le
"ragioni" di della Ragione
proposte per
Napoli e l'Italia
Questi
testi sono tratti da: "Le ragioni di della Ragione", un libro che
raccoglie una scelta di lettere al direttore inviate da
Achille della Ragione, negli ultimi tre anni, ai principali
quotidiani italiani e campani ed inoltre una breve miscellanea
di articoli, recensioni, relazioni congressuali, lezioni e
discorsi scelti dall'opera omnia che l'autore licenzierà tra
poco alla stampa in tre volumi.
Tutti i libri di Achille della Ragione sono reperibili a
Napoli presso la libreria Neapolis (di fronte alla chiesa
di San Gregorio Armeno) e
presso Graphicus, via San Bartolomeo 46
A
Lady;
cagna dolcissima, vivrai sempre nel mio cuore
Il Carnevale
della…Ragione
Articolo pubblicato su Napolinotte il 3 marzo
1993
Gran veglione di Carnevale l’altra sera nella
splendida villa di Posillipo di Elvira ed Achille della Ragione.
Oltre 100 invitati: maschere alcune splendide, altre originali. La serata è
cominciata con uno spettacolo di cabaret tenuto nel vasto salone della villa
dal famoso comico Gennarino Marrone, il quale ha intrattenuto per circa un’ora
gli ospiti con una serie di barzellette, gag e filastrocche terminate in un
crescendo di applausi e risate.
E’ poi partita la festa. Tutti gli ospiti giù nella discoteca a ballare sotto
la guida dell’equipe degli animatori capitanata da Roberta fornita dalla ditta
“Frini e Lani”.
Cotillons e giochi di società si sono protratti fino all’esaurimento di forze
dei partecipanti per circa due ore. La gara più divertente della serata è
stata quella della fune che ha visto partecipare due squadre agguerrite
capitanate da Tonino Cirino Pomicino e da Angelo Gava. Nei balli sfrenati
sfrenati si è distinta particolarmente la signora Zigante, che ha tenuto teste
nelle lambade ai numerosi aitanti principi azzurri. Tra le scollature più osè
netta vincitrice Anna Maria Panada che espone delle “mammere” di epoca ma
ancora validissime, seguite a distanza da Paola Vergona, Giovanna Brunetti e
buon ultima da Maria Antonietta Jacovella, distanziata di circa 300cc.
Nella folla delle maschere erano presenti due poliziotti con divisa originale:
Enzo Iodice e Stefano Rando, la cui presenza ha seminato il panico tra gli
ospiti in odore di avviso di garanzia. Si è poi proceduto alla tradizionale
sfilata delle maschere con una competente giuria , nella quale l’esperienza di
Gino Spinosa era surrogata dalla incorruttibile presidenza di Marina della
Ragione.
Vincitrice del premio per la coppia più bella è stata l’accoppiata vincente
costituita da Paola e Luciano Vergona, in splendidi abiti veneziani di
inestimabile valore (si richiede un’indagine fiscale), mentre la vittoria per
la maschera singola è stata facile appannaggio per la padrona di casa Elvira
della Ragione, scollatissima, in abiti da gran can (il marito non ha
esercitato alcuna pressione sulla giuria: è stata un’acclamazione). Molto
belle anche le maschere di Vittoria e Mario Speranza (tarantella napoletana),
di Nicola Scarpa in abiti da sultano con la splendida Mena, bonissima quam qui
maxime, un’odalisca perfetta e trasparentissima e del filosofo Gino Marra in
abito da imperatore romano con la sua maliziosa Cleopatra.
Un Komeini assatanato era Elio Rocco Fusco con un’amante di eccezione coperta
dallo chador Amina. Modesti per risparmiare gli abiti che indossavano i
fratelli Tarallo con le loro mogli e la coppia Letticino che aveva riciclato
una maschera già vista in altre feste.
Il premio per la migliore parrucca bianca, assegnato a Romolo Iacovella è
stato ritirato dalla giuria perchè i capelli erano i suoi. Il famoso chirurgo
Manlio Di Pietro e gentile signora non hanno potuto partecipare per un
trapianto urgente. Le maschere più economiche “Rambo e suora sexy” alias
Gaetano De Masellis e signora, 30.000 lire in tutto al mercatino di resina
incluse le giarrettiere.
Antonio Brunetti era Charlot, ma nessuno lo ha capito. Bellissime erano le
maschere di Tiziana e Gian Filippo della Ragione, ma di ritorno dal night,
hanno trovato la festa quasi conclusa.
Rideva(si sa il riso alberga sul viso degli stolti) fino a scompisciarsi
Corrado Tagliafierro, travestito con la gentile consorte da bambino e nonna.
L’Italia allo sfascio era rappresentata dal giudice Ciro Liberti, la brutta
copia di Di Pietro. Due perfetti ufficiali erano Gennaro de Notaris e Santi
Corsaro, tanto brutti loro quanto incantevoli le loro signore. Maria e Carlo
della Ragione: vedova allegra e negro selvaggio non hanno partecipato alla
gara per decenza. Marina Peroni era una bellissima dama dell’Ottocento,
sfigurava per il partner di una bruttezza da encomio, stessa sorte per la
sorella Ornella, tanto bella lei tanto brutto e rozzo il marito.
Le gerarchie ecclesiastiche erano rappresentate da preti, il padrone di casa,
cardinali Carlo Castrogiovanni, inavvicinabile per il puzzo ed Alberto
Caciolli, inavvicinabile per l’alito, suore, la signora De Masellis,
avvicinabilissima per le cosce ben esposte.
Il premio per la maschera più brutta è stato assegnato ad Antonella e Lucio
Imparato: lei era una dama vestita da nano, lui era un nano vestito da punk,
che sembrava uno scemo.
L’unica coppia non in maschera era costituita da Agata Leccisi e consorte,
anche loro hanno fatto la loro figura…, anche se lasciava l’odore.
Tra gli assenti dell’ultimo momento ricordiamo, colpiti da influenza Gino
Langella con la sua ultima fiamma Sandra e Marina Ripa di Meana, allettata
questa volta da malattia. Non intervenuti anche Francesco e Luigina Galano per
mancanza di soldi per il fitto dell’abito ed Angelo Russo, incerto se
intervenire con la moglie o con l’amante.
Gli ospiti dopo essersi distinti nell’abbuffamento con dolci ed affini, alle
due, si sono scatenati all’arrivo delle lasagne e si è assistito a scene
invereconde: l’equipe dei camerieri dello Sri Lanka capitanata da Rosy
assistita in prima linea da Summit e Ranji è rimasta allibita. Si sono
particolarmente distinti Jenny Santopaolo, Giuliano e Nicola Pignalosa, che
hanno mangiato per sé e per gli altri.
La festa è terminata alle prime luci dell’alba con un arrivederci. Si replica
l’anno prossimo stesso giorno e stessa ora, stessa voglia di divertirsi e di
trasgredire.
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Maschere e lustrini a volontà
Grande festa nella villa di Elvira ed Achille della Ragione
Napolinotte 17-24 febbraio 1994
Anche quest’anno, come da tempo immemorabile, la celebrazione del
Carnevale è stata santificata nella splendida villa di Posillipo di Elvira
ed Achille della Ragione, numi tutelari del rito.
La voglia di trasgressione, di mascherarsi, di divertirsi, di dimenticare
per una serata le preoccupazioni quotidiane ha permeato gli oltre 100
ospiti, che, mai come questa volta, alla faccia della crisi economica,
hanno sfoggiato costumi sempre più belli ed originali. A Napoli, come a
Venezia, famosa per le sue maschere, il Carnevale 1994 si è svolto in tono
minore, come se tutti volessero far travestire solo i bambini, trasferendo
inconsciamente su di loro la propria voglia di divertimento e di
trasmutazione. Nella discoteca un D.J. d’eccezione Gian Filippo della
Ragione in abiti da motocross ha assistito musicalmente… il gruppo di
giovanissimi scatenati capitanati da Tiziana della Ragione; ai piani
superiori invece si sono accalcati i “matusa” guidati dal più “vecchio”
Tonino C.P. detto l’innominabile, che hanno fatto cerchio intorno a Tony
Sigillo, che da bravo entertainer ha divertito ed entusiasmato gli ospiti
fino alle prime luci dell’alba.
Prima delle danze i partecipanti sono stati rifocillati e messi in gran
forma da lasagne, pasta e fagioli, scervellatine, dolci, vini offerti da
Enzo Grande ed affini! Preparati e serviti con maestria dall’equipe di
camerieri di Sri Lanka guidati dalla veterana Rosy, spalleggiata da
Sanesch e Sanda e, nei servizi più spericolati, dal fido Summit. I premi
per le migliori per le migliori maschere sono stati assegnati come segue:
la più bella a Gino Langella e consorte, la elegantissima Sandra, dopo un
agguerrito spareggio con la coppia Scarpa, sulla quale ha prevalso
nonostante la bellezza sfolgorante della scollatissima Mena. La più
originale, inaspettatamente, assegnata, per acclamazione, agli Angarano,
simboleggianti la forza del dollaro in maniera superba. La più sobria al
chirurgo Camillo D’Antonio, in abiti da grande ufficiale con la splendida
e piumata signora. La più economica alle due coppie di carcerati Ada ed
Eduardo Oreste e Virginia ed Attilio Postiglione, che se la sono cavata in
quattro con una spesa di 100.000 lire al mercatino di Resina. Per la più
brutta vi è stato un lungo spareggio tra le coppie Tagliafierro, monaco ed
odalisca, Tarallo, prete e damigella, Sauro e Caciolli. Alla fine la palma
è stata assegnata ex equo alle ultime due coppie. Una menzione onorevole è
stata attribuita per incoraggiamento alla coppia Letticino, che,
nonostante la proverbiale avarizia, ha scelto di mascherarsi da nobili
veneziani. La coppia Emi ed Antonio Brunetti, pirati originalissimi, è
menzionata solo per il fatto che il parcheggiatore abusivo Carmine detto
“panz’ ‘e vierm” la sta ancora inseguendo per avere le 5000 lire del
parcheggio. Achille, vestito da marajà ed Elvira, odalisca affascinante e
sexy erano fuori concorso in quanto padroni di casa!
Quest’anno una importante novità: la partecipazione di un nutrito gruppo
di giovanissimi guidati da Marina, una splendida bellezza (tutta il padre)
e Tiziana della Ragione, una strega adorabile. Le maschere più belle erano
quelle di Samuele ed Ilaria, vescovo e matrona romana, Valeria Petito,
tigre ferocissima, Alessandro Nicolella, militare e Clemente Marocco,
pirata, Francesca Busciè, adorabile cappuccetto rosso, Alessia Garofano
topolino graziosissimo e malizioso ed infine Mara, bella piratessa.
Francesco Guglielmi ed i suoi amici sono stati allontanati dal servizio
d’ordine perchè non mascherati.
Quest’anno il premio per la migliore scollatura non è stato assegnato
perchè l’unica partecipante era la dottissima Mena; mancavano Anna Maria
Panada, ammalata, vincitrice dell’anno scorso, detta “capa ‘e creatura” e
le altre maggiorate Paola Vergona e Maria Antonietta Iacovella.
Segnaliamo altre maschere che avrebbero però meritato un premio: Carlo
della Ragione, in abiti di beatitudine, la coppia costituita dal neo
primario Antonio Gallo, diavolo con le corna e Antonella angelo molto
dolce ed invitante, Amalia ed Enzo Grande, clowns spiritosissimi, Nicola,
bonario babbo natale con la moglie Giovanna, bonissima vedova allegra,
Maria della Ragione, un suonabilissimo pianoforte, il figlio Mario, uno
scozzese birichino(mostrava da sotto al kilt alle allibite
signore…l’oscuro oggetto del desiderio), Carlo Castrogiovanni, unico
arrapatissimo single, in abiti danteschi recitava senza successo versi
delle sue opere alle signore più appetibili, Tonino e Valeria,
insuperabile messicano e avvenente chiromante, Tonino l’innominato ed Anna
Maria due arabi doc, Jenni Santopaolo, un incorruttibile giudice Di Pietro
e Maria Teresa , annessa carcerata. Ed inoltre Elio Fusco, in
sfruttatissimi abiti da vescovo già indossati negli anni Sessanta ed
Amina, pipistrello dalle lunghe… coscie, Pinuccio e Donatella, pulcinella
ed arlecchino, con maschere procurate sul filo di lana, Franco Lama,
gentiluomo del ‘700 ed Annamaria Iannicelli in abiti adorabili,
impeccabili invece Santi Corsaro, grand’ufficiale e signora, al contrario
dei loro cognati strazianti guerrieri romani.
Brillavano per la loro assenza il ginecologo Franco Galano, a causa di
guai giudiziari e familiari, il “mammano” Giovannini, che da buon
perbenista non voleva contatti corrotti, il complessato filosofo
politicante Gino Marra ed il rampante dentista delle dive Elio Bava.
I padroni di casa si sono rammaricati per il mancato intervento dei
genitori di Mara e Samuele, bloccati da una improvvisa rottura di abito,
della gentilissima coppia Capuano, sperdutasi per via Manzoni e di Paola e
Luciano Vergona, impossibilitati a difendere il titolo del ’93 per un
imprevedibile qui pro quo.
Alle quattro la stanchezza è prevalsa, un saluto ad Elvira ed Achille con
la volontà di rivedersi l’anno prossimo con la stessa voglia di divertirsi e
di trasgredire e sempre più in maschera, mentre attorno tutto il resto è
silenzio!
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Un anno artistico da ricordare
Articolo pubblicato sul Roma il 25 gennaio 2000
Il 2000 è anno di importanti anniversari per il teatro napoletano: cento
anni dalla nascita di Eduardo, 50 dalla morte di Raffaele Viviani, 20 da
quella di Peppino; alcune di queste commemorazioni saranno celebrate
adeguatamente dalle istituzioni e dai vari assessorati, come la scadenza
eduardiana, mentre per gli altri artisti, pur gradevolissimi, l’oblio ed
il silenzio più assoluto.
Per Viviani, che nessuno oramai, per motivi anagrafici, ha visto
all’opera, la città corre il rischio, come nei giorni scorsi ha
pubblicamente deplorato il regista Carpentieri, di perderne completamente
il ricordo, mentre per Peppino, il campione della comicità assoluta,
l’erede dello Zanni della Commedia dell’Arte, che è ancora vivo nel cuore
di quello che fu il suo numeroso ed affezionato pubblico, il silenzio
delle autorità sulle sue opere è il segno tangibile di una mancanza di
“tatto culturale”.
Il 26 gennaio del 1980 scompare con Peppino non solo il grande attore
erede di una gloriosa tradizione familiare. Ma anche l’autore di tante
farse e commedie che, come ribadisce il figlio Luigi, nel loro implacabile
meccanismo comico sono divenute dei classici nel loro genere e vengono
riproposte con successo crescente senza temere il trascorrere del tempo e
l’alternarsi delle generazioni.
Il lavoro dell’attore è scritto sulla sabbia, le parole che pronuncia sono
affidate al vento, la sua bravura è fuoco che brucia e divampa in poche
ore; per fortuna che a sfidare il tempo rimangono i film, le scenette
riprese per la televisione, i Caroselli a conservarci per sempre le
immagini di quella che fu l’espressione massima della comicità allo stato
puro, l’unico artista che abbia retto alla pari, pur se da spalla di
lusso, il confronto con quel marziano calato sulla terra a miracol
mostrare, che fu l’irraggiungibile Totò.
La carriera di Peppino nacque come tutti sanno nella compagnia ove
lavoravano i fratelli Eduardo e Titina, con i quali per tredici lunghi
anni conobbe un successo straripante su tutte le piazze italiane, fino a
quella fatidica mattina di novembre del 1944 quando, dopo un malessere
covato da tempo, scoppierà una lite feroce che segnerà la fine del Teatro
umoristico. La voce dell’imminente separazione circolava da tempo
nell’ambiente, ma si sa che nel mondo del teatro i pettegolezzi nascono,
volano e si moltiplicano come le cavallette. Per quarant’anni la lite si
trascinerà dietro rancori, ripensamenti, dichiarazioni caustiche di
Peppino e silenzi sdegnosi di Eduardo. Peppino ambiva da tempo a
ritagliarsi uno spazio autonomo per il suo talento, senza l’incombente
presenza della forte personalità del fratello verso cui, come ha
giustamente sottolineato Maurizio Giammusso, covava il sogno “edipico” di
una rivolta. La sua comicità più genuina mal tollerava incursioni
nell’empireo della drammaturgia, esperimento riuscito con Pirandello, ma
fallito, e miseramente, con Ugo Betti. Una volta troncata quella sorta di
cordone ombelicale con Eduardo, che non solo lo legava ma lo soffocava, la
vis comica di Peppino potè esprimersi senza costrizioni e per decenni ha
rallegrato generazioni i spettatori accorsi a vederlo a teatro, a cinema
ed alla televisione.
Il successo dei De Filippo ha coperto un arco di cinquant’anni che salgono
a centocinquanta se teniamo conto dell’intera vicenda artistica della
famiglia Scarpetta, un “unicum” nella storia del teatro, da far allibire i
comici odierni abituati, dopo la catapulta televisiva, a resistere alla
ribalta al massimo per qualche stagione. Peppino oggi, senza inutili
paragoni con Eduardo e Totò, o con le ombre ingombranti di personaggi
ancora più lontano nel tempo come Viviani o Petito, merita di essere
ricordato in maniera adeguata alle giovani generazioni che non lo hanno
conosciuto dal vivo. Il silenzio delle autorità è disdicevole e chissà che
non vi sia in gioco una sottile considerazione politica: Eduardo fu
infatti dichiaratamente uomo di sinistra, Peppino fu, anche se in maniera
elegante e garbata, uomo di destra. A pensare male , come ci ha insegnato
il saggio Andreotti, si fa peccato, ma spesso si indovina.
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Ginecologo placca il ladro sorpreso a rubare
Articolo di Antonella Morisco pubblicato su Cronache di Napoli del 27
aprile 2001
Non è cronaca di tutti i giorni incontrare, tra le mura domestiche, in
pieno giorno, un ladro nascosto dietro una libreria. Ancor di più inusuale
che a seguito di questo incontro, dopo una breve colluttazione, scattino
tempestivamente le manette. E’ quanto è accaduto l’altro giorno, intorno a
mezzogiorno al famoso ginecologo Achille della Ragione in via Manzoni.
Questi, nel cercare un libro nella biblioteca della sua villa, ha notato
che il mobile era leggermente scostato dalla parete; dietro di esso,
infatti, c’era un ospite indesiderato. L’incontro è di quelli che lasciano
senza fiato. Il medico, però, non si è perso d’animo e, memore del suo
passato titolo di campione universitario di lotta libera, ha affrontato il
ladro. Le grida che sono scaturite dalla colluttazione hanno fatto
accorrere il figlio del ginecologo, Gian Filippo, il quale stava studiando
al piano inferiore. Le ore dell’ordine al loro arrivo hanno trovato il
malfattore immobilizzato e senza fatica lo hanno trasportato in questura.,
si tratta di un nomade slavo che ha agito a volto scoperto. Da una prima
ricostruzione il ladro sarebbe giunto al quarto piano della villa
scavalcando scimmiescamente un albero secolare: solo questa circostanza
infatti può giustificare il mancato intervento dei tre ferocissimi quanto
addestrati rotweiller del professor della Ragione, un uomo, come ha
dimostrato in questo frangente, coraggioso e determinato e non nuovo a
episodi imbarazzanti…risolti con energia.
Diversi anni fa il medico nel suo studio fu minacciato con un fucile a
canne mozze alle tempie durante una rapina, senza possibilità di reagire.
Identificò il malvivente sulle foto segnaletiche e lo fece arrestare e
condannare. Negli anni Settanta, all’inizio della sua carriera, mentre
prestava servizio nel pronto soccorso dell’ospedale di Cava de’ Tirreni,
fu minacciato da un famigerato delinquente della zona. Nell’attesa delle
forze dell’ordine fu costretto ad immobilizzare il facinoroso, che aveva
cominciato a rompere suppellettili ed a strattonare pazienti ed
infermiere. Al processo che ne seguì testimoniò contro il malvivente, il
quale venne condannato a quattro anni di reclusione.
La situazione a Napoli dell’ordine pubblico è veramente drammatica e
richiederebbe un concreto intervento da parte dell’autorità, purtroppo i
cittadini sono esposti in prima persona alla microcriminalità e sono
costretti, quando possono, come nel caso del coraggioso professor della
Ragione, a difendersi da soli.
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Attualità e prospettive della ricerca biomedica
Relazione presentata alla tavola rotonda su”La libertà di ricerca
scientifica in Italia”tenutasi a Napoli 8 maggio 2001 presso l’Istituto
italiano per gli studi filosofici.
Gentili signore e signori,
l’argomento di cui parliamo questo pomeriggio, di grande attualità, si
presta più degli altri a trascendere in politica, principalmente perchè
costituisce da tempo una delle tematiche portate avanti da un piccolo
partito dalla grande storia, battagliero ed irriducibile.
Il convegno di oggi è naturalmente neutrale, se si può rimanere neutrali
trattando di clonazione, utilizzo di cellule staminali ed organismi
geneticamente modificati, problemi sistematicamente ignorati dalla grande
stampa e dalle televisioni.
I fautori della libertà scientifica in Italia sono costretti oggi a
lavorare in uno stretto corridoio compressi da un oscurantismo verde a
sinistra ed uno cattolico a destra.
Gli organismi geneticamente modificati (O.G.M.) rappresentano una
frontiera, nel settore delle applicazioni medico farmacologiche, mentre
costituiscono una irripetibile opportunità in campo agro alimentare,
tenendo presente le crescenti esigenze di una popolazione mondiale che
aumenta anno dopo anno in maniera apocalittica. Non ci si può illudere di
fermare la ricerca scientifica, anche se il pericolo di O.G.M. impazziti è
dietro l’angolo,e, cosa grave, gli studi e le pubblicazioni sull’argomento
vengono finanziati dalle grandi multinazionali, il cui fine primario è il
profitto e non certo il benessere dell’umanità. Quando si parla di
clonazione l’interesse del pubblico è notevole, perchè inconsciamente si
pensa ad una sua prossima applicazione in campo umano, evenienza paventata
e della quale ci parlerà in autunno, in una prossima riunione. Il
professor Antinori.
Per quel che riguarda l’utilizzo delle cellule staminali ci troviamo senza
dubbio davanti ad una delle scoperte più rivoluzionarie del secolo.
Infatti le conclusioni della commissione Dulbecco fanno trapelare la
possibilità di curare una gamma di patologie quanto mai ampia, dalle
cerebropatie degenerative ad alcune forme di tumore, dal diabete
all’infarto miocardio. Le persone potenzialmente interessare a
beneficiarne si contano nell’ordine di milioni.
Clonazione, trapianti di organi e utilizzo di cellule staminali
rappresentano la punta di diamante, assieme alla scoperta della mappa
genomica, della ricerca biomedica degli ultimi dieci anni, ma le grandi
protagoniste sono senza dubbio le cellule staminali. Esse sono cellule non
ancora differenziate da cui derivano tutti i tessuti del nostro organismo
e sembrano in grado di promettere cure miracolose. Sconvolgeranno i
trapianti, produrranno nuovi muscoli e cellule epatiche, sostituiranno
addirittura i neuroni degenerati; si piegheranno flessibili e docili ai
nostri desideri, aprendo una nuova era nella storia della medicina.
Sull’utilizzo delle di queste cellule e sui diritti collegati alle
tecnologie per manipolarle si è scatenato un dibattito etico, che circonda
l’utilizzo degli embrioni soprannumerari derivanti dalle tecniche di
fecondazione in vitro. Da un recente censimento eseguito presso i centri
specializzati, è risultato che in Italia giacciono nei frigoriferi circa
trentamila embrioni, destinati in breve lasso di tempo alla distruzione;
una cifra esigua rispetto ai settecentomila conservati nei freezer
inglesi. Essi, tra le possibili fonti delle cellule staminali
,costituiscono la matrice più prolifica, verso la quale sono orientati la
maggior parte degli studi in tutto il mondo.
La liceità del loro utilizzo è legata allo statuto ontologico
dell’embrione ed alla irrisolvibile problematica della sua animazione.
Su questo spinoso argomento abbiamo discettato a lungo nel corso del
nostro precedente convegno sull’ Embrione tra etica e biologia, ai cui
atti rinviamo chi volesse approfondire la tematica.
E’ giusto rinunciare all’utilizzo di queste cellule come tuona dal suo
pulpito il Papa oppure, come ritengono moltissimi scienzati italiani e
stranieri, è un inderogabile imperativo categorico adoperarli nella
terapia delle più svariare patologie, venendo incontro alle giuste
esigenze di tanti malati che attendono speranzosi una soluzione alle loro
terribili malattie?
Per decidere in questi frangenti il pubblico avrebbe bisogno di una
corretta informazione, ma uno degli scandali che più grida vendetta è
costituito dalla disinformazione che i mass media perpetrano
quotidianamente, a volte per l’ignoranza dei redattori, ma più spesso per
fornire subdolamente al lettore una chiave d’interpretazione fuorviante
degli argomenti trattati, soprattutto quando si parla di tematiche che
toccano argomenti scottanti e sui quali esiste una dottrina ufficiale
della Chiesa.
Il settore della ricerca sulle cellule staminali è di recente istituzione,
nello stesso tempo si è venuto a creare, anche tra gli addetti ai lavori,
una confusione nella distinzione tra i vari tipi di cellule, come pure si
sono esaltate delle possibili applicazioni che al momento sono soltanto
potenziali.
In molti tessuti dell’organismo adulto, ad esempio nel midollo osseo.
permangono elementi totipotenti in grado di rimpiazzare tutti i tipi di
cellule mature, nella placenta viceversa esiste un serbatoio di cellule
staminali che possono essere adoperate per la terapia di individui affetti
da leucemie e da altre forme tumorali.
Le cellule staminali ricavate dall’embrione creano problemi etici, ma gli
studi su di esse sono più avanzati e più promettenti; nell’adulto molti
tessuti caratterizzati da un ricambio molto vivace posseggono cellule che
alla pari delle cellule staminali embrionali possono in determinate
condizioni trasformarsi in altri tipi cellulari. Quanto prima si auspica
che si possa dar luogo ad una procedura che riprogrammando il genoma
permetta ad una cellula adulta differenziata di retrocedere allo stadio di
cellula primigenia.
Quando ciò avverrà, e speriamo al più presto, un orizzonte luminoso
squarciato da uno splendido arcobaleno si aprirà, sconvolgendolo, sul
triste destino di pazienti affetti da gravi malattie, dal Parkinson all’Alzheimer,
dalla sclerosi laterale amiotrofica agli esiti delle vasculopatie.
Nell’attesa di tecniche meno impegnative sotto il profilo etico riteniamo
che oggi gli scienziati debbano perseguire qualunque linea d’indagine,
ritenendo un dovere morale imprescindibile venire incontro alle speranze
di così tanti malati, affetti da così gravi patologie.
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Il Seicento napoletano in costiera sorrentina
L’archidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia, ricca di antiche
chiese pregne di gloria e memorie storiche, possiede il maggior numero al
mondo di parrocchie estaurite , un termine che cerchereste invano sul
vocabolario e che identifica un raro privilegio: la possibilità di
elezione diretta da parte del popolo, una rara eccezione democratica in un
mondo monolita e monarchico come quello della Chiesa. Su ventuno
parrocchie in tutta la Cristianità, che posseggono tale prerogativa, ben
sette si ritrovano in questa splendida costiera, benedetta dalla natura ed
abitata sin dall’inizio dei secoli da una popolazione geneticamente
democratica. Apprendiamo una simile notizia da una delle guide stampate da
Nicola Longobardi, un benemerito editore a cui si deve la quasi totalità
di ciò che è stato pubblicato, in questi ultimi tempi, su questi luoghi
ameni.
Il nostro percorso ideale alla ricerca di dipinti seicenteschi di scuola
napoletana si dipanerà da Castellammare a Massa Lubrense. Farà menzione
solo delle opere più significative, costituenti la punta di diamante di un
iceberg di ben più vaste proporzioni, il quale attende da tempo di essere
esplorato con attenzione dagli studiosi e goduto con gli occhi e con la
mente da indigeni e forestieri. Un itinerario sovrapponibile a quello
compiuto poco più di cent’anni or sono dall’erudito Giuseppe Cosenza, il
quale ne fece poi un dettagliato resoconto in due puntate sulle pagine
della celebre rivista, fondata da Benedetto Croce, ‘Napoli Nobilissima’.
Partiremo dal Duomo di Castellammare di Stabia, una struttura imponente
ricca di cappelle laterali, vera e propria miniera di dipinti napoletani a
partire, secondo le attribuzioni della preziosa guida stilata dal
D’Angelo, da ben tre Ribera, una concentrazione da fare invidia ai più
quotati musei. Naturalmente si tratta di copie, anche se due di queste di
altissima qualità: una Natività sita nella cappella della Madonna dei
Flagelli, nella quale un occhio esperto può riconoscere la mano di Cesare
Fracanzano, uno degli allievi più prestigiosi del grande pittore valenzano,
ed una struggente Deposizione, nella cappella dell’Ara Pacis, che promana
palpabilmente dai volti delle donne una pietà ed una commozione solenne,
espresse con uno stile delicatissimo, una vera e propria poesia senza
parole, sulla quale purtroppo pesa ancora il parere negativo espresso
negli anni Cinquanta dal compianto professor Raffaello Causa, nume
tutelare e principe indiscusso dei napoletanisti: “non reca i segni
dell’autografia pur presentando le superfici smosse della più frizzante
luminosità barocca”.
La terza tela un Cristo morto collocata nella cappella del Santissimo
Sacramento, tradisce un’impronta tradizionale più antica cinquecentesca e
può trovare un autore più plausibile in Andrea Sabbatini da Salerno.
Degne di essere menzionate altre due pale, un Assunta sull’altare
maggiore, a lungo assegnata a Lanfranco e che in anni recenti, progredite
le conoscenze, ha trovato la giusta paternità in Nunzio Rossi, un vigoroso
autore che è riemerso alla critica solo da poco ed infine nella cappella
De Rogatis, un San Nicola di Mira, prodotto dal virtuoso pennello di un
altro artista che gli studiosi lentamente vanno riscoprendo: Giovan
Battista Spinelli.
Sempre a Castellammare altre due chiese impongono assolutamente una sosta,
la prima al Collegio del Gesù, dove, oltre ad una Madonna con Bambino e
Santi di Paolo De Matteis, dal solido impianto compositivo, la vera chicca
è costituita da un autografo di Luca Giordano, una Madonna del Soccorso
tra gli ultimi esiti dell’artista, dotata di una sapiente resa dei
particolari eseguita mirabilmente con tocco rapido e luminoso.
Ci portiamo poi nella chiesa di Santa Maria della pace, ove è conservata
l’unica tela, dislocata ab antico in un edificio pubblico, dell’ancora
misterioso Maestro dell’Annuncio ai pastori, un nome di convenzione sotto
il quale si cela un poderoso epigone del più realistico naturalismo. Il
soggetto rappresentato, una Natività di Maria, è reso con un calibrato
gioco di luci e di ombre associato ad un cromatismo dai toni rischiarati e
preziosi. L’interesse precipuo dell’opera è legato alla possibilità, con
opportune ricerche d’archivio, del reperimento di un documento che
permetta di identificare il nome sconosciuto del pittore; un fertile
terreno di caccia sul quale critici d’arte in cerca di fama non devono che
precipitarsi.
Ci spostiamo poi a Gragnano, dove nella chiesa del Corpus Domini
c’imbattiamo in un’altra perla, una Madonna della Provvidenza e Santi,
chiaramente firmata “D. L. Jordanus fecit”, splendido esemplare
collocabile cronologicamente a conclusione della sterminata produzione
dell’artista. Inoltre girando per il luogo sacro sono numerose le tele e
le tavole lignee seicentesche di buona fattura di matrice stanzionesca,
anche se difficile è stabilirne a prima vista l’autore.
Molto interessanti inoltre due tavole lignee, una Vergine incoronata ed
una Santa Lucia di Pompeo Landolfo, firmate e datate rispettivamente 1604
e 1609. L’autore, un vero Carneade, sconosciuto agli stessi specialisti,
dipinge viceversa con una maniera delicata che ricorda il Lama, anche se
con effetti meno severi ed una grazia più gentile ed ornata.
A Vico Equense, ridente cittadina famosa per la pizza a metro e per la
laboriosità dei suoi abitanti, nella piccola chiesa di Santa Maria del
Castello, sono conservate alcune tele di recente restaurate, tra le quali
notevole un San Francesco in meditazione animato da un mutevole gioco di
chiari e scuri e con il volto del santo reso alla pari di un ritratto con
ricercata introspezione psicologica. Classificato dalla soprintendenza
come ignoto caravaggesco, a nostro parere, il quadro va considerato più
propriamente in orbita stanzionesca, tra Onofrio Palumbo, rievocato dalla
dolcezza paffuta degli angioletti in alto e Giuseppe Marullo, per la
severa figura del santo, ispida e legnosa; un utile esercizio comparativo
per giovani studiosi che vogliano affinare le proprie capacità attributive
o un momento di riflessione per fedeli genuini che, raggiunta la sagrestia
della piccola chiesetta abbarbicata sul monte, ritengano d’intrattenere un
colloquio spirituale con la sacra immagine, abbandonandosi alla preghiera
ed al raccoglimento.
Ben più importante come luogo di culto è la basilica pontificia di Santa
Maria del Lauro di Meta, dall’antica origine risalente all’VIII secolo e
dalle tante vicissitudini nel corso degli anni. Il tempio, dalla complessa
planimetria e dallo svettante campanile, trasuda di opere d’arte, dalle
preziose formelle cinquecentesche poste nei pressi dell’ingresso
principale alla celebre statua lignea della Madonna del Lauro di epoca
bizantina, protagonista di rocambolesche peripezie, osannata nelle
processioni e sopravvissuta alle persecuzioni iconoclaste ordinate dagli
imperatori bizantini, i quali, come si sa, imposero la distruzione
indiscriminata di tutte le immagini sacre.
I limiti che ci siamo imposti in questa rassegna, trascurando tele anche
eccelse di altri secoli, fanno concentrare la nostra attenzione sui
dipinti seicenteschi di scuola napoletana, tra i quali da segnalare una
pregevole tavola di Girolamo Imparato, costellata di quindici quadretti
rappresentanti i misteri del Rosario, ma soprattutto una Vergine tra gli
angeli con i santi Nicola e Gaetano, datata 1654 e firmata Philippus
Zellus, un pittore fino ad oggi assolutamente ignoto, ma che dimostra una
maestria di tocco ed una tavolozza imbevuta di preziosa materia cromatica.
Sembra di potersi apprezzare un emulo del miglior Pacecco De Rosa, per i
volti dolcissimi e per una cura certosina nella definizione dei colori
sgargianti del manto del santo. Un autore che inaugura con questa tela il
suo catalogo e che bisognerà cercare con più cura sul territorio per
reperire altri suoi lavori.
Il comune di Sant’Agnello è la patria di Giacomo De Castro e molte chiese
conservano tele del pittore, mediocre allievo del sommo Battistello
Caracciolo, noto più che per gli esiti del suo pennello per il veleno in
cui attinse la sua penna, quando redasse nel 1664 la famosa lettera
indirizzata al collezionista siciliano don Antonio Ruffo, nella quale
cercava di contrabbandare Luca Giordano come falsario.
Le sue tele, tra l’altro in precarie condizioni di conservazione, non
meritano soverchia attenzione, per cui, parafrasando il sommo Poeta,
consiglieremmo al nostro lettore: “non ragioniam di loro ma guarda e
passa”
E giungiamo a Sorrento, capitale della costiera, affollata d’estate e
d’inverno da torme di visitatori italiani e stranieri. Non parleremo del
Correale, un piccolo grande museo ricco di quadri in gran parte
napoletani, perché abbiamo ristretto la nostra ricerca ai soli luoghi
sacri e tra questi la chiesa della Ss. Annunziata presenta più di una tela
interessante: una Annunziazione ed una Madonna con Bambino e Santi. Due
opere entrambe di ignoto, ma che andrebbero studiate con più cura, perché
celano senza dubbio la mano di un pittore molto abile, la prima
collocabile ad inizio secolo, l’altra nel V decennio.
La più frequentata chiesa di Sorrento, legata alla devozione di tutta la
penisola, è la basilica di Sant’Antonino, dedicata al patrono della città.
Ad accoglierci all’ingresso i resti di un gigantesco cetaceo rimembranti
il famoso miracolo della balena, episodio ricordato anche sul cornicione
della navata centrale da un affresco di Pietro Anton Squilles, datato
1699. Nella sagrestia un quadro in stile bizantino raffigurante una
Madonna col Bambino del 1600 ed una tavola molto delicata che rappresenta
la Madonna della purità.
I due teloni più famosi di grandi dimensioni sono situati nel presbiterio
l’uno di fronte all’altro e appartengono a Giacomo Del Po; sono
documentati, grazie alle ricerche archivistiche del Rizzo, al 1687.
Rappresentano un Assedio di Sorrento e Scene della peste. L’artista ripete
un formulario giordanesco pur mostrandosi sensibile alla lezione del
barocco pretiano. Particolarmente commovente il dettaglio del bambino che
disperato si afferra affamato alle mammelle di una donna morta, un revival
più volte ripreso dalla pittura napoletana del secolo, dal Preti al
Giordano, dallo Spadaro al Farelli.
Anche se fuori dal tema prefisso non si possono non citare un antico
affresco della Madonna delle Grazie del XIV secolo, la più antica immagine
mariana di Sorrento ed una nutrita serie di ex-voto conservati nella
cripta e nella sacrestia rappresentanti scene di salvataggio da naufragi.
Sono centinaia di testimonianze di pittori anche modesti di ogni epoca che
evidenziano in maniera tangibile gli stretti legami delle popolazioni
rivierasche con il mare, ai cui umori variabili erano spesso legati i
destini di miseria e ricchezza e frequentemente di vita o di morte.
L’ultima tappa è a Massa Lubrense posta quasi all’estremità della
costiera, dove nella chiesa di Santa Maria della Misericordia, oltre ad
una tela di un collaboratore dello Stanzione, Santillo Sannini,
scimiottante le Sette opere di misericordia, è conservata una Madonna col
Bambino tra i Santi Giuseppe e Francesco D’Assisi . A lungo attribuita al
divino Guido Reni, di recente anche da Sgarbi, fu dall’Ortolani assegnata
allo Stanzione e dal Causa a Micco Spadaro. Oggi la critica è incerta
nello stabilirne l’autore, ma l’unica certezza è la presenza della tela
che, tra rovine illuminate da un sole al tramonto, affianca le figure in
una materia cromatica sensibile e quasi tremula alla luce.
Il viaggio è terminato. Noi l’abbiamo percorso in alcuni mesi, tra
sopralluoghi, foto, ricerche in archivio e in biblioteca. I nostri lettori
viceversa potranno compierlo in un solo week-end, coniugando felicemente arte
e svago, cultura e distrazione.
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La RU486 già usata da oltre 15 anni
in tutto il mondo
Solo in Italia è scandaloso parlare della pillola abortiva del giorno
dopo, parola di Achille della Ragione
In quasi tutti i paesi del terzo mondo e in quelli che non subiscono i
condizionamenti del Vaticano viene usata liberamente e senza nessuna
complicanza riscontrata.
(18-11-2005 Peppe D'Ambra) Ischia - In questi giorni le prime pagine
dei giornali dedicano i titoli di testa alla sperimentazione della pillola
RU486, in grado di provocare l'interruzione della gravidanza senza dover
ricorrere all'intervento chirurgico. Gli ospedali di tutta Italia,
soprattutto quelli delle regioni amministrate dalla sinistra, hanno
cominciato la corsa per poterne usufruire al più presto; nonostante una
assurda e poca civile presa di posizione da parte del Ministro della
salute. Per saperne di più abbiamo pensato di intervistare il professor
Achille della Ragione, che da oltre 30 anni è tra i maggiori esperti del
settore ed al quale si deve una poco nota, quanto efficace, metodica
farmacologia per provocare l'aborto.
Cosa pensa di questa sperimentazione?
E' inesatto ed ipocrita parlare di sperimentazione quando il farmaco in
questione è adoperato da oltre 15 anni in tutto il mondo, dall'Europa agli
Stati Uniti, dalla Cina a quasi tutti i paesi del terzo mondo. E dovunque
è stato adoperato non vi sono mai state complicazioni, né è aumentato il
numero degli aborti.
Perchè solo oggi la pillola arriva in Italia?
Perchè noi siamo una colonia culturale del Vaticano, a tal punto che la
stessa casa farmaceutica che produce l'RU486 ha ritenuto inutile chiederne
l'autorizzazione all'impiego nel nostro paese.
Altrove è stato tutto facile?
Negli anni Ottanta in Francia il professor Baulieu, nello studiare delle
sostanze ad effetto antiprogestinico scoprì che una di queste, il
mifepristone, la famosa RU486, possedeva spiccate proprietà abortive,
perché inibiva la crescita della mucosa uterina. Il vantaggio di questo
nuovo farmaco consisteva nella somministrazione per via orale di una sola
dose, circostanza che permette una gestione ambulatoriale dell'I.V.G. fino
alla settima settimana di gestazione, con effetti collaterali modesti,
facilmente dominabili con l'assunzione di farmaci appropriati. L'avvenuta
interruzione viene confermata attraverso l'esame ecografico. In Francia la
pillola abortiva ed il professor Baulieu non hanno avuto vita facile. La
casa farmaceutica produttrice della sostanza, la Roussel, venne minacciata
da associazioni di medici e di consumatori cattolici, le quali inoltre,
dichiararono che avrebbero boicottato gli altri numerosi farmaci
commercializzati dalla società, sia in Francia che all'estero. Davanti al
portafoglio la Roussel fece velocemente marcia indietro, ritirando il
prodotto e soltanto l'energica iniziativa del ministro della sanità
francese, una donna, la costrinse a rifornire nuovamente gli ospedali. A
lungo la RU486 è stata adoperata soltanto in Francia, incontrando il
gradimento di una cospicua percentuale di pazienti, soprattutto di quelle
che avevano avuto precedenti esperienze di I.V.G. (Interruzioni Volontarie
di Gravidanza) attuate con le metodiche tradizionali. La casa farmaceutica
si è in seguito liberata della famigerata pillola cedendone a costo
simbolico il brevetto ad una piccola ditta, la quale si è interessata a
far giungere il prodotto in molte altre nazioni, dall'Inghilterra, ove il
mifepristone è adoperato dal 1994, agli Stati Uniti, dalla Germania
all'Olanda.
Cosa prevede per l'Italia?
In Italia ogni tanto sommessamente si è discusso di autorizzare la vendita
del farmaco, ma, come avvenne a suo tempo per la pillola contraccettiva,
bisognerà attendere a lungo. Si prevede infatti ardua la battaglia per far
sì che anche le donne italiane possano usufruire di una metodica in grado
di sottrarle all'intervento chirurgico, all'annessa ospedalizzazione per
il ricorso all'anestesia generale, all'impatto emozionale con persone e
strutture potenzialmente indagatorie, circoscrivendo l'intervento del
medico all'assistenza dei rari effetti collaterali ed a risolvere i pochi
casi di aborto incompleto. Nell'estenuante attesa non si deve rimanere
inattivi, perché già da oggi è immediatamente possibile usufruire anche in
Italia di una metodica farmacologia in grado di indurre l'I.V.G. con una
percentuale di successo superiore alla stessa pillola francese.
Come è possibile?
La storia che voglio ora brevemente raccontarvi è una classica storia
all'italiana. Essa è ambientata agli inizi degli anni Novanta in un
piccolo ospedale di provincia, a Cava de' Tirreni a pochi chilometri da
Salerno, dove mi trovavo a lavorare in condizioni ambientali ostili per
portare avanti la battaglia per l'attuazione della legge 194, in una
struttura con un primario obiettore, un direttore sanitario pilatesco, un
presidente di U.S.L. cattolico praticante, impenitente baciapile e tutto
il personale parasanitario che si rifiutava di collaborare; oltre alle
assistenti sociali del consultorio che sottoponevano le donne a
defatiganti indagini inquisitorie. La divisione di ginecologia
dell'ospedale di Cava de' Tirreni fu la prima in Italia, dal 1987, ad
adoperare il Cervidil, una prostaglandina somministrabile per via
vaginale, allo scopo di facilitare la dilatazione dell'utero. Le
prostaglandine sono state per anni adoperate per indurre l'aborto; è stata
sperimentata la somministrazione per via intramuscolare, endovenosa, extra
amniotica, intra amniotica, ma gli effetti collaterali per via sistemica
erano molto severi, per cui la metodica era stata quasi abbandonata, fino
a quando, attraverso la via endovaginale, si è riusciti ad ottenere
un'ottima efficacia associata ad una notevole riduzione degli effetti
collaterali. Saltuariamente il Cervidil era da noi adoperato nelle
nullipare all'11°-12° settimana di gestazione per rammollire e favorire la
dilatazione del canale cervicale, prima di procedere allo svuotamento
uterino. La candeletta veniva introdotta profondamente in vagina circa tre
ore prima dell'intervento e talune volte capitava che, per impegni urgenti
di reparto, l'esecuzione dell'I.V.G. venisse rinviata di alcune ore e
spesso, quando si rivisitava la donna, ci si accorgeva che l'aborto si era
espletato in maniera completa, come confermava l'indagine ecografia. Da
queste casuali osservazioni mi è balenata l'idea di poter ottenere l'I.V.G.
senza dover ricorrere a tecniche chirurgiche.
E cosa avete fatto?
Abbiamo consultato la letteratura scientifica sull'argomento ed abbiamo
constatato che il Cervidil era stato adoperato all'estero da solo per
indurre l'aborto, con percentuali di successo decisamente interessanti e
con degli effetti collaterali modesti. Abbiamo intuitivamente pensato di
associare alle prostaglandine un diverso contratturante uterino, l'ormone
ossitocico (Syntocinon), usato da decenni nel post partum, scoprendo che
le due sostanze, a differenza di quello che si credeva prima, possedevano
una sinergia notevole, migliorando considerevolmente la percentuale di
successo che nella nostra sperimentazione fu del 96%, un risultato più
lusinghiero della stessa pillola francese. Appena cominciammo la
sperimentazione ottenemmo un notevole gradimento soprattutto da parte di
quelle pazienti che avevano avuto precedenti esperienze con le tecniche
tradizionali. Pubblicammo i risultati delle nostre sperimentazioni su
riviste scientifiche (Contraccezione, Fertilità, Sessualità, vol. 18, n.
4, luglio 1991; idem, vol. 19, n. 3, maggio 1992) e ne demmo notizia nel
corso di convegni internazionali. (Vedi atti dell'International Congress
of Obstetrix and Gynecology, Isola d'Elba, giugno 1992). I consultori dei
comuni limitrofi cominciarono ad inviarci pazienti in numero sempre
maggiore, ma l'atmosfera di ostilità intorno al nostro lavoro cresceva
giorno dopo giorno, fino a quando della nuova metodica diedero notizia,
prima un quotidiano (Il Golfo, 5 febbraio 1992) e poi alcune televisioni
locali.
Cosa successe allora?
La reazione da parte delle istituzioni non si fece attendere:
un'interrogazione parlamentare da parte dell'onorevole Parlato al ministro
della Sanità ed a quello di Grazia e Giustizia e prontamente una giovane
magistrata della Procura di Salerno, per intimidirci, fa sequestrare dai
carabinieri le cartelle cliniche, con la scusa di dover approfondire la
questione, approfondimento che dopo circa tredici anni deve ancora
concludersi!!!
Come vi comportaste?
L'ospedale non acquista più le candelette di Cervidil e continuiamo ancora
per qualche mese soltanto grazie alla casa farmaceutica che ci fornisce
gratuitamente il prodotto. Infine, con il mio improvviso licenziamento, la
sperimentazione si ferma ed un velo di silenzio cala su tutta la vicenda,
senza che alcun organo di informazione si interessi più di questa metodica
farmacologia, che avrebbe permesso alle donne di risolvere in prima
persona il dramma dell'aborto. Anche il gravoso problema dell'obiezione di
coscienza tra il personale medico e parasanitario, che assilla e paralizza
tanti ospedali, sarebbe stato alleviato da tale metodica, perché è
ipotizzabile che le donne possano da sole introdursi in vagina le
candelette di prostaglandina e finalmente dell'aborto non dovrebbero più
interessarsi legislatori e preti, medici ed assistenti sociali, facendo sì
che questa scelta, difficile e quasi sempre dolorosa, riguardi unicamente
la donna e la sua coscienza.
Il Golfo 18 novembre 2005
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Lorenzo De Caro pittore del ‘700 napoletano
Lorenzo De Caro fu grande pittore del nostro glorioso Settecento, anche se
fino ad oggi conosciuto solo dagli specialisti e dagli appassionati più
attenti. Un prezioso volume, presentato oggi alle ore 17 all’Istituto
degli studi filosofici, costituirà un viatico per una sua maggiore
notorietà, perchè rappresenta un decisivo balzo in avanti nella conoscenza
dell’artista.
Realizzato a sei mani da Gustavo De Caro, discendente del pittore, che ha
scoperto con certosina pazienza importanti documenti, da Mirella Marini,
che ha curato la catalogazione delle opere e da Rosario Pinto, che ha
affrontato con autorità e rara competenza l’inquadramento dell’artista nel
panorama figurativo napoletano, che risentiva ancora di giudizi affrettati
ed oramai superati dalle nuove acquisizioni. L’analisi dello studioso ci
restituisce una pittura lontana dai toni aulici e celebrativi allora di
moda ed attenta, viceversa, a presentarci eroine bibliche, madonne dolenti
e santi in estasi, spogliati di ogni convenzionale attributo di sacralità
e restituiti alla loro natura umana e sentimentale, resa con immediatezza
e sincerità.
L’opera è corredata da numerose foto a colori ed in bianco e nero, che
accompagnano il lettore rendendo facile la fruibilità delle opere
commentate.
Finalmente, grazie alle diligenti ricerche archivistiche del pro nipote,
Lorenzo De Caro ci rivela, dopo secoli di oblio, i suoi dati anagrafici
(Napoli 1719 – 1777). E speriamo che tale notizia, già pubblicata anni fa
sulle pagine della gloriosa rivista Napoli nobilissima, venga quanto prima
recepita da tutti gli studiosi, così da evitare in futuro imprecisioni,
come quella in cui è incorsa Ward Bissel, una tra le più grandi studiose
del mondo della pittura europea, che in un suo recente volume ha dedicato
ben quattro pagine al nostro artista(Caravaggio ne ha avuto cinque), ma
nei dati biografici si è limitata ad indicare : notizie dal 1740 al 1761!
napoli.com
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In ricordo di Giancarlo Alisio
Con l’improvvisa scomparsa del professor Giancarlo Alisio tutti noi
abbiamo perso, oltre all’illustre studioso, uno degli ultimi gentiluomini
che vivevano in città.
Di origini piemontesi, colto e raffinato, col tempo era divenuto un
partenopeo doc, che amava Napoli e soffriva a vederla ogni giorno
decadere, non solo nell’aspetto urbanistico, ma anche nei rapporti
sociali, dominati da sciatteria e cattivo gusto.
Nel tempo aveva radunato una ricca e qualificata collezione di dipinti,
principalmente vedute e panorami oramai scomparsi, che facevano della
Campania la capitale indiscussa della bellezza.
Si trattava di oltre cento opere, dal valore venale di svariati miliardi e
che il professore amava più di ogni cosa; eppure, alcuni anni fa, volle
donare la sua raccolta alla sua città, affinché potesse essere goduta
liberamente da tutti.
Sistemata in sette sale nel museo di San Martino, veniva illustrata
amorevolmente, ogni fine settimana, dall’illustre professore.
Un gesto nobile che aveva legato la caducità della vita all’eternità del
museo.
Ricordo con emozione quando volle onorare di una sua visita il salotto
letterario di mia moglie Elvira, descrivendo prima, nel corso di una
conversazione, la storia della sua collezione e poi accompagnandoci a
visitarla tutti assieme.
I nostri figli ed i nostri nipoti, quando fra decenni sentiranno la storia
di un gesto così nobile, rimarranno increduli che un personaggio così
unico e generoso sia veramente esistito.
E’ per questo che Napoli, orbata di uno dei suoi figli migliori, piange la
scomparsa di Giancarlo Alisio
Napoli.com
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In ricordo di Luigi Amalfi
Un altro gentiluomo di altri tempi ci ha lasciato.
Luigi Amalfi era il decano degli scacchisti campani, da sempre
organizzatore infaticabile di tornei e manifestazioni scacchistiche di
respiro internazionale.
Presidente onorario della Lega scacchistica, da decenni si interessava
alla diffusione del nobile giuoco nelle scuole, approfittando della sua
esperienza di lavoro come direttore didattico, che gli permetteva di
vivere a contatto con i giovani e di conoscerne ansie e desideri.
Credeva fermamente nella funzione pedagogica degli scacchi, che più che un
passatempo sono una utile palestra per la mente ed il carattere, educando
alla concentrazione ed al calcolo, non meno che alla correttezza e alla
lealtà. Arbitro internazionale, aveva ricoperto a lungo cariche di
responsabilità nell’ambito delle Federazione, sempre apprezzato per le sue
doti di amabile conversatore ed abile organizzatore di eventi.
Redattore nelle riviste specializzate del settore, per anni era stato
titolare di una fortunata rubrica”Come giocheresti?”, che ha appassionato
giocatori di ogni livello alla ricerca della giusta soluzione.
L’auspicio del mondo scacchistico è che il suo esempio di correttezza e
dedizione venga recepito dai giovani giocatori, per non disperderete una
passione coltivata lungo l’arco di un’intera vita
Torre e Cavallo gennaio 2006
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Lembo, il menestrello di star e vip
Come si trasforma un deposito abbandonato in un ritrovo esclusivo
Caprese, cinquant'anni, sposato con due figli, Guido Lembo nasce come
chitarrista in un locale tutt'ora esistente, il Guarracino (alle spalle
della piazzetta di Capri), locale ancora di proprietà dei suoi fratelli e
oggi suoi concorrenti.
Nel 1993 Guido ha la fortuna di andare al Maurizio Costanzo show, dove si
mette in mostra come un tipo audace, intraprendente. Così, indebitandosi
per 740 milioni di lire, mette le mani in un vecchio deposito abbandonato
sotto l'albergo La Palma.
Nasce (aprile del '94) una taverna che chiama Anema e core, la sua canzone
preferita. In pochi mesi Lembo, pur aumentando vertiginosamente i prezzi,
raggiunge uno straordinario successo. La fortuna del locale è legata alla
circostanza che a Capri non esistono vasti ambienti, mentre invece nella
nuova taverna lo spazio non manca. Altra caratteristica vincente:
l'atmosfera di trasgressione e l'invincibile voglia di baldoria che
avvince gli ospiti non appena varcata la soglia del magico locale. Lo
spettacolo del seno della Ferilli o di Alessia Marcuzzi, o delle splendide
gambe al vento di Emma Marcegaglia, la severa ex presidentessa dei giovani
industriali, rimane indimenticabile. La frequentazione del locale è ricca
di Vip provenienti dallo spettacolo, dal giornalismo e dalle professioni.
Transitano per Anema e Core personaggi come Fossa, Della Valle,
Montezemolo, Merloni, Fede, Mentana. Eppoi la Fenech, Naomi Campbell e,
quest'anno, la duchessa di York, (venuta per due sere consecutive) la
sanguigna Sarah Fergusson.
Il locale è aperto da Pasqua a novembre. Durante i mesi invernali, Guido
si divide invece tra le apparizioni tv (Buona Domenica e Quelli del
Calcio) e le esibizioni nei locali di Napoli e Roma. Alla «Anema e Core»
bastano trenta minuti di musica dal vivo per riscaldarsi. Sicché decine di
signori e signore di mezza età, oltre a baldi giovanotti, finiscono per
ballare ritmi frenetici sui tavoli del locale. Cori poderosi si innalzano
al ritmo di mambo e chachacha, mentre un gigantesco karaoke supera di
molti decibel la tolleranza dell'orecchio più impenetrabile.
La chiave del successo è proprio l'atmosfera di divertimento, la gente che
canta e mima riti orgiastici pagani che non sono mai tramontati nello
spirito e nel costume dei napoletani.
Le canzoni a cui più è legato il Lembo chitarrista e imprenditore sono
Anema e core, Era di maggio e Tammurriata nera )immancabile nelle serate
caprese), la cui carica erotica scatena e li induce all'azione dei e
semidei. I personaggi di riferimento di Lembo? Primo di tutti Roberto
Murolo, e poi Carosone e Gegè Di Giacomo per la loro carica trasgressiva.
Tra le tante conosciute, la star di Lembo è lei, la Venere nera, la Naomi
Campbell per la quale quest'anno ha suonato alle cinque del mattino una
romantica serenata in piazzetta.
La telefonata
PARLA IL CHITARRISTAIMPRENDITORE
E' un investimento sicuro Mi fido della serietà dei partner
Porterà la sua musica in giro per il mondo, grazie ad una rete di locali
che saranno aperti sul modello di quello di Capri. Guido Lembo diventa
imprenditore, da oggi la sua taverna è un affare.
Domanda. Come diventa catena di franchising Anema e core?
Risposta. Sono due anni che Maurizio Lullo, responsabile italiano del
fondo di investimento internazionale con sede a Ginevra Clear capital, mi
sta dietro. Due estati fa mi propose di creare dei locali nel Nord Italia
ed oltreoceano, assicurandomi che mi avrebbe lasciato la direzione
artistica, la scelta dei gruppi e l'arredamento delle taverne.
D. Il marchio resta suo?
R. Si, Clear capital rileva solo il 40 per cento delle azioni della
costituenda Spa. Il locale di Capri rimane di mia proprietà. Da Ginevra
arriverebbero 15 milioni di euro, circa 30 miliardi di vecchie lire, quota
di partecipazione alla Società per azioni.
D. Cosa l'ha convinta ad accettare l'offerta e a portare avanti
l'operazione?
R. In giro per l'Italia stanno nascendo una serie di taverne Anema e Core
abusive, ecco perché ho pensato di blindare il marchio ed allargare i miei
orizzonti.
D. Ha delle perplessità?
R. Assolutamente, se qualcuno investe circa 30 miliardi di vecchie lire
vuol dire che ha le idee chiare.
D. Quali obiettivi vi siete posti nell'immediato?
R. Milano Firenze e New York. Sono queste metropoli che stiamo seriamente
prendendo in considerazione per l'apertura delle prime taverne della
catena.
D. E la televisione?
R. C'è un format in cantiere, un programma di un'oretta da vendere ad uno
dei due poli televisivi italiani. A dire il vero c'è già un pre contratto
con un'importante rete televisiva del nostro Paese.
Il Denaro 21 novembre 2002
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Museo dell’Opera di San Lorenzo
Il circuito espositivo napoletano, nonostante la cronica carenza di
turisti e la svogliata partecipazione degli indigeni, si è arricchito di
un nuovo prezioso tassello con l’apertura del nuovo museo dell’Opera di
San Lorenzo: uno sguardo sugli ultimi 2500 anni di storia della città e
sulle sue sbalorditive stratificazioni. Prima agorà greca e foro romano,
quindi basilica paleocristiana, trasformata poi in gotico francese, un
luogo dove si è svolta frenetica la vita sociale, artistica e civile,
durante molteplici dinastie dai Normanni e gli Svevi, agli Angioini ed
agli Aragonesi.
Un percorso a ritroso nel tempo per ritornare al punto di partenza, in un
eterno presente, dal suono melodioso del flauto di Antigenide ai canti
delle popolane, sostituiti negli ultimi anni da nenie cingalesi e da
violini zigani provenienti dall’est.
Ci troviamo nella piazza più antica di Napoli, dove per 20 secoli si sono
svolti i commerci, il passeggio elegante e si sono decisi i destini dei
cittadini. A due passi cantava Nerone, applaudito da folle oceaniche,
Boccaccio intravide la sua Fiammetta, che gli infiammò il cuore, mentre
austeri saggi, nel Parlamento voluto da Alfonso d’Aragona, emanavano leggi
tra le sale della torre, che oggi ospita i reperti del nuovo museo.
Sculture, affreschi, sarcofagi, ceramiche, dipinti, paramenti sacri,
pastori, ve ne è per tutti i gusti nei 4 piani del museo e tutto il
materiale è corredato da pannelli esplicativi, che conducono per mano il
visitatore in questo lungo viaggio, dissipando dubbi ed allietando occhi e
spirito.
Nella prima sezione sono esposti i reperti recuperati nei sottostanti
scavi archeologici, che rappresentano da tempo uno dei percorsi più
affascinanti per il visitatore che voglia esplorare le pulsanti viscere
della città.
Segue poi una raccolta di anfore, puniche greco italiche, corinzie che
testimoniano la vivacità dei traffici commerciali della città
nell’antichità con tutto il bacino mediterraneo. Vino, olio, carne
essiccata ed altre merci transitavano per raggiungere località della
terraferma.
Al secondo piano vi sono reperti provenienti dal convento e dalla chiesa.
Sono i pezzi più interessanti per gli appassionati di arti figurative. Si
va da
una spettacolare tempera su tavola di Montano di Arezzo, raffigurante la
Madonna col Bambino in trono ad un affresco staccato di ignoto giottesco
napoletano, che rappresenta san Francesco che dà la regola ai Frati minori
ed alle Clarisse. Superba è la lastra tombale dei componenti la famiglia
Barrile, misteriosi i sarcofagi dei Cavalieri dell’Ordine del Nodo.
Tra i dipinti segnaliamo una Madonna col Bambino e san Francesco,
proveniente da una cappella della chiesa, di estenuante dolcezza, a lungo
riferita a Stanzione dalle antiche guide e, viceversa, da assegnare al
virtuoso pennello di Giuseppe Marullo, un minore del secolo d’oro
ingiustamente dimenticato. Senza trascurare una tavola di Francesco Curia,
dai colori squillanti ed una replica autografa di minori dimensioni
dell’Immacolata del Finoglio, che si può ammirare in chiesa nella cappella
Bonaiuto.
Infine al quarto piano sono conservati arredi e paramenti religiosi. In
eleganti e ben illuminate vetrine si susseguono pissidi, reliquari,
ostensori e calici, alternati a messali e cartegloria, mentre in altre
sono esposti i segni esteriori della Chiesa trionfante post tridentina:
pianete, mitrie, stole e dalmatiche. Fa compagnia agli oggetti sacri una
nutrita collezione di pastori, del Settecento e dell’Ottocento, tutti di
legno e terracotta e con glaciali quanto espressivi occhi di vetro. Re
magi e mendicanti, floride contadine e vecchierelle gozzute, artigiani e
saraceni, una folla di volti e di atteggiamenti che ritroveremo immutati
una volta ridiscesi per strada lungo il presepe vivente che da secoli
anima i decumani, gli stessi volti patibolari o eduardiani, che erano in
prima fila durante l’assalto della torre al tempo di Masaniello o tra le
truppe sanfediste che impazzarono dopo il 1799. Un crogiuolo di popoli e
di culture, ieri: cartaginesi, greci, romani, spagnoli, austriaci e
francesi; oggi: cingalesi, ucraini, capoverdiani, rumeni e nigeriani.
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Leggete l’Enciclica
Leggete l’Enciclica”Deus caritas est” di Benedetto XVI, ne trarrete grossi
benefici, parola di laico. Una enciclica che rimarrà e segnerà la storia
quanto, e forse più, della Rerum novarum di Leone XIII o la Pacem in
terris di Giovanni XXIII.
Dovrete superare lunghi periodi intrisi di dottrina teologica ed alquanto
barbosi, ma poi all’improvviso, più volte, la scudisciata di classe che vi
farà meditare a lungo.
Anche se non entrate in chiesa da anni e vi ritenete un ateo inveterato
non potrete rimanere insensibili ai continui richiami all’amore, alla
giustizia, alla convivenza e contro la guerra, l’odio ed il fanatismo e
non potrete non essere d’accordo con questo Papa che, vicino agli ottanta
anni, scrive con lo stesso vigore ed entusiasmo di un giovane poeta
provenzale.
Una prosa accattivante, densa di riferimenti culturali dei più grandi
pensatori dell’umanità da Sant’Agostino a Gregorio Magno, da Marx a
Nietzsche, da Giuliano l’Apostata a Cartesio, da Virgilio a Madre Teresa
di Calcutta.
“Dio è amore, chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui”.
Come inizio non c’è male.
Alcune frasi ed alcuni concetti sembra siano scolpiti nel marmo:” In un
mondo in cui al nome di Dio viene a volte collegata la vendetta o perfino
il dovere dell’odio e della violenza desidero parlare dell’amore del quale
Dio ci ricolma e che da noi deve essere comunicato agli altri”.
Una condanna senza appello ai fondamentalismi che sembrano travolgere
tutto e tutti.
“Uno Stato che non fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe ad una
grande banda di ladri”
E noi che ci vediamo ogni giorno circondati ed assillati da ladri pubblici
e privati non possiamo non condividere.
“L’eros è come radicato nella natura dell’uomo. Adamo abbandona suo padre
e sua madre per trovare la donna, ma il modo di esaltare il corpo a cui
noi oggi assistiamo è ingannevole. L’eros degradato a puro sesso diventa
merce”.
Noi che abbiamo accusato per secoli la Chiesa di essere sessuofobica non
ci accorgiamo di essere costretti a vivere in una società sesso
dipendente, dominata dagli istinti.
Il problema dei rapporti tra Stato e Chiesa viene affrontato con coraggio,
abbandonando antichi ed improponibili steccati: “ La Chiesa non può e non
deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare una
società più giusta”, non può e non deve mettersi al posto dello Stato, ma
“ deve inserirsi per risvegliare le forze spirituali, senza le quali la
giustizia non può affermarsi e prosperare”
Il Papa esamina il marxismo ed altre dottrine materialistiche, il cui
sogno si è rivelato fasullo, mentre la progressiva negazione della
trascendenza ha svuotato le ideologie che poggiavano sul materialismo ed
ha impoverito l’uomo, privandolo di risposte forti alle domande sul senso
della vita, sul bene, sul male e sulla giustizia.
In un mondo oggi preda ed ostaggio della globalizzazione, in cui tutto è
merce ed il profitto è divenuto un moloch mostruoso, che avvelena i
rapporti tra gli uomini e gli Stati, l’Enciclica ripropone la validità
della dottrina sociale della Chiesa, che è ritornata ad essere una bussola
affidabile, che propone orientamenti e soluzioni valide.
Ed in ultimo un invito a riconsiderare la forza e l’importanza della
preghiera, seguendo l’insegnamento di madre Teresa di Calcutta, che
asseriva candidamente che il tempo dedicato ad essa non è sottratto
all’efficacia ed all’operosità dell’amore verso il prossimo, ma ne
costituisce l’inesauribile sorgente.
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Immortalità: sogno o realtà
Il sogno dell’immortalità ha solleticato l’uomo sin dalla notte dei tempi,
come dimostrano graffiti, antiche leggende, dall’epopea di Gilgamesh alla
mitica Shangri La, dal mito di Titone al sogno di Faust ed i corredi
funerari che accompagnavano i potenti nel difficile percorso verso
l’ignoto.
Le recenti scoperte della medicina e della biologia, in primis la
clonazione, hanno aperto un promettente sipario sul destino dell’uomo, che
non vuole arrendersi alla caducità della vita.
Oggi tre forme di immortalità sono perseguibili.
Per il credente vi è il cammino più semplice. Una volta accettata l’idea
di un’anima, diversa e separata dal corpo, basta comportarsi secondo i
dettami previsti dalla propria religione ed è pronta una vita eterna, il
Paradiso per i cristiani, un lussureggiante giardino colmo di vergini per
l’islamico, un tortuoso percorso di reincarnazioni per gli induisti.
Per gli antichi Greci e per molti laici l’unica possibile forma di
immortalità è costituita dalla memoria dei posteri, per qualche
generazione o per millenni, privilegio riservato ai grandi dell’umanità.
Ed a questa immortalità ridotta… possono accedere tutti gli esseri
viventi, ne godono infatti i miei splendidi rottweiler Lady ed Athos, che
continuano a vivere nel mio ricordo e nel mio cuore. Per i minerali e per
i metalli, come ci ammoniva l’impareggiabile Totò in una toccante poesia:
la morte semplicemente non esiste.
Oggi le scoperte della scienza, dalla ingegneria genetica alla chirurgia
dei trapianti, dalle tecniche di ibernazione alla clonazione, ci aprono
sconfinati orizzonti ed il sogno dell’immortalità, assopito, prende forza
e vigore.
Possedere un clone e poter trasferire nel nuovo involucro le proprie
esperienze rappresenta un sogno malizioso, ma presto realizzabile.
L’etica lo vieta, vi saranno insuperabili problemi di sovrappopolazione di
disparità di accesso e tanti altri ancora, ma nessuno potrà vietare ad
ognuno di noi di sognare l’immortalità.
Si è aperta una finestra su un mondo nuovo, del quale non riconosciamo i
confini, ma confidiamo di poter partecipare alla più straordinaria
avventura dell’umanità, da far impallidire l’audacia di Ulisse. Il nostro
cuore si riempie di orgoglio e commozione, come Mosè dalla cima del monte
Nebo intravediamo la Terra Promessa.
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