Cap.25
L’ultima regina di Napoli
Mirella Barracco
La sua preziosa opera per Napoli ed il suo amore verso la città è
talmente smisurato da porla su di un piedistallo idealmente più alto
di tutti gli altri napoletani da ricordare.
La baronessa Barracco, l’ultima vera regina di Napoli, negli anni
Novanta con l’iniziativa, patrocinata dalla sua fondazione Napoli
’99, di Monumenti Porte Aperte ha fornito alla nostra città uno
scossone culturale prodigioso e necessario. Da allora tutti i
napoletani, riappropriandosi dei monumenti negati della propria
città, hanno riacquistato una «memoria storica» del proprio glorioso
passato senza la quale una civiltà è destinata lentamente a decadere
e a scomparire.
L’eredità culturale ed artistica ha sempre rappresentato per la
Napoli il motivo più forte di attrazione turistica e di studio, il
suggello più inconfondibile di una straordinaria dimensione storica.
Una città d’arte deve però essere conosciuta principalmente dai suoi
abitanti, i quali devono vivere quei monumenti e quei palazzi
storici che conservano intatti i segni vitali della sua storia e
della sua civiltà.
L’iniziativa, fortemente voluta dalla dottoressa Barracco, ha
perseguito questo obiettivo, che è stato ampiamente realizzato ed in
tal modo si sono potute intravedere con chiarezza le grandi
possibilità di sviluppo che la città di Napoli potrà avere grazie
alla sua cultura, al suo patrimonio storico-artistico ed alla sua
straordinaria ricchezza monumentale.
Mirella creò nel 1984 la sua fondazione Napoli ’99, data carismatica
ispirata alla rivoluzione napoletana, che tra le sue precipue
finalità aveva la conoscenza della città per una maggiore
salvaguardia della stessa e preconizzava l’importanza della scuola
nella tutela del patrimonio culturale. Il primo convegno che
organizzò la fondazione aveva un titolo emblematico «Il futuro del
passato di Napoli».
Dopo molteplici iniziative sia culturali che mondane, di cui
parleremo più avanti, la fondazione ha raggiunto il massimo della
notorietà e della benemerenza da quando è cominciata l’operazione
culturale di «Monumenti Porte Aperte». Tale iniziativa rappresentò
un complesso esperimento, per la prima volta tentato in Italia, su
ispirazione della famosa giornata «Portes Ouvertes sur les monuments
historiques» ideata in Francia nel 1984 dal dinamico ministro della
Cultura Jack Long. Essa ha usufruito negli anni successivi di uno
straordinario successo di pubblico su tutto il territorio nazionale,
permettendo a milioni di cittadini di visitare e riscoprire 9000
monumenti pubblici e privati tra cui la Banca di Francia, l’Eliseo,
il Senato, l’Assemblea Nazionale, ma anche stazioni, industrie,
music hall ecc.
In una recente guida alle piazze ed ai monumenti napoletani si può
leggere quanto sia difficile entrare in certe chiese, oratori, o
palazzi di notevole interesse; o perché sono sempre chiusi, o perché
il custode è irreperibile ancorché lo si conosca, o perché per
alcune chiese c’è solo il tempo per una frettolosa messa di mezz’ora
la domenica, dopodiché prete e sacrestano se ne vanno per i fatti
loro e beato chi li trova. È un peccato perché si perde la visione
di molte opere d’arte ed alcune di notevolissimo valore ed
interesse. Gli unici che se la possono godere, incontrastati, sono i
ragni ed i topi.
Napoli per due giorni, come per miracolo diveniva una città
accessibile grazie alla partecipazione ed alla collaborazione di
tutte le istituzioni che aprivano le porte ad oltre 200 monumenti,
la metà dei quali normalmente non visitabili per restauri, per
abbandono o per mancanza di custodia.
La prima edizione vede oltre 100.000 cittadini varcare le porte
finalmente aperte di monumenti chiuse da decenni.
La partecipazione dei cittadini è entusiastica e molti rinvengono
per la prima volta nelle testimonianze di storia e d’arte della
città i segni sicuri della propria identità culturale.
Vengono ripercorsi itinerari tradizionalmente poco noti o riservati
a studiosi d’arte o a rari turisti stranieri.
Le strade del centro di Napoli con i suoi decumani ed i suoi cardini
antichissimi si popolano come per incanto di strani personaggi,
mischiati alla plebe che normalmente anima i vicoli: signore
elegantissime e profumate e signori in giacca e cravatta che
sfogliano avidamente libri di arte, oltre all’immancabile e
preziosissima guida stampata ad ogni edizione dal benemerito «Il
Mattino» patrocinatore dell’iniziativa. Nelle edizioni successive è
l’intera cittadinanza, con punte di 1.000.000 di visitatori nel 1994
a partecipare in massa ad un evento la cui rilevanza non è solo
culturale, ma impronta fortemente anche aspetti civili e sociali del
centro storico napoletano.
Le conseguenze di un tale successo di pubblico hanno portato alla
riapertura di oltre 50 chiese napoletane, alcune di grande
importanza, le quali normalmente chiuse hanno riaperto i battenti
con del personale formato e qualificato a tale scopo.
Le varie edizioni di «Monumenti Porte Aperte» oltre a promuovere
l’amore e la conoscenza della città con i suoi spazi monumentali
hanno anche suggerito alle istituzioni un’ipotesi di grande
attualità sociale, cioè la possibilità che un patrimonio artistico
così inesauribile possa costituire una risorsa economica di valore
inestimabile e possa trasformarsi nel volano di un moderno progetto
turistico, che cambi il volto ed il futuro della città.
A tale scopo alcune edizioni avevano previsto, a fianco degli
itinerari monumentali, la possibilità di visitare gli ateliers degli
artisti (pittori, scultori, fotografi ecc.) e le botteghe degli
artigiani, che con il loro lavoro rappresentano una componente
fondamentale della produzione culturale. Una volta emersa la città
d’arte è necessario far emergere una realtà culturale ancora più
sommersa di quella monumentale: l’artigianato artistico che, se
opportunamente incoraggiato, tanto fiato potrebbe fornire alla
dissestata economia napoletana.
Una fetta importante della tradizione artistica napoletana è legata
alle botteghe degli artigiani, alle loro creazioni spesso uniche ed
originali. Essi rappresentano il cuore di una tradizione con i suoi
segreti che si tramandano di generazione in generazione.
Napoli è ricca di laboratori con gloriose tradizioni culturali: dal
mitico ospedale delle bambole di via San Biagio dei Librai alle
tante botteghe di corniciai, librai, tappezzieri, rilegatori,
tipografi e creatori di pastori e di presepi, tutti testimoni di
attività plurisecolari.
Dopo essere stata una manifestazione prevalentemente dei napoletani
nelle ultime edizioni si è visto che una grossa fetta di coloro che
affollano chiese e palazzi, biblioteche e musei proviene
dall’immenso hinterland cittadino. Persone civilissime che si
accostano alle opere d’arte con avidità di conoscere e con rispetto
reverenziale, segno evidente che la diseredata periferia non è una
terra popolata da diavoli, come raccontano alcuni viaggiatori del
Settecento, parlando della plebe napoletana, bensì da gente che
sente il bisogno di accostarsi alle «meraviglie» della capitale.
Napoli ritorna dunque ad essere capitale nel senso proprio che nel
passato le era riconosciuta dai «regnicoli», come somma dei valori
di arte e di storia di cui essa è pregia.
Queste grandiose manifestazioni hanno permesso sull’onda del loro
successo il restauro di molti monumenti d’arte ma è auspicabile che
a ciò venga affiancato il recupero del piccolo edificio adiacente
spesso sgarrupato. Ciò permetterebbe di migliorare la vivibilità del
centro storico che a Napoli, città fittamente abitata da secoli, ha
una delle maggiori estensioni del mondo.
Il turismo e con esso l’economia cittadina potrebbe avere un enorme
impulso.
Venezia ha soltanto 70 mila residenti e di essa si occupa il mondo
intero, Napoli nella sua area più antica ospita oltre 500.000
abitanti, in gran parte giovani che possono costituire una molla
energica per la ripresa dell’economia cittadina. Napoli può farcela
a risorgere e le folle entusiaste che l’hanno percorsa in lungo ed
in largo lo dimostrano.
Dopo aver conosciuto la sua opera più importante cercheremo ora di
conoscere un po’ più da vicino questo personaggio così vulcanico ed
affascinante.
Mirella Stampa nasce a Napoli nel 1942 in una famiglia della buona
borghesia napoletana e dimostra sin dagli anni del liceo dei
notevoli interessi intellettuali.
Raccogliendo le confidenze di chi a Napoli la conosce dai tempi in
cui frequentava il «Suor Orsola Benincasa» si ha l’immagine di una
ragazza riservata e presa più dalla partecipazione a conferenze e
dibattiti che dalle feste da ballo, sempre attenta alle tematiche
sociali che si dibattevano ai suoi tempi, senza mai accedere o
travalicare nel femminismo allora tanto di moda.
Il suo abbigliamento privilegiava le gonne a pieghe ed i mocassini a
tacco basso, più che gli abiti all’ultima moda.
Una grossa ammirazione verso le figure di quelle donne che con il
loro impegno culturale avevano profondamente inciso sulla nuova
identità femminile nella società e una predilezione particolare per
Virginia Woolf, argomento della sua tesi di laurea in letteratura
inglese, seguita da una raccolta di saggi sullo stream of
consciousness pubblicata dall’editore Liguori.
Dopo la laurea, specializzatasi in inglese, Mirella ha insegnato per
vari anni presso l’Università di Reading in Inghilterra e poi presso
il City College dell’Università di New York. Tornata a Napoli ha
insegnato per vari anni nella scuola prima di divenire ricercatrice
presso la facoltà di lettere dell’Università.
Nel 1970 il matrimonio con Maurizio Barracco, rampollo di una delle
più famose e ricche famiglie napoletane; la festa nuziale a Villa
Emma a Posillipo fu da favola e a Napoli ne parlano ancora.
Gli impegni familiari, aumentati con la nascita di due figlie, che
ogni mattina la baronessa accompagnava personalmente a scuola,
l’organizzazione di una dimora sterminata come Villa Emma, pur con
l’aiuto di una efficiente servitù, aggiunti agli impegni
universitari che avrebbero soddisfatto ampiamente qualsiasi donna,
ma non la terribile Mirella, che, vuole fare sempre qualcosa di più,
confrontarsi con orizzonti più ampi e soprattutto fare qualcosa di
tangibile per migliorare il futuro di Napoli.
Sa di avere dinanzi un compito estremamente arduo, ma è sicura di
riuscire nell’impresa anche se con pochi mezzi a disposizione. Si
definisce un «boy-scout col temperino che si caccia in testa l’idea
di dissodare la foresta vergine che è Napoli»; foresta vergine come
chiamò La Capria nel suo libro «Ferito a morte».
Napoli ’99 nasce nel 1984 come fondazione con capitale privato,
riconosciuta dal Presidente della Repubblica, e riesce a vivere ed a
sviluppare le sue lodevoli iniziative grazie all’aiuto di amici
sostenitori, personaggi importanti dell’economia e della cultura.
Per i progetti speciali la Fondazione si attiva per trovare
finanziamenti tra gli sponsor privati, quasi sempre grossi enti,
banche o aziende a partecipazione statale ed in tal modo risveglia
energie e risorse economiche sui beni culturali così densamente
presenti a Napoli.
Le prime iniziative tangibili, oltre all’organizzazione di convegni
e dibattiti sul «caso Napoli» sono il restauro del grande plastico
di Pompei, quello del Toro Farnese a cui segue dopo poco il recupero
di tutta la collezione Farnese, fino all’importante restauro del
superbo Arco di Trionfo sito all’ingresso del Maschio Angioino e
simboleggiante il trionfo e la sovranità di Alfonso di Aragona sulla
città di Napoli.
Questo Arco aveva subito l’affronto di una mano folle che con della
vernice lo aveva deturpato. Un gesto disperato da parte di un
disgraziato che oltre alla ragione aveva smarrito completamente la
memoria storica della sua città e delle sue tradizioni culturali
imbrattando con la sua disperazione un documento eccezionale in cui
si sviluppano varie influenze culturali da quella
fiammingo-borgognona a quella iberico-dalmata, a quella toscana
culminando in una testimonianza storico-artistico di carattere
prettamente mediterraneo di altissimo livello.
Napoli ’99 ha avuto come membri del suo comitato scientifico nomi di
prestigio internazionale da Fernand Braudel a Jacques Le Goff; da
Francis Haskell, a Gore Vidal, da Denis Mack Smith a Percy Allum.
Tra i soci promotori personaggi come Anna Maria Cicogna e Barbara
Berlingieri, Marella Agnelli e Bona Borromeo. Tra i finanziatori
sponsor del calibro di Orazio Bagnasco, Cesare Romiti e Mario
Valentino, oltre ad un numero imprecisato di amici sostenitori della
fondazione.
Ed a tenere le fila di questa complessa organizzazione l’ultima
regina di Napoli, Mirella «la terribile», instancabile nel passare
con grande disinvoltura da una conversazione mondana con uno storico
degli «Annales» ad un incontro con un finanziere.
La nascita di Napoli ’99 oltre a costituire un evento di
fondamentale importanza sotto il profilo culturale è stata anche
l’occasione per un eccezionale avvenimento mondano che ha avuto come
cornice la splendida Villa in cui Mirella vive con il marito
Maurizio.
Ed è opportuno e doveroso spendere ora qualche parola per parlare
del barone Barracco consorte di Mirella che è stato sempre vicino
alla moglie in tutte le sue iniziative e l’ha sostenuta col
prestigio del suo nome che rappresenta un passaporto-passpartou per
accedere a qualunque personaggio di statura internazionale.
Maurizio nasce a Napoli nel 1943 dal padre Alfonso detto «Fofò»,
brillante uomo di mondo e viaggiatore instancabile e da Gabj
Robilant conosciuta a Parigi, donna bella e ricchissima intima di
Coco Chanel e di tanti altri personaggi del jet set internazionale.
La sua vita trascorre densa di impegni tra feste mondane e anni di
studio molto intenso. Consegue tre lauree, tra cui il prestigioso
«Master in business administration» a New York nel 1970. Una
carriera rapidissima e a 27 anni è già amministratore delegato della
«Veedal lubrificanti» una ditta dell’impero di Paul Getty di cui è
amico oltre che vicino di casa, quando il grande vecchio prende
alloggio nella sua mitica villa sull’isolotto della Gaiola a
Posillipo.
Dal 1984 Maurizio, industriale, manager e presidente della SAEL
ditta leader che si interessa di gomma e ceramica, è uno dei 7
consiglieri di amministrazione dell’Editoriale Corriere della Sera e
siede anche nella stanza dei bottoni della sede napoletana della
Banca d’Italia, presiede inoltre l’Arin, una rogna più che
un’onorificenza.
Maurizio è l’ultimo erede di una prestigiosa famiglia che nei primi
decenni dell’Ottocento possedeva un territorio sterminato che
scendeva dalle montagne della Sila fino al mare. Oltre 30.000
ettari, il più esteso latifondo d’Italia. Terreni a grano, a
pascolo, a bosco, a frutteto oltre a vigneti ed aranceti a perdita
d’occhio. Una regione intera con villaggi, laghi e castelli e con
degli allevamenti di bestiame che potevano pascolare per tutto
l’anno sempre e solo sulle terre di proprietà della famiglia. I
Barracco si schierarono con Garibaldi dopo avere vissuto a lungo
nell’orbita dei Borbone.
Numerosi nella famiglia furono i personaggi importanti: deputati,
senatori, vescovi, studiosi.
Un suo antenato Giovanni è il primo grande mecenate della famiglia;
appassionato di archeologia raccoglie negli anni una grande
collezione di reperti delle civiltà orientali, egizi, sumeri, assiri
e babilonesi, ed alla fine dona tutto alla città di Roma incluso il
palazzo dove abitava e ciò costituisce oggi il museo Barracco
situato vicino a Piazza Navona.
Maurizio vive a Posillipo a Villa Emma, detta Villa delle Cannonate
perché fu scambiata per un fortilizio nemico dalle navi spagnole che
cannoneggiavano la città. La dimora settecentesca, confina con Villa
Rosbery, residenza napoletana del Presidente della Repubblica ed è
arroccata a picco sul mare di fronte all’isola di Capri, isolata
dalla città da un immenso parco di pini, oleandri, gigantesche
piante di ibiscus in fiore e delicati esemplari di peonie rosse dal
profumo tenue ed indimenticabile.
Al primo piano una serie di saloni con centinaia di quadri alle
pareti, porcellane preziose e mobili d’epoca; al secondo piano le
camere da letto.
Nella cornice di questa splendida villa nasce come evento mondano
Napoli ’99 con una festa principesca che raccoglie i fuochi
d’artificio dell’alta società ed i toni seri degli studiosi chiamati
a raccolta per la nascita di una Fondazione che rappresenta un atto
di amore per la splendida città del golfo e del Vesuvio, ridotta a
pezzi dalle amministrazioni comunali e dallo sfruttamento di tutte
le risorse umane e naturali.
«Erano secoli che non si vedeva tanta bella gente a Napoli»
mormorano in coro gli esperti di mondanità. «Riviviamo i tempi
favolosi in cui Capri agli inizi degli anni Sessanta era la regina
incontrastata del jet set internazionale».
Quattrocento invitati partecipano alla grande festa che i Barracco
danno nella loro stupenda villa di Posillipo con tutto il mare del
golfo ai suoi piedi, per tenere a battesimo la neonata Fondazione.
Le più blasonate famiglie del nord quali i Cicogna, i Volpe di
Misurata, i Valeri Manera si incontrano con le più famose di Napoli
e del meridione, quali i Serra di Cassano, i Leonetti, i Del Balzo
di Presenzano, i Pignatelli, i Capece Minutolo ed i Caracciolo. I
grossi magnati dell’industria e della finanza quali i Bagnasco, i
Nesi, i Romiti entrano a confronto col fior fiore degli
intellettuali di tutta Europa da Jaques Le Goff a Ignacio Mattè
Blanco, da George Vallet a Maurice Ajnard.
A ricevere ed intrattenere il fior fiore della «intellighenzia»
straniera è presente una pattuglia comprendente tutti i più bei nomi
della cultura italiana: da Giulio Carlo Argan a Salvatore Accardo,
da Cesare Brandi a Domenico de Masi da Luigi Nono a Renzo Piano, da
Roberto De Simone a Luigi Firpo, da Maurizio Scaparro a Vittorio
Gregotti.
Tutti assieme ad ipotizzare degli scenari di risanamento per la
realtà napoletana che in passato fu faro del pensiero umano da Gian
Battista Vico a Benedetto Croce.
Misteriosamente la baronessa, instancabile, da alcuni anni si è
fermata e la sua iniziativa, continuata dalle istituzioni, ha perso
anno dopo anno smalto ed incisività.
Le sue benemerenze acquisite con ciò che ha fatto per Napoli la
renderebbero in ogni caso degna di essere ricordata a lungo con
affetto e gratitudine da tutti i napoletani; ma Mirella, ne siamo
sicuri, nel pieno della maturità e delle forze riserva ancora chi sa
quali sorprese per tutti noi.
Tutti i napoletani onesti e desiderosi di cambiare il destino della
città, rompendo definitivamente col passato, sono rimasti
rammaricati di questa sua decisione e sperano che in futuro ci siano
dei ripensamenti, soprattutto oggi che, di fronte alla sfida
nordista, Napoli deve dare fondo a tutte le sue energie per
costruire un nuovo futuro memore dei fasti del passato.
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