Una mostra sul pittore Francesco
Furini, voluta da Mina Gregori, si terrà fino al 27 aprile 2008
presso il museo degli argenti di Palazzo Pitti a Firenze. Esposti 38
dipinti e 16 disegni provenienti dai più importanti musei italiani e
stranieri. Si prevede un lusinghiero successo grazie alla stampa che
sta osannando l’avvenimento dedicandogli pagine su pagine ed alla
prestigiosa organizzatrice, mitica allieva di Roberto Longhi e già
compagna prediletta di Federico Zeri.
La rassegna crea l’occasione di conoscere il Furini non solo come
raffinato cantore delle grazie muliebri, che seppe rendere in nudi
affascinanti e raffinati, intrisi di una sensualità riservata e
decadente, ma soprattutto di indagare il mistero dell’uomo, che si
fece prete, continuando ad anelare la materialità della bellezza di
splendide fanciulle trasferite, grazie al suo virtuoso pennello,
dalla caducità della giovinezza all’immortalità della tela.
Egli fu anche amante del verso licenzioso e scrisse numerosi sonetti
inneggianti al compiaciuto vagheggiamento dell’ideale femminile,
l’armonia delle forme anatomiche e lo scatenarsi repentino delle
passioni.
Il cammino artistico del Furini ebbe un’impennata con il
trasferimento, appena sedicenne, dalla natia Toscana alla città
eterna, dove subirà la fascinazione della pittura caravaggesca, per
ripiegare poi verso il pollone dell’antichità classica,
l’idealizzazione del Rinascimento ed il messaggio di languida
dolcezza di Guido Reni.
Tornerà poi per un periodo di nuovo a Firenze, dove riuscirà ad
avere importanti committenti, tra i quali lo stesso Galileo Galilei,
che lo tenne a stipendio ed in onore del quale, nella pala d’altare
dedicata all’Assunzione della Vergine, delineerà una luna pallida e
colma di orridi crateri, un deverente omaggio alle scoperte
astronomiche del celebre scienziato.
La fama del pittore è legata ai suoi raffinati quadri da cavalletto
nei quali ritrasse di preferenza intriganti nudi femminili che
fredde luci azzurrine, teneramente modulate da delicati chiaroscuri,
fanno emergere con sensuale eleganza dalle ombre degli sfondi.
Meno felice fu invece la sua attività di frescante, per la quale era
pur richiesto da numerosi committenti e come tutti i maestri toscani
del Seicento fu un perfetto disegnatore, nel segno della migliore
tradizione fiorentina.
Fig.1
Andromeda
Fu cultore della bellezza femminile sottolineata da una preziosa
scelta di sfumati bruni e lividi e di toni oltremarini diffusi nelle
carni e nei lumi a creare incanti di fosforescenze lunari, che
evidenziano morbosamente le forme falcate dei corpi.
Deve la sua fama ai soggetti mitologici, come l’Andromeda(fig. 1)
della Galleria Corsini, felice sintesi tra l’accesa prepotenza
visiva delle dolci forme anatomiche raggelate da un lavacro
purificatore di classicismo e l’ideale del pittore, strenuo
esaltatore di un erotismo soffuso e venato di malinconia e mistero;
Ila e le ninfe (fig. 2)degli Uffizi, dove il pretesto della favola è
utilizzato per carezzare con lo sguardo procaci e opulente bellezze
in pose che accentuano il rimpianto di una classica serenità
permeata dalle tenebre di argentei sfavillii, o biblici, come Loth e
le figlie (fig. 3) del Prado, nel quale un fiotto di luce lunare
sfiora i corpi nudi delle figlie del vegliardo, teneramente
modellati dal delicato chiaroscuro che li fa emergere imperiosamente
dall’ombra.
Fig. 3 Ila e le ninfe
L’esecuzione di questi quadri animati da giovani fanciulle,
miracolosamente in bilico tra vivida carnalità e distillata purezza
formale, gli permetteva di mettere in posa, nude, modelle
bellissime, una passione che lo perseguiterà per tutta la sua breve
vita e della quale parlano diffusamente i suoi biografi, come il
Baldinucci, il quale ci rammenta ”per spogliar le femmine che in
tanto pericolo ponevano la sua anima, oltrechè per procurarsi il
costoso azzurro oltremarino di cui era particolarmente vago,
spendeva prodigalmente” e lo stesso pittore confesserà la sua
passione in 11 lettere dai passi significativi: “le belle non
vogliono spogliarsi, le brutte non sono il caso” oppure “maggior
mortificazione quanto della difficultà di trovare una donna che stia
al naturale”.
Ed è scavando in questi suoi scritti che possiamo cercare una
traccia per scandagliare la sua anima tormentata dal dubbio, dalla
passione repressa e dal peccato, più desiderato che attuato. Egli
dopo la sua improvvisa vocazione, divenuto prete, fu destinato in
una dimenticata pieve in Sant’Ansano nel Mugello, dove gli sarà
capitato di eccitarsi ascoltando le imbarazzate confessioni delle
contadinotte, che chiedevano la penitenza per qualche ruspante
avventura cornificatrice. Trasferitosi nella città santa, all’epoca
percorsa da una devastante corruzione dei costumi, ha ripreso a
dipingere, richiestissimo, donne nude segnate da un fascino morboso,
l’opposto dei canoni classici incapaci di indurre in tentazione,
mentre le sue fanciulle vibranti di sensualità e desiderio
sprigionano un afrore penetrante di voluttà, riverberato da un
cromatismo lunare ottenuto con una tempesta di prezioso lapislazzulo.
Un tema iconografico che a lungo l’ossessionò fu quello della
Maddalena (fig. 4), replicato all’infinito, sempre ritratta con la
bocca ansimante di desiderio e gli occhi all’insù, preda di un
estasi tanto intensa da sconfinare nell’orgasmo.
Fig. 4
Maddalena
Talune volte raggiunge una tastiera sentimentale di sconvolgente
romanticismo, come nella Santa Lucia (fig. 5) della Galleria Spada,
una piccola tela nella quale la martire ha il volto nascosto
pudicamente nell’ombra, a stento penetrata da un bagliore di luce
che ci permette di scorgere la coppa vitrea con il lucore surreale
degli occhi ormai senza vita, mentre la luce, calda ed impalpabile,
indugia sulla sua pelle madreperlacea, sulla sua chioma castana dai
morbidi capelli, che discendono solenni lungo il collo di un nitore
alabastrino.
Fig.3 Loth e le sue figlie
Fino ad oggi Furini ha goduto di scarsa attenzione da parte della
critica, basta sfogliare qualsiasi manuale di storia dell’arte per
avvedersene, pochi righi e al massimo una foto. La mostra di Firenze
sicuramente permetterà di apprezzarlo come merita la sua pittura che
trova ospitalità nei più famosi musei dal pianeta, dagli Uffizi al
Prado, dall’Hermitage alla StaatsGallerie.
Classicista affascinato dal chiaro scuro caravaggesco fu latore di
uno sfumato ben diverso, derivante in egual misura dalla antica
lezione leonardesca e dalle istanze di Andrea del Sarto e del
Pontormo. Un addensare le ombre dolcemente, accarezzando i margini
delle figure, ingentilite da riflessi azzurini in grado di far
brillare in maniera stupefacente il biancore degli incarnati.
Fig. 5 Santa Lucia
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