
tutte le sue forme. Non è una divinità e non trascende la vita perché la
compenetra. Ama ed infonde amore. Molteplici sono le sue creature, da
Afrodite a Narciso, e perfino Lucifero, l’angelo ribelle, è una delle sue
infinite manifestazioni.
Eros ci infonde la forza per sopravvivere: l’amore per un simile, un corpo
da possedere, il fascino della seduzione, la vanagloria del comando, la
malinconia dell’abbandono.
E l’addio alla vita, estremo atto d’amore, con Eros che ci chiude gli occhi
e ci lascia soltanto dopo l’ultimo respiro.
|