Pittura del Seicento a Napoli
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Ho ritardato la recensione dell’ultimo lavoro di
Nicola Spinosa sulla Pittura del Seicento a Napoli da Caravaggio a
Massimo Stanzione, perché ho voluto prima studiare con attenzione le
quasi 500 pagine dell’opera, corredata da altrettante foto,
purtroppo solo in piccola parte a colori.
La figura di Cornelio Brusco, vicina a quella di Filippo Napoletano e Scipione Compagno è stata identificata con precisione grazie agli studi della Nappi e finalmente gli viene dedicata una certa attenzione con ben cinque dipinti nel repertorio, tra cui, un affollato Paradiso(03) della raccolta De Giovanni.
Per il Caracciolo poche le novità, tra cui un’interessante Adorazione dei pastori, ma la cosa che più ha meravigliato è l’aver visto presentata come autografa la Santissima Trinità e Paradiso (04) della Chiesa del Gesù Nuovo, a lungo ritenuta da Spinosa del Feltrano (come indica ancora il cartellino alla base della pala) ed oggi spostata a Battistello, senza tener alcun conto di un mio articolo del 2005 (Un capolavoro ritrovato, consultabile sul web), ripreso due volte nelle mie monografie sul Beltrano e su Massimo Stanzione e la sua scuola, nel quale pubblicavo il documento di pagamento dell’opera ed il suo vero autore: Bernardo Azzolino.
Cavallino, uno dei pittori preferiti dall’autore, è trattato con competenza, attraverso numerosi dipinti transitati negli ultimi anni sul mercato. Mi ha intrigato molto una versione di Ester ed Assuero, ma propongo ad i lettori uno splendido Ratto di Europa (05), collocabile sul finire degli anni Quaranta, già pubblicato ma poco noto anche agli specialisti. Carlo Coppola è uno degli allievi più quotati della bottega del
Falcone, in grado alcune volte di esprimersi a livelli notevoli,
come nel caso della Decapitazione di San Gennaro nella Solfatara (06)
della Galleria Canesso di Parigi.
Il De Bellis è un altro degli artisti più studiati da Spinosa e nel repertorio sono presentati numerosi dipinti, tra i quali spicca per lucentezza cromatica e delicatezza formale un piccolo quanto prezioso rame raffigurante un Riposo durante la fuga in Egitto (08) proveniente dal mercato londinese.
Andrea De Lione viene tratteggiato con accuratezza con oltre 15 esempi dai più famosi ad alcuni inediti, tra i quali abbiamo scelto un soggetto dall’iconografia insolita un’Allegoria della medicina (09).
Anche a Pacecco De Rosa è dedicato uno spazio insolito per un minore e tra le varie tele, alcune certamente eseguite in collaborazione col patrigno Filippo Vitale, giganteggia una S. Barbara (010) dalla potente forza espressiva, che coniuga l’eleganza della Gentileschi alle esperienze del Guarino e dello Stanzione. 010 - De Rosa - S. Barbara - New York collezione privata Di De Simone sono illustrati alcuni interessanti inediti, tra cui particolarmente interessante un’Adorazione dei pastori, una variante della tela che si conserva in Spagna nel monastero di Montserrat, ma vogliamo discutere di un altro più famoso dipinto: la Decollazione di San Gennaro (011) della quadreria del Pio Monte di Misericordia, che da tempo riteniamo debba essere espunta dal catalogo dell’artista per essere assegnata senza ombra di dubbio al Coppola, essendo presenti alcuni dei caratteri patognomonici del pittore, dal muso dei cavalli allungato e con gli occhi protrudenti alla lucentezza delle armature.
Di Juan Do finalmente è uscita una tela firmata e datata 1639: un
Martirio di San Lorenzo, copia da Ribera, in un retablo conservato
nella Cattedrale di Granada, che permette di conoscere meglio la
figura di questo artista, ritenuto da una parte della critica il
Maestro dell’Annuncio ai pastori.
Finoglio è adeguatamente rappresentato, ma con opere già conosciute e pubblicate, mentre di Louis Finson, uno degli amici nordici del Caravaggio, attivo per alcuni anni a Napoli, vengono presentate alcune novità, da una sensuale Betsabea al bagno ad una cruenta Decollazione del Battista, ma la tela che maggiormente ci ha affascinato è stata una fantasmagorica Allegoria delle quattro stagioni (013), già presso l’antiquario Rob Smeets di Ginevra, che allude alla trasformazione circolare dei quattro elementi o, più probabilmente, allo scorrere inesorabile del tempo, dalla giovinezza alla vecchiaia.
I fratelli Fracanzano, Cesare e Francesco, sono indagati attraverso la discussione dei quadri più noti e di numerosi inediti, come per il primo dei due germani un Pitagora dalla potente forza espressiva, oltre ad alcune tele in cui viene costantemente adoperata la stessa modella dal profilo aquilino e dai capelli di un biondo dorato. Tra queste, trascurando due importanti novità: una Maddalena in meditazione ed una S. Apollonia, abbiamo scelto un’insolita iconografia, confusa in passato con una Carità. Si tratta viceversa di una Madre morente (014) conservata nel Kunsthinstoriches di Vienna, la quale, ferita a morte, offre il seno al suo pargoletto, che invece del latte sugge il suo sangue.
Per Francesco abbiamo preferito La buona ventura(015), uno dei suoi primi lavori, vicino ai modi pittorici del Ribera e del Maestro dell’Annuncio ai pastori, resa con delicate stesure cromatiche e collocabile intorno al 1640, vicino alle famose composizioni site a Napoli nella chiesa di San Gregorio Armeno.
A Domenico Gargiulo, più noto come Micco Spadaro, sono dedicate 30 immagini, dai dipinti più famosi a più di un inedito, da una S. Maria Egiziaca in preghiera ad un Mosè salvato dalle acque. Ci ha sbalordito una Incoronazione della Vergine (016) di una raccolta spagnola, intrisa di luce e di colori smaglianti, affine per eleganza formale e grazia espressiva alle soluzioni del Grechetto e del Poussin, ma pregno della delicatezza di un Cavallino. La presenza della sigla ci permette di aggiungere con certezza al catalogo del pittore un vero capolavoro del tutto alieno alla consueta produzione dell’artista.
Di Artemisia Gentileschi vengono documentati dipinti importanti, ma tutti già noti alla critica, mentre per Guarino si scoprono più di un quadro nuovo. Abbiamo privilegiato una S. Lucia (017) nella chiesa di San Giacomo degli Spagnoli, genericamente assegnata alla bottega stanzionesca, che un recente restauro ha permesso di assegnare al maestro solofrano nella sua fase giovanile, in contiguità con la S. Cristina della pinacoteca di Pesaro e la S. Caterina d’Alessandria del museo di Porto Rico e prima della più matura Sant’Agata di Capodimonte, uno dei più alti raggiungimenti della pittura napoletana del Seicento.
Dopo Lanfranco e Filippo Napoletano, di Ascanio Luciani, un poco noto quanto abile quadraturista, viene presentata una coppia di Rovine architettoniche (018), firmate e datate 1669, veramente superbe, mentre del Largo San Domenico Maggiore, nel museo di San Martino, a lungo nel limbo degli ignoti, ne viene proposta, anche se con cautela, la paternità.
Denso il capitolo sul Maestro dell’Annuncio ai pastori, per il quale
si mette in dubbio l’identificazione con Juan Do. La fase
naturalista caratterizzata dal tremendo impasto è quella più
rappresentata e le attribuzioni sono tutte cogenti ad eccezione del
Perseo e Fineo che, a nostro modesto parere, è opera del De Simone.
La fase pittoricistica, con avvicinamento ai modi luminosi e
composti di Massimo Stanzione, si può apprezzare nel Lot e le
figlie (019), una composizione piena di luce e di colore da collocare
cronologicamente vicina alla Natività di Castellammare di Stabia.
Diverso l’atteggiamento riguardo al Maestro di Fontanarosa da identificare non più, come propugnava Bologna, con Girolamo de Magistro, bensì, come sostiene Porzio, con Giuseppe di Guido. Di questo autore ancora misterioso, dal forte naturalismo e dall’impronta para battistelliana, proponiamo (con una nostro foto a colori) un San Sebastiano curato da sant’Irene (020) della collezione D’Antonio di Napoli, da datare dopo il 1632, l’anno in cui è documentato un intervento del di Guido nel cassettonato della chiesa di San Gregorio Armeno.
A Giuseppe Marullo, costantemente ignorato nelle grandi mostre sulla
pittura napoletana, finalmente viene dedicata attenzione, forse
grazie anche alla monografia da me dedicata all’artista, ma non devo
illudermi, l’autore non ha compulsato il mio testo, altrimenti non
avrebbe indicato come sua prima opera la Sacra Famiglia della chiesa
dei Santi Severino e Sossio (tra l’altro erroneamente datata 1631 al
posto del 1633) invece della Madonna col Bambino e due sante della
chiesa delle Pentite di Castrovillari in Calabria, firmata e datata
1631.
Caravaggio è presente con una miscellanea delle sue principali opere eseguite nei suoi due soggiorni napoletani, mentre di Onofrio Palumbo sono presentate alcune novità, tra le quali una sensuale Maddalena penitente (022), in un atteggiamento tra il devoto ed il contemplativo, tale però da esporre all’ammirazione dell’osservatore le forme aggraziate della conturbante fanciulla.
Ribera è uno dei cavalli di battaglia di Spinosa, riconosciuto
universalmente come il massimo esperto del pittore. Negli ultimi
anni il Papi ha spostato la produzione del Maestro del Giudizio di
Salomone nel catalogo di Ribera giovane, attivo a Roma per alcuni
anni, prima del definitivo trasferimento a Napoli nel 1616 (documenti
recentissimi hanno retrodatato al 1613 il suo arrivo nella città
eterna), un’ipotesi che oramai è accettata da gran parte della
critica e che, almeno per alcuni dipinti, è stata accolta dallo
stesso Spinosa. Poca attenzione per Salvator Rosa di cui si discute brevemente di
soli cinque quadri, mentre per Nunzio Rossi si presenta una
splendida Adorazione dei pastori (024) di prepotente impatto
cromatico.
Sellitto, un pittore potente tra i primi seguaci del Caravaggio a
Napoli, è spesso trascurato dagli studi e sarebbe necessaria una
nuova monografia, essendo oramai superata quella del 1977, nella
quale includere alcune importanti aggiunte, come ad esempio la
Lavanda dei piedi, già in collezione Gaetani d’Aragona.
Anche Spinelli è stato più volte trattato da Spinosa in specifici
contributi, che hanno messo in risalto il carattere originale di
questo bizzarro artista, in grado talune volte di adoperare materie
cromatiche rischiarate e preziose, come nella Giuditta si accinge a
mozzare la testa ad Oloferne(026), uno dei raggiungimenti più alti
del pittore. Stanzione ha lo spazio che si merita con circa trenta quadri commentati, tra i quali, finalmente a colori, la straordinaria Cleopatra dell’Hermitage. Abbiamo però scelto una tela meno nota, da poco entrata nel catalogo del pittore ed esposta nella pinacoteca nazionale di Cosenza, che, anche se fuori dai grandi circuiti espositivi, merita una visita. Si tratta di un Lot e le figlie (027), un soggetto più volte trattato da Stanzione, questa volta reso con una particolare attenzione alla resa espressiva delle figure.
Vaccaro, sul quale si reclama una monografia, più volte annunciata da vari studiosi, è trattato con competenza ed attraverso alcune nuove proposte attributive. Tra le composizioni di più ampio respiro con numerosi personaggi vi è il Pasce oves meas (028), con la figura del Cristo che si staglia poderosa, identica a quella della tela della Galleria di Dresda, distrutta durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale.
Chiude la rassegna lo Zampieri, più noto come Domenichino con alcuni celebri affreschi ed i rami della Cappella del Tesoro di San Gennaro e prima di lui il Vitale, autore dal poderoso linguaggio naturalista, spesso attivo a quattro mani col figliastro Pacecco, come nel Suicidio di Lucrezia (029) di una raccolta privata, vicino ai modi pittorici del Guarino e del de Simone. 029 - Vitale - Suicidio di Lucrezia - 128 - 164 -Italia collezione privata. Concludiamo affermando che il libro di Spinosa rappresenta un contributo fondamentale sulla pittura napoletana del Seicento ed uno dei pochissimi di grande formato, assieme al catalogo della mostra Ritorno al Barocco ed al volume sui Dipinti del XVII secolo della scuola napoletana nelle collezioni borboniche e post unitarie, pubblicati negli ultimi anni, segnati da una crisi economica che ha investito anche l’editoria.
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