29 aprile 2015
La storia di Pasquale G.
Pasquale G. tra pochi giorni riacquisterà la libertà dopo oltre
10 anni trascorsi nel carcere di Rebibbia. Potrà rivedere la
figlioletta divenuta una signorina e camminare per le strade di
Trani, il suo paese natale. Il debito verso lo Stato è stato pagato
fino all’ultimo giorno, nonostante la legge preveda che a metà pena,
poteva godere della semi libertà, quando mancavano 4 anni
dell’affidamento ai servizi sociali, gli ultimi 18 mesi dei
domiciliari.
Nonostante la buona condotta, il diploma superiore conseguito tra le
sbarre, un libro dato alle stampe (Cronistoria di un amore folle) ed
un umile lavoro di scopino, pagato quattro soldi, per comprarsi
sigarette e francobolli, non è stato ritenuto meritevole dal
magistrato di sorveglianza di misure alternative.
Vi è molto sconforto nelle carceri, non solo per le condizioni di
vita disumane, e per l’impossibilità di rieducarsi e prepararsi al
reinserimento nella società, ma soprattutto perché è veramente
convinto lo Stato che far scontare ai detenuti la pena in modo
disumano dentro carceri sovraffollate, senza alcuna attività,
imbottiti di psicofarmaci, incattiviti ed esasperati, renda la
società più sicura? Le carceri così come sono, sono inutili e
dannose per i detenuti, per le loro famiglie, e per la società;
invece di recuperare escludono ed emarginano, e rischiano di far
uscire le persone peggiori di come sono entrate.
I penitenziari si rendono vivibili garantendo ai detenuti, senza
inutili barriere, quanto previsto dalla legge: semi libertà a metà
pena, affidamento in prova quando mancano 4 anni dal fine pena, gli
ultimi 18 mesi di reclusione ai domiciliari; provvedimenti che
gradualmente svuoterebbero i penitenziari, tenendo conto che oltre
20.000 detenuti potrebbero beneficiarne, portando il numero dei
reclusi in linea con quanto perentoriamente richiestoci dall’Europa.
Speriamo che Pasquale trovi un lavoro onesto e ricominci a vivere
senza ricadere nella spirale dell’illegalità.
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23 dicembre 2014
Una truffa ai detenuti
Dedico questo breve contributo ai miei compagni di sventura
rimasti nei gironi dell’inferno di Poggioreale, i più interessati a
quanto esporremo perché costretti a vivere in gabbie disumane.
La cella è di 12- 13 metri quadrati, oltre ad un vano cucina di un
metro ed un cesso (non lo si può chiamare altrimenti) con una
parvenza di doccia, che due volte alla settimana, per pochi minuti,
vomita un liquido caldo dal colore sospetto e dall’odore
indefinibile. Per lavarsi ogni giorno si usa una brocca con la quale
ci si getta addosso un po’ di acqua prelevata dal lavandino
allagando tutto il vano, che andrà poi svuotato a colpi di ramazza,
facendo convergere la pozzanghera verso un fetido buco tenuto a bada
da un peso per evitare visite imbarazzanti: scarafaggi nel migliore
dei casi, qualche volta, anche se non ho avuto l’emozione
dell’incontro ravvicinato, luridi topi di fogna.
Vi è molto sconforto nelle carceri, non solo per le condizioni di
vita disumane, e per l’impossibilità di rieducarsi e prepararsi al
reinserimento nella società, ma soprattutto perché a danno dei
detenuti, nel silenzio assordante dei mass media, si sta compiendo
l’ennesima truffa.
La Corte di Strasburgo minacciava gravi sanzioni pecuniarie verso
l’Italia, se non avesse reso i penitenziari più vivibili, per cui in
tutta fretta è stato approvato un decreto legge, che prevede un
abbuono di 1 giorno per ogni 10 trascorsi in celle sovraffollate o
un risarcimento di 8 euro al giorno per chi ha già scontato la pena.
Ma la normativa è stata resa inoperante per l’interpretazione data
alla stessa dalla magistratura di sorveglianza, che sta dichiarando
inammissibili la quasi totalità dei ricorsi con le più svariate
motivazioni, costringendo a defatiganti ricorsi in Cassazione.
Da qui l'unica possibilità il risarcimento monetario, che lascia il
tempo che trova, perché non ci sono civilisti che per una istanza
per ottenere qualche paio di migliaia di euro in media, non si
facciano dare almeno 1000 di onorario e bisogna anche considerare
che si può nominare un civilista dal carcere soltanto se si è in
pendenza di un giudizio civile e non per istaurarne uno ex novo.
La Corte di Strasburgo nel frattempo certa che “giustizia è stata
fatta” ha bocciato le migliaia di istanze presentate in questi anni
a partire dalla sentenza Torreggiani del gennaio 2013, in cui era
stata condannata l’Italia ad un risarcimento cospicuo per aver
tenuto alcuni detenuti(situazione normale) in celle dove disponevano
di tre mq a testa (tenendo conto che in Europa negli allevamenti ad
un maiale ne sono obbligatoriamente concessi 10).
É veramente convinto lo Stato che far scontare ai detenuti la pena
in modo disumano dentro carceri sovraffollate, senza alcuna
attività, imbottiti di psicofarmaci, incattiviti ed esasperati,
renda la società più sicura? Le carceri così come sono, sono inutili
e dannose per i detenuti, per le loro famiglie, e per la società;
invece di recuperare escludono ed emarginano, e rischiano di far
uscire le persone peggiori di come sono entrate.
I penitenziari si rendono vivibili garantendo ai detenuti quanto
previsto dalla legge: semi libertà a metà pena, affidamento in prova
quando mancano 4 anni dal fine pena, gli ultimi 18 mesi di
reclusione ai domiciliari; provvedimenti che gradualmente
svuoterebbero i penitenziari, tenendo conto che oltre 20.000
detenuti potrebbero beneficiarne, portando il numero dei reclusi in
linea con quanto perentoriamente richiestoci dall’Europa
Un discorso a parte meritano i numerosi tossicodipendenti, che
dovrebbero essere, prima che puniti, curati in apposite strutture.
Potrei dilungarmi ricordando l’epidemia di suicidi, che andrebbe
contrastata con un’inesistente assistenza psicologica, ma vorrei
trattare dei non meno importanti mali dell’anima: la solitudine, la
malinconia, la sofferenza, la nostalgia. Conosco un rimedio
infallibile per combatterli: rimanere in contatto costante con i
propri familiari, anche solo per telefono. In tutta Europa i
detenuti (a loro spese) sono liberi di fare quante telefonate
desiderano.
Perché dobbiamo essere costantemente il fanalino di coda della
civiltà?
Per convincere l’opinione pubblica che indulto ed amnistia sono
ineludibili (parole del Presidente della Repubblica) basterebbe che
si montasse nelle piazze principali del nostro paese un cubo avente
il volume di una cella, nella quale secondo le normative della U.E
non potrebbero vivere 4 maiali e viceversa vivono, nei gironi
infernali di Poggioreale e dell’Ucciardone, 16 esseri umani 23 ore
su 24 ed invitare altrettanti cittadini ad entrarvi ed a rimanerci
non 1 anno, non 10 anni, non fine pena mai, ma soltanto un’ora. Ne
uscirebbero inorriditi e si affretterebbero a comunicare ad amici e
conoscenti l’intollerabile situazione carceraria.
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20 agosto 2014
Che caldo al fresco
Anche quest’anno a ferragosto si è ripetuto il mesto rito del
pellegrinaggio dei parlamentari ai penitenziari per rendersi conto
delle miserevoli condizioni di vita dei carcerati.
All’iniziativa dei radicali, passata sotto silenzio sulla stampa,
questa volta hanno aderito in tanti.
I parlamentari si sono recati non solo nelle grandi galere:
Poggioreale, Regina Coeli, Ucciardone, ma hanno ispezionato anche
piccole strutture, scoprendo, ad esempio, che la recettività più
assurda, meno dello spazio in una cuccia di un cane, la si trova a
Lucca, dove per ogni recluso in cella è disponibile meno di due
metri quadrati.
E poi un interminabile elenco di carenze, tutte già ben note ed
alcune che gridano vendetta e meriterebbero di essere portate
davanti alle corti di giustizia europee: sovraffollamento record,
condizioni igieniche disastrose, suicidi a catena per disperazione,
personale di custodia insufficiente, mentre non si applicano pene
alternative, mancano progetti per ammettere ad un utile lavoro
esterno e la giustizia, sempre più lenta, tollera che la metà dei
reclusi sia in attesa di giudizio e di conseguenza, se la
Costituzione non è carta straccia, innocente.
Bisogna urgentemente passare dalla teoria alla pratica.
Alla ripresa dei lavori parlamentari vengano presentate serie
proposte bipartisan per la depenalizzazione di molti reati,
riservare la custodia cautelare ai casi più gravi, incrementando
l’istituto degli arresti domiciliari sotto la tutela del
braccialetto elettronico, fornire incentivi economici e fiscali alle
imprese che assumano detenuti in semi libertà o che hanno da poco
scontato la pena, potenziare il personale di custodia, senza
dimenticare psicologi ed educatori.
Ma soprattutto fate presto per evitare che il problema si risolva da
solo attraverso un’allucinate catena di suicidi: dall’inizio
dell’anno sono quasi cinquanta.!!
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19 maggio 2014
TORTURA DI STATO
Tra pochi giorni scadrà l'ultimatum entro cui l'Italia deve
adeguare il sistema penitenziario alle direttive europee. Il
mancato rispetto comporterà pesanti sanzioni pecuniarie ma
soprattutto l'infamante marchio di Paese dedito alla tortura.
Infatti obbligare i detenuti in pochi metri quadrati di spazio,
meno di quello di cui hanno dritto gli animali di allevamento,
viene giudicato senza eufemismi: tortura.
A nulla sono serviti i plateali digiuni di Pannella, gli
accorati moniti del Presidente Giorgio Napolitano, i segnali di
umana apertura di Papa Francesco.
I politici sono impegnati nella campagna elettorale, nessuno di
loro ha mai letto un libro di Foucoault, tanto meno di Beccaria,
per cui l'Italia, da Patria del Diritto, decade ufficialmente a
Paese dedito alla tortura.
3 maggio 2014
Carceri italiane
«Lo Stato chiede il pentimento dei detenuti, ma non si pente»
Intervista ad Achille della Ragione di Piera
Scognamiglio
A pochi giorni dal termine entro cui l’Italia è stata
chiamata a eseguire quanto stabilito dalla sentenza Torreggiani
della Corte europea dei diritti dell’uomo (“istituire un ricorso
o un insieme di ricorsi interni effettivi idonei a offrire una
riparazione adeguata e sufficiente in caso di sovraffollamento
carcerario”), Achille della Ragione, medico napoletano,
attualmente agli arresti domiciliari, torna a parlare del
problema delle carceri italiane tramite il suo collegio di
avvocati.
“Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché
è da esse che si misura il grado di civiltà di una nazione”: il
medico di Posillipo rievoca il pensiero di Voltaire, per
sottolineare l’importanza di quell’attenzione illuminista ai
diritti umani, contrariamente alla disattenzione odierna dello
Stato italiano.
Per anni Achille della Ragione ha, infatti, denunciato la
situazione carceraria dall’interno, scrivendo lettere ai
quotidiani e pubblicando libri, avanzando proposte spesso
utopistiche, e proprio oggi che i media riaccendono i riflettori
su una tematica scottante per il nostro Paese, racconta la
speranza che i detenuti ripongono in quella fatidica data del 28
maggio, quando scadrà la sentenza-pilota che condanna l’Italia
per trattamenti inumani e degradanti nelle carceri.
«Una speranza, tuttavia, già disattesa», fa sapere della
Ragione, da uno scenario in cui potrebbe prevalere la politica,
convinto che l’Italia «otterrà una proroga per completare il
percorso di adeguamento agli standard europei, piuttosto che
pagare una penale di circa centomila euro per ogni sette
detenuti che faranno ricorso».
Le misure sollecitate dallo stesso Presidente della Repubblica
nel suo messaggio alle Camere dell’8 ottobre 2013, ovvero
l’amnistia e l’indulto, consentirebbero al nostro Paese di
rientrare nella legalità costituzionale, come sostengono i
radicali, tuttavia, «trovano contraria l’opinione pubblica»,
afferma della Ragione, «e l’iter sarebbe comunque lungo, poiché
occorrerebbero quattro passaggi parlamentari e i due terzi della
maggioranza».
«Considerando che circa il 41% dei detenuti in Italia sono
stranieri, sarebbe opportuno», a suo parere, «procedere al
rimpatrio attraverso l’espulsione e l’estradizione, facilitando
la reciprocità dei meccanismi tra Stati europei ed extra europei
per far scontare agli stranieri la pena nel loro Paese».
In questo senso, l’ultimo decreto “svuota carceri” ha fatto
molto, intervenendo sull'articolo 16 del Testo unico
sull’immigrazione, aumentando i casi in cui ai detenuti
stranieri si applica l’espulsione come alternativa al carcere
quando devono scontare una pena, anche residua, non superiore ai
due anni e cancellando il reato di immigrazione irregolare.
«Lo svuota carceri ha istituito, poi, la messa in prova per
coloro che per la prima volta sono accusati di un reato punibile
fino ai 4 anni e che potranno scegliere una via alternativa alla
carcerazione svolgendo lavori socialmente utili, introducendo,
inoltre, la detenzione domiciliare come pena principale da
comminare già in sentenza».
Ma, come dichiarato in precedenza, della Ragione ritiene che lo
“svuota carceri” «non sortirà alcun effetto, finché certi
meccanismi rimarranno a discrezione del Tribunale di
Sorveglianza, divenuto un anomalo giudizio di quarto grado, che
fa sì che la maggioranza dei detenuti, nonostante ne abbia
diritto, arrivi a fine pena, senza aver usufruito di un
permesso, dell’affidamento in prova, della semilibertà, dei
domiciliari, uscendone incattivito e pronto di nuovo a
delinquere».
«Nel 2008, prima che il Tribunale del Riesame mi liberasse, ho
vissuto per quindici giorni l’esperienza in alcuni padiglioni
del carcere di Poggioreale, dove in celle di pochi metri
quadrati, sono costretti a sopravvivere 16 detenuti, stipati
come bestie, con letti a castello a quattro piani. Parlare di
trattamento inumano è pleonastico», aveva dichiarato della
Ragione in una precedente intervista.
Parole che oggi vanno considerate anche alla luce della
procedura di mobilità per la direttrice del carcere di
Poggioreale, Teresa Abate, avviata dal Dap (Dipartimento
amministrazione penitenziaria); misura arrivata a poche
settimane dall’ispezione della delegazione del Parlamento
europeo, che aveva rilevato le difficili condizioni di vita dei
reclusi.
Ma il problema del sovraffollamento, che vede l’Italia seconda
solo alla Serbia, rivela una drammaticità che va ben oltre una
questione di “spazi”.
Senza tener conto delle mille difficoltà cui va incontro un
detenuto, che, come ricorda della Ragione, «spesso sopravvive
con un vitto “spaventoso”, mancando di tutto, persino della
carta igienica, il problema più grave, di cui bisognerebbe tener
conto, riguarda proprio la finalità della pena detentiva, ovvero
il reinserimento nella società».
Come sancito dall’articolo 27 della Costituzione, le pene devono
tendere alla rieducazione del condannato, ma ciò, sottolinea il
medico, «diventa irrealizzabile nel momento in cui il detenuto
viene abbandonato a sé stesso e alla propria condanna, se non
addirittura incattivito da una serie di diritti che gli vengono
negati e dalla lenta burocratizzazione di tutte le procedure che
gli consentirebbero di ottenere un beneficio».
Affinché un condannato, una volta fuori dalle mura carcerarie,
non commetta più crimini, è indispensabile che venga educato
all’etica del lavoro durante il periodo di detenzione. Purtroppo
solo nei grandi penitenziari si verifica quanto detto, e le
cifre parlano chiaro: soltanto il 5% della popolazione
carceraria lavora, potendo disporre di un piccolissimo reddito.
«Sono ancora in pochi», prosegue Achille della Ragione, «a
conoscere l’utilità della legge Smuraglia, che concede sgravi
fiscali e contributivi alle aziende che assumono i detenuti in
semilibertà. Nonostante lo scorso anno si sia registrato
l’impiego di ben 1280 detenuti in aziende e cooperative operanti
in Italia, i numeri sono veramente bassi e lo Stato sembrerebbe
non considerare questa opportunità che gli consentirebbe, tra
l’altro, di risparmiare svariati milioni di euro all’anno. Il
costo sociale del reinserimento è, infatti, inferiore al costo
giornaliero di circa 250 euro che lo Stato paga per ogni
detenuto in carcere».
Il medico di Posillipo si lascia anche andare a un suo personale
dubbio sul regime carcerario degli ergastolani, ritenendo che
riescano «a usufruire di maggiori benefici durante il periodo
detentivo, spesso impiegati nei lavori in cucina o altro, capaci
di mantenere le proprie famiglie all’esterno, arrivando anche a
guadagnare 1000 euro al mese, quando le altre remunerazioni
appaiono umilianti e non rieducative».
Infine, della Ragione denuncia, sempre attraverso i suoi
avvocati, «lo stato di inefficienza dell’assistenza sanitaria,
in particolare per quel 70% di detenuti che sono
tossicodipendenti.
Gli operatori del SerT (Servizio per le tossicodipendenze) sono
pochissimi rispetto al numero di coloro che necessitano di
un’assistenza farmacologica e psicologica».
Così, il più delle volte, tutti i "buchi" dell’assistenza
sanitaria sono riempiti «con la prescrizione di psicofarmaci,
che inducono i tossicodipendenti all’inerzia più totale,
completamente abbandonati a sé stessi, con il rischio che
possano ricorrere da sé a dei mix di farmaci, pericolosi, in
alternativa alla terapia del metadone».
«Ai detenuti che hanno commesso un reato viene richiesta una
rivisitazione critica del proprio passato, dichiara della
Ragione, lo Stato, tuttavia, non si pente del proprio operato».
E così da colpevoli, si diventa vittime di un reato subito.
22 marzo 2014
Gravi responsabilità
L’accorato appello al Parlamento del Presidente della Repubblica
di valutare un provvedimento di Amnistia ed Indulto, unico modo per
risolvere il gravoso problema del sovraffollamento carcerario e
delle disumane condizioni dei penitenziari, ha trovato, dopo oltre 5
mesi, un’accoglienza ostile nelle aule sorde e grigie, ma
soprattutto deserte di Montecitorio, per cui i cittadini, quando fra
pochi mesi lo Stato dovrà far fronte alle pesanti sanzioni
comminateci dalla Corte di Strasburgo, via via crescenti, sapranno
chi sono i responsabili e potranno fare le loro valutazioni e
comportarsi di conseguenza nel segreto dell’urna.
1° marzo 2014
Parliamo di Eutanasia
La vita è degna di essere vissuta quando possiamo studiare
lavorare, amare, ridere, passeggiare, pensare; oggi, nel mondo,
centinaia di migliaia di cadaveri viventi affollano ospedali e
cronicari, con crescenti spese per la società. Soggetti privi di
coscienza e che mai più parleranno, sentiranno, vedranno,
cammineranno, potranno dare una carezza, i quali fino a pochi anni
fa sarebbero morti in poche ore, costretti in un limbo infernale
dall'accanimento di una medicina, che offende la solennità della
morte e la dolcezza della vita, operando una grottesca quanto
sinistra contaminazione. Anche la Chiesa ha
affermato:"Nell’imminenza di una morte inevitabile è lecito
rinunciare a trattamenti che procurano soltanto un prolungamento
precario e penoso della vita! Il lavoro dei medici deve essere
improntato all’etica: non è il loro compito tenere in vita i morti,
né quantomeno resuscitarli, nessuno vi è mai riuscito dopo Cristo.
Vogliamo serenamente riaprire l'imbarazzante dibattito
sull'eutanasia?
29 gennaio 2014
Un atto di clemenza
Vi è molto sconforto nelle carceri, non solo per le condizioni di
vita disumane, ma soprattutto perché non vi è alcuna possibilità di
rieducarsi e prepararsi al reinserimento nella società. Quella rivisitazione critica del proprio passato che viene richiesta
per poter godere di qualunque forma di beneficio: permesso,
affidamento in prova, semilibertà; che gradualmente svuoterebbero i
penitenziari, tenendo conto che oltre 20.000 detenuti potrebbero
beneficiare portando il numero dei reclusi in linea con quanto
perentoriamente richiestoci dall’Europa. E allora cominci lo stato che tratta i suoi figli così disumanamente
a fare una “rivisitazione critica” di quello che ha fatto, di quello
che ancora fa, delle tante illegalità che continua a reiterare. É
veramente convinto lo Stato che far scontare ai detenuti la pena in
modo disumano dentro le carceri sovraffollate, senza alcuna
attività, imbottiti di psicofarmaci, incattiviti ed esasperati,
renda la società più sicura? Le carceri così come sono, sono inutili e dannose per i detenuti,
per le loro famiglie, e per la società. Lo stato si comporti come un padre, severo ma buono, perché non è
uno Stato vero quello che ritiene di doversi vendicare dei suoi
figli che pure hanno sbagliato. Dia lo Stato un segnale ai suoi figli, e lo faccia pure la società,
perché le carceri, oggi, invece di recuperare escludono ed
emarginano, e rischiano di far uscire le persone peggiori di come
sono entrate.
23 dicembre 2013
Sovraffollamento e legalità
Mentre non si parla più di indulto, nonostante i ripetuti ed
accorati appelli del Presidente Napolitano, il governo sta per
partorire, sarebbe meglio dire abortire, l’ennesimo decreto svuota
carceri, il quale non apporterà nessun tangibile risultato fino a
quando non si deciderà di agire sul vero ostacolo che in barba
all’ordinamento Penitenziario, non permette il graduale
reinserimento dei detenuti nella società: Il tribunale di
Sorveglianza, divenuto un anomalo giudizio di 4° grado. Vi sono reclusi che espiano la pena fino all’ultimo giorno,
incattiviti, senza aver mai goduto di un permesso, della
semilibertà, dell’affidamento, dei domiciliari, nonostante ne
abbiano sacrosanto diritto. Fino a quando non si cambierà questo
meccanismo stritolante dei Diritti e della dignità umana i risultati
saranno sempre vani e mortificanti.
Cuore di cane
Lettera pubblicata su L'ESPRESSO n.50 2013 a pag.150
Cara Rossini,
il cimitero dove mio padre riposa è a 60 chilometri dalla città
dove viviamo e Alex, il nostro cane, fece quel percorso di notte,
raggiunse il cimitero, vi entrò e rimase lì, anche in seguito,
sottraendosi ad ogni possibile recupero da parte nostra. Divenne un
cane di strada, così come per strada mio padre l'aveva raccolto. E
ogni giorno tornò a trovarlo e a sdraiarsi sulla sua tomba fino a
quando qualcuno non provvedeva a mandarlo via. Ma, dopo qualche
tempo, la sua storia, delicata e commovente, era diventata talmente
nota che alla fine le autorità lo lasciarono vegliare il suo
padrone, in santa pace. Da quel momento Alex non si mosse più:
beveva l'acqua che gli davano ma non accettava il cibo che veniva
messo lì per lui. Divenne magro, lo scheletro di un fox terrier che
vegliava il suo padrone. Ed un giorno morì, per raggiungerlo. Nessuno può convincermi che quell'incontro non fosse uno speciale
incontro già avvenuto altrove e, diversamente, prima su questa
terra: incontro di anime, di pensieri, oserei dire una
"ricongiunzione". Nessun amore fu più sincero e grande di quello
sbocciato quando mio padre incontrò Alex e quel cane incontrò lui. E
nessuno dei due avrebbe mai fatto a meno dell'altro. Sinceramente,
credo, neppure mio padre. Ogni volta che invio a casa dei panni da lavare,la mia cameriera li
fa annusare ad Attila, il mio fedele rottweiler, che mi aspetta da
oltre due anni. Attila crede che stia per ritornare a casa e corre a
mettersi vicino al mio letto sul tappetino persiano dove era solito
dormire accanto a me e mi aspetta per tutto il giorno. Solo la sera,
deluso e senza toccare cibo, si ritira nella sua cuccia.
Achille della Ragione
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Questa lettera è solo un brano di un testo molto lungo che ho
ricevuto da un detenuto del carcere di Rebibbia di Roma, un
ginecologo condannato a dieci anni con l'accusa di aver praticato
aborti clandestini. Benestante e molto conosciuto negli ambienti
intellettuali napoletani, dopo tre anni di latitanza Achille della
Ragione si è fatto tradire dalla sua passione per la scrittura. È
stato infatti arrestato in un Internet point romano da dove
aggiornava Il suo blog. Ora continua a scrivere dal carcere mandando
quotidianamente lettere sui più svariati argomenti. Non ho resistito
a questa, che oltre a darei una testimonianza diretta di un amore
che supera la morte, ci dipinge con pochi tratti la struggente
nostalgia del rottweiler che aspetta il ritorno del suo padrone.
Chiunque abbia avuto accanto a sé un cane, sa di che grande amore si
tratta.
Stefania Rossini
27 novembre 2013
Si parla tanto di giustizia lumaca e di sanzioni che l’Europa
vuole comminarci, ma cosa dovrei dire io che attendo da quasi 4 anni
che la Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, dopo aver
dichiarato ricevibile il mio ricorso in tutti gli spunti contestati
si decida a pronunciarsi. Attesa non piacevole perché trascorsa come ospite dello stato a
Rebibbia.
17 novembre 2013
PREGHIERA PER LE FILIPPINE
Come se non bastasse l’egoismo e la cattiveria degli uomini,
anche la natura si è scatenata con la sua furia ed ha devastato le
Filippine provocando oltre 10.000 vittime. Che la divina provvidenza accolga le loro anime e conceda loro la
pace eterna e rafforzi la nostra fede facendoci accettare questi
luttuosi avvenimenti come un disegno di cui non riusciamo a cogliere
il significato.
12 novembre 2013
Papa Francesco predica invano contro la globalizzazione
dell’indifferenza. La sofferenza degli altri non ci interessa. Bambini muoiono, Donne vengono stuprate, Uomini inermi massacrati. Egoismo, vigliaccheria, ipocrisia regnano sovrane. Le civiltà
decadono inesorabilmente quando vengono meno i valori su cui si
fondano e tutti noi siamo responsabili. Che la divina provvidenza ci faccia aprire gli occhi e diffonda
generosità ed altruismo.
Una preghiera per il Ministro Cancellieri
mail del signor Pisani su Achille della Ragione
pubblicata da "L’Unità", "Il Roma", "Libero", "l'Espresso",
"Oggi"
Gentile Ministro Cancellieri,
Sono un suo estimatore e faccio parte di coloro che l'avevano
proposta come Presidente della Repubblica. Mi permetto segnalarle un
mio amico detenuto nel carcere di Rebibbia, è lo scrittore
napoletano Achille della Ragione. Nella sua ultima lettera inviatami
qualche giorno fa mi scrive che la sua salute peggiora ogni giorno
di più e diventa sempre maggiore la sua depressione. Da anni il suo
legale si sta battendo per farlo trasferire agli arresti
domiciliari, ma fino a questo momento ancora non è riuscito ad
ottenere un bel nulla. Le sarei veramente molto grato se, in nome della sua proverbiale
sensibilità e considerazione per i detenuti sofferenti e bisognosi,
logicamente nei limiti del possibile e del rispetto delle leggi,
potesse prendere a cuore il pietoso caso di Achille della Ragione
spendendo una buona parola per questo detenuto così malato e
bisognoso di aiuto. La ringrazio con tutto il cuore e le porgo distinti saluti, Raffaele
Pisani
Raffaele Pisani, poeta e napoletano a Catania
Via Plebiscito, 88 - 795124 CATANIA
28 Ottobre 2013
Nelle acque del mediterraneo, quello che una volta
orgogliosamente chiamavamo mare nostrum, giacciono decine di
migliaia di carcasse divorate dai pesci di disperati che cercavano
un briciolo di dignità sulle nostre coste, la loro terra promessa,
mentre per l’aria si agitano disperate le loro anime; che Dio le
accolga misericordioso e mitighi l’egoismo delle Istituzioni
colpevoli di questo silenzioso genocidio che grida vendetta.
24 Ottobre 2013
Per convincere l’opinione pubblica che indulto ed amnistia sono
ineludibili (parole del Presidente della Repubblica) basterebbe che
si montasse nelle piazze principali del nostro paese un cubo avente
il volume di una cella, nella quale secondo le normative della U.E.
non potrebbero vivere 4 maiali e viceversa vivono, nei gironi
infernali di Poggioreale e dell’Ucciardone, 16 esseri umani 23 ore
su 24 ed invitare altrettanti cittadini ad entrarvi ed a rimanerci
non 1 anno, non 10 anni, non fine pena mai, ma soltanto un’ora. Ne
uscirebbero inorriditi e si affretterebbero a comunicare ad amici e
conoscenti l’intollerabile situazione carceraria; Quando lo Stato
non è in grado di garantire dignità e rispetto dei più elementari
diritti umani, non gli resta che abdicare. Lo faccia!
23 Ottobre 2013
Nel carcere di Rebibbia, per iniziativa del gruppo universitario,
a giorni partirà una campagna di donazione di sangue, che vedrà,
l’uno a fianco all’altro, i reclusi, i loro familiari e gli agenti
di polizia penitenziaria, a lampante dimostrazione che i detenuti
non conoscono l’egoismo ed attraverso questo nobile atto di
altruismo doneranno la vita e la salute a chi ne ha bisogno.
11 Ottobre 2013
Serena dagli occhi devastanti
Perché questo pseudonimo per Serena Autieri? Napoletana DOC, attrice
e cantante di grande talento. Perché chi ha avuto occasione come il sottoscritto di potersi
perdere nei suoi occhi non sa distinguere se siano verdi o azzurri,
ma capisce con certezza che rappresentano il porto sicuro dove ogni
uomo vuole fermarsi e riposare per sempre. Questa opportunità mi è capitata pochi giorni fa, seduti in prima
fila, l’uno accanto all’altro, prima che Serena generosamente si
esibisse nel teatro di Rebibbia davanti a centinaia di detenuti,
prima recitando, poi cantando, per concludere con nel blu dipinto di
blu con Achille, il suo nuovo amico, invitato a duettare con lei sul
palcoscenico. Dopo questa premessa agiografica, voglio precisare che gli occhi più
belli sono quelli della mia adorata moglie Elvira e che Serena
potrebbe essere mia figlia essendo nata il 4 luglio 1976, dodici
giorni prima della mia primogenita Tiziana.
Serena Autieri riceve una copia del volume "Favole de Rebibbia"
di Achille della Ragione
20 Settembre 2013
Tutti, ingenuamente, credono che le sbarre delle prigioni servano
per evitare la fuga ai reclusi: viceversa, la loro funzione è quella
di impedire che tra quelle tristi mura entrino la legalità,
l’intelligenza, l’altruismo, la generosità, la bontà.
Settembre 2013
TOTÒ CUFFARO, UN UOMO BUONO
Quando il mio amico Totò Cuffaro mi ha chiesto di inquadrare la
sua figura nel clima di Rebibbia per il suo nuovo libro, sono stato
incerto sul titolo. Avrei voluto intitolarlo Il Messia di Rebibbia
ma poi ho ripiegato su quello di Uomo buono perché la bontà è la
caratteristica che maggiormente lo contraddistingue. Ricordo, sono ormai due anni, quando, dopo una breve permanenza al
G12, fui trasferito al G8, il reparto modello. A ricevermi, nell’aula universitaria, Sergio Boeri e Totò che
faticai a riconoscere perché ricordavo le immagini televisive di un
soggetto paffuto dal volto rubicondo mentre davanti a me vi era un
uomo che, in pochi mesi, per il dolore più che per le corse
mattutine, aveva perso 28 chili. Da allora ogni giorno, mattina e pomeriggio, trascorriamo, spesso
soli, lunghe ore in quell’aula a studiare, a scrivere i nostri libri
(a giorni uscirà la sua seconda fatica letteraria dopo il successo
del Candore delle cornacchie) a scambiarci commenti sulle notizie
lette sui giornali, sensazioni, ma soprattutto leggiamo, l’uno negli
occhi dell’altro, una profonda tristezza per l’essere stati
strappati dal nostro lavoro e dai nostri affetti perché, quando il
Calvario sarà finito, nessuno potrà restituirci gli anni di vita che
sono stati rubati a noi ed alle nostre famiglie. Totò ha la fortuna di essere sorretto da una fede incrollabile
(mentre la mia vacilla) e di riuscire ad interpretare questo penoso
percorso come una preziosa esperienza a contatto con ergastolani
senza speranza e gli ultimi della terra, da tutti dimenticati,
spesso anche dai propri cari. E’ sempre pronto a mettere a disposizione di tutti la sua
preparazione ma, principalmente, è esempio di sopportazione e di
speranza, una bussola di comportamento per i suoi compagni di
sventura. Senza far torto a Giuseppe Buonomo, lo considero il mio migliore
amico. Spero, quando oltre alla Dignità ci verrà restituita la Libertà, di
rivederci fuori: in ogni caso, se le nostre strade si divideranno,
lo porterò sempre nel cuore.
20 Agosto 2013
Due anni di buddismo a Rebibbia
Da circa due anni sono, per quanto innocente, “gradito ospite”
(definizione dell’Ispettore Capo Giannelli quando presentai il mio
ultimo libro sulla napoletanità al Palazzo Odescalchi di Roma), nel
carcere di Rebibbia. Dal primo momento ho seguito un interessante corso di buddismo
diretto, con alcuni validi collaboratori, da Antonello, figlio del
compianto Mario Riva, leggendario presentatore del Musichiere, una
delle trasmissioni cult della Rai. E qui scatta l’ipotesi del Karma
perché a 10 anni avevo partecipato, vincendo, ad una puntata del
Musichiere riservata ai bambini (a 25 anni parteciperò al
Rischiattutto di Mike Bongiorno). Mi avvicinai al corso di buddismo non solo per curiosità ma
soprattutto perché all’inizio, nell’equipe degli istruttori, vi era
una psicanalista che venne a trovarmi più volte al reparto 68, con
la quale contavo di illustrare questa pratica, che cerca la pace
interiore e la serenità dell’animo, come possibile rimedio per
tollerare meglio le asperità e le tribolazioni della vita da
recluso. Con tale finalità sono anche in contatto con uno studioso americano
che da anni compie esperimenti su tipo “arancia meccanica”
inducendo, attraverso la visione forzata di episodi violenti, a
disintossicarsi dalla debordante carica di aggressività insita in
molti abitanti del pianeta carcere. Presi in esame, senza alcuna preclusione ideologica, la meditazione
trascendentale e la ricerca della fede, lo yoga e l’ipnosi al fine
di creare un utile vademecum, da pubblicare e distribuire nei
penitenziari, che costituisse una bussola alternativa al metodo
adoperato attualmente come unico mezzo per tenere calmi i bollenti
spiriti di molti, che sconfina costantemente nella somministrazione
massiccia di psicofarmaci che, in breve, trasformano tante, troppe
persone da uomini, cui è stata tolta, oltre alla libertà anche la
dignità, in pallidi ectoplasmi, automi disarticolati, marionette
impazzite. Questo libro è ancora incompleto e la pratica del buddismo ne
costituirà un capitolo fondamentale. Mi ero già avvicinato allo studio del buddismo una decina di anni
fa. L’evento scatenante fu un pellegrinaggio a Medjugorje compiuto da
una cugina di mia moglie, cattolica tiepida e preside, la quale
accompagnò una sua allieva gravemente malata e 2-3 volte, nel corso
delle preghiere, ripetute ossessivamente, cadde, senza saperselo
spiegare, in estasi. L’episodio mi incuriosì e, da laico inveterato, andai alla ricerca
di una spiegazione razionale dell’accaduto. Con l’aiuto di un docente universitario di fisica, esperto in
acustica, esaminammo accuratamente la lunghezza d’onda delle litanie
lauretane e scoprimmo che era identica a quella del ritmo incalzante
del “nam myoho renge kyo”, parola d’ordine della Soka Gakkai, la
corrente buddista più seguita in Italia, la stessa insegnata a
Rebibbia. Proprio in questi ultimi anni, recenti studi di neurobiologia,
utilizzando la PET, hanno dimostrato che questi suoni, riprodotti in
laboratorio, fatti ascoltare a volontari, stimolano “loci cerebrali”
specifici, deputati al raggiungimento dell’estasi e dell’orgasmo. Torniamo al corso di Rebibbia, facendo una premessa: il buddismo
nell’ultimo secolo ha assunto il ruolo di religione cosmopolita sia
per i fenomeni migratori legati alla globalizzazione, che hanno
visto trasferirsi comunità di asiatici in Europa, America del Nord
ed Australia, sia perché lassismo dei costumi, crollo delle
tradizioni e decadenza spirituale hanno indotto molti a convertirsi
alla nuova credenza. In Italia, in particolare, la scuola buddista più seguita, la già
citata Soka Gakkai, sta aumentando il numero di proseliti al ritmo
del 10% annuo ed ormai, con 70.000 fedeli ufficiali (quelli che
hanno ricevuto il “Gohonzon”, sorta di battesimo) ed i praticanti
occasionali sono ormai il doppio degli ebrei e, dopo cattolici e
musulmani, costituiscono la terza comunità religiosa del Paese. In Italia questa scuola è arrivata da una cinquantina d’anni e, pur
basandosi sugl’insegnamenti del Budda storico, vissuto nel V secolo
a.C., s’impernia su una lettura riformata ed anticonvenzionale di
Nichiren Daishonin, una sorta di San Francesco nipponico,
contemporaneo del Patrono d’Italia. Il buddismo, a differenza dell’induismo, non crede all’esistenza di
un’anima immortale e descrive l’uomo come una combinazione di forze
ed energie fisiche e mentali, ritenendo che ognuno passi da una vita
all’altra attraverso innumerevoli rinascite (Samsara) che dipendono
dalle azioni passate (Karma). La cantilena dei praticanti, cui abbiamo accennato: “nam myoho
rengekyo”, si può letteralmente tradurre: “dedico la mia vita al
Dharma, alla legge mistica del Sutra del loto”. In parole povere, il seguace della Soka si rammenta e crede
fermamente, che ogni nostro pensiero ha un impatto, negativo o
positivo, non solo sulla felicità personale ma su quella dell’intero
universo. Da qui nascono le nobili battaglie in favore della pace,
dell’ambiente e per il rispetto reciproco tra etnie e religioni. Un programma propositivo degno di essere accettato ed incoraggiato,
perché si propone la felicità collettiva ed una forma, a mio parere,
di immortalità surrogata. Non vorrei dilungarmi e concludo con ciò che ha rappresentato per me
la frequenza di questo corso di buddismo: il rafforzamento della mia
convinzione che il comportamento dei singoli deve perseguire non
solo la propria felicità ma anche quella del prossimo. Milioni di uomini di antiche e sagge civiltà hanno creduto e credono
nella comunione del destino di tutti i viventi. Sono pensieri che ci danno l’idea della nostra miseria e della
nostra nobiltà: sperduti nell’infinita immensità dello spazio,
destinati a vivere un lampo a confronto dell’eternità, non riusciamo
a credere che la nostra coscienza si sia accesa per caso, a
contemplare un universo ostile o quanto meno indifferente al nostro
destino.
26 Luglio 2013
Lettera Aperta alla giornalista e scrittrice Natalia Aspesi
Gentile Signora Aspesi,
siamo tre componenti della grande famiglia di Achille della Ragione
e vorremmo far conoscere a Lei ed ai suoi lettori questo personaggio
unico. Trascurando la sua intelligenza e cultura fuori dal comune,
vorremmo sottolineare la sua bontà: sempre sorridente e pronto ad
aiutare chiunque, divide il suo pane con gli uccelli ed il suo vitto
con i gatti. Umile con i deboli, autoritario con i forti come quando, nel
ricevere il ministro della salute, espose senza remore la disastrosa
gestione della sanità penitenziaria. Ha scritto, tra i tanti, un bellissimo libro: Favole da Rebibbia,
nel quale espone ai bambini ed agli adulti la realtà della vita in
carcere, devolvendo l’incasso delle vendite ai bambini fino a tre
anni costretti a vivere con le mamme dietro le sbarre. Tutti lo rispettano, dal direttore all’ultima guardia penitenziaria
e quando uscì per presentare un suo libro, l’ispettore capo, che lo
accompagnò, esordì “per noi è un onore ospitare un tale
personaggio”. Ha salvato la vita a due detenuti, ad uno dei quali, pur sapendo che
fosse affetto da aids, in fase terminale, ha praticato la
respirazione bocca a bocca, lo stesso bacio della vita che ha
elargito ad un cane intirizzito dalla neve. Quando tornerà all’altra sua famiglia, che lo aspetta fuori da
queste tristi mura, saremo tutti contenti ma ci sentiremo più poveri
e più soli
Mohamed Torkey
Pasquale Gissi
Tonino Vicedomin
21 Luglio 2013
Scrittori in gabbia un genere letterario
Mentre il governo con il recente decreto legge “Sfolla Carceri”
ha platealmente preso per i fondelli le aspettative dei detenuti, da
tempo vanno di moda i libri scritti da ospiti dello Stato, hai quali
i mass media dedicano una notevole attenzione, a partire da “Il
Candore delle cornacchie” di Salvatore Cuffaro, ex presidente della
Regione Sicilia, che in pochi mesi ha venduto 40.000 copie ed è
stato anche candidato al Premio Strega, fino a last but not least
“Non mi avrai mai” di Gaetano di Vaio, il quale racconta lo spaccio,
gli scippi, le rapine, la camorra e gli anni trascorsi nell’inferno
di Poggioreale. Il protagonista del romanzo autobiografico è uno scugnizzo cresciuto
nel degrado di Scampia, tra lo squallore delle vele, una vergognosa
espressione di una modernità frutto di un teorema antropologico che
riduce l’uomo a bestia. Inizia a rubare a nove anni, poi il cursus honorum: scippatore,
rapinatore, per finire responsabile di una piazza di spaccio da
3.000 dosi al giorno. Naturalmente la sua carriera lo porta nell’Alcatraz napoletano, dove
avviene il miracolo, perché egli riesce ad incanalare rabbia e
frustrazione nello studio e nella lettura. È testimone di tanti episodi tragici, che trasforma in epica, e a
differenza di tanti altri libri in chiave vesuviana, l’autore
utilizza una fantasia ed una abilità descrittiva tali da creare una
polifonia con le voci dei tanti personaggi perfettamente delineati,
i quali acquistano agli occhi del lettore una consistenza corporea
come se stesse assistendo ad un film, un kolossal alla Sergio Leone,
che potrebbe intitolarsi tranquillamente “cera una volta a Napoli”. Per rimanere nel tema vogliamo segnalare l’imminente ciclo di
presentazioni di libri scritti da reclusi che si terrà nella mitica
biblioteca Papillon di Rebibbia. Si partirà con le “Favole da Rebibbia” del sottoscritto, si
proseguirà con “Il candore delle cornacchie” e poi sarà il turno di
pasquale Gissi autore di “Cronistoria di un amore folle".
4 luglio 2013
Pietà per i bambini
tra le tante problematiche che affliggono il pianeta carcere vi è
il disagio degli oltre 100.000 bambini che si recano a fare visita
al genitore detenuto e diventano vittime di colpe di cui sono
assolutamente innocenti. Sconvolti dall'improvvisa assenza,
emarginati dalla scuola, sono turbati da quelle rare visite, condite
da attese interminabili, perquisizioni, sequestri di giocattoli,
pianti e grida disperate. Divengono di colpo poveri, perché è venuta
meno l'unica fonte di reddito (lecita o illecita) della famiglia.
Non sanno spiegarsi il perché di ciò che è successo , ma ne
percepiscono la gravità dalle lacrime che all'improvviso inondano la
casa. Gli incontri con i propri figli sono uno dei pochi conforti concessi
ai detenuti e sono l'unico modo per mantenere unita la famiglia. Il
90% dei penitenziari italiani non permette visite la domenica o
compatibili con gli orari della scuola, e stiamo parlando di bambini
fortunati, perché Italiani, mentre tanti stranieri (oramai il 50%
dei detenuti) non vedono per anni i propri familiari; basterebbe
SKYPE e questi nostri fratelli potrebbero, a costo zero, veder
crescere i propri figli e rimanere loro vicini, anche se si trovano
a migliaia di chilometri di distanza.
10 Maggio 2013
INVITO AL MINISTRO LORENZIN
Illustre signor Ministro della Salute,
il suo predecessore ed i suoi più stretti collaboratori dott.
Leonardi e prof. Bevere in pochi mesi ci hanno onorato due volte di
una loro visita presso il gruppo universitario di Rebibbia, dando
luogo ad un fattivo scambio di idee sulle problematiche collegate
alla salute dei detenuti. L'ultima volta, presenti anche le più alte
autorità del DAP, perché la soluzione può scaturire soltanto
attraverso una stretta sinergia tra i due Ministeri. Appena libera dai gravosi compiti di istituto gradiremmo che anche
Lei venisse a farci visita. La aspettiamo.
Distinti saluti
Achille della Ragione
Roma, 10 maggio 2013
8 Maggio 2013
LETTERA APERTA AL MINISTRO CANCELLIERI
Illustre Signor Ministro della Giustizia, mi permetto di darLe qualche consiglio per migliorare la situazione
nelle carceri e, soprattutto, per non cadere negli errori del Suo
predecessore che, nonostante le pur lodevoli intenzioni, non ha
risolto il drammatico problema del sovraffollamento e
dell’invivibilità. Per primo,proceda ad una modifica sostanziale del regolamento
penitenziario che, attualmente, rappresenta il crepuscolo del
diritto e della dignità umana. Consenta ai tanti detenuti anziani e affetti da gravi patologie di
poter scontare la pena ai domiciliari, faccia che i drogati, prima
che puniti, vadano curati in apposite strutture, faciliti il lavoro
esterno, aumenti il numero delle telefonate con i familiari, abbia
il coraggio di introdurre skype, che non è un pericolo, bensì il
modo, a costo zero, con cui decine di migliaia di detenuti
stranieri, che non hanno alcun contatto da anni con i propri cari,
possano veder crescere i figli, che vivono a migliaia di chilometri
di distanza. Conosco un solo rimedio, infallibile, per curare mali dell’anima
quali solitudine, malinconia, sofferenza, nostalgia che dilagano tra
i detenuti e spesso sono alla base dell’epidemia di suicidi:
rimanere in contatto costante con i propri affetti, che patiscono,
senza colpa, le nostre pene. Faccia che l’Europa non ci consideri il fanalino di coda della
civiltà. Se poi il Parlamento troverà un accordo, ben venga un provvedimento
di clemenza, l’unico veramente in grado di sfollare i penitenziari
che rischiano di scoppiare. Con la speranza di un Suo autorevole intervento, invio distinti
saluti.
Roma, 8 maggio 2013 Achille della Ragione
Carcere di Rebibbia
30 Aprile 2013
Ho due famiglie e me ne vanto
Ho due famiglie e me ne vanto, ma non sono uno dei tanti adulteri o
bigami che lo sfascio della famiglia, di pari passo con la
corruzione dei costumi,ha prodotto, con conseguenze devastanti
sull’assetto sociale, ma semplicemente sono da tempo, anche se
innocente, un detenuto per cui, oltre alla mia splendida famiglia
che ho all’esterno e con la quale posso vedermi per poche ore al
mese, costituita da Elvira, una moglie adorabile, Tiziana,
Gianfilippo e Marina, tre figli affettuosi, Leonardo, Matteo ed
Elettra, tre tesori di nipoti, Carlo, un fratello con un figlio
Mario, Giuseppina, Elena ed Adele, tre zie ottuagenarie, Teresa, una
cugina che amo come una sorella ed una miriade di altri cugini, ho
costituito nel pianeta carcere un’affettuosità ed una solidarietà
con gli altri 1800 compagni di sventura, tale da costituire un’altra
famiglia: la più grande del mondo, dove vigono regole non scritte
che, se fossero valide all’esterno, renderebbero il mondo migliore,
evitandone la disintegrazione cui sembra destinato. Il problema dell’integrazione tra italiani ed il fiume di stranieri,
che anno dopo anno sempre più affluiscono nel nostro Paese, in un
solo luogo ha trovato piena applicazione: nei penitenziari,
soprattutto delle grandi città come Roma, Napoli, Milano, nei quali
ormai “gli alieni” ( ma sono nostri fratelli) costituiscono la
maggioranza. Nel buio delle celle vi sono forme di solidarietà sconosciute nel
mondo esterno, cosiddetto civile, e tutti si considerano membri di
una grande famiglia: chi non conosce la nostra lingua la impara in
fretta, acquisendo anche la cadenza dialettale locale. E’ un esempio virtuoso di cui tenere conto e da perseguire perché
non si può andare contro il corso della storia: noi abbiamo bisogno
della loro energia e voglia di conquistare il benessere ed è una
fortuna, non una calamità, che molti scelgono l’Italia, antica terra
di emigrazione, divenuta oggi per tanti la terra promessa. E vogliamo concludere trattando brevemente della frantumazione della
famiglia patriarcale, un evento che cozza contro un paradigma
biologico impresso nel nostro dna, il quale prevede la monogamia per
la specie umana, sia perché un meccanismo mirabile fa sì che in età
fertile coesistano un egual numero di maschi e di femmine, sia per
il lungo periodo necessario a che la prole diventi autonoma, dal che
derivano sentimenti come la fedeltà e la gelosia. (Per chi volesse approfondire l’argomento consultare sul web il mio
saggio “Monogamia: virtù o necessità?”
Questo articolo di Achille della Ragione ha vinto il 1° premio di
2.000 euro al concorso “Silvio Pellico” (edizione 2012) riservato ai
detenuti di tutti i penitenziari italiani. Il denaro della vincita è
stato devoluto dall’autore in beneficenza)
3 Aprile 2013
Rendiamo vivibili i penitenziari
La permanenza in carcere peggiora tutte le patologie, anche nei più
giovani, immaginiamo gli effetti devastanti che possono avere in
pazienti, spesso anziani, affetti da cardiopatie gravi, crisi
ipertensive, Aids in fase terminale, diabete scompensato e tante
altre affezioni che conducono in breve tempo al decesso. Un discorso a parte meritano i numerosi tossicodipendenti, che
dovrebbero essere, prima che puniti, curati in apposite strutture.
Potrei dilungarmi ricordando l’epidemia di suicidi, che andrebbe
contrastata con un’inesistente assistenza psicologica, ma vorrei
trattare dei non meno importanti mali dell’anima: la solitudine, la
malinconia, la sofferenza, la nostalgia. Conosco un rimedio infallibile per combatterli: rimanere in contatto
costante con i propri familiari, anche solo per telefono. In tutta Europa i detenuti (a loro spese) sono liberi di fare quante
telefonate desiderano. Perché dobbiamo essere costantemente il fanalino di coda della
civiltà?
Questa lettera è stata pubblicata su Repubblica del 5 aprile 2013
25 Marzo 2013
Messaggio a Papa Francesco, il pontefice dei poveri e dei
detenuti: Santità, venga a Rebibbia
Vorrei inviare un messaggio al Papa: Santità, abbiamo molto
apprezzato Santità, abbiamo molto apprezzato che un membro di un ordine, da
sempre considerato l'intelligentia della Chiesa, abbia scelto il
nome di Francesco che si batteva in difesa degli umili e dei deboli.
Sicuramente da buon pastore, Lei si metterà in cerca delle sue
pecorelle smarrite e quante ne troverebbe se ci facesse l'onore di
venire a trovarci nel carcere di Rebibbia. Troverebbe tanti Argentini, ma anche tutte le razze e tutti i
popoli, il penitenziario è una sorta di ONU con detenuti di 77
diverse nazionalità. A riceverla Don Sandro e Don Roberto, che da decenni sono al nostro
fianco e che mai ci lasceranno. Le scrive un innocente, che però sa ben discernere tra la giustizia
terrestre spesso fallace e quella divina, infallibile, i cui
tortuosi percorsi spesso non riusciamo a discernere se non ci
sorreggesse una fede incrollabile. L'aspettiamo; non ci deluda.
Questa lettera è stata pubblicata su il corriere della sera del 3
aprile 2013
25 Febbraio 2013
DISCORSO TENUTO IN OCCASIONE DELLA VISITA DEL MINISTRO DELLA
SALUTE BALDUZZI AL GRUPPO UNIVERSITARIO DI REBIBBIA
Signor Ministro, direttore, professori, colleghi, sono Achille della
Ragione, divenuto qui più semplicemente: 90159, sono medico,
specialista in Ostetricia e Ginecologia ed in Chirurgia Generale,
già docente di Fisiopatologia della riproduzione nell’Università di
Napoli. Nello stesso tempo sono gravemente ammalato, affetto da una
ventina di patologie, per cui costituisco l’osservatorio ideale per
tracciare un quadro della situazione sanitaria nel penitenziario, di
cui sono ospite da 18 mesi. Prima di entrare nel merito dei numerosi disservizi, comuni, ma qui
aggravati, a quelli di tutti i cittadini, in un momento di grave
crisi economica come quello che stiamo attraversando, vorrei fare
una precisa denuncia dell’abuso di psicofarmaci, i quali vengono
elargiti in cospicua quantità, pur di tenere calmi i detenuti e che
in breve tempo trasforma gli stessi in automi disarticolati, in
pallidi ectoplasmi, in marionette impazzite. Un altro prodotto che viene distribuito a richiesta è la
tachipirina, un antipiretico, che viene utilizzato per curare le più
svariate affezioni: dal raffreddore al mal di testa, dai dolori
muscolari alle bronchiti, una vera panacea se non si trattasse di un
semplice placebo. I tempi di attesa per una visita specialistica interna sono di mesi,
per un’indagine esterna, superano spesso un anno. Le procedure burocratiche per far entrare un consulente esterno sono
macchinose e defatiganti e durano costantemente molti mesi. La permanenza in carcere peggiora tutte le patologie, anche nei più
giovani, immaginiamo gli effetti devastanti che possono avere in
pazienti, spesso anziani, affetti da cardiopatie gravi, crisi
ipertensive, Aids in fase terminale, diabete scompensato e tante
altre affezioni che conducono in breve tempo al decesso. Un discorso a parte meritano i numerosi tossicodipendenti, che
dovrebbero essere, prima che puniti, curati in apposite strutture.
Potrei dilungarmi, ricordando i tanti morti, l’ultimo meno di un
mese fa e l’epidemia di suicidi, che andrebbe contrastata con
un’inesistente assistenza psicologica. Ma vorrei trattare brevemente
dei non meno importanti mali dell’anima: la solitudine, la
malinconia, la sofferenza, la nostalgia. Conosco un rimedio
infallibile per combatterli: rimanere in contatto con i propri
familiari, anche solo per telefono. In tutta Europa i detenuti (a
loro spese) sono liberi di fare quante telefonate desiderano. Perché
dobbiamo costantemente essere il fanalino di coda della civiltà? Signor Ministro le auguro di far parte del nuovo governo e La
invito, in accordo col nuovo Ministro della giustizia di cercare di
ovviare ai gravosi problemi che Le ho brevemente esposto, i quali,
se trascurati, più che alla giustizia terrestre, gridano vendetta
davanti a Dio. Grazie da Achille della Ragione
9 Gennaio 2013
Il candore delle cornacchie : Il grido di dolore e speranza di
Totò Cuffaro dal carcere di Rebibbia
Da pochi giorni in edicola ed in libreria sono state distribuite le
prime 10000 copie de “Il candore delle cornacchie” (Ed. Guerini - 20
euro; i diritti d’autore saranno devoluti in beneficenza). Il volume scritto da Totò Cuffaro racconta la sua esperienza da uomo
politico più potente della Sicilia a matricola 87833 del carcere di
Rebibbia. Per il titolo l’autore si è ispirato alle numerose cornacchie che
affollano il cielo del penitenziario cantando allegramente, libere
di poter andare dove desiderano e dalla circostanza che una di esse,
il primo giorno di detenzione, si posò sulla finestra della sua
cella e pareva volesse intraprendere un sorprendente dialogo muto
col prigioniero; si parlarono con gli occhi, poi il volatile scappò
via verso il vento della libertà. Cuffaro rivendica la sua innocenza, ma, nello stesso tempo, accetta
con cristiana rassegnazione la sua condanna. Egli è sorretto da una fede incrollabile, la quale gli permette di
sopportare le angherie e le assurdità di un regolamento
penitenziario colmo di divieti e dove i numerosi doveri umiliano i
pochissimi diritti. Molti gioiscono quando un potente viene sbattuto nelle patrie
galere, ben pochi riconoscono il rispetto per chi era andato a
costituirsi con i suoi piedi, senza imprecare contro i giudici, con
una dignità riconosciuta dagli stessi avversari politici. Nella narrazione vengono descritti senza acrimonia l’umiliazione
delle manette del tutto inutili per chi si era consegnato
spontaneamente, la cattiveria del sequestro degli effetti personali
che con amorevole dolcezza la moglie aveva sistemato nella sua
borsa, l’approfondita ispezione corporale subita, tutto nudo, in una
stanza gelida. Vedendo gli ergastolani egli si considera fortunato, che un giorno,
a differenza di loro, potrà tornare ai suoi affetti familiari, alla
sua tenuta in campagna dove farà il contadino, allevando pecore e
capre e continuando a produrre un vino tra i più rinomati della
Sicilia. Si parla della sua ora di corsa mattutina che gli ha permesso una
forma fisica perfetta, perdendo in un anno oltre trenta chili. Oltre cento parlamentari sono venuti a fargli visita oltre a
numerosi ecclesiastici da semplici sacerdoti a qualche cardinale. Ma
la visita più gradita fu quella di Marco Pannella, venuto la notte
del 31 dicembre per cenare con lui assieme a detenuti ed agenti
carcerari. Poco prima vi era stato il 18 dicembre l’incontro con il Pontefice,
dopo tante volte che aveva parlato con lui affettuosamente nelle
sfarzose sale del Vaticano. Confessa che vi è una donna misteriosa di cui conosce solo il nome,
Antonella, che ogni giorno gli manda una cartolina per fargli
compagnia da ogni parte del mondo, forse una hostess. Vi sono anche particolari raccapriccianti come il suicidio per
impiccagione di Luigi, un detenuto dimenticato dai suoi familiari e
che ha pensato che l’unico modo per uscire dall’inferno della galera
era togliendosi la vita. Vogliamo terminare con una sua poesia che fa da quarta di copertina
del libro.
Il carcere è un posto che ti priva non soltanto della libertà
ma soprattutto del respiro lungo della vita. Ci manca il fiato.
Il carcere ti spezza il fiato.
Totò Cuffaro
Totò Cuffaro ed Achille della Ragione
26 Gennaio 2013
«Meglio bestia che detenuto»
Il governo si è sciolto senza prendere alcun provvedimento “sfollacarceri”,
mentre quotidiani e mass media continuano ad interessarsi alla sorte
dei cani randagi in Ucraina, dei gatti sfollati da Largo Argentina o
delle galline costrette in gabbie anguste. I detenuti gradirebbero che fosse dedicata pari attenzione ad esseri
umani costretti a spazi talmente Limitati da invidiare gli animali dei giardini zoologici.
17 Febbraio 2013
Si parla tanto di amnistia e indulto, alimentando inutili speranze
tra i 70000 detenuti, stipati come bestie nelle carceri,
dimenticando il delicato momento politico, per cui è pura utopia
sperare che si possa raggiungere in Parlamento la maggioranza
qualificata necessaria a varare un provvedimento di clemenza. Si
potrebbero invece svuotare rapidamente i penitenziari attraverso una
legge ordinaria, che preveda il rispetto di leggi già esistenti,
inapplicate per il congestionamento degli uffici dei giudici di
sorveglianza, costretti, nonostante il loro lodevole impegno, a
esaminare con attese estenuanti migliaia di istanze. Le ragionevoli
proposte che mi sentirei di avanzare al legislatore sono:
- Il diritto automatico ai domiciliari per chi deve scontare
meno di un anno.
- L' avviamento obbligatorio ai servizi sociali per tutti coloro
che devono scontare gli ultimi tre anni di reclusione.
- L' utilizzo della carcerazione preventiva solo in casi
eccezionali, facendo tesoro del braccialetto elettronico in uso in
tutti i paesi civili e non dimenticando che secondo la Costituzione
si tratta di innocenti.
- La possibilità di scontare la pena ai domiciliari per tutti i
malati passibili di peggioramento in regime di reclusione e per chi
ha compiuto 65 anni.
- Trasferire in strutture attrezzate i tossicodipendenti per un più
efficace programma di recupero, favorendo un futuro inserimento
nella società.
17 dicembre 2012
Lettera pubblicata il 7 dicembre 2012 su "il Venerdi di Repubblica"
nella rubrica "questioni di cuore" di Natalia Aspesi
« Una dolce morte »
Per le coppie anziane, dopo tanti anni passati assieme sorge il
desiderio anche di morire insieme. A me e mia moglie questa rara occasione capitò anni fa in un aereo
in avaria, che tentò un atterraggio di fortuna senza carrelli, ma
riuscimmo fortunatamente a salvarci. Da allora tanto tempo è
passato: Gli occhi si cercano sempre, le mani si accarezzano più di
prima. Il desiderio si trasforma, i corpi stanchi e rugosi,
diventano il soffice cuscino cui adagiarsi. Il vecchio desiderio di Filemone di essere trasformato con l’amata
Bauci in una quercia e in un tiglio uniti per sempre nel tronco e
nelle radici è una mera utopia. In un paese che non permette
l’eutanasia, non resta che bere assieme una tazza di dolce veleno,
regalandosi vicendevolmente la morte.
Achille Della Ragione
risposta di Natalia Aspesi André Gorz, scrittore, filosofo, uno dei fondatori del settimanale
francese Nouvel Observateur, si uccise nel 2007 assieme alla moglie
malata, non potendo immaginare di vivere senza di lei, erano insieme da 58 anni. Di lui, Sellerio ha pubblicato nel 2008
Lettera a D. inno: d'amore a Dorine, la compagna di tutta la vita da
cui non ha voluto separarsi. Mi perdoni se le ricordo che altri hanno fatto ciò che lei immagina,
se segnalo ancora una volta il film Amour che racconta una storia
simile. Mi perdoni anche se le dico che, se ovviamente penso che l'eutanasia
sia un diritto per chi vuole porre fine alla sofferenza o per chi
sopravvive con le macchine come un vegetale, non posso pensare che
si rinunci alla vita, perché muore una che sino a quel momento l'ha
divisa con noi. Davanti saranno anni vuoti, tristi, ma varrà sempre
la pena di viverli anche in solitudine, perché comunque la morte non
unisce, cancella soltanto e non ci sono dei, che, come racconta
Ovidio nelle sue Metamorfosi, premino Filemone e Bauci facendoli
morire insieme e trasformandoli, per sempre, in alberi.
Natalia Aspesi
16 Novembre 2012
Da sempre amo leggere la divina commedia e ne conosco a memoria i
versi più famosi. L'altro giorno, mentre recitavo i passi immortali della storia di Paolo e
Francesca ad altri compagni, ho provato invidia per i due amanti, condannati a vagare per l'eternità
tra le fiamme dell'inferno, ma teneramente abbracciati; mentre io e mia moglie Elvira, senza aver
commesso alcun peccato, siamo costretti a vivere la stessa pena, ma separati.
Lei a fare la nonna a tre vispi nipotini a Bruxelles, mentre io nel
buio della mia cella, e possiamo stare abbracciati poche volte al mese, e solo per pochi minuti
2 Ottobre 2012
L'altro giorno a Rebibbia, Ignorato dalla stampa vi è stato
l'ennesimo suicidio per impiccagione
durante la messa al momento della preghiera, ho ricordato con brevi
parole l'episodio (pubblicato come lettera al direttore)
FINALMENTE LIBERO una bilancia in un'aula di giustizia ha segnato il suo destino,
l'altro giorno una bilancietta gli ha permesso di diventare libero.
Anche in reparti come il nostro G8 la sofferenza, la malinconia, la
solitudine, la disperazione possono indurre ad atti insulsi. possa Dio, nella sua infinita misericordia perdonarlo ed accoglierlo
nell'alto dei cieli preghiamo
RISPOSTA DELLA FAMIGLIA di Luigi Del Signore GRAZIE
è con profonda commozione che abbiamo ascoltato la lettera che avete
scritto per ricordare lo zio. "Giggi" così noi lo chiamavamo, è stata una persona sfortunata, ha
avuto una vita difficile. Non era semplice stargli accanto nè
volergli bene, mi ha colpito come lo avete descritto, gli aggettivi
che avete usato. Lui era Giggino così strano, lunatico, ma inoffensivo.
aveva un carattere difficile e non amava parlare di sé, né forse
farsi conoscere troppo profondamente. Non sapremo mai il PERCHE' zio abbia deciso di togliersi la vita,
noi tutti speriamo che adesso sia in pace con se stesso e con gli
altri. Grazie per avergli voluto bene e grazie anche per essere stato
presente i fiori che avete mandato.
30 Settembre 2012
Un fiore nel deserto
Rebibbia non é soltanto sovraffollamento e solitudine, ma vi sono
anche delle oasi di pace e di tranquillità, una delle quali é
costituita dal gruppo universitario fatto nascere dal nulla negli
anni da Sergio Boeri e frequentata da una ventina di detenuti che
studiano Giurisprudenza, sotto la guida di illustri luminari e
giovani dottorande con un rapporto docente-discente da fare invidia
a celebri università come Oxford e Cambridge. Fianco a fianco senza problemi siedono famosi politici e medici
plurilaureati con efferati assassini e trafficanti di droga. E' d'obbligo l'uso del tu anche fra professori e studenti. Ed
assieme si trascorrono molte ore del giorno in ambienti estremamente
accoglienti: una grande sala luminosa, dotata di aria condizionata
ed una biblioteca fornitissima. Studiare vuol dire libertà ed il gruppo universitario della fortezza
di Rebibbia costituisce il tempio del sapere.
4 Settembre 2012
LA PUNIZIONE FUORI DAL CARCERE: Incrementare le misure
alternative
A fine settembre il Parlamento dovrà decidere sul decreto
legislativo riguardante la penosa situazione della Giustizia, ma
soprattutto dovrà cercare un rimedio all’esplosiva situazione dei
penitenziari con la prepotente urgenza del sovraffollamento, con un
surplus attuale di 23.000 detenuti. Una situazione più volte
sottoposta dal Presidente Napolitano all’attenzione dei politici e
dell’opinione pubblica, senza sortire alcun effetto, mentre
continuano a fioccare senza sosta le sanzioni europee, somme
notevoli che vanno ad aggiungersi ai 250 euro di costo giornaliero
per lo Stato per ciascun detenuto, di cui appena 12 centesimi
destinati ad attività di recupero, mentre dall’inizio dell’anno vi
sono stati 37 suicidi e 5.073 gesti di autolesionismo. Mancano i fondi? Niente affatto! Sono stati mal adoperati per
incompetenza e per corruzione. Come si spiegherebbe altrimenti che sono stati elargiti 110 milioni
di euro alla Telecom per realizzare solo 14 braccialetti
elettronici? Da tempo il dibattito anima le pagine dei giornali, inoltre sono
numerosi i libri di esperti che cercano di identificare nella pena,
non solo una necessaria espiazione, ma anche un mezzo per preparare
il detenuto a reinserirsi nella società, redento e pronto a
procacciarsi da vivere attraverso l’onesto lavoro. E’ una nobile battaglia di idee tra chi considera utile la
reclusione e chi vuole abolirla, riaprendo la diatriba che parte da
Beccaria per arrivare a Foucault. Partirei da “Detenuti” di Melania Rizzoli, che fotografa una
galleria di personaggi famosi e da “Il perdono responsabile” di
Gherardo Colombo. Fondamentale poi “Perché punire è necessario” di
Winfried Hassemer ed “Il collaboratore della giustizia penale” di
Vittorio Mathieu. Abbiamo citato i titoli più importanti, ma la bibliografia è
vastissima, segno dell’attenzione della cultura allo spinoso
problema. Una notizia clamorosa che è passata sotto silenzio dalla stampa è
che per la prima volta i magistrati in tirocinio, nella didattica
della nuova scuola di magistratura, saranno obbligati a vivere in
prima persona l’esperienza del carcere per alcuni giorni ed alcune
notti. Una novità travolgente che permetterà di valutare come va
vissuta la pena. Per Montesquieu o Beccaria la pena viene riconosciuta come un “ male
necessario ad impedire al reo dal fare nuovi danni ai cittadini ed a
rimuovere gli altri da farne eguali” (Beccaria – Dei delitti e delle
pene – 1764). Concetti oramai superati dai nuovi operatori della giustizia che
affermano perentoriamente come il carcere, se risposta esclusiva a
qualunque violazione, si riveli inutile e controproducente, divenga
scuola di criminalità, non riesca a fare scendere il tasso di
recidiva e, all’uscita, restituisca più insicurezza di quanta ne
abbia imprigionata all’entrata. Un’intuizione che già Michel Foucault nel suo celebre “Sorvegliare e
punire” aveva stigmatizzato sottolineando che la detenzione,
producendo l’effetto di rinnovare e moltiplicare i comportamenti
delinquenziali aveva tradito la sua principale finalità. Gherardo Colombo sottolinea come il concetto del perdono sia il
presupposto per una possibilità di collegare alla trasgressione il
recupero. Colombo è convinto che far male insegni solo a far male e
la sofferenza imposta serve solo a produrre obbedienza anziché
consapevolezza. Ai reclusi spesso il nostro sistema carcerario non
toglie solo la libertà, ma anche la dignità. E questo non solo per
ragioni affettive come il sovraffollamento, l’assenza di
riservatezza per le necessità e la cura del proprio corpo, l’inedia
e l’ozio coatto che non consentono di esprimersi in una qualche
attività in cui poter riconoscere le proprie capacità, ma anche per
una serie di micro umiliazioni inflitte ai detenuti che devono
subire per non compromettere il loro curriculum di buona condotta
che li priverebbe di quei piccoli vantaggi ad essa connessi. E qui
viene da pensare che molti suicidi in carcere, che accadono
frequentemente nell’indifferenza generale, non siano da imputare
solo alla soppressione fisica della libertà, ma anche e soprattutto
alla perdita di dignità, che fa percepire la propria vita come
insignificante. Se la perdita della libertà è inevitabile, quella della dignità è
una pena supplementare che può e deve essere evitata, educando il
personale carcerario ed affidando a tutti i detenuti un’attività
occupazionale. Se lo scopo della detenzione non è solo quello di scontare una pena,
ma anche il reinserimento, come solennemente sancito dal dettato
Costituzionale, dobbiamo considerare i detenuti come persone degne
di rispetto al di là del reato commesso. Non si tratta di illusioni, ma costituivano l’anima ed il motore di
progetti bipartisan di riforma del codice, come le commissioni
ministeriali Nordio nel 2005 e Pisapia nel 2008, che, per i reati di
minor allarme sociale, prevedevano lavori di risarcimento e servizi
alla comunità. Alla fine di settembre in Parlamento si discuterà un
decreto delegato sull’argomento, speriamo con serenità e
ragionevolezza, e noi ci permettiamo di suggerire alcuni emendamenti
quali: il computo per l’applicazione dei mesi di premio fin dal
momento dell’ingresso in carcere, così da poter giungere presto ai
benefici, senza dimenticare la possibilità di telefonare quando si
vuole, come accade in tutta Europa, e di poter utilizzare Internet e
Skype
18 Agosto 2012
Mentre tutti sono al mare ed i giornali sono interessati solo alla
crisi economica, 70.000 detenuti vivono stipati in celle che potrebbero contenerne
meno della metà, nelle quali la temperatura supera costantemente i
40° e senza alcuna possibilità di redimersi, ma unicamente di
dannarsi. Una situazione che senza perifrasi ha un solo nome: tortura e per la
quale i tribunali internazionali hanno ripetutamente condannato
l’Italia. Anche il Presidente della Repubblica ha richiamato l’attenzione del
Parlamento sulla tragica condizione di invivibilità dei nostri
penitenziari, ma nessuno tra i politici ha il coraggio di proporre
l’unica soluzione possibile: un indulto accompagnato, come sempre in
passato, da un’amnistia. Attendiamo ora di ascoltare l’autorevole
voce del Pontefice sulla vicenda, sperando che, come nel 2006, possa
costituire lo stimolo a prendere una decisione impopolare, ma
improcrastinabile, infatti, quando lo Stato non è capace di
garantire un minimo di vivibilità, non ha altra scelta che abdicare.
Nel frattempo questo anno un digiuno propiziatorio accompagnerà il
mesto pellegrinaggio ai luoghi di pena dei pochi parlamentari
convocati da Pannella, i quali, abituati ai pasti prelibati ed a
sbafo consumati nel ristorante del Senato, potranno rendersi conto
personalmente dello schifo di cibo che viene propinato ai carcerati,
costretti a spendere di tasca propria per un vitto decente. Per ora, spiega il ministro, ho fatto '' il possibile. Quasi 2mila
posti in più con i nuovi padiglioni, 3mila detenuti in meno con le
sliding doors e altri 2mila con gli arresti domiciliari. Ma
continuerò a lavorare per loro''.
1° Luglio 2012
Scacchi a Rebibbia
Un torneo autogestito si è svolto nel carcere di Rebibbia con la
partecipazione dei una quindicina di detenuti. Vincitore a punteggio
pieno è risultato il maestro napoletano Achille della Ragione
davanti al maestro internazionale albanese Kusturica. Il giorno
successivo in una grande simultanea il vincitore ha sfidato tutti i
partecipanti, battendoli di nuovo tutti. Per l’autunno si prevede
l’organizzazione di un corso di scacchi, per permettere a tutti di
conoscere ed apprezzare questa nobile attività agonistica, che,
oltre a tenere in esercizio l’intelligenza e la memoria, insegna la
correttezza, per cui è stata giustamente denominata “Il gioco dei re
ed il re dei giochi”.
26 giugno 2012
IL MESSAGGERO di martedì 26 giugno 2012 pag.2
Rubrica: A TU PER TU Di Roberto Gervaso
Mitologia oggi
Caro signor Gervaso, creata dalla fertile fantasia dei nostri
antenati, la mitologia rivive con prepotenza nell’immaginario
popolare dei nostri contemporanei. Le muse sono oramai a portata di
mouse e non vivono più nei racconti dei cantastorie che li
diffondevano dai villaggi alle città, ma trionfano sui settimanali
patinati ed irrompono dallo schermo dei nostri computer, creando un
mirabile corto circuito tra passato e presente in un mirabile
spazio-tempo, a cui tutti gli abitanti del villaggio globale possono
accedere liberamente. Oramai tra l’Olimpo e lo star system non
esiste più alcuna barriere temporale. Le monumentali statue di Fidia
e di Mirone, che ci proponevano atleti leggendari, si sono
reincarnate nelle piroette di Messi e nello scultoreo corpo della
Pellegrini mentre le divinità sono divenute dive, gli eroi si sono
trasformati in campioni olimpici, le vezzose quanto seducenti ninfe
sono degnamente rappresentate da graziose veline o maliziose escort,
i virulenti satiri hanno trovato un degno erede nelle incredibili
cavalcate erotiche dell’immarcescibile Cavaliere. Eris la poco nota
dea della zizzania, rivive negli effetti devastanti del prorompente
posteriore di Pipppa Middleton, che distoglie i flash dei fotografi
dall’abito nuziale della sorella Kate e turba i desideri lascivi dei
maschi di tutte le età. Una pedissequa ripetizione della famosa
discordia scatenata dalla perfida mela che turbò il matrimonio tra
Pelea e Teti, scatenando dissapori tra le Dee come in una eccitante
puntata di un reality show. I suoni delle band e le suadenti melodie
dei cantanti vorrebbero ammaliarci, come le sirene cercarono di
incantare l’astuto Ulisse. Le miss e le longilinee top model
ricalcano il mito del trucco e della bellezza. Che vede Cleopatra
come illustre capostipite. L’antica mitologia ci proponeva divinità
umanizzate con pregi e difetti: da Giove a Venere, da Ercole ad
Achille, da Paride ad Elena; antichi archetipi, pedissequamente
riproposti da calciatori, ballerine, pop star e attori del cinema e
della televisione, in una girandola multiforme e con uno scambio di
ruoli da far inorridire sia Kafka che Pirandello.
Achille della Ragione
risposta di Roberto Gervaso Lei, caro Achille ha perfettamente ragione: le cose stanno proprio
così. Né con l’aria che tira, potrebbero stare diversamente. I
valori si sono sovvertiti, il favore fa aggio sul merito, i gusti
sono cambiati, e anche i disgusti. E cambiate sono le aspirazioni.
Il mondo di oggi non è più quello di ieri, e non solo entro i
confini dello stivale: ovunque. Le copertine dei settimanali sono
diventate appannaggio degli eroi dello spettacolo, dello sport,
della moda. Le veline, le show girl, i calciatori, le modelle,
tengono campo, dopo averlo invaso. I nuovi Soloni sono i tronisti
che, non sapendo niente di niente, possono parlare, e parlano di
tutto. Il gossip dilaga, il sensazionalismo è la materia prima dei
giornalisti. Se non fai scandalo, non sei nessuno. Un paio di tette
prosperose o un fondoschiena ben esibito valgono più di un cervello
che funzioni. Lo star system impera e i suoi fan, sempre più
fanatici, non si contano. Noi siamo all’antica e non solo perché antichi (antichi o
venerabili, non vecchi) e in questo mondo stiamo male, anche se
speriamo di restarci il più a lungo possibile visto che l’altro, se
esiste, non lo conosciamo; se non esiste, ci annulla e ci toglie la
voglia di salire sul barcone di Caronte. Con la parola e con la penna cerchiamo di arginare questa deriva ma
l’impresa è disperata. Siamo soli e in pochi. La massa si è adeguata
e i pettegolezzi che ha sempre amato la fanno gongolare più di
quanto la interessino la serietà e la profondità dei ragionamenti.
Fra un Nobel e Madonna che fa una piroetta e canta, sguaiata e
blasfema, non ha dubbi: meglio la signora Ciccone. Tra un filosofo
che cerca di farti capire l’incomprensibile vita e un bomber come Di
Natale, sceglie Di Natale. Nei bar, la mattina, fra una tazzina e l’altra di caffè, di cosa si
parla? Del rigore ingiustamente negato alla Roma e benevolmente
concesso alla Juventus, dell’ultima esibizione della rock star, del
temerario bikini di Belen o dell’amore contrastato della figlia di
un commoner con il pretendente al trono di un regno scandinavo. Che fare? Niente. Prendere atto, come dicevo, che il mondo di oggi
non è più quello di ieri e augurasi che quello di domani sia meglio
di quello di oggi.
Roberto Gervaso
24 Giugno 2012
Il drammatico problema del sovraffollamento e dell’invivibilità dei
penitenziari italiani è argomento di scottante attualità e,
nonostante più volte il Presidente Napolitano abbia fatto sentire la
sua voce solenne ed ammonitrice, Parlamento e Governo si sono
disinteressati alla questione, impegnati a tartassare con tasse e
balzelli i dipendenti a reddito fisso. Melania Rizzoli, medico e deputato, nonché moglie dell’editore
Angelo Rizzoli, ha scritto un libro che si legge, dalla prima
all’ultima pagina, con le lacrime agli occhi: “Detenuti - Incontri e
parole dalle carceri italiane”, il cui sottotitolo potrebbe essere
il celebre verso dantesco: “Lasciate ogni speranza o voi
ch’entrate”. La premessa sconvolgente è affidata ai numeri: 206 istituti, che
potrebbero accogliere 45000 reclusi, costretti ad ospitarne quasi
70000, mentre ogni giorno le entrate superano le uscite. La scrittrice ha visitato questi gironi infernali ed ha ascoltato
voci famose ed anonime, entrambe accomunate da un identico destino
di solitudine, malinconia, annientamento fisico. Uno dopo l’altro si ascoltano racconti di detenuti, che hanno avuto
l’onore della cronaca per i loro delitti da Mambro a Vanna Marchi,
dal boss dei boss Provenzano a Cuffaro, da Michele e Sabrina Misseri,
Sofri, Tanzi, Lele Mora e Olindo Romano. Tutti colloqui privati che
si trasformano in un viaggio interiore, che modifica profondamente
chi vive tra quelle tristi mura, dimostrando alla fine come il
sistema repressivo italiano tenda a distruggere la personalità ed a
far ritenere il suicidio come una liberazione. Sofri: “In carcere non puoi permetterti i sentimenti, perché
diventano delusioni”. Mambro: “Il carcere è un tritacarne, ti schiaccia e ti schianta”.
La Marchi parlando di Lele Mora: “Per affrontare il carcere ci
vogliono le palle e due non bastano”. Tanzi: “No, non leggo i quotidiani, ma solo il Vangelo, una pagina
la mattina e una la sera”. Emblematica la visita a Provenzano, che non parla con nessuno ed ha
vissuto un’interminabile latitanza come un topo in una fogna. “Cosa
le manca di più?”. “L’aria, mi rispose deciso guardandomi con occhi
senza espressione”. Il libro termina con un ammonimento ai magistrati quale
responsabilità si assumono quando firmano un ordine di carcerazione
senza avere ancora la certezza della colpa, in stridente contrasto
con l’articolo 27 della nostra costituzione.
27 Giugno 2012
Il carcere dei famosi e la realtà dei poveri Cristi
I mass media si interessano incessantemente ad evidenziare ogni
qualvolta un personaggio famoso: un politico, un attore, uno
sportivo varca la porta del carcere. E’ una straordinaria risorsa narrativa capace di calamitare
l’attenzione del lettore e la sua pruriginosa curiosità, magari
alimentata da un pizzico di invidia sociale e di segreta
soddisfazione per il loro destino. Ma nessuno si interessa delle tristi storie di quell’esercito di
poveri Cristi, di quella infinita schiera di detenuti sbattuti in
galera, spesso semplici indizi e non prove, ad attendere un giudizio
che in quasi la metà dei casi li vedrà innocenti, mentre nel
frattempo sono costretti a vivere sulla propria pelle gli
straripanti problemi della detenzione e dell’inefficienza della
giustizia.
20 Aprile 2012
Cambiare il regolamento carcerario
Vorrei chiedere ai membri del Parlamento se, attraverso una legge
ordinaria, si possa migliorare le disastrose condizioni di
vivibilità delle nostre carceri: cambiamento del regolamento
penitenziario, ottuso ed antiquato, aumento del bonus per chi lavora
o studia ed ha un comportamento ineccepibile, l’introduzione di
Internet e Skype, aumentare il numero dei colloqui o quanto meno
delle telefonate ai familiari, perché rimanere costantemente in
contatto con i propri cari è l’unico rimedio che conosco per
combattere la sofferenza, la tristezza, la solitudine, la
malinconia.
4 Aprile 2012
Gentile direttrice,
La ringrazio per la sua cortese lettera e per l’invito a collaborare
alla sua rivista nei modi che riterrà di indicarmi. A Rebibbia partecipo ad un attivo gruppo universitario e spesso
organizziamo delle conferenze, per cui vorremmo invitarla a tenerne
una sul tema “Internet e Skipe nei Penitenziari”, che lei ha visto
argomento di una mia lettera al Ministro di Grazia e Giustizia
Severino. Sarebbe opportuno che intervenisse anche uno dei Parlamentari
favorevoli e se possibile lo stesso dottor Nicola Mazzamuto,
Segretario Generale del Coordinamento Nazionale dei Magistrati di
Sorveglianza, il quale ha auspicato proprio l’uso di Skipe per dare
modo a tutti i detenuti, soprattutto agli stranieri, che hanno le
famiglie lontane, di dialogare con i propri cari. Mi faccia sapere la sua disponibilità e se possibile l’indirizzo del
magistrato per invitarlo ufficialmente a nome del Gruppo.
In attesa di un suo riscontro le invio i miei saluti.
Achille della Ragione
Via Majetti 70
00156 Roma
31 Marzo 2012
Il coraggio di aver paura
Oggi 30 marzo nell’area verde del penitenziario di Rebibbia si
svolgerà una grandiosa Via Crucis, con la partecipazione anche dei
familiari dei detenuti, ad alcuni dei quali è stato assegnato il
compito di commentare alcune delle stazioni. Io dopo un attento studio ho ritenuto di sottolineare il sentimento
della paura, l’iniquità della giustizia, la stessa partecipazione
alla sofferenza. Tra molte delle stazioni della Via Crucis e la condizione del
carcerato ho trovato molte sorprendenti similitudini. A partire dalla prima stazione, nella quale Gesù viene sottoposto ad
un giudice e condannato a morte. Il giudice del mondo, che un giorno
ritornerà a giudicare l’umanità, sta lì, annientato, disonorato e
inerme davanti ad un giudice terreno. Innocente lui, innocenti tanti
di noi che ci siamo visti condannati da una giustizia spesso
fallace. Nella decima stazione Gesù viene spogliato delle sue vesti, una
forma di emarginazione e di disprezzo, un’amarezza e la vergogna di
rimanere nudo davanti a tutti. La stessa umiliazione che viene inflitta al detenuto al suo ingresso
nel penitenziario, costretto a spogliarsi come un verme ed esplorato
senza pietà nei più intimi orifizi. Ma il sentimento che più accomuna la figura di Gesù a quella del
detenuto è senza dubbio la paura, che sottende a tutte le 14
stazioni e che compare già nell’orto del Getsemani, quando egli si
vede abbandonato e tradito da tutti con momenti culminanti nella 11
stazione, quando Nostro Signore viene inchiodato sulla croce e nella
12, quando dopo aver invocato disperato: “Padre mio, Dio mio, perché
mi hai abbandonato” muore, mentre si fa buio su tutta la terra.
La vita del detenuto è una continua paura, spesso si piange
disperati, ma non vi è da vergognarsi, abbiamo paura come ha avuto
paura Gesù e questo deve confortarci.
12 Marzo 2012
Fido salvo per miracolo
Nei prati intorno ai padiglioni della fortezza di Rebibbia vivono in
perfetto accordo alcuni cani randagi e numerosi gatti, che
sopravvivono grazie alla generosità dei prigionieri, i quali ogni
giorno portano loro avanzi di cibo. Tra questi vi è Fido, un bastardo, frutto probabilmente di un
incrocio tra un cane e una lupa, perché ha degli occhi che incutono
timore, ma è mansueto perfino con i gatti. L’altro giorno vi è stata un’ondata di freddo polare, è caduta tanta
neve e Fido non si è fatto vedere all’ora di pranzo. Molti hanno
temuto che fosse morto assiderato e alcuni volenterosi si sono messi
alla sua ricerca, fino a quando non l’hanno trovato in fin di vita
sotto un albero, dove aveva cercato disperatamente un riparo. Il
cuore batteva appena. Si cerca di praticargli un massaggio cardiaco e poi un ragazzo tenta
di soccorrerlo con una respirazione bocca a bocca. Una scena
commovente, una simbiosi uomo-bestia, un richiamo a quell’amore
sviscerato che lega da sempre tutti i viventi, non solo nella
mitologia e nelle fiabe. Si percepisce il calore del fiato, che
riscalda l’atmosfera ghiacciata, mentre si scruta con trepidazione
il muso del cane per cercare qualche indizio di vita. Lo portano al caldo in una cella, lo adagiano su due sedie vicino al
termosifone, lo asciugano con il fono. Lentamente si vede il muso
affilato cominciare a muoversi, un orecchio si muove. Il giorno dopo con un cucchiaino riescono a fargli mangiare un uovo.
Il rumore della lingua che lappa è una vera e propria sinfonia. La bestia è salva. Una favola a lieto fine: bello il cane, belli i
detenuti, belli i capelli del ragazzo che con il suo bacio gli ha
ridato la vita. Non è possibile credere che l’uomo sia l’unica meta della creazione
e che tutto l’universo sia stato ideato per noi. Così il Cristianesimo ha spesso dimenticato la natura.
Molti Santi hanno dedicato la loro esistenza al soccorso dei poveri
e degli ammalati: compito degnissimo. Soltanto San Francesco e qualche eremita hanno dedicato la propria
vita a salvare una fonte, un albero o a proteggere qualche animale:
compito non meno degno.
21 Febbraio 2012
Ottusità del regolamento penitenziario
Mentre in Parlamento si discute di provvedimenti svuota carceri
impavidi ed inefficaci, senza il coraggio di proporre un’amnistia ed
un indulto, resta in vigore un regolamento penitenziario ottuso e
retrogrado che, a costo zero, potrebbe essere modificato,
migliorando la vivibilità dei penitenziari nei quali attualmente
(sono parole del presidente Napolitano) i detenuti sono costretti ad
espiare una pena doppia. Voglio citare pochi significativi esempi: è vietato possedere carte
da gioco francesi (siamo autarchici), ricevere libri con copertina
rigida, avere un orologio non ispezionabile, indossare una cravatta
e centinaia di altri divieti, tra il ridicolo e l’anacronistico.
Nel mio caso, senza redigere alcun verbale, è stato sequestrato un
orologio donatomi dal cappellano e che mi necessitava per assumere
negli orari precisi i 12 farmaci che ogni giorno debbo assumere per
le mie gravi condizioni di salute. Ma il colmo credo si sia raggiunto quando ad un ex senatore, oggi
ospite dello Stato, è stato sequestrato un libro con copertina
rigida, consegnatogli personalmente da un onorevole, già ministro di
Grazia e Giustizia. Si potrebbe parlare all’infinito, ma vorrei concludere sul problema
delle telefonate. L’unico rimedio che conosco per combattere la sofferenza, la
solitudine, la malinconia è rimanere in contatto costante con i
propri familiari. Aumentare il numero e la durata dei colloqui richiede ambienti e
personale che mancano, ma 10 minuti di telefonata alla settimana mi
sembrano un limite inutilmente severo, tenendo presente che in tutta
Europa i detenuti sono liberi (naturalmente a proprie spese) di fare
tutte le telefonate che desiderano.
25 Febbraio 2012
Rebibbia Uber Alles: Trionfa al festival di Berlino il film dei
fratelli Taviani
Il penitenziario del carcere di Rebibbia è da alcuni mesi al centro
dell'attenzione dei mass media internazionali. Prima la visita del Pontefice, il quale, in occasione delle
festività natalizie, non si è dimenticato di andare a visitare le
sue pecorelle smarrite; ieri il trionfo, dopo oltre venti anni, al
prestigioso festival di Berlino del film documentario dei fratelli
Taviani, interamente girato nel carcere romano, con i detenuti che
mettono in scena il "Giulio Cesare" di Shakespeare. Una pellicola che non vuole compiacere il gusto del pubblico, ma in
tende scuotere le nostre certezze morali e civili, puntando l'indice
sul disastro del nostro sistema penitenziario, dove la dignità umana
viene calpestata ogni giorno, trasformando esseri umani, pur
colpevoli di efferati delitti, in automi disarticolati, in pallidi
ectoplasmi, a volte in marionette impazzite. Il pubblico applaude con entusiasmo, ma molti hanno le lacrime agli
occhi, al pensiero che i bravissimi attori: Cosimo, Salvatore,
Fabio, Giovanni, Antonio, Vincenzo e Gennaro non sono presenti,
rinchiusi nella solitudine delle loro celle. Le scene sono state girate all'interno del reparto di massima
sicurezza, nelle celle, nei cortili angusti e claustrofobici che
costituiscono l'universo desolante di persone, le quali a contatto
con le parole immortali del grande genio, hanno conosciuto una nuova
dimensione provocando dirompenti emozioni. Il film parla di intrighi, tradimenti, morte, uomini d'onore, una
terminologia familiare per chi vive nel braccio di massima sicurezza
e per chi è condannato per omicidio, mafia, criminalità organizzata.
Comincia a colori con il finale del "Giulio Cesare", per proseguire
poi con un livido bianco e nero. L'energia della narrazione vive nello stridente contrasto tra i
silenzi delle celle e la forza straripante della rappresentazione
teatrale, con la struggente malinconia, alla fine dello spettacolo,
del ritorno alla desolante realtà della reclusione. Si tratta di un riconoscimento che, oltre a gettare di nuovo luce su
un tema di scottante attualità, come la drammatica situazione in cui
versa il nostro sistema carcerario, costituisce un plauso ai tanti
volontari, che tentano con ogni mezzo anche attraverso l'arte ed il
teatro, il recupero di tante vite difficili. Il film è stato già visto in mezzo mondo, dalla Francia
all'Inghilterra, dal Brasile all'Australia, fino addirittura alla
Norvegia ed all'Iran e siamo certi che sarà accolto con interesse
anche dal pubblico italiano.
15 Febbraio 2012
Lettera aperta al Ministro Severino
Gentile signora Severino, sono napoletano come Lei, medico e scrittore attualmente detenuto
nel carcere di Rebibbia, ed ho molto apprezzato il Suo toccante
discorso in occasione della visita del SantoPadre, per cui desidero
ringraziarLa, anche a nome dei miei compagni di sventura. Lei non ha potuto vedermi, perché la mia domanda (cattiva), per
quanto condivisa dai cappellani, è stata censurata dalla segreteria
del Pontefice. In ogni caso è stata pubblicata da numerosi quotidiani sotto forma
di lettera al direttore: «Colgo l’occasione per sottoporLe una mia proposta che,nonostante
abbia prospettato da tempo alla direzione, non ha finora ricevuto
risposta. Ho la fortuna che mia figlia e mio genero siano commissari
europei e, dopo aver consultato tutti i presidenti delle
commissioni, mi hanno assicurato, in tempi brevissimi, la
disponibilità di 100.000 euro per una o più iniziative a favore dei
reclusi di Rebibbia. Il mio sogno è che si possa permettere-a costo zero- l’opportunità
di ricevere ed inviare mail a parenti ed amici,grazie al
finanziamento della Comunità Europea. Naturalmente la posta elettronica in arrivo ed in partenza,a
differenza di quella tradizionale che gode della segretezza,
potrebbe avere un filtro censorio .Rimanere in contatto costante con
i propri cari è l’unico rimedio che conosco per sopportare la
sofferenza, la solitudine,Se non la malinconia. si ha l’energia per la realizzazione di un’iniziativa del genere,che
ci porrebbe una volta tanto all’avanguardia in Europa, avanzo una
seconda proposta: quella d’invitare i maggiori esperti
internazionali del settore a tenere un ciclo d conferenze sulle
metodiche più avanzate per meglio tollerare la detenzione,
dall’ipnosi alla meditazione trascendentale, senza alcuna
preclusione (ricorda la signora Ministra la scena relativa di
Arancia meccanica?) e raccogliere poi i risultati in un volume da
diffondere presso gli istituti di pena di tutto il mondo.
Attualmente ho constatato che l’unica tecnica ampiamente attuata
consiste nell’uso generoso di psicofarmaci, sconfinante
nell’abuso,ch trasforma i detenuti in pallidi ectoplasmi, in automi,
molto spesso in marionette impazzite. Non mi dilungo, gentile signora,ma sarei onorato di un Suo riscontro
Pubblicata L'UNITA' di DOMENICA 22 GENNAIO 2012
per dovere di cronaca, questa era la domanda censurata rivolta al
Papa benedetto XVI in visita a rebibbia:
«Santità, Lei pensa che i nostri
governanti, che ci costringono a vivere stipati in celle di 15 mq in
6, ma altrove anche in 8 e in 16, mentre le norme europee prevedono
che un maiale abbia a disposizione 10 mq, saranno condannati alle
pene dell’inferno?»
13 Febbraio 2012
Musica in libertà a Rebibbia : “L’ombroso” una band da schianto
Il reparto G8 di Rebibbia costituisce il fiore all’occhiello del
penitenziario per le numerose attività che vi si svolgono: da un
corso di giornalismo ad un gruppo universitario, che frequenta la
facoltà di Giurisprudenza, ad una sezione molto attiva di Lega
Ambiente, fino ad una compagnia di attori che allestisce spettacoli
teatrali. Ma l’attività più “rumorosa” è senza dubbio quella di un gruppo
musicale alla quale spesso partecipa in prima persona anche uno
degli educatori: il dottor Del Curatolo, persona umanissima ed
appassionata, che vuole condividere con i suoi assistiti le note e
l’atmosfera di sana allegria. Ai detenuti bastano delle botti di legno percosse veementemente con
nodosi bastoni per far sentire subito il rumore cupo e fragoroso,
che devasta il cuore delle foreste africane, sono sufficienti pochi
strumenti a corda per percepire le emozioni di Siviglia o di
Barcellona, poche note dolenti di sax per aprire squarci poderosi
sulla musica di oltre oceano dell’ultimo secolo. Essa sa esprimere in egual misura l’amore e le passioni, ma anche
l’indignazione e la rabbia attraverso una fontana di suoni, ora
sussurrati ora gridati, in un immenso quanto sconvolgente geyser di
emozioni canore. Nel tempo varie band si sono alternate, perché fortunatamente
qualche componente torna libero, ma viene subito sostituito, perché
sono in tanti coloro che vogliono associarsi alla combriccola, che
viene guidata da Andrea, un musicista professionista, che funge da
volontario e coordina le varie iniziative in campo musicale. I partecipanti sono Giovanni ed Emiliano alla batteria; Salvatore,
che si alterna tra basso e chitarra, oltre a cantare in maniera
mirabile; Francesco alle percussioni; il dottor Del Curatolo, il
quale è un abile chitarrista e Paolo, cantante e valido alle
tastiere in egual maniera. Il gruppo si è esibito più volte nella Festa della Musica, una
manifestazione organizzata da Lega Ambiente nell’area verde, ma il
sogno è di potersi esibire nel teatro del penitenziario davanti a
tutti i compagni di sventura degli altri reparti; un sogno che,
grazie alla sensibilità della direzione, sono certo diverrà presto
realtà. Tra le mura di Rebibbia di recente i fratelli Taviani hanno girato
un film che sarà fra poco presentato al Festival di Berlino, nel
quale vi era uno spazio anche per la musica.
7 Febbraio 2012
Lettera di uno scrittore al suo editore
Caro vecchio amico, sto leggendo con avidità i libri che gentilmente mi hai fatto
pervenire, in parte aiutato da un architetto, anche lui detenuto e
che assieme al senatore Cuffaro costituisce l’esiguo gruppetto di
detenuti ospiti di Rebibbia; 3 su 2000 reclusi, in possesso di una
laurea. Ho da poco completato la lettura di “Peramare Napoli” di Renato
Nicolini, di cui conto a breve di pubblicare una recensione sulla
riviste letterarie alle quali collaboro. Il volume mi ha particolarmente colpito, non solo per l’amore
sviscerato di un non napoletano verso Napoli, la nostra amata città,
ma soprattutto per lo stile fluido ed accattivante e per l’eleganza
del dettato. Conto quanto prima di rileggerlo, perché alcune considerazioni mi
hanno indotto a riflettere sulle tante problematiche che affliggono
una gloriosa ed antica capitale, ridotta al ruolo di capitale della
monnezza e della criminalità. Il mio reparto, il 68, è il fiore all’occhiello del penitenziario,
diretto da un’illuminata direttrice e molte sono le iniziative che
si svolgono, dalla musica ad un corso di giornalismo, fino ad una
piccola elite, che segue il corso di laurea in giurisprudenza, al
quale anche io mi sono iscritto, giusto per conseguire la mia quinta
laurea. Quasi tutti lavorano come cucinieri, porta vitto, scopini, piantoni,
portapacchi, fabbri, elettricisti, idraulici, pagati con stipendi
cinesi. Se per qualche giorno decidessero di scioperare, tutto si
fermerebbe. Molti sono gli ergastolani, gli assassini, i trafficanti
internazionali di droga, ma sembrano pecorelle smarrite anche se non
redente. Vi è anche una delle ultime Brigate Rosse ancora in circolazione, un
cervellone, che ha creduto e crede ancora, in determinati momenti
della storia della necessità di passare alla rivolta armata. Abbiamo animate discussioni, come pure ho frequenti scambi d’idee
con i seminaristi sulla presenza del male nel mondo ed ho messo i
dubbio in alcuni di loro la loro fede, non sempre incrollabile. Non voglio dilungarmi, ma vorrei tornare sulla proposta che ti ho
avanzato nella precedente lettera, di editare il mio “Napoli e la
napoletanità nella storia e nell’arte”. L’educatore che mi segue mi ha assicurato che potrò presentarlo in
pubblico alla Feltrinelli anche se scortato; immagina il battage
pubblicitario che si potrebbe imbastire sulla vicenda: il pericoloso
intellettuale che può esprimere le sue idee, anche se in manette.
Pensaci e fammi sapere.
31 Gennaio 2012
IL PECCATO DELLA LIBERTÀ DI PAROLA: Ne uccide più la penna che la
spada
Il peccato originale per l’uomo non è consistito certamente
nell’aver assaporato le gioie del sesso, bensì nella volontà di
accedere alla conoscenza e soprattutto attivarsi alla sua
diffusione. Un acuto pensatore riesce a leggere il futuro prima dei suoi
contemporanei, non ha timore di scontrarsi con la morale corrente e
con il potere ed invita perentoriamente ad infrangere le regole
della tradizione, senza preoccuparsi delle conseguenze personali.
Il pensiero non conosce alcun limite, né quello delle sbarre di una
cella, da dove può espandersi fecondando ed influenzando l’opinione
pubblica, né la prigione di un corpo paralizzato come nel caso del
grande scienziato Hawking, che da cinquanta anni, costretto su una
sedia a rotelle, grazie ad un computer collegato ad un
sintetizzatore vocale, ha stravolto con le sue idee i confini della
fisica moderna. Senza la scintilla del pensiero la nostra esistenza non avrebbe
alcun significato: un succedersi di eventi senza senso: nascere,
diventare adulti, avere un carattere, dei sentimenti, lavorare,
essere ricchi o poveri, avere una famiglia e degli amici, avvertire
vagamente il tempo e lo spazio e morire senza lasciare traccia del
proprio passaggio sulla terra. La conoscenza si trasmetteva in passato esclusivamente attraverso i
libri, i quali come i fiumi rendevano ubertosa la terra,
rappresentavano le fonti primigenie della saggezza, permettendo alla
mente di spingersi in un abisso senza fondo. Oggi, sempre più frequentemente, la verità cammina su Internet e per
un blog si può essere uccisi nel più atroce dei modi: con la testa
mozzata, messa dentro un sacco e lasciata davanti ad una scuola con
accanto, affinché il messaggio risultasse ancor più minaccioso ed
ammonitore, una tastiera di computer. È quanto è accaduto ad una giovane blogger messicana, che si firmava
“La ragazza di Laredo”, perché da lì conduceva la sua battaglia
contro i narcotrafficanti, la cui potenza economica ha da tempo
ammansito gran parte della stampa e le televisioni locali. Ma il
sacrificio di questa ignota ragazza, di questa eroina dei nostri
tempi, ha scatenato la furia dei blogger, che sono aumentati di
numero ed hanno trovato il coraggio di denunciare questi ignobili
commerci e la corruzione dilagante. La forza delle parole e del raziocinio non si fa imbrigliare dalle
ferree regole delle leggi o dall’etica corrente, né rispetta i
rigidi dettami delle religioni. Spesso l’ateismo è una
manifestazione del libero pensiero, con l’uomo che si fa arbitro e
giudice delle sue azioni, emancipandosi di fatto da ogni ipoteca
soprannaturale. Talune volte la forza dell’intelletto attira su di sé un fascino
irresistibile, che lo trasforma in un grande seduttore, di menti
come di gonnelle, una sorta di Don Giovanni, come tutti quelli
immortali, creati dalla fervida fantasia di scrittori di ogni epoca,
da quello di Tirso de Molina a quello di Molière, fino all’eroe
trasfuso in pura lirica da Mozart. Sempre in anticipo sui loro tempi, come capita anche ai nostri
giorni assediati dai fantasmi di rozzi integralismi religiosi ed
etici, che mostrano la forza liberticida di un oscurantismo, che non
risparmiano neanche l’Occidente, dove le grandi conquiste liberali
sono insidiate da un bigottismo ipocrita ed opportunista.
11 Gennaio 2012
Gentile direttore "della Stampa"
mi permetta di replicare all’autore dell’editoriale dei lettori
comparso sabato 7 gennaio, intitolato: “Altro che amnistia”, che
viceversa intitolerei: ”Amnistia necesse est”. Le due soluzioni prospettate come risolutive dall’ingenuo collega
sono pura chimera, per risolvere il drammatico problema del
sovraffollamento nelle carceri, divenuto oramai intollerabile, il
quale, oltre a costituire un record di cui vergognarsi tra i paesi
europei, ci accomuna tristemente a quelle nazioni, in cui i diritti
umani valgono meno che carta straccia. Rimandare in patria i
detenuti stranieri, che hanno commesso reati in Italia, non è
compatibile con l’autorità di uno stato straniero e ad eccezione dei
cittadini europei in primis Romeni, per i quali esiste una
convenzione tra gli stati membri, le nostre galere debordano per la
presenza di Africani e Sudamericani, Albanesi ed Ucraini. Riguardo a far lavorare gli ospiti delle prigioni per ripagarsi le
spese di vitto e alloggio, che ammontano a ben più di 250 euro al
giorno, ciò avviene già e da tempo. Gli istituti di pena
cesserebbero di colpo di funzionare, se si fermassero le migliaia di
spesini, portavivande, cucinieri, addetti alle pulizie, al cambio
delle lenzuola e ad una infinità di altre mansioni, pagati con
stipendi “cinesi”, poco più di cento euro al mese, al netto delle
trattenute. Quando uno stato non è in grado di amministrare una sua funzione
fondamentale, ignorando spudoratamente rieducazione e reinserimento
come sancito solennemente dalla nostra Costituzione e tenendo
stipate come bestie in celle di 15mq 6-8 a volte anche 16 esseri
umani, quando le normative internazionali prevedono che un maiale
abbia diritto a 10mq, non resta che abdicare, promulgando un
indulto, che riducendo la pena produca i suoi effetti per anni ed
un’amnistia in grado di rimettere in funzione di nuovo i tribunali,
ingolfati da decine di migliaia di procedimenti destinati in gran
parte alla prescrizione.
10 Gennaio 2012
Il colloquio dei prigionieri con i parenti
In passato i pirati permettevano ai familiari di riscattare i
prigionieri, pagando una notevole somma di denaro ed a testimoniare
questa antica consuetudine a Napoli, nel centro storico esiste
ancora una chiesa, chiamata del “La redenzione dei captivi”,
intendendo naturalmente per captivi non certo i bambini cattivi che
rubano la marmellata di nascosto dai genitori, bensì la parola
latina che indicava i prigionieri. Oggi invece i pirati condannano
tutti coloro che catturano a pene diverse, a secondo dell’impegno
con cui hanno partecipato alla battaglia, ma permettono ai loro
parenti di incontrarli poche volte al mese per un’ora. I colloqui
con i parenti sono un conforto molto importante, perché, anche se
per una manciata di minuti, si possono toccare le mani delle persone
care, scambiarsi confidenze, piangere assieme. Purtroppo bisogna affrontare una doppia via crucis: dentro, per i
prigionieri, attese interminabili tutti stipati in camere di
sicurezza stracolme, mentre all’esterno i parenti fanno file
massacranti di ore, sotto il sole e sotto l’acqua, senza un briciolo
di pietà per bambini, malati ed anziani. Fuori al portone alcuni si presentano alle quattro del mattino per
essere tra i primi e non perdere interamente una giornata di lavoro.
La fila si snoda senza alcun controllo per cui è facile per i
prepotenti scavalcare i più deboli o lo scatenarsi di risse e sono
ben pochi quelli che cedono il passo a vecchi che si trascinano con
un bastone o a donne con un bambino in braccio. Ho assistito a scene di una cattiveria indescrivibile, come quando i
guardiani hanno sequestrato un rudimentale pupazzetto di pezza ad un
prigioniero, il quale dopo aver lavorato una settimana per
realizzarlo, lo voleva regalare al suo figlioletto. Mi ha commosso
anche vedere una zingarella di 9-10 anni accompagnare da sola i due
fratellini per fare visita al padre.
10 Gennaio 2012
Piena integrazione
Il problema dell’integrazione tra Italiani ed il fiume di stranieri
che, anno dopo anno, sempre più affluiscono nel nostro paese, in un
solo luogo ha trovato piena applicazione : nei penitenziari,
soprattutto delle grandi città : Roma, Napoli, Milano, nei quali
oramai “gli alieni “ (ma sono nostri fratelli) costituiscono la
maggioranza. Nel buio delle celle vigono regole di solidarietà sconosciute nel
mondo esterno, cosiddetto civile e tutti si considerano membri di
una grande famiglia, chi non conosce la nostra lingua la impara in
fretta, acquisendo anche la cadenza dialettale locale. Un esempio virtuoso di cui tenere conto e da perseguire, perché non
si può andare contro il corso della storia, Noi abbiamo bisogno
della loro energia e voglia di conquistare il benessere ed è una
fortuna non una calamità, che molti scelgono l’Italia, antica terra
di emigrazione, divenuta oggi per tanti la Terra promessa.
29 Dicembre 2011
La domanda di Albertone al Papa
Il 18 dicembre in occasione della visita del Papa al carcere di
Rebibbia gli è stata letta da un detenuto, conosciuto come Albertone
il gladiatore, questa domanda: “Santità, Lei pensa che i nostri
governanti che ci costringono a vivere in 6, ma anche in 8 e 16 in
celle di 15 mq., mentre le normative europee prevedono che per un
maiale vi siano 10 mq. a disposizione, saranno condannati alle pene
dell’inferno?”. Non essendo stato presente all’incontro mi sarebbe
piaciuto ascoltare la risposta del Santo Padre.
11 Dicembre 2011
intervista di Mirko Locatelli
Fu individuato attraverso l'analisi dei dati di traffico registrati
su un suo blog privato e sulla sua casella di posta elettronica,
eseguiti con la collaborazione del Servizio Centrale di Polizia
Scientifica. E quando gli agenti della squadra mobile napoletana lo
arrestarono in una via di Roma e lo trasferirono a Rebibbia, il
dottor Achille della Ragione si lasciò ammanettare senza tanti problemi. Il noto professionista di Posillipo si era sottratto a una
dura condanna: 10 anni di carcere per aborto clandestino. Coinvolto
in un caso clamoroso nato dalla denuncia di una donna che aveva
abortito senza la sua volontà, lui si è sempre difeso sostenendo una
ben diversa versione dei fatti. Ma la sentenza gli ha dato torto e,
dopo tre gradi di giudizio, è diventata esecutiva. Dopo quella
sentenza, che è del 2008, lui si era allontanato da Napoli facendo
perdere le sue tracce. Fino al giorno della cattura in un internet
point della capitale. Il 4 ottobre scorso il ginecologo è entrato nel carcere romano che
pesava 102 kg. Oggi, dopo 65 giorni di detenzione, ne pesa 93. La
barba che presentava solo qualche ciuffo bianco si è di colpo
incanutita. Due profonde occhiaie solcano il suo volto ed ha ancora
addosso i pochi vestiti usati fornitigli dalla Caritas, al punto che
tutti, nei primi giorni da recluso, lo avevano scambiato per un
barbone. E poi com’è andata? «Piano piano prima gli assistenti (guai a chiamarli secondini) e poi
tutti gli altri, leggendo le mie lettere pubblicate sui quotidiani
hanno imparato a conoscermi per quello che sono: un uomo mite, che
cerca di mettere a disposizione degli altri le proprie conoscenze,
scrivendo lettere e poesie ai parenti, dettando istanze e dando
consigli utili a tutti». Ma dove si era nascosto, da latitante, durante questi tre anni?
«In verità avevo seguito alla lettera il parere del mio avvocato, al
quale non era stato mai notificato il decreto di latitanza. Io
risultavo semplicemente irreperibile ed anche un amico questore mi
aveva confermato che non esisteva nessun mandato di cattura nei miei
confronti. Al punto che per oltre un anno sono stato consultato
frequentemente dal Nucleo centrale dei carabinieri per la Tutela del
patrimonio artistico, il quale mi inviava via email le foto dei
quadri rubati e recuperati presso antiquari e ricettatori ed io più
volte sono riuscito ad individuare la chiesa dalla quale erano stati
trafugati». Roba da non credere… «Invece è così. Anzi non è tutto. L’Ordine generale degli
Agostiniani mi ha dato incarico di collaborare, stilando decine di
schede per due ponderosi volumi agiografici su San Nicola da
Tolentino e Santa Chiara da Montefalco». E come passava il tempo mentre era ricercato?
«In maniera proficua. Ho tenuto a Roma un ciclo di lezioni di Storia
dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti e conferenze magistrali
sulla pittura napoletana del Seicento alla Sorbona di Parigi,
all’Istituto “Amatler” di Barcellona e presso la “Witt Library” di
Londra. Nello stesso tempo ho pubblicato una ventina di libri ed ho
visto le mie lettere ed i miei scritti sui più svariati argomenti
pubblicati sui principali quotidiani cartacei e telematici». E l’impatto con la realtà carceraria?
«No, non è stato per me una novità. Avevo già conosciuto purtroppo i
gironi danteschi di Poggioreale, la cui esperienza ho trasfuso nel
mio libro ”Le tribolazioni di un innocente”, da tempo esaurito, ma
consultabile sul web digitandone il titolo. Rebibbia rispetto
all’inferno di Poggioreale è un tollerabile purgatorio, potremmo
addirittura parlare di un albergo, anche se di infima categoria».
In cosa è diverso Rebibbia da Poggioreale? «Gli spazi di Rebibbia sono più ampi,
le celle al massimo contengono sei detenuti e si può sopravvivere
più decorosamente. Anche per i familiari la via crucis per poter
incontrare i propri cari è meno tortuosa: in genere una-due ore di
attesa al coperto, rispetto alle cinque-sei ore di Napoli. Nessuno
però fa andare avanti nella fila un invalido o una mamma con un
bambino tra le braccia, una carognata inconcepibile all’ombra del
Vesuvio. Anche tra i detenuti le ferree regole di rispetto per gli
anziani, per i deboli e per i malati, non sono rispettate: lo posso
testimoniare». E ora come vede il suo futuro? «Al momento lo vedo offuscato da nubi minacciose, ma spero che Dio,
il quale ha fatto capolino nel mio cuore, mi dia la forza di
resistere. Ho speranza anche nel mio ricorso alla Corte suprema di
Strasburgo, che fra poco dovrebbe andare in discussione, ed in un
eventuale revisione del processo». Quali potrebbero essere i nuovi elementi da portare ai giudici?
«La donna che mi ha ingiustamente accusato mi ha più volte
contattato, tramite internet, dichiarandosi pentita del grave danno
arrecatomi. La sua vera intenzione non era quella di colpire me:
voleva solo danneggiare il suo amante che, secondo lei, negli anni
le aveva ripetutamente promesso di lasciare la moglie, cosa invece
mai avvenuta».
intervista pubblicata su IL ROMA del 5 settembre 2012
29 Dicembre 2011
Il presepe del carcere di Rebibbia
Il presepe con il suo messaggio di pace e di buona novella
rappresenta il momento culminante dell’amore di Giuseppe e Maria
verso il loro fragile figlioletto destinato in breve a cambiare il
mondo e la tradizione di fabbricarlo risale alla fine del ‘400 per
raggiungere il suo fulgore nel ‘700 a Napoli, quando alla sua
creazione concorsero veri e propri artisti, impegnati a forgiare le
figurine che ne animano lo scenario. E’ triste constatare come abbiamo trasformato il Natale da momento
magico di letizia in un rito di massa, con grandi mangiate e smodate
libagioni, acquisti sfrenati ed un’idolatrica prostrazione al Dio
Denaro. Bisogna approfittare di questi giorni in cui studio e lavoro
presentano una pausa per riunire le famiglie, sempre più spesso
separate, per santificare la festa. Ogni anno i detenuti di Rebibbia preparano con impegno un grande
presepe e siamo certi che senza dubbio Ninno, vedendolo, alla
domanda “Te piace ‘o presepe?”, avrebbe risposto a Lucariello “Me
piace assai”. Il Natale dei detenuti di Rebibbia naturalmente è ben diverso da
quello che si respira vicino ai propri familiari, ma la fede e la
visita del Papa daranno loro la forza di trasformarci, tutti uniti,
nella più grande famiglia del mondo, superando così, in un giorno di
letizia la tristezza, la malinconia, la solitudine.
20 Dicembre 2011
REBIBBIA
Ogni cella è occupata da sei prigionieri, che trascorrono gran parte
della giornata come belve in gabbia. La mattina gli sventurati
possono trascorrere qualche ora in alcuni cortili all’aperto, dove
passeggiare e scambiare una parola con prigionieri di altri reparti.
Vi è anche all’esterno un campo di calcio, un campo da tennis, che
può pure trasformarsi per giocare a palla a volo, in maniera tale
che i più giovani possano sfogare la loro rabbia e scaricare le
energie represse. Per i più vecchi vi è soltanto la possibilità di
passeggiare. Il pomeriggio si può di nuovo uscire per qualche ora
dalle celle, percorrendo però soltanto il corridoio e fare amicizia
con altri prigionieri. C’è pure una sala dove giocare a pingpong.
Il cibo che viene servito è di qualità scadente, spesso avariato, a
tal punto che viene rifiutato perfino dagli animali, piccioni e
gatti che vivono nei prati, ma per sopravvivere bisogna adattarsi e
fare buon viso e cattivo gioco. Ad alcuni prigionieri è permesso di lavorare: coltivare la terra,
cucinare, portare il cibo, lavare il pavimento dei corridoi,
raccogliere la spazzatura. L’assistenza medica è approssimativa, i
farmaci scarseggiano e per chi è vecchio e malato, come nonno
Achille, la situazione è drammatica. Le giornate non passano mai e scorrono tutte uguali. La tristezza,
la malinconia, la solitudine dominano incontrastate. Quando piove non si può uscire dalle celle, fortunatamente spesso vi
è il sole, che, oltre a riscaldare i corpi, infonde un certo
benessere. Nel cielo volano dei gabbiani. Come sono felici loro che possono
andare dove vogliono! Quante volte nonno Achille li ha invidiati! Avrebbe volentieri
scambiato tutte le sue ricchezze per poter divenire uno di loro e
spiccare il volo verso la libertà. Nella fortezza di Rebibbia sono ammassati prigionieri provenienti da
luoghi diversi e si parlano tante lingue, ma la solidarietà regna
sovrana: ognuno divide quel poco che possiede con gli altri. Si
tratta di una regola non scritta, alla quale nessuno trasgredisce.
Poco alla volta si costituisce una grande famiglia. Se all’esterno ci fosse la solidarietà che si respira in quel luogo,
il mondo sarebbe più buono e più degno di essere vissuto.
3 Dicembre 2011
"Pena di morte? No suicidio di Stato!"
In Italia non esiste la pena di morte, non siamo mica gli Stati
Uniti o la Cina, siamo un paese civile. Da noi però i detenuti, per le mostruose condizioni di
sovraffollamento, denunciate solennemente dallo stesso Presidente Napolitano, sono costretti a vivere stipati come bestie e
da tempo nei penitenziari si è diffusa una micidiale epidemia, con una cadenza di suicidi impressionante.
Speriamo che il nuovo governo, invece di varare con assoluta urgenza
adeguati provvedimenti, non pensi che il problema si risolva spontaneamente grazie a questa catena di suicidi forzati,
ben più esecrabile della pena di morte.
12 Dicembre 2011
Il Papa visita i gironi infernali
Il 18 dicembre il Papa si recherà nel carcere di Rebibbia a
celebrare la Santa Messa ed ad ascoltare, reparto per reparto, le
esigenze dei detenuti. Un gesto nobile e carico di significato simbolico, a pochi giorni
dal Natale che darà agli ultimi tra gli ultimi la forza si
sopportare la sofferenza di trascorrere il giorno più lieto
dell’anno nella solitudine e nella tristezza, lontano dai propri
cari. Nelle sue ultime encicliche il Papa ha saputo parlare con
estrema saggezza non solo ai credenti ma anche a tutti gli uomini di
buona volontà e la sua visita non può essere vista solo nel quadro
della sua missione di Pastore, il quale ha a cuore le sue pecorelle
smarrite, bensì si carica di pregnanti significati simbolici. Sicuro di interpretare le richieste di tutti i compagni di pena,
anche se non sarò io ad avere il privilegio di parlargli, vorrei
semplicemente dirgli: “Santità, le sue preghiere sono ben più
potenti delle nostre. Faccia che l’infallibile Giustizia Divina
illumini quella terrestre, spesso fallace, e che la sua invocazione
venga ascoltata non solo nell’alto dei Cieli ma anche nelle sorde e
grigie aule del Parlamento, il quale, pur preso da pressanti
problemi di natura economica, trovi il tempo e la volontà di varare
al più presto un improcrastinabile provvedimento di clemenza, che
permetterà di sfollare le carceri e di restituire ai detenuti,
ridotti al rango di bestie, la dignità di uomini.
26 Novembre 2011
Roberto e la gattina Chicca
C’era una volta… Roberto, uno dei tanti sfortunati che deve trascorrere ancora molti
anni in prigione per pagare il suo debito con la società. Passa
alcune ore come lavorante, un modo per far trascorrere il tempo, ma
soprattutto per rendersi utile nei riguardi dei suoi compagni di
sventura. Gode però di un impagabile privilegio, come è consuetudine
per i pochi detenuti che svolgono attività lavorativa, puo’
usufruire di una cameretta di pochi metri quadrati, dove dorme da
solo, anzi in compagnia, perché con lui vive una graziosa gattina
nera: Chicca che di giorno, nelle ore d’aria, porta all’aperto,
conducendola con un rudimentale guinzaglio di stoffa colorata.
Chicca è stata raccolta nei prati contigui dove si trovano numerosi
gatti, che sopravvivono grazie alla generosità di chi getta loro
avanzi di cibo. Sui prati attorno alle celle svolazzano centinaia di
colombi, ai quali, un anziano detenuto, con spirito francescano e
tra gli sberleffi di tutti, getta il pane raffermo, che normalmente
viene gettato nella spazzatura. I piccioni accorrono a centinaia e
bisogna spezzare il pane in tanti piccoli pezzettini, altrimenti i
più forti ed i più prepotenti mangerebbero tutto e molti
rimarrebbero digiuni. Anche ai gatti, distribuendo avanzi di carne e
di pesce, provvede l’anziano signore, che molti familiarmente
chiamano Zio, nonostante sia nonno di tre bellissimi nipotini,
mentre tutti gli altri si rivolgono a lui con il titolo di
professore, perché è l’unico laureato e mette generosamente la sua
cultura a disposizione di chiunque si rivolga a lui, scrivendo
lettere, poesie, fornendo consigli legali e compilando i tanti
moduli che un’asfissiante burocrazia richiede per ogni necessità.
Tenere con se un animale è naturalmente vietato dai regolamenti, ma
anche gli agenti penitenziari hanno un cuore e chiudono entrambi gli
occhi, fingendo di non vedere Roberto che passeggia tranquillamente
con la sua gattina. La sera la fa accucciare ai piedi della sua
brandina, dopo averla a lungo accarezzata e si addormenta felice.
Roberto non ha parenti che vengono a fargli visita, la sua famiglia
lo ha abbandonato e l’unico conforto è la compagnia di Chicca, il
solo essere vivente che gli vuole bene. Egli è rassegnato, ma
sereno. Come lo invidia quell’anziano signore dalla barba bianca,
cosa pagherebbe se potesse anche lui la sera addormentarsi, come ha
fatto per tanti anni, con Attila, steso su un piccolo tappetino
persiano, il suo fedele rottweiler, il più affettuoso ed il più
fedele amico dell’uomo
23 Novembre 2011
MARIO MONTI
Finalmente un governo tecnico incaricato di assumere provvedimenti
poco graditi senza dover temere il giudizio degli elettori:
patrimoniale,aumento dell'età in cui andare in pensione,una seria
lotta all'evasione fiscale e tra questi,ormai indifferibile ed
invocato anche dal nostro saggio Presidente Napolitano, un 'amnistia
ed un indulto, che sfollino le carceri dove il sovraffollamento ha
creato condizioni di invivibilità che nemmeno Dante ha immaginato
per i suoi gironi infernali. i detenuti non sono bestie e con i lori
amici e parenti pregano che un tale provvedimento venga varato, e
sono tanti, tutti gli uomini di buona volontà
19 Novembre 2011
villaggio globale
Oggi viviamo in un villaggio globale. Le informazioni circolano in
tempo reale dovunque, anche nel terzo mondo. I nostri penitenziari
però appartengono purtroppo al quarto mondo. Tra i provvedimenti a costo zero, che migliorerebbero sensibilmente
la vita dei detenuti, vi potrebbe essere la possibilità di ricevere
ed inviare mail a parenti ed amici. I telegrammi costano tanto (ben pochi possono permetterseli) ed
arrivano dopo giorni. I colloqui sono per molti impossibili.
Pensiamo agli stranieri, che costituiscono oramai il 40% della
popolazione carceraria e sono in continuo aumento, i quali non
vedono per anni un familiare, mentre con Skype potrebbero vedere i
loro volti. Naturalmente la posta elettronica in arrivo ed in
partenza (a differenza di quella tradizionale) potrebbe avere il
filtro di uno scrivano. Quante volte vi è la necessità improcrastinabile di contattare un
legale o si vive nell’angoscia per un familiare gravemente ammalato?
Senza sognare amnistie o indulti ogni detenuto potrebbe rimanere in
contatto con i propri cari, l’unico rimedio veramente efficace che
conosco per sopportare la solitudine e la sofferenza.
18 Novembre 2011
L’amore, è quel sentimento misterioso e sublime, il più bel dono che
ci ha fatto il Creatore, il quale può sfidare la caducità della
materia e durare in eterno. Vorrei rendere nota ai lettori la mia esperienza.
Ho avuto la fortuna di incontrare una donna unica Elvira e da 40
anni condividiamo la buona e la cattiva sorte, osservando
scrupolosamente la promessa che ci scambiammo sull’altare. In passato ci sono state tante gioie: agiatezza economica, figli,
nipoti, la salute, ma poi su di noi ha imperversato un destino
avverso fatto di malattie e di traversie giudiziarie. Ma il nostro
amore non ha conosciuto crisi: ieri presentazioni di libri a
Montecitorio, la partecipazione attiva nel bel mondo della società e
della cultura, oggi una ben diversa realtà. Ma Elvira non mi ha mai lasciato, né in sala di rianimazione, né
oggi, che, ingiustamente condannato, sono costretto come un leone in
gabbia, a trascorrere il resto dei miei giorni nel buio di una
cella.
Grazie all’amore e grazie ad Elvira.
17 Novembre 2011
UN ATTO DI GENEROSITÀ
I detenuti sono tra gli emarginati gli ultimi tra gli ultimi.
Privi di diritti ed oberati di doveri non conoscono però l’egoismo e
dividono fraternamente tra loro il poco di cui dispongono anche se
tutti li hanno dimenticati, dal Parlamento, impegnato in squallide
beghe di potere e spesso addirittura dagli stessi familiari, loro
non vogliono sentirsi inutili e se non possono lavorare, vogliono
poter donare il loro sangue a chi ne ha urgente bisogno. E’ un sangue che si nutre quotidianamente di amarezza, ma che può
divenire una dolce miscela in grado di salvare tanti malati. Ne ho parlato tra i detenuti di Rebibbia, raccogliendo decine di
entusiastiche adesioni, ma credo fermamente che anche in tutti gli
altri penitenziari italiani migliaia di giovani vigorosi sarebbero
felici di poter regalare la vita, senza nulla chiedere in cambio.
16 Novembre 2011
UNA BATTAGLIA DI CIVILTÀ
Attorno al "Pianeta carcere " da sempre vige un silenzio assordante
dei mass media e delle istituzioni. Inoltre, ed è l'aspetto più
triste della vicenda, da parte dell'opinione pubblica vi è non solo
disinteresse, ma la volontà pervicace di non interessarsi, di non
sporcarsi le mani ed il cervello al contatto di problematiche che
riguardano chi ha sbagliato ed ha contratto un debito verso la
società. In tal modo si commette il grave errore di dimenticare una
drammatica verità, costituita dal fatto che i 2/3 dei detenuti sono
in attesa di giudizio - per cui, secondo la nostra Costituzione,
innocenti - e, di questi, oltre il 60% sarà assolto alla fine del
giudizio, naturalmente dopo essere stati annientati e con loro, i
loro familiari. La vita dei carcerati è una realtà scottante, ma alla pari
dell'eutanasia, dell'omosessualità, della follia, della droga,
dell'aborto non interessa, in maniera trasversale, l'intera classe
politica, perché non solo non procura voti, bensì fa perdere
consensi non appena si accenna all'argomento. Il livello di civiltà e di democrazia di un Paese si valuta a
seconda del modo in cui vengono trattati i più deboli e non esiste
categoria più abbandonata e negletta della popolazione carceraria,
privata non solo del bene più prezioso per un individuo: la libertà,
ma costretta, per il disumano sovraffollamento delle nostre
infernali "caienne", a subire una infinità di pene accessorie più
varie, dalle violenze sessuali alla sporcizia obbligatoria, stipati
come bestie in gabbia, fino a limiti allucinanti di 16 persone in
una cella di 4 metri per 4, più una squallida ed angusta latrina per
i bisogni corporali, per lavarsi e per lavare le stoviglie dopo i
pasti. Napoli, come sempre, quando si tratta di record negativi è in testa
alla classifica con il sovraffollamento da quarto mondo dei suoi
penitenziari, al cui confronto i gironi infernali danteschi
impallidiscono miseramente. Il carcere di Poggioreale, come riferito ufficialmente
all'inaugurazione dell'anno giudiziario 2002 , può contenere al
massimo 1276 detenuti, ma ne ha avuti in media 2199. Nel 2003, pur
rimanendo invariata la capienza, abbiamo appreso che si è raggiunto
il record di 2386 detenuti. Eureka!! In queste disperate condizioni,prive di qualsiasi dignità,
naturalmente qualsiasi tentativo di recupero è mera utopia:diritto
allo studio, al lavoro, ad un minimo spazio vitale rappresentano
chimere irraggiungibili. E così ogni giorno si calpesta e si ignora sfacciatamente il terzo
comma dell'articolo 27 della nostra Costituzione, il quale recita
solennemente: "... le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso
di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".
Inoltre, alle disperate condizioni di vita nei penitenziari si
associano ulteriori disfunzioni, quali la esasperante lentezza con
cui i giudici di sorveglianza esaminano le posizioni dei detenuti,
che avrebbero diritto ad uscire dal carcere ed usufruire del regime
di semilibertà. Anche tutti gli altri istituti di pena campani soffrono di
condizioni di sovraffollamento più o meno gravi e di condizioni di
vivibilità ai limiti dell'incubo. Un discorso a parte merita il famigerato "41bis", un regime di
ulteriore grave restrizione delle libertà personali in aggiunta a
tutte le limitazioni della carcerazione. Una normativa ignota negli
altri Stati europei, che, applicata con severità, può sconfinare in
un trattamento che nel diritto internazionale ha un nome ben preciso
: tortura, anche se solo psicologica. Alla fine di questo angoscioso tunnel non si riesce ad intravedere
che una luce fioca, la cui esiguità sembrerebbe togliere ogni
speranza ai detenuti ed ogni desiderio di proseguire la lotta ai
pochi uomini di buona volontà, che da tempo combattono, ad armi
impari, contro inique ingiustizie. Una sola proposta che possa suonare da minaccia: cosa aspettiamo a
portare lo Stato italiano davanti alle Corti di giustizia
internazionali!?
4 Novembre 2011
«Ho incontrato Dio in carcere. Dio è in ogni luogo e può raggiungere
ed illuminare il cuore di un uomo in ogni momento, dovunque egli si
trovi, anche nel buio di una cella, dimenticato da tutti se non
dalla cattiva sorte. Posso testimoniarlo personalmente: sono un
peccatore, non un delinquente e fino ad oggi ho creduto fermamente
soltanto ad un Dio creatore ad una intelligenza suprema, che ha
creato l’universo, dotandolo di leggi perfette. Mille dettagli ce lo
confermano ogni giorno. Più difficile è credere ad un Dio misericordioso, perché ci capita
spesso di osservare avvenimenti che riteniamo ingiusti, soprattutto
quando ci toccano personalmente e noi ben sappiamo di essere
innocenti, ma commettiamo l’errore di confondere la giustizia
terrena, fallibile, con quella divina che lavora in tempi più
lunghi. Oggi sono felice perché Dio non si è dimenticato di me, ha toccato
il mio cuore e spero orienterà il mio futuro. Volevo riconciliarmi con lui,confessarmi e comunicarmi.
Peccato che a Roma, sede millenaria del Papato, per assistere alla
Messa, bisogna prenotarsi ed io, neofita, da poco ospite dello
stato, non lo ero»
4 Novembre 2011
Albertone il gladiatore, il gigante buono
Albertone, al secolo Alberto Santarelli, non é un criminale
spietato, come tanti che affollano le straripanti carceri italiane,
bensì un bonaccione dal fisico Erculeo da fare invidia a Maciste, un
giovane sfortunato che ha conosciuto la droga da ragazzo e, per
procacciarsela, ha commesso reati sempre più gravi, partendo dal furto per arrivare
alla rapina. É uscito ed entrato da galera ed ogni volta che tornava a casa la
trovava sempre più vuota : sono infatti morti tragicamente prima il
padre, poi il fratello, quindi la madre e le due sorelle. Era
rimasto solo e disperato e si illudeva di trovare nella droga un
conforto alla sua solitudine. Ha assunto di tutto, ma poi ha avuto
la fortuna di trovare l’amore di una ragazza : Alessia, che ha
saputo leggere nel suo cuore e lo ha incoraggiato di seguire un lungo e
tormentato percorso di disintossicazione ormai completato. Oggi Albertone ha pagato il suo debito con la giustizia e non vede
l’ora di tornare a casa, sopratutto perché Alessia, nel frattempo,
gli ha fatto uno straordinario regalo : è nata Gaia, una bambina
bellissima. Ed Albertone ha già un lavoro che lo aspetta : diventerà Spartaco,
il prode gladiatore. Farà servizio al Colosseo dalle 9.00 alle 13.00
e dalle 15.00 alle 19.00. Sono certo che ci sarà la fila tra le
turiste, giovani ed attempate, per una bella foto ricordo tra le sue braccia
possenti e molte, attratte dai suoi muscoli debordanti e dai suoi
tatuaggi ubiquitari gli faranno, come le antiche matrone romane, proposte indecenti, offrendogli cifre considerevoli. Ma Albertone le
rifiuterà, non tradirà mai Alessia, gli basterà guadagnare quel
tanto per vivere onestamente e sarà un esempio per tanti
ex-detenuti, che non vedono l’ora di tornare a delinquere,
ripercorrendo un diabolico circolo vizioso, che non si spezzerà fino a quando lo Stato non
capirà che le galere devono favorire il reinserimento sociale del
detenuto e non essere più terrificanti palestre di malavita.
4 Novembre 2011
AMNISTIA & INDULTO: QUALCHE PROPOSTA CONCRETA
Si parla tanto di amnistia ed indulto, alimentando inutili speranze
tra i 70000 detenuti, stipati come bestie nelle carceri,
dimenticando il delicato momento politico con un governo che vive
alla giornata, per cui è pura utopia sperare che si possa
raggiungere in Parlamento la maggioranza qualificata necessaria a
varare un provvedimento di clemenza. Si potrebbero invece svuotare rapidamente i penitenziari attraverso
una legge ordinaria, che preveda il rispetto di leggi già esistenti,
inapplicate per il congestionamento degli uffici dei giudici di
sorveglianza, costretti, nonostante il loro lodevole impegno, ad
esaminare con attese estenuanti migliaia di istanze. Le ragionevoli proposte che mi sentirei di avanzare al legislatore
sono:
-
Il diritto automatico ai domiciliari per chi deve scontare meno
di un anno.
-
L’avviamento obbligatorio ai servizi sociali per tutti coloro che
devono scontare gli ultimi tre anni di reclusione.
-
L’utilizzo della carcerazione preventiva solo in casi
eccezionali, facendo tesoro del braccialetto elettronico in uso in
tutti i paesi civili e non dimenticando che secondo la Costituzione
si tratta di innocenti.
-
La possibilità di scontare la pena ai domiciliari per tutti i
malati passibili di peggioramento in regime di reclusione e per chi
ha compiuto 65 anni.
-
Trasferire in strutture attrezzate i tossicodipendenti per un più
efficace programma di recupero, favorendo un futuro inserimento
nella società.
Lettere di Torkey Mohamed Fathy compagno di
cella di Achille della Ragione
Achille e Mohamed il compagno di cella egiziano
IL DIO DI REBIBBIA
Quando sono venuto qui in questo albergo lussuoso sono capitato con
uno scrittore italiano: si chiama Achille della Ragione. Egli e
veramente un Aristotele degli anni duemila, anche se lui e un
filosofo che io non condivido. La sua filosofia va sull’essistenzialis. La derivazione del suo nome e di origine greca. Il famoso Achille il
troiano conosciuto che era un figlio di una dea, un eroe immortale
però aveva il suo difetto: il tallone. Quando sua madre lo ha messo
nell’acqua per farlo divenire immortale dimenticava di metterlo
interamente nell’acqua tenendolo per le caviglie. Per questo il suo
difetto era il tallone. Nella guerra di Troia i suoi nemici
scoprirono il suo difetto. Quando e stato scoperto secondo la storia
greca diventato mortale, però il nostro Achille della Ragione, il
suo difetto e il suo grande vantaggio per lui dal primo momento che
tu lo incontri. Ti fa sentire che lo conosci da anni. Ti fa sentire
la vera amicizia fa così con tutti quelli che vengono da lui per
prendere la sua opinione o il suo consiglio per qualsiasi cosa nella
vita perche il nostro mito considerato come un dizionario perche lui
praticante secondo il mio parere. Non sono un filosofo, lui e un
artista nel teatro della vita, un poeta, a parte che lui ha scritto
55 libri di vari argomenti, libri di arte politica e filosofia
economia. Lasciamo perdere la sua napoleanità. Lui qui lo chiamano il Buon Dio
di Rebibbia perché e sempre disponibile anche per una caramella la
dona con sorriso la sua esperienza e illimitata e sempre pronto con
la battuta simpatica. In qualsiasi momento per me e difficile che
qualcuno filosofo mi colpisca. Ho letto più di 2000 libri ricordo
molto bene i personaggi il nostro Achille sembra una di questi
grandi personaggi usciti dal libro. Non posso dire di preciso. O
arriva dal medio evo, o dalle montagne di Olimpia, ove la montagna
era piena di tanti dei però qua l’Olimpia di Rebibbia ha solo un dio
e non c’e posto per un altro, questo e il nostro Achille. Mentre il
suo cognome: della Ragione. Questo è un cognome nobile però il
significato in greco della Ragione significa e l’uomo filosofo che
usa il suo cervello per qualsiasi cosa per es. Socrate quando
qualcuno lo diceva buongiorno, lui rispondeva ragionando che e il
buono? Io ho avuto tanti dialoghi con lui per tutti i cinque mesi
perche la nostra filosofia troviamo punti di riferimento, però
sempre ogni volta che dialoghiamo mi insegna cose nuove non solo a
me, ed anche altri compagni. Perciò c’è ancora tanto da imparare da
quest’uomo non si annoia mai. Perche questo tipo di filosofia che
ogni giorno c’è qualcosa nuovo.
IL MAESTRO ACHILLE DELLA RAGIONE “ARISTOTELE DEL 2000” CON IL
SUO ALLIEVO
Un discorso bollente tra me e il maestro Achille della Ragione
conosciuto come Aristotele degli anni 2000 qualche giorno fa nel
nostro salotto, alla cella 10 del secondo piano braccio A. del G8,
il nostro maestro io e i miei compagni Gissi Pascuale, conosciuto
come latin lover di Andria e il maestro albanese, Kastrati Betret,
che lui spesso sfida il nostro Kasparof dei scacchi, l’ultima
partita ha perso il maestro albanese re affogato dopo una mossa con
la scacchiera, ha ricevuto il matt con il cavallo, dopo il maestro
Achille ha battuto un altro compagno del nostro salotto si chiama
Vicidomini Antonio trasportatore. Il nostro Aristotele come faceva
sempre il noto filosofo, mi faceva una domanda al modo di Aristotele
«Fammi sentire la tua voce così
io posso vedere a te». Il grande
Achille mi parlava di qualche regola del mondo islamico, e possibile
fare commerci per guadagnare soldi come e scritto nel Corano, però e
vietato prestare soldi e richiedere interessi senza che il nostro
maestro fare altre domande io capivo subito le cose che gli
frullavano in testa, perché avevamo già avuto discorsi paralleli.
Perché il mondo arabo e rimasto così tanto indietro dal mondo
occidentale io gli rispondevo. Perché gli arabi facevano degli
accordi, che non si dovevano accordarsi. Questo mondo arabo ha avuto
una fortuna grande senza fatica, intendo il paese del petrolio.
Questi paesi ricchi di petrolio si sono ritrovati la ricchezza senza
fatiche. Ma ci sono altri paesi arabi, che soffrono la fame perché
sottosviluppati e hanno donato il sangue e il denaro insieme alla
vita di milioni di persone, per l’imperialismo internazione. Negli anni settanta c’era una battuta famosa detta dagli arabi: noi
combattiamo America e Israele, fino all’ultimo egiziano. L’Egitto considerato il quore del mondo arabo un paese moderno dopo
la primavera araba, l’Egitto si trova senza aiuti da questi paesi e
pensano solo al loro benessere, hanno dimenticato che l’Egitto ha
fatto quattro guerre per salvare loro dal pericolo che li
circondava. Ma questi paesi ricchi, non riescono a gestire bene
questi soldi hanno lasciato la tecnologia e le scienzie. Pensano
solo alle stupidità es. dicono che Armstrong l’astronauta del 1969
sulla luna lui avesse sentito la chiamata della preghiera
mussulmana, ma lo stesso Armstrong diceva che non era vero. Mi
domando perchè questi arabi ricchi non mandano uno di loro sulla
luna, per fare anche qualche preghiera, sulla luna, e depositare una
bandiera araba. Loro stessi sono sempre impegnati per le cose
inutili e lasciato lo spazio della luna al mondo occidentale. Parlano solo del velo. Anch’io come mussulmano faccio le mie cinque
preghiere al giorno e non è scritto al Corano che il velo e
obbligatorio. Solo il Profeta Maometto ordinò alle sue mogli per
mettere il velo, perché essi si dovevano evidenziarsi dalle altre
donne. Gli arabi devono svegliarsi perché quasi un miliardo e mezzo
di mussulmani sul pianeta però sono deboli ricchi di loro
preferiscono nascondersi loro miliardi in Svizzera e in America,
invece di investire i soldi nei paesi arabi così nessuno soffrirebbe
la fame perché il mondo arabo ha la stessa lingua la stessa
religione per andare verso la loro libertà, ma il problema che non
c’è giustizia per dividere il tesoro che hanno questi paesi ricchi.
IL PATRIOTA E IL MERCANTE DI RELIGIONI Sono molto sorpreso, quando il Prof. Achille della Ragione, quando
l’amore suo verso la sua Napoli quando si esprime ti fa sentire il
profumo della sua Napoli cita nei suoi libri, ad esempio la
napoletanietà. Lui conosce la sua Napoli del seicento comunque lui
mi fa ricordare sempre mio padre perché io in vent’anni in Italia
non ho mai incontrato un uomo che ha la padronanza della lingua
italiana, e mi riporta ai ricordi di mio padre Torkey Fathy ex
presidente del Partito Comunista del Lavoro della mia città. Achille della Ragione il professore ogni volta che si esprime della
sua Napoli, si sente che lui e un vero patriota del suo paese. Ha
scritto tanti libri dedicati al suo paese, ha aiutato tanta gente,
ma e stato ingannato, perché di animo buono. Perché tutto il paese
sa che e un uomo innocente basti andare sul suo sito, che si vede
tutte le opere fatto per la sua Napoli. Invece il mercante delle religioni il sig. Magdi Hallam di origine
egiziana sta vivendo sulle spalle degli italiani con la sua scorta,
e la sua bella macchina che gli pagano i contribuenti. Questo
signore e conosciuto come il Giuda degli anni 2000. Non fa altro che
buttare benzina sul fuoco, in ogni occasione cerca sempre il nemico
fantasma per guadagnare i suoi trenta denari. Lui pense che egli è
un politico che ha tanti nemici perché lo stesso si e convertito,
per sua stessa comodità. Perche se il Vaticano si troverebbe in
Inghilterra lui sarebbe divenuto un cristiano protestante. Lui diviene dall’Egitto. Hallam stesso poteva aiutare il suo paese,
invece lui, non fa altro di dare cattiva pubblicità al suo paese
nativo. Perché lui non trova un esempio buono, esempio El Baradey il padre
spirituale della grande rivolta pacifica egiziana e della primavera
araba. Sig. Magdy Hallam ha studiato e laureato in Egitto come lo stesso ha
bevuto acqua del Nilo, e mette sempre il mondo contro il suo paese.
Perché non prende esempio positivo come fa il Prof. Dott. Ahmed Zuil
premio Nobel cittadino americano e di origine egiziano ha donato 10
milioni di dollari per costruire la città Zuil della Scienzia. Perché non prende esempio dal Dott. Achille della Ragione, al
patriottismo? Invece lui pensa che il popolo italiano non gli frega
niente degli uomini che si convertano, mentre Magdy Hallam sta
cercando la gloria personale. Un Don Chisciotte egiziano con il suo
cavallo vecchio e la sua spada di legno della sua storia famosa
Sarafantas. Hallam deve guardare tutti questi buoni esempi, e togliersi dalla
testa tutti i suoi nemici inventati. Quest’uomo e solo un parassita che si fa mantenere dall’Italia.
UN GLADIATORE IN GABBI
conosciamo tutti il Professore Achille, perciò passiamo subito al
sodo. il nostro gladiatore ha un talento enorme per risolvere qualsiasi
tipo di problema o politica o economia. se fosse stato un'altro
paese d'Europa con la sua abilità e la sua capacità non verrebbe
messo in gabbia lo mettevano al posto giusto nel momento giusto. Non
posso immaginare che un Filosofo di I classe può commettere reati a
lui ascritti perciò in tutta la matematica al mondo lui è innocente,
e non ci piove! Un uomo orgoglioso. Il suo talento parla da solo, ma ci troviamo in
un tempio di sordomuti il nostro gladiatore Achille ha la capacità
di risolvere tanti problemi di politica ed economia, noi si parla di
un filosofo come Jean Pool Sartre. Perché il suo modo filosofico per
trovare una soluzione ai problemi difficili a trasformarli in
facilità. Purtroppo il gladiatore non conosce la sua forza. Un
esempio per levare un peso di 20 Kg si può fare con un braccio,
invece il gladiatore ci mette tutta la sua forza. L'Italia di oggi se ci fosse un po' di giustizia il nostro gladiatore
non si troverebbe in Rebibbia, ma con i politici di I classe. Io senza chiedere il suo permesso lancio una sfida a Qualsiasi
politico del giorno d'oggi, per confrontare Achille in un qualsiasi
argomento politico o economia o arte. Se qualcuno ha il coraggio di
sfidarlo, per il bene di questo Paese che amo, essendo Egiziano con
animo Italiano mi dispiace vedere questo amabile Paese ove sono
cresciuto avendo anche dei figli con questa crisi mortale il
Gladiatore offre la sua esperienza per aiutare questi Paese, a
rialzarlo. Però purtroppo non si trova mai l'uomo giusti al suo
posto. Achille della Ragione come un patriota sta offrendo il suo
contributo per l'amore della sua Italia senza aspettare alcun
compenso. Lui come gran'uomo vuole vedere la sua Italia grande di
una volta perché sono gli uomini grandi che scrivono la storia.
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