Procreazione assistita una legge sbagliata
Sono una giovane biologa napoletana, specializzata in fecondazione
assistita, costretta da una legge liberticida ad emigrare per
svolgere la mia attività. Lavoro a Bruxelles all'università Az-Vub,
uno dei centri più avanzati d'Europa, dove la clientela, da un anno,
è costituita per circa la metà da coppie italiane, obbligate, con
grandi sacrifici economici, a cercare lontano da casa l'avverarsi di
un sogno oggi sempre più difficile: avere un figlio.
Leggo con raccapriccio sui quotidiani continue notizie di malasanità
riguardanti scambio di provette con bianchi che diventano neri e
neri che diventano bianchi.
Vorrei attraverso le pagine del suo giornale lanciare un grido di
dolore, affinché, in Italia, si cambi la normativa vigente che
penalizza le donne e le coppie meno abbienti.
La Repubblica 8 settembre 2004
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Matrimoni internazionali
Gentile direttore,
l’Europa, figlia dell’utopia, sta già per andare in crisi. Il
referendum sulla sua Costituzione di cui si parla in Francia, unito
alla calamitosa inflazione strisciante che, dall’entrata in vigore
dell’euro, sta erodendo stipendi e risparmi, sono le spie più
vistose di un malessere diffuso, che sta mettendo in crisi un così
ambizioso progetto, nato nelle stanze del potere segreto dei
banchieri di Francoforte. Il sogno malizioso di una grande Europa
dall’Atlantico agli Urali non può reggere naturalmente soltanto su
di una moneta, ma è necessario che i popoli, divisi oggi dalla
lingua e dalla storia, da abitudini e legislazioni diverse,
diventino un solo popolo. Un obiettivo che può divenire più facile
attraverso l’aumento dei matrimoni internazionali. Se tutti i
governi erogassero dei cospicui incentivi economici e fiscali alle
coppie, naturalmente con prole, ai cittadini di diversa nazionalità
che volessero mettere su famiglia un passo decisivo verso
l’integrazione europea sarebbe compiuto e l’Europa, in capo a 2-3
generazioni, passerebbe dalla fantasia alla realtà.
Un provvedimento semplice senza il quale il nostro futuro
demografico è semplicemente senza speranza.
Mi sia permesso un ricordo personale: la malattia di fare proposte
attraverso lettere al direttore lo ho contratto in età pediatrica.
La mia prima missiva fu indirizzata al mensile Quattrosoldi e
trattava proprio dei matrimoni internazionali. Era il 1960, il
direttore della rivista nella sua risposta ironizzo e sospettò che
stessi per sposarmi con una straniera, non sapeva che da poco avevo
compiuto tredici anni.
Quattrosoldi novembre 1960
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Darwin ed il neo creazionismo
Gentile direttore,
in questi giorni si discute animatamente sui giornali di
neocreazionismo, che negli Stati Uniti si insegna nelle scuole
assieme alla teoria di Darwin.
La monogamia nella specie umana ha il suo fondamento nell’eguale
numero di maschi e femmine nell’età riproduttiva. A lungo nei secoli
scorsi si è data la colpa alla donna quando non generava un figlio
maschio, poi si è creduto che era l’uomo attraverso i suoi
spermatozoi a stabilire il sesso della prole; ma erano scoperte
fallaci: a determinare una eguale e costante percentuale tra i due
sessi presiede un mirabile meccanismo ancora del tutto sconosciuto.
La presenza in una popolazione, come ad esempio quella italiana, di
un maggior numero di donne è legato unicamente alla maggior durata
della vita femminile, caratteristica costante in tutto il mondo. Ma
ha ben poca importanza se esaminando le classi di età più avanzate
(oltre i 60-70 anni) troviamo più donne che uomini, l’importanza è
che nell’età feconda vi sia un perfetto equilibrio tra i due sessi.
Questa “armonia percentuale”, necessaria per il quieto vivere delle
famiglie, della società e degli Stati è tenuta sotto controllo in
maniera a dir poco prodigiosa: infatti in periodi post bellici,
quando i maschi diminuiscono, per una generazione nascono meno
femmine!
Una scoperta recente è stata l’osservazione che gli embrioni
abortiti spontaneamente, nelle prime fasi della gravidanza, sono più
frequentemente di sesso maschile, di conseguenza il rispetto della
percentuale paritaria non avviene al momento della fecondazione,
quando contiamo 170 maschi per 100 femmine, bensì nel momento più
significativo, il periodo di maggiore fertilità, tra i 20 ed i 35
anni.
Il poter leggere, grazie alle continue scoperte scientifiche, nel
gran “libro” della natura le tracce inequivocabili di un ordine deve
invitarci ad una profonda riflessione e la stupefacente maniera con
la quale la Natura programma il rapporto percentuale tra i sessi ne
rappresenta uno degli infiniti esempi.
Il Newton nel porre termine al suo “Philosophiae Naturalis Principia
Matematica”, una tra le più importanti opere dello scibile umano,
non ritenne fuori luogo dissertare sugli attributi di Dio. Sia
perciò permesso, ad un laico inveterato, invitare tutti a meditare
sulla certezza che tali delicati meccanismi è assolutamente
improbabile che siano sorti per combinazione!
Il Roma 12 novembre 2005
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La pillola per abortire
Gentile direttore,
i giornali stanno dedicando intere pagine alla sperimentazione della
pillola RU486, in grado di provocare l'aborto senza intervento
chirurgico, dimenticando che tale farmaco è adoperato in tutto il
mondo dall'Europa agli Stati Uniti, dalla Cina a quasi tutti i paesi
africani, per cui non c'è più niente da sperimentare.
Vorrei segnalare che in Italia si potrebbero superare tutti gli
ostacoli burocratici, se ci si ricordasse della scoperta di un
geniale quanto bistrattato ginecologo napoletano:Achille della
Ragione, il quale da oltre 15 anni ha scoperto che un'associazione
di farmaci, regolarmente in commercio: prostaglandina ed ossitocici
è in grado di provocare l'aborto con una percentuale di successo
superiore alla tanto decantata pillola francese.
Bibliografia: Contraccezione Fertilità Sessualità vol. 18. n. 4
Luglio 1991
Il Golfo 16 novembre 2005
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Pensioni: regole più severe per gli stranieri
Gentile dottore,
in Francia una straniera che sposa un francese deve attendere 4 anni
prima di poter chiedere la cittadinanza e godere dell'eventuale
pensione in caso di vedovanza e la normativa poco differisce nelle
altre nazioni europee, ad eccezione dell'Italia, dove una folla di
ucraine, polacche, rumene ecc. non ambisce che a portare all'altare
un ottantenne per prendere in un sol colpo i classici due piccioni:
la cittadinanza subito e la pensione di reversibilità entro
brevissimo tempo. E poi ci lamentiamo delle voragini nei conti degli
istituti previdenziali.
Il Giornale 18 novembre 2005 - Roma 23 novembre 2005
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Famiglie divise, facile incolpare le straniere
Gentile dottore,
l'entrata in commercio e l'ampia diffusione del Viagra e prodotti
similari , che ha risvegliato prepotentemente i sensi pigri ed
intorpiditi di tanti Italiani sopra gli "anta", associata alla
discesa nel nostro paese di una folla incontenibile di ucraine,
polacche, russe, rumene e sudamericane, desiderose, più che di un
lavoro, di un maschio da spennare, ha provocato una miscela
esplosiva,
che ha travolto decine di migliaia di famiglie ed il fenomeno cresce
ogni giorno di più. Darwin sarebbe contento che tanti maschi
cerchino
una compagna più giovane, ma tante donne abbandonate sono
naturalmente
di parere diverso e tante famiglie sfasciate sono un prezzo troppo
alto
e doloroso da pagare sull'altare della globalizzazione
Il Golfo 24 novembre 2005 - Il Mattino 2 dicembre 2005- Il Roma 18
dicembre 2005
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L’albergo dei poveri diventa dei ricchi
Gentile dottore,
tempi felici quando Napoli non aveva al comune, alla provincia ed
alla regione gli attuali amministratori e regnava incontrastato
Carlo III, tempi felici almeno per la miriade di poveracci che
l’illuminato sovrano alloggiò in uno sterminato edificio, il più
grande d’Europa ed ai quali fornì non solo sostentamento, ma insegnò
un lavoro che desse dignità e rispetto agli ultimi della terra…
La grande opera fu ammirata in tutto il mondo, non solo per
l’arditezza delle scelte architettoniche, tra cui la facciata lunga
600 metri!, ma soprattutto per l’idea che la permeava: dare un
alloggio ed un lavoro anche ai più poveri e sfortunati. Arrivò a
contenere più di diecimila ospiti e possedeva laboratori attrezzati
ed efficienti nei quali si sono formate generazioni di artigiani.
Quando Garibaldi, il conquistatore, venne a Napoli con l’illusione
di portarvi la civiltà, nell’Albergo dei poveri vi erano 8000
ospiti.
In seguito l’istituzione nel periodo post unitario è lentamente
decaduta, fino a cadere in rovina con l’ultimo colpo di grazia
infertole dal terremoto del 1980.
Da decenni si blatera di una nuova destinazione: si parla di sede
museale(come se a Napoli a mancare non fossero i visitatori e non i
contenitori), di sede espositiva di arte contemporanea, di una nuova
università, mentre i nostri solerti amministratori si accapigliano
su chi dovrà elaborare i faraonici progetti e dirigere i dispendiosi
lavori di ristrutturazione e soprattutto come dividersi commesse e
tangenti.
E nel frattempo il numero dei poveri e dei senza casa, costretti a
dormire avendo il cielo come tetto, aumenta ogni giorno di più. La
piazza antistante lo storico edificio è affollata di giacigli di
cartone, dove uomini e donne di tutte le età hanno stabilito da
tempo la loro dimora ed ogni angolo della città è divenuto oramai un
ricettacolo per poveri senza speranza. Pensiamo scioccamente a
destinazioni culturali ad uso dei ricchi, quando migliaia di persone
non possiedono un tetto e sono costrette all’accattonaggio o ad
infrangere il codice penale.
Restituiamo all’Albergo dei poveri l’antica quanto mai attuale
destinazione: daremo così un tetto ed un pasto a tanti sfortunati e
diverrebbe in tal modo ingiustificato l’accattonaggio, che potrebbe
essere perseguito, snidando i postulanti di mestiere, che da tempo
hanno tolto il decoro a strade e piazze della città.
Corriere del Mezzogiorno 13 dicembre 2005 - Roma 17 dicembre 2005 -
Il Brigante (prima pagina con foto) dicembre 2005 - Vivitelese.it -
Adsic
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L’amnistia ed il pifferaio magico
Si riparla di amnistia e questa volta pare che possa essere la volta
buona.
Marco Pannella con il suo invito suadente, con il suo sciopero della
fame, più simbolico che reale, sembra aver compattato le forze
parlamentari sia di destra che di sinistra, riuscendo lì dove fallì
il grande Giovanni Paolo II, che aveva chiesto al Parlamento un
gesto, anche minimo, di clemenza.
L’emergenza criminale spaventa i cittadini, ma la vita dei carcerati
è una realtà scottante ed il livello di civiltà e di democrazia di
un Paese si valuta a seconda del modo in cui vengono trattati i più
deboli e non esiste categoria più abbandonata e negletta della
popolazione carceraria, privata non solo del bene più prezioso per
un individuo: la libertà, ma costretta, per il disumano
sovraffollamento delle nostre diaboliche “caienne”, a subire una
infinità di pene accessorie più varie, dalle violenze sessuali alla
sporcizia obbligatoria, stipati come bestie in gabbia, fino a limiti
allucinanti di 16 persone in una cella di 4 metri per 4, più una
squallida ed angusta latrina per i bisogni corporali, per lavarsi e
per lavare le stoviglie dopo i pasti.
Napoli, come sempre, quando si tratta di record negativi è in testa
alla classifica con il sovraffollamento da quarto mondo dei suoi
penitenziari, al cui confronto i gironi infernali danteschi
impallidiscono miseramente.
In queste disperate condizioni, prive di qualsiasi dignità,
naturalmente qualsiasi tentativo di recupero è mera utopia: diritto
allo studio, al lavoro, ad un minimo spazio vitale rappresentano
chimere irraggiungibili.
E così ogni giorno si calpesta e si ignora sfacciatamente il terzo
comma dell’articolo 27 della nostra Costituzione, il quale recita
solennemente: ”… le pene non possono consistere in trattamenti
contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del
condannato”. Inoltre, alle disperate condizioni di vita nei
penitenziari si associano ulteriori disfunzioni, quali la
esasperante lentezza con cui i giudici di sorveglianza esaminano le
posizioni dei detenuti, che avrebbero diritto ad uscire dal carcere
ed usufruire del regime di semilibertà.
Se Napoli è da record, anche gran parte degli altri istituti di pena
italiani soffrono di condizioni di sovraffollamento più o meno gravi
e di condizioni di vivibilità ai limiti dell’incubo. Un inferno che
neanche la fertile fantasia di Dante avrebbe potuto immaginare,
causato dal gran numero di detenuti. Un record europeo del quale
vergognarsi, che potrebbe in parte attenuarsi attraverso una diffusa
adozione del braccialetto elettronico, che permetterebbe un maggior
utilizzo degli arresti domiciliari, soprattutto per i detenuti in
attesa di giudizio, i quali per i 2/3 verrà assolto al termine del
giudizio. Ma soprattutto un gesto di clemenza, anche ridotto, per
dimostrare che lo Stato non dimentica nessun cittadino.
Il Golfo 20 dicembre (pubblicata come articolo) – Il Roma 28
dicembre 2005
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Sempre più anziani ma con gli stessi servizi
Gentile dottore,
mentre la crescita zero, anzi sotto zero, fa aumentare il numero di
vecchi e mentre la famiglia tende a sfasciarsi sempre più, non vi è
da parte delle istituzioni un parallelo impegno a creare strutture
adeguate a ricevere una quota di popolazione, che aumenta in
percentuale giorno dopo giorno. Non si tratta solo di costruire case
di riposo, ma anche e soprattutto strutture di accoglimento diurno,
accoppiata ad un'assistenza domiciliare flessibile ed efficiente.
Tanti giovani non si separerebbero dagli anziani, se potessero
contare su un aiuto durante le ore di lavoro. Lo Stato
risparmierebbe e le famiglie non si disgregherebbero, oltre a
realizzarsi una maggiore giustizia sociale tra coloro che possono
permettersi una o più badanti ed i meno fortunati, costretti ai
salti mortali per conciliare il lavoro agli obblighi verso gli
anziani.
Il Mattino 23 dicembre 2005 – Il Roma 24 dicembre 2005
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Carceri disumane benvenuta amnistia
Si riparla di amnistia e questa volta pare che possa essere la volta
buona. L' emergenza criminale spaventa i cittadini, ma la vita dei
carcerati è una realtà scottante e il livello di civiltà e di
democrazia di un Paese si valuta a seconda del modo in cui vengono
trattati i più deboli e non esiste categoria più abbandonata e
negletta della popolazione carceraria, privata non solo del bene più
prezioso per un individuo: la libertà, ma costretta, per il disumano
sovraffollamento, a subire una infinità di pene accessorie più
varie, dalle violenze sessuali alla sporcizia obbligatoria, stipati
come bestie in gabbia, fino a limiti allucinanti di 16 persone in
una cella di 4 metri per 4, più una squallida e angusta latrina per
i bisogni corporali, per lavarsi e per lavare le stoviglie dopo i
pasti. Napoli, come sempre, quando si tratta di record negativi è in
testa alla classifica con il sovraffollamento da quarto mondo dei
suoi penitenziari. Un record del quale vergognarsi, che potrebbe in
parte attenuarsi attraverso una diffusa adozione del braccialetto
elettronico, che permetterebbe un maggior utilizzo degli arresti
domiciliari, soprattutto per i detenuti in attesa di giudizio, i
quali per i 2/3 verranno assolti al termine del giudizio.
La Repubblica 18 dicembre 2005
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Voteremo alla bulgara
E’ ufficiale: per entrare ai primi posti della lista alle prossime
elezioni politiche Forza Italia chiede un contributo…di 150.000
euro, in alcune regioni 200.000. E poi dicevano tangentopoli.
Il nuovo sistema elettorale, varato in tutta fretta, non prevede
scelte di preferenza per gli elettori. Le liste sono bloccate per
cui i partiti decideranno chi dovrà vincere e noi elettori dovremo
recarci alle urne senza alcuna possibilità di scegliere l’uomo
giusto al posto giusto. Il potere dei partiti si accrescerà
enormemente, creando un’anacronistica oligarchia e le nostre
consultazioni saranno simili a quelle bulgare di qualche anno fa.
Stranamente nessuno ha protestato, né i giornali, né gli
intellettuali, né le forze politiche di sinistra, da tempo abituate
a scelte verticistiche.
Nessuna voce libera potrà ascoltarsi nel nuovo Parlamento,
espressione di una dittatura democratica e le aule di Camera e
Senato torneranno a divenire sorde e grigie, senza essere costrette
ad ospitare bivacchi di manipoli.
La Stampa 4 gennaio 2006
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Caro parcheggio a Capodichino
Ho accompagnato un parente all'aeroporto di Capodichino e dopo aver
parcheggiato la vettura nell'area di sosta n. 6 ho atteso il decollo
dell'aereo. Sapevo, gentile dottor Lubrano, che la tariffa era di
tre euro ma l'ufficio informazioni mi ha comunicato che superata
l'ora di sosta sarebbero stati sette euro. Grande è stata quindi la
sorpresa di dover pagare, al ritiro della macchina dopo cento
minuti, dodici euro! Mi e sembrata un'estorsione vera e propria. Il
Comune che ha dato in concessione lo scalo ad una società straniera
non può fare nulla per evitare che vengano praticate questa tariffe
così esagerate?
Il Mattino 4 gennaio 2006
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Traffico impazzito ed economia in declino
Gentile direttore,
Tra i tanti record negativi di Napoli certamente quello del traffico
più caotico è uno di quelli di più lunga data, con quadrivi a “croce
uncinata” in ogni ora del giorno. Naturalmente il primo effetto
negativo si riverbera sull’economia cittadina, che vive
principalmente di commercio, oramai strangolata da una marea di auto
clacsonanti alla ricerca disperata di un parcheggio.
Eppure alcuni anni or sono fu varata una legge, la Tognoli, che
favoriva, con agevolazioni fiscali e creditizie, la costruzioni di
parcheggi sotterranei da parte dei privati. A Napoli tale normativa
non è stata mai applicata. Si è voluto privilegiare la creazione di
grossi parcheggi da parte di una società legata allo sporco gioco
delle tangenti e delle lottizzazioni politiche e tutti noi sappiamo
come è andata a finire: la magistratura è dovuta intervenire quando
le ruberie e le malversazioni hanno superato il livello di guardia
ed il risultato è stato nessun parcheggio ed enorme spreco di
risorse pubbliche.
Se si riuscisse a mettere in moto un meccanismo che invogli i
condomini a dotarsi di parcheggi privati, si otterrebbero numerosi
risultati positivi, ma soprattutto si darebbe lavoro per anni ad
imprese e maestranze attualmente inoperose.
Speriamo che in occasione delle imminenti consultazioni elettorali
amministrative i partiti, invece di discutere di argomenti di
respiro internazionale, si impegnino con i cittadini ad affrontare
questo problema, che tanti benefici potrebbe arrecare alla città in
termini di economia e vivibilità.
La Repubblica 9 gennaio 2006 - Il Mattino 10 gennaio 2006 – Il Roma
10 gennaio 2006
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Lo scorrere inesorabile del tempo
Gentile dottore,
noi viviamo immersi nel tempo e ciò rappresenta un mistero ancora
senza soluzione.
Il grande Sant'Agostino a tale proposito era lapidario: "So bene
cosa sia il tempo, ma se mi chiedono cosa sia non so rispondere".
Per capirne il valore vogliamo provare a chiedere cosa rappresenti a
chi ne ha vissuto intensamente una frazione.
Per capire il valore di un anno chiederemo lumi ad uno studente che
è stato bocciato; per intendere il valore di un mese ci rivolgeremo
ad una madre che ha partorito prematuramente; per capire il
valore di una settimana chiederemo all'editore di un settimanale;
per valutare il valore di un'ora chiederemo all'innamorato Achille
che attende in ritardo di incontrarsi con l'amata Elvira; per
apprendere l'importanza di un minuto possiamo saperlo da chi ha
appena perso il treno; per capire l'importanza di un secondo ci
rivolgeremo a chi ha appena evitato un incidente; per capire
l'importanza di un decimo di secondo chiederemo all'atleta che per
esso ha perso l'alloro olimpico;
Ieri: storia; domani: mistero. Non ci resta che da vivere ed
intensamente il presente, cercando ciò che più ci piace: salute,
felicità, successo, mentre l'orologio del tempo prosegue inesorabile
il suo cammino.
Il Roma 15 gennaio 2006 - Il Mattino 24 gennaio 2006
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I messaggi delle massaggiatrici
Gentile dottore,
ho notato con stupore e nostalgia la ricomparsa nella rubrica delle
inserzioni commerciali dei messaggi delle "massaggiatrici",
stranamente scomparsi da decenni, nonostante viviamo in un periodo
di mercantilismo sfrenato.
Sono ritornato agli anni in cui leggevo questi annunci con un
interesse malizioso, che poteva diventare personale, ben diverso da
oggi che la lettura è puramente intellettuale.
Scopro così che l'offerta, al passo con i tempi, si è specializzata,
ma a pensarci bene già sugli antichi lupanari pompeiani esplicativi
affreschi pubblicizzavano le prestazioni nelle quali la proprietaria
era particolarmente versata.
Poi si possono percepire gli effetti della globalizzazione:
brasiliane e cubane calienti, slave vogliose, addirittura cinesi
meticolose e pazienti.
Quanti posti di lavoro perduti per le nostre prestatrici d'opera!
Le possibilità coprono non solo tutti i gusti, ma anche tutti i
momenti ed i luoghi della città.
Ci siamo recati in visita ad un parente ricoverato e ci siamo
rattristati? Vi è subito il rimedio per risollevare... lo spirito:
ardente minorenne, prestazioni particolari, zona ospedaliera.
Siamo all'aeroporto ed il nostro aereo è in ritardo?. Niente paura,
ci penserà Nietta, prezzi modici, calata Capodichino.
O tempora, o mores, avrebbe gridato un severo censore nostro
antenato, noi semplicemente sorridiamo.
Corriere del Mezzogiorno 31 gennaio 2006 – Orizzonti Nuovi 7
febbraio 2006
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Cervelli in fuga
Gentile dottore,
L'esodo verso l'estero dei nostri migliori cervelli ha ripreso
vigore negli ultimi anni, impoverendo gravemente la ricerca
scientifica ed ipotecando definitivamente il nostro futuro di
nazione progredita.
Siamo lo Stato che spende meno in termini di investimento: poco più
del 1% del prodotto interno lordo, meno della metà di paesi come la
Germania o l'Inghilterra.
Qualsiasi giovane che voglia progredire nella sua branca non ha
altra scelta che emigrare.
E vogliamo discutere solo di cervelli in fuga, trascurando tanti
"corpi" in fuga, senza
dimenticare che spesso, ma non sempre, dietro un cervello in fuga vi
è una famiglia con discrete possibilità economiche, mentre dietro un
"corpo" in fuga vi sono altri corpi che chiedono perentoriamente di
mangiare e di vestirsi.
La Cina sta affrontando il problema in maniera drastica. offrendo
stipendi 10 volte superiori a tutti gli scienziati che vogliano
tornare in patria dagli Stati Uniti.
Non è facile trovare in Italia, dove lobby, consorterie e baronie
regnano incontrastate, un rimedio che possa provocare un' inversione
di tendenza, ma vorremmo avanzare una proposta. Creare un organismo
dotato di ampi poteri, che possa facilitare il rientro di scienziati
forniti di significative esperienze acquisite in paesi stranieri.
Bisognerebbe riservare nelle università e nei centri di ricerca un
certo numero di posti a "superdotati" di ritorno dall'estero.
Siamo così attenti a garantire il lavoro agli handicappati, spesso
fasulli, garantiamo, nell'interesse comune, un lavoro ai
superdotati, attenti solo che siano veri.
Il Golfo 17 gennaio 2006 - La Stampa 17 gennaio 2006 – L’Unità 17
gennaio 2006
Corriere del Mezzogiorno 20 gennaio 2006 – Il Roma 31 gennaio 2006
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Fermate la Gest Line, è impazzita!
È quanto chiedono disperatamente decine di migliaia di napoletani,
subissati da cartelle più o meno pazze, ma soprattutto da una
attività di recupero forzato dei crediti e da un accanimento
persecutorio degno di miglior causa.
Dopo le ganasce fiscali applicate ai veicoli, si sta attuando
indefessamente il fermo amministrativo sui beni immobili di
proprietà del moroso.
Che le tasse e le multe vadano pagate non vi è dubbio, ma il
comportamento vessatorio della società di recupero, anche se in
linea con alcune norme legislative discutibili, sta superando ogni
limite di sopportazione dei napoletani, che come la storia ci
insegna (Masaniello docet) sono pazienti ma fino al punto di
rottura…
L’aspetto più scandaloso è costituito dalla vendita all’asta
dell’immobile senza una preliminare valutazione del suo valore di
mercato, per cui nelle ultime settimane sono avvenute numerosissime
aggiudicazioni a prezzi stracciati, spesso a personaggi dotati di
cospicua liquidità e, soprattutto, in grado di convincere… i vecchi
proprietari a lasciare subito l’appartamento.
Il paradosso è costituito dalla necessità di costituirsi e dover
pagare un avvocato, anche nel caso di atti contenenti iscrizioni a
ruolo per le quali l’Ente era decaduto dal diritto di riscossione.
Siamo in campagna elettorale e sarebbe auspicabile che i politici,
di destra o di sinistra, ci dicessero chiaramente, se vogliono il
nostro voto, come pensano di affrontare questa situazione esplosiva,
che amareggia e rende la vita impossibile a tanti cittadini.
Il Roma 23 febbraio 2006
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Legittimità della legittima difesa
Il cittadino che si difende con le armi nella sua abitazione non
difende soltanto la sua “roba”, come volgarmente si è blaterato in
questi giorni sui principali giornali, bensì rappresenta l’ultimo
baluardo dello Stato contro la criminalità. Non vi possono essere
poliziotti e carabinieri a presidiare ogni angolo del territorio, là
dove essi non sono presenti, a difendere lo Stato deve pensarci il
cittadino.
Il compito che gli è affidato è nobile quanto rischioso, sacrosanto
più che legittimo. Non è Far West, ma l’affermazione del diritto
contro la sopraffazione.
Chi non è abituato all’uso delle armi sa quanto sia pericoloso
adoperarle, ma deve essere legittimato ad usarle, perché in quel
momento deve difendere, non solo le sue cose, ma la sua famiglia da
eventuali intemperanze o violenze da arancia meccanica.
La legge approvata non è una legge di “destra”, come è stato detto a
sproposito, né ci porta indietro nel tempo. E’ una legislazione al
passo con i tempi feroci che siamo costretti a vivere.
Per convincercene possiamo guardare a due passi da noi, nella
pacifica e civile Svizzera, dove pure abbondano gli extra comunitari
pericolosi, slavi o albanesi, che spesso costituiscono queste bande
specializzate negli assalti alle villette isolate, ma il fenomeno è
quasi sconosciuto. Perché leggi severe tutelano il cittadino e,
soprattutto, perché in ogni casa vi è un fucile d’assalto ed un
riservista in grado e pronto ad usarlo.
Corriere del Mezzogiorno 8 febbraio 2006
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Le tre forme dell’immortalità
Il sogno dell’immortalità ha solleticato l’uomo sin dalla notte dei
tempi, come dimostrano graffiti, antiche leggende, dall’epopea di
Gilgamesh alla mitica Shangri La, dal mito di Titone al sogno di
Faust ed i corredi funerari che accompagnavano i potenti nel
difficile percorso verso l’ignoto.
Le recenti scoperte della medicina e della biologia, in primis la
clonazione, hanno aperto un promettente sipario sul destino
dell’uomo, che non vuole arrendersi alla caducità della vita.
Oggi tre forme di immortalità sono perseguibili.
Per il credente vi è il cammino più semplice. Una volta accettata
l’idea di un’anima, diversa e separata dal corpo, basta comportarsi
secondo i dettami previsti dalla propria religione ed è pronta una
vita eterna, il Paradiso per i cristiani, un lussureggiante giardino
colmo di vergini per l’islamico, un tortuoso percorso di
reincarnazioni per gli induisti.
Per gli antichi Greci e per molti laici l’unica possibile forma di
immortalità è costituita dalla memoria dei posteri, per qualche
generazione o per millenni, privilegio riservato ai grandi
dell’umanità. Ed a questa immortalità ridotta… possono accedere
tutti gli esseri viventi, ne godono infatti i miei splendidi
rottweiler Lady ed Athos, che continuano a vivere nel mio ricordo e
nel mio cuore. Per i minerali e per i metalli, come ci ammoniva
l’impareggiabile Totò in una toccante poesia: la morte semplicemente
non esiste.
Oggi le scoperte della scienza, dalla ingegneria genetica alla
chirurgia dei trapianti, dalle tecniche di ibernazione alla
clonazione, ci aprono sconfinati orizzonti ed il sogno
dell’immortalità, assopito, prende forza e vigore.
Possedere un clone e poter trasferire nel nuovo involucro le
proprie esperienze rappresenta un sogno malizioso, ma presto
realizzabile.
L’etica lo vieta, vi saranno insuperabili problemi di
sovrappopolazione di disparità di accesso e tanti altri ancora, ma
nessuno potrà vietare ad ognuno di noi di sognare l’immortalità.
Si è aperta una finestra su un mondo nuovo, del quale non
riconosciamo i confini, ma confidiamo di poter partecipare alla più
straordinaria avventura dell’umanità, da far impallidire l’audacia
di Ulisse. Il nostro cuore si riempie di orgoglio e commozione, come
Mosè dalla cima del monte Nebo intravediamo la Terra Promessa.
Il Roma 15 febbraio 2006
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Onestà dei banchieri
Gentile dottore,
la stampa ha reso noto nei giorni scorsi dell'esistenza di un conto
corrente svizzero ancora attivo intestato a Lenin. Quando tornò in
patria il padre della rivoluzione, impegnato in faccende più
importanti, dimenticò di chiuderlo e di ritirare i cinque
franchi che vi erano depositati. I banchieri elvetici sono precisi e
meticolosi ed hanno continuato a tenere aperto il conto e ad
accreditare i relativi interessi. Dopo poco meno di un secolo ed
alcune devastanti inflazioni si è giunti alla stratosferica cifra di
otto franchi. Se la proprietà privata per l'austero rivoluzionario
era considerata un furto, sarebbe interessante conoscere il suo
parere sui banchieri.
E se oggi volesse chiuderlo, non basterebbe un mese di stipendio di
un salariato dell'ex paradiso dei lavoratori.
La Repubblica 1° marzo 2006 (col titolo Se Lenin "volesse" chiudere
il suo conto) - Lo Strillo marzo 2006 - Il Roma 7 marzo 2006
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*Curarsi qui è pericoloso
Sono l' amico medico che ha consigliato al giornalista Goffredo
Locatelli di recarsi al San Raffaele di Milano per sottoporsi a
intervento di by-pass; anzi poiché ero affetto da eguale patologia
mi sono ricoverato anche io. Essendo meno coraggioso ho preferito
sottopormi ad angioplastica, una tecnica meno invasiva, che a Napoli
i colleghi ritenevano non applicabile. Non mi resta che fare mio il
perentorio invito di Eduardo: fuitevenne. Almeno per curarsi non
esiste luogo più pericoloso di Napoli, parola di medico ammalato.
La Repubblica N – 6 marzo 2006
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Depenalizzare altro che criminalizzare
Tra le isterie di fine legislatura una delle più gravi, anche se
sottovalutata dai mass media, è stata la criminalizzazione del
consumo delle droghe leggere, equiparate del tutto, attraverso un
decreto legge, a quelle pesanti.
I fautori di questa rivoluzione si sono poi pubblicamente
confessati, affermando di aver fatto uso, e più di una volta, delle
sostanze oggi da loro stessi vietate: Fini si è fumato una canna in
Giamaica, Casini non si è nemmeno spostato ed ha fatto le sue
esperienze in un prato…
Dopo le fumacchiate giovanili, però, non sono precipitati, come da
loro ripetutamente paventato, nei labirinti dell’eroina, bensì, per
nostra ventura, alla guida del Paese.
La nuova legislazione minaccia di coinvolgere nel baratro della
penalizzazione milioni di consumatori, anche occasionali, e,
mancando criteri oggettivi per definire la modica quantità che si
può possedere per uso personale, il cittadino sarà ostaggio del
potere discrezionale delle istituzioni, che potranno anche valutare,
a loro insindacabile giudizio, la pericolosità sociale del
consumatore di droghe leggere. Ne deriverà, come capitato negli anni
dal ’90 al ’93, durante i quali vigeva una normativa simile, un
incremento notevole, in breve tempo, della popolazione carceraria,
che già esplode e presenta concentrazioni indegne di una nazione che
vorrebbe definirsi civile.
Nella patria di Giustiniano e di Cicerone si attuerà una sistematica
eutanasia dello Stato di diritto e ciò mentre l’unica possibile
soluzione per fronteggiare la macro e micro delinquenza, che oramai
ha rotto gli argini e dilaga incontrastata, poteva essere la
liberalizzazione della droga, un provvedimento che avrebbe richiesto
coraggio e lungimiranza, doti che difettano ai nostri politici,
forse per le peccaminose fumate giovanili.
Il Roma 25 marzo 2006
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Il primo arresto per infibulazione
Gentile dottore,
finalmente a Verona è stato eseguito il primo arresto di una donna,
nigeriana, che stava per praticare, per 100 euro, l'infibulazione su
una bimba di un anno.
E' la prima volta che viene applicata la legge contro le mutilazioni
sessuali, una barbarie atavica che i nostri ospiti credono di poter
impunemente continuare a praticare sul nostro territorio, certi che
il nostro permissivismo chiudesse un occhio... Bisogna finirla! Chi
viene a lavorare da noi deve lasciare a casa usanze incivili che
mortificano la donna.
I mass media predicano quotidianamente il rispetto delle altrui
usanze a discapito delle nostre tradizioni civili e religiose.
Possiamo star certi che se uno degli ultimi cannibali che abitano la
nostra vecchia terra volesse trasferirsi presso di noi, come tanti
extracomunitari e continuare le sue iperproteiche abitudini
alimentari, il Papa nella sua omelia domenicale incoraggerebbe ad
accoglierlo fraternamente ed a lasciargli libero un semaforo, non
per esercitare la rispettabile e ben pagata professione di
lavavetri, bensì per soddisfare le sue improcrastinabili esigenze
alimentari.
La Repubblica 5 aprile 2006 - La Stampa 5 aprile 2006 - Il Giornale
11 aprile 2006 - Il Mattino 18 aprile 2006 - Il Roma 21 aprile 2006
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*Il sedere della cancelliera
Gentile dottore,
quasi tutti i quotidiani hanno dedicato ampio spazio in prima pagina
con foto e servizi dei glutei della cancelliera Merckel, sorpresi al
sole di Ischia e non so se la cosa faciliti i consolidati rapporti
di amicizia tra i due paesi. Un dubbio però mi assale e rischia di
turbare i miei sonni. Chi ci assicura trattarsi propriamente del
deretano più votato della Germania? Chi può mettere la mano sul
fuoco... ed assicurarci dell'identità delle importanti chiappe. Le
fonti diplomatiche pare non abbiano confermato, nè smentito! Ma
forse i giornali dedicando tanta attenzione ad un argomento del
genere a discapito dei tanti problemi che ci attanagliano vogliono
semplicemente prenderci per il cu...
Lo Strillo aprile 2006
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Nuove spese per i contribuenti
L'elezione di Luxuria ha reso urgente la creazione di ritirate per
transessuali a Montecitorio, perché il neo deputato è stato cacciato
sia dalle toelette femminili che maschili.
Bocciata la proposta di creare una commissione mista formata da un
urologo, un ginecologo ed un sessuologo per stabilire, in attesa dei
lavori, in quale dei due bagni il parlamentare possa recarsi per
ottemperare alle improcrastinabili esigenze fisiologiche.
Nelle more alcuni deputati del centro destra pare abbiano regalato
un pitale al collega con l'augurio di farne buon uso.
Circolare Spigolosa n. 34 - 5 maggio 2006
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Il dolore fisico è un nemico dell’uomo
Gentile direttore,
il dolore fisico è un penoso fardello che accompagna la vita
dell’uomo, dal primo pianto del neonato all’agonia del vecchio,
veglia come un oscuro fantasma su ogni passo della nostra
esistenza, pronto a colpire. Problema ancora insoluto per il medico,
quesito tormentoso per il filosofo, consigliere mendace di pietà per
il credente.
Il dolore acuto di una scottatura, segnalandoci un pericolo può
avere un significato, ma il dolore esacerbante ed afinalistico che
accompagna le grandi patologie, in primis i tumori e che si conclude
dopo anni con la morte del paziente, certamente non è di alcuna
utilità.
La religione cristiana considera la sofferenza un viatico per una
vita ultraterrena felice; per secoli lo ha addirittura invocato e
perseguito, ricordiamo il cilicio e l’autoflagellazione e ciò ha
influito pesantemente sulla nostra cultura, che non si è resa conto
chiaramente che il dolore fisico è il più mortale nemico dell’uomo e
che per debellarlo bisognerà prima esorcizzarlo e poi ingaggiare una
furiosa battaglia, utilizzando qualsiasi risorsa materiale ed
intellettuale.
Sarà necessaria prima una rivoluzione culturale, poi si dovrà
organizzare contro di esso ed il mito che lo accompagna una
implacabile campagna scientifica, che dovrà cessare solo dopo una
completa vittoria, quando la sofferenza sarà cancellata per sempre
e relegata come mostruosità nei libri di storia della medicina.
I nostri nipoti rimarranno attoniti quando leggeranno che ai nostri
giorni si centellinava la morfina ai malati terminali e si
considerava soffrire un passaporto per il paradiso.
Il Mattino 14 maggio 2006
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Nemesi storica
Gentile dottore,
é significativo che dopo che le grandi società del nord e gli organi
federali hanno spadroneggiato, vessando per decenni il Calcio
Napoli, facendolo precipitare e gioendo della sua discesa negli
inferi della serie C, proprio dalla Procura di Napoli sia partita
l'indagine sulle malefatte, i brogli, e le nefandezze di squadre
blasonate e dei vertici del calcio italiano.
Imbroglioni!!
Speriamo che i giudici, con prove inoppugnabili, non si fermino e
mettano un poco d'ordine in un mondo caotico, dove il raggiro e la
truffa hanno regnato per troppo tempo sovrani
La Stampa 17 maggio 2006 - Corriere del Mezzogiorno 17 maggio 2006
(col titolo “Calciopoli” Avanti, giudici)
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Codice da Vinci
Gentile dottore,
quando la gente non crede più a Dio non è che non creda più a
niente, anzi, purtroppo crede a tutto. una dimostrazione lampante è
costituita dallo straordinario successo mediatico del film sul
Codice da Vinci, una rozza miscellanea di castronerie e maldicenze
che molta gente crede vere per una insopprimibile sete di sacro,
anche se riveduto e corretto. E le file dai medici omeopatici, dalle
maghe e dai chiromanti ed il fiorire inarrestabile di nuove credenze
religiose ?
Cosa altro sono se non il segnale di un'umanità allo sbando, che ha
perso tutti i valori e naviga a vista come nave senza nocchiero.
Circolare Spigolosa n. 39 del 2 giugno 2006
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Maledetta festa
Gentile Presidente,
la scongiuriamo, non venga più a farci visita, se la sua venuta a
Napoli deve comportare per settimane un disagio intollerabile per i
napoletani, a seguito dello sciagurato blocco della circolazione
terreste ed addirittura marittima provocato dall’inutile festa della
Guardia di finanza.
Paralizzare una città per giorni è criminale, abusare della
proverbiale pazienza partenopea è rischioso.
Aboliamo queste inutili sfilate, che dilapidano denaro pubblico e
non interessano a nessuno, nemmeno ai generali ed ascoltiamo il
grido di dolore degli automobilisti intrappolati in auto rese
roventi dall’implacabile sole estivo.
Corriere del Mezzogiorno 21 giugno 2006
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*Favoletta per bambini
Gentile dottore,
prima che a scuola i nostri figli imparino la storia risorgimentale
sui libri scritti dai vincitori, vogliamo provare a raccontare loro
una favola, la sera prima di addormentarsi, quando finalmente si
sono spenti televisione, computer e videogiochi?
Un giorno un piccolo re valdostano piemontese, che non parlava
italiano ma francese, che portava il nome di una regione della
Francia, la Savoia e le cui casse statali erano poco meno che
disastrate decise di voler diventare il re di tutti gli italiani,
dalle Alpi alla Sicilia, in un momento storico che il concetto di
Italia era noto solo a Mazzini ed a pochi altri intellettuali.
Avrebbe volentieri usufruito di un’investitura divina, ma gli unti
dal Signore erano di là da venire e nelle alte sfere, almeno ad
ovest del monte Ararat, da secoli non si condividevano menzogne così
sfacciate. Si decise ad adoperare metodi sbrigativi ed efficaci e si
rivolse ad un guerrafondaio di professione, nativo di Nizza e dal
carisma indiscutibile. Lo armò, gli fornì denaro e protezione e lo
inviò a liberare… ed a civilizzare il Regno delle due Sicilie ed a
cacciare i Borbone. Fu necessaria qualche strage, alcuni massacri,
numerose violenze: Bronte, l’Aspromonte, ecc, ma ne valse la pena.
Il nuovo re non era mai stato a sud di Roma, non conosceva Amalfi o
Barletta, a stento sapeva che la Sicilia era un isola, ma ne
ignorava la lunga storia, certo aveva sentito parlare di Napoli,
che, a differenza di Torino, piccola città provinciale, era una
grande capitale europea dell’arte e della cultura. Ma tutte queste
considerazioni sono trascurabili quando, non richiesti, si devono
liberare (ma da cosa?) intere popolazioni.
Terminata l’opera di civilizzazione, si provvide a trasferire nelle
casse piemontesi il Tesoro napoletano e a distruggere in poco tempo
l’industria locale e ad impoverire le risorse naturali ed il
territorio. Si convinsero, nell’arco di alcuni decenni, alcune
decine di milioni di meridionali che in America si viveva meglio ed
era il caso di trasferirsi nel nuovo mondo. Un genocidio in piena
regola di cui invano troverete traccia nei libri di storia.
La favoletta è terminata, il bambino dorme, ma speriamo che quando
si sveglierà ricorderà qualcosa del racconto.
Il Mattino 22 giugno 2006
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I misteri dell’amore
Gentile direttore,
l’amore è il motore che muove l’universo e la vita degli uomini e la
sua straordinaria potenza è sotto gli occhi dei laici e dei
credenti.
Immortalato dal sommo poeta:”L’amor che move il sole e l’altre
stelle”, indagato da filosofi di ogni tempo e di ogni luogo ha
cambiato nome e definizione, ma è rimasto sempre lo stesso,
immutabile. Eros per gli antichi, agape per i cristiani, libido per
i contemporanei.
Si manifesta in varie forme e con diversa intensità, ma come tutte
le cose dell’universo risponde ad una finalità. Nell’uomo, come
nell’animale, l’attrazione verso l’altro sesso risponde alla
necessità di perpetuare la specie, così l’amore verso i figli
permette loro di raggiungere l’età adulta.
Vi è però una forma di amore particolare, intensissimo e spesso
fugace, che scocca all’improvviso tra un uomo ed una donna.
Un’attrazione irresistibile che molti di noi hanno conosciuto almeno
una volta nella loro vita.
I poeti provenzali lo hanno glorificato, mentre gli scienzati,
medici e psicologi, negli ultimi anni, impietosamente, lo hanno
analizzato minuziosamente, cercando di ricondurlo alla realtà
materiale di neuro ormoni, ferormoni, mediatori chimici ed altre
diavolerie del genere. Ne hanno calcolato con precisione modalità
d’insorgenza e frequenza di durata. Pare che difficilmente superi i
18 - 24 mesi, raramente sia reciproco e comporti sempre una tempesta
di sintomi imponente: aumento della pressione, dei battiti cardiaci,
palpitazioni, capogiri, anoressia.
Non hanno saputo però rispondere al perchè scatti all’improvviso,
cambiando la vita di due persone.
La finalità riproduttiva è categoricamente da escludere e nessun
innammorato sarebbe soddisfatto da una risposta basata sulla mera
casualità.
Tra i misteri della vita umana questo è senza dubbio il più
affascinante, godiamocelo quando ci tocca e finché dura senza
cercare inutili spiegazioni.
Il Golfo (come articolo) 3 luglio 2006
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Un Cavallino scomparso nel nulla
Gentile dottore,
Bernardo Cavallino è uno dei più famosi artisti del Seicento
napoletano, il secolo d’oro della pittura partenopea e le sue
quotazioni, quando raramente compare sui mercati internazionali,
sono da record.
Nel 1938 a Napoli, al Maschio Angioino, si tenne una grande mostra
su tre secoli di pittura napoletana (XVII - XVIII - XIX). Fu un
evento di grande risonanza, uno dei fiori all’occhiello del regime.
Tra i tanti quadri giunse in città, per essere esposta nella
rassegna, un’Adorazione dei pastori (cm. 97-72) di proprietà del
comune di Monopoli. Era stata identificata negli anni Venti da un
restauratore, il professor Gregori, che ne identificò l’autografia e
la segnalò ai curatori dell’esposizione.
Giunta a Napoli, non figura però nel catalogo, ma risulta
regolarmente rispedita a Monopoli, dove non è mai giunta. Le poste e
gli spedizionieri a volte fanno dei ritardi, ma ottanta anni sono
francamente troppi.
Della scomparsa nel nulla della preziosa tela non si è mai parlato e
la vicenda ritorna attuale soltanto grazie al fiuto ed alla
caparbietà di un cittadino della ridente località pugliese, che ha
rintracciato i verbali di consegna del comune e le reiterate
richieste di restituzione, tutte senza risultato e mi ha segnalato
l’inconsueta vicenda.
Fortunosamente siamo venuti in possesso della foto dell’opera, che
anche se di qualità scadente, può costituire una utile traccia per
ricostruirne il cammino.
Durante la rassegna trapelò che il quadro era piaciuto molto ad un
potente podestà, che era tornato più volte ad ammirarlo, ma non
possiamo credere che ci sia stato il suo zampino nella scomparsa del
prezioso dipinto.
La caccia al tesoro può partire, sperando nel lieto fine, serve
l’aiuto e la collaborazione di studiosi, antiquari, collezionisti,
oltre naturalmente dei carabinieri, ai quali, anche se da pochi
giorni, il furto è stato denunciato.
Il Golfo 5 luglio 2006
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*Combustibile ecologico contro il caro petrolio
Gentile dottor Gargano,
mentre il petrolio si avvia inesorabilmente a raggiungere i cento
dollari a barile, non si fa quasi niente per sostituire la benzina
con miscele vegetali. Non si tratta di una boutade, già oggi si può
produrre carburante da cereali e barbabietole, coltivazioni molto
diffuse nel nostro Paese, a prezzi di gran lunga inferiore ai
derivati del petrolio e con una emissione di anidride carbonica
inferiore dell'80%.
Questa possibilità fu intuita da Raul Gardini già vent'anni fa, ma
la sua proposta a Bruxelles di incentivi fiscali per la produzione
di bioetanolo fu respinta su pressione delle compagnie petrolifere
e, pare, degli Stati Uniti.
E' la vecchia storia: chi tocca il petrolio muore. Anni prima un
incidente... aereo aveva fermato Enrico Mattei, un suicidio...
avrebbe fermato anni dopo Raul Gardini. E l'Italia perse così la
possibilità di una supremazia in un settore strategico, che
inevitabilmente dovrà svilupparsi, vogliano o meno i ras del
petrolio.
Attualmente in Germania, Francia e Spagna sono aperti circa 9000
distributori di carburante verde, in Italia 3, senza considerare il
Brasile, dove automobili e autobus da tempo circolano da tempo con
propellenti di origine vegetale nell'ordine del 90%.
Cosa aspettiamo a muoverci anche noi a combattere questo odioso
cartello petrolifero, che con la scusa della pace scatena guerre ed
oltre alle nostre tasche cerca di impadronirsi delle nostre
coscienze.
Il Mattino 15 luglio 2006 – Il Roma 7 giugno 2006( col titolo Le
fonti alternative e il caro petrolio) – Il Brigante maggio 2006 (col
titolo Cento dollari a barile. Il petrolio sballa mercato in tilt)-
Già pubblicato in precedenza con titoli diversi da La Stampa 22
settembre 2005 e da Il Giornale 29 settembre 2005
^^-- indice --^^
*Nuove regole nel calcio
Gentile dottore,
l’euforia per la vittoria ai mondiali non deve farci dimenticare
giorni e giorni di partite penose, portate stancamente a reti
inviolate ai supplementari e poi la spietata roulette dei rigori. La
grande preparazione atletica, l’abile sfruttamento dell’assurda
regola del fuorigioco e l’esasperato difensivismo hanno fatto
prevalere un gioco sterile, continuamente interrotto da falli,
spesso eccessivi ed hanno fatto appassire la fertile pianta dei
grandi virtuosi del pallone in grado di far sognare milioni di
tifosi.
Urgono nuove regole per rivitalizzare il gioco ed aumentarne la
spettacolarità, che come tutte le discipline sportive è legato alla
realizzazione del punto.
Diminuire il numero dei giocatori ad un massimo di nove per squadra.
Dai tempi di Meazza e Piola ogni calciatore corre una distanza quasi
tripla ed è presente in ogni fase del gioco, creando inestricabili
affollamenti.
Abolire il fuorigioco ad eccezione dell’area di rigore. La tecnica
dei nuovi allenatori compatta i giocatori in aree ristrettissime e
super affollate, nelle quali un dribling è pura fantasia.
Effettuare la rimessa laterale con i piedi. Nessun difensore
spedirebbe continuamente la palla fuori campo col rischio di
rivedersela in piena area di rigore.
Ogni cinque falli una punizione pericolosa. Per diminuire
l’eccessivo ricorso al fallo prevedere una specie di rigore da
tirare, senza barriera, dal limite dell’area di rigore.
Permettere maggiori cambi, anche temporanei. Questa semplice regola
in vigore con successo nella pallacanestro, permetterebbe ritmi
veloci e maggiore spettacolarità.
Ed in occasione della finale dei campionati mondiali prevedere, in
caso di parità dopo i tempi supplementari, la ripetizione dopo due
giorni della partita ed in caso di nuovo pareggio la non
assegnazione del titolo o la vittoria ex equo.
Il Mattino 31 luglio 2006 - Lo Strillo 31 luglio 2006
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Tagli cesarei record inglorioso
Gentile direttore,
mi sia permessa una piccola giunta alle dissertazioni ospitate sul
suo giornale nei giorni scorsi da illustri colleghi sul parto
indolore. Mia figlia residente in Belgio, nonostante il padre
ginecologo, ha deciso, pochi giorni fa di partorire a Bruxelles,
dove ha praticato il parto indolore grazie all'anestesia epidurale,
una tecnica per Napoli fantascientifica, mentre all'estero routine
quotidiana. E questo non solo negli Stati Uniti, ma in tutta
l'Europa civile. Da noi, oltre ad una disorganizzazione assoluta
pesa ancora la maledizione biblica: Donna partorirai con gran
dolore.
Di conseguenza record mondiali di ricorso al cesareo, in parte
perché i medici, per impreparazione, non si sentono sicuri ad
affrontare il parto spontaneo, ma soprattutto per le pressanti
richieste delle donne che vogliono evitare il dolore.
Il Mattino 19 agosto 2006
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Chiudere Guantanamo ma anche Poggioreale
Giorni fa il ministro D' Alema, in visita negli Stati Uniti, ha
chiesto a Condoleeza Rice di chiudere lo scandaloso campo di
concentramento di Guantanamo, dove vengono torturati i prigionieri e
violati i più elementari diritti umani. Chi visitasse il carcere di
Poggioreale ne chiederebbe lo stesso la chiusura. Quotidianamente
vengono praticate gravi violenze, subdole torture, in termini di
annientamento della dignità umana. Il carcere di Poggioreale può
contenere al massimo 1276 detenuti, ma ne ha avuti in media 2199.
Quest' anno, pur rimanendo invariata la capienza, abbiamo appreso
che si è raggiunto il record di 2386 detenuti. Anche tutti gli altri
istituti di pena campani soffrono di condizioni di sovraffollamento
più o meno gravi e di condizioni di vivibilità ai limiti dell'
incubo.
La Repubblica N 22 luglio 2006
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Guantanamo e Poggioreale
Gentile dottore,
giorni fa il ministro D’Alema, in visita negli Stati Uniti, ha
severamente ripreso la signora Condoleeza Rice, invitando il
Presidente Bush a chiudere lo scandaloso campo di concentramento di
Guantanamo, dove vengono torturati i prigionieri e violati i più
elementari diritti umani. Ma perché il nostro uomo politico non si
reca in visita nel carcere di Poggioreale, dove, quotidianamente,
pervicacemente, ostinatamente vengono praticate agli ospiti… ben più
gravi violenze, ben più subdole torture, in termini di affollamento
ed annientamento della dignità umana.
Attorno al “Pianeta carcere “ da sempre vige un silenzio assordante
dei mass media e delle istituzioni. Inoltre, ed è l’aspetto più
triste della vicenda, da parte dell’opinione pubblica vi è non solo
disinteresse, ma la volontà di non interessarsi, di non sporcarsi le
mani ed il cervello al contatto di problematiche che riguardano chi
ha sbagliato ed ha contratto un debito verso la società. In tal modo
si commette il grave errore di dimenticare una drammatica verità,
costituita dal fatto che i 2/3 dei detenuti sono in attesa di
giudizio - per cui, secondo la nostra Costituzione, innocenti - e,
di questi, oltre il 60% sarà assolto alla fine del giudizio,
naturalmente dopo essere stati distrutti, moralmente e fisicamente e
con loro, i loro familiari.
La vita dei carcerati è una realtà scottante, ma alla pari
dell’eutanasia, dell’omosessualità, della follia, della droga,
dell’aborto non interessa, in maniera trasversale, l’intera classe
politica, perché non solo non procura voti, bensì fa perdere
consensi non appena si accenna all’argomento.
Il livello di civiltà e di democrazia di un Paese si valuta a
seconda del modo in cui vengono trattati i più deboli e non esiste
categoria più abbandonata e negletta della popolazione carceraria,
privata non solo del bene più prezioso per un individuo: la libertà,
ma costretta, per il disumano sovraffollamento delle nostre
infernali “caienne”, a subire una infinità di pene accessorie più
varie, dalle violenze sessuali alla sporcizia obbligatoria, stipati
come bestie in gabbia, fino a limiti allucinanti di 16 persone in
una cella di 4 metri per 4, più una squallida ed angusta latrina per
i bisogni corporali, per lavarsi e per lavare le stoviglie dopo i
pasti.
Napoli, come sempre, quando si tratta di record negativi è in testa
alla classifica con il sovraffollamento da quarto mondo dei suoi
penitenziari, al cui confronto i gironi infernali danteschi
impallidiscono miseramente.
Il carcere di Poggioreale, come riferito ufficialmente
all’inaugurazione dell’anno giudiziario, può contenere al massimo
1276 detenuti, ma ne ha avuti in media 2199. Quest’anno, pur
rimanendo invariata la capienza, abbiamo appreso che si è raggiunto
il record di 2386 detenuti. Eureka!!
In queste disperate condizioni, prive di qualsiasi dignità,
naturalmente qualsiasi tentativo di recupero è mera utopia: diritto
allo studio, al lavoro, ad un minimo spazio vitale rappresentano
chimere irraggiungibili.
E così ogni giorno si calpesta e si ignora sfacciatamente il terzo
comma dell’articolo 27 della nostra Costituzione, il quale recita
solennemente: ”… le pene non possono consistere in trattamenti
contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del
condannato”.
Inoltre, alle disperate condizioni di vita nei penitenziari si
associano ulteriori disfunzioni, quali la esasperante lentezza con
cui i giudici di sorveglianza esaminano le posizioni dei detenuti,
che avrebbero diritto ad uscire dal carcere ed usufruire del regime
di semilibertà.
Anche tutti gli altri istituti di pena campani soffrono di
condizioni di sovraffollamento più o meno gravi e di condizioni di
vivibilità ai limiti dell’incubo.
Un discorso a parte merita il famigerato “41bis”, un regime di
ulteriore grave restrizione delle libertà personali in aggiunta a
tutte le limitazioni della carcerazione. Una normativa ignota negli
altri Stati europei, che, applicata con severità, può sconfinare in
un trattamento che nel diritto internazionale ha un nome ben preciso
: tortura, anche se solo psicologica.
Alla fine di questo angoscioso tunnel non si riesce ad intravedere
che una luce fioca, la cui esiguità sembrerebbe togliere ogni
speranza ai detenuti ed ogni desiderio di proseguire la lotta ai
pochi uomini di buona volontà, che da tempo combattono, ad armi
impari, contro inique ingiustizie.
Ed i benpensanti si scandalizzano appena si accenna ad un qualsiasi
provvedimento di grazia, evidentemente il Papa che l’aveva invocata
davanti al Parlamento era un povero pazzo, illuso e visionario.
Una sola proposta che possa suonare da minaccia: cosa aspettiamo a
portare lo Stato italiano davanti alle Corti di giustizia
internazionali!?
L’Opinione 21 luglio 2006 - Il Golfo (come articolo) 26 luglio 2006
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L’olocausto di Bagnoli
Gentile direttore,
un esempio calzante di luogo incantevole ridotto in brandelli
dall’incuria degli uomini, è costituito dalla costa di Coroglio, una
spiaggia che, fino all'inizio del Novecento, era la meta spensierata
della borghesia napoletana, per divenire, intorno agli anni Trenta,
un mostro, un tetro gigante di ferro che occupava due milioni di
metri quadrati di territorio e che vomitava a mare, senza sosta,
giorno e notte per settant'anni, venti milioni all'ora di veleni:
cloro, ammoniaca, solfuri, fenoli, idrocarburi, mentre le
gigantesche ciminiere inviavano in forma gassosa un'eguale quantità
di veleni verso il cielo.
Senza tenere conto dei guasti ambientali provocati dal collega
inquinatore, la Cementir, oggi un terrificante scheletro di amianto,
spacciato dai politici per decoroso esempio di archeologia
industriale.
E dopo la lenta agonia che ha sottratto allo Stato, cioè a tutti
noi, migliaia di miliardi spesi inutilmente per difendere un
impianto antieconomico, ne è residuato un mostro ecologico che
grida vendetta al cospetto di Dio e degli uomini per lo scempio
paesaggistico e per lo scriteriato abbandono di una significativa
fetta di territorio urbano, la più bella della città, che potrebbe,
correttamente utilizzata, mutare il volto del nostro futuro ed
assicurare un duraturo benessere alle future generazioni.
Assistere quotidianamente alle diatribe tra politici ed affaristi
sulla destinazione di luoghi una volta incantevoli è uno spettacolo
triste ed avvilente da scoraggiare il più accanito degli ottimisti.
Oramai tutto il golfo è una cloaca a cielo aperto, una lurida fogna
urbana, amministrativa e morale.
Ogni bellezza è stata distrutta, ogni onestà inquinata dal vetriolo
della camorra, i napoletani possono adoperare occhi e cuore solo per
piangere.
Lo Strillo gennaio 2007 - Orizzonti Nuovi 2 febbraio 2007
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Emergenza rifiuti un grido di dolore
L’emergenza infinita della situazione dello smaltimento dei rifiuti
in Campania si aggrava giorno dopo giorno, le notizie si accavallano
come in un triste bollettino di guerra, dalla chiusura indagine su
Bassolino e company, alle ennesime dimissioni del commissario
straordinario Catenacci, raggiunto anche lui da una comunicazione
giudiziaria. E mentre i rifiuti affollano di nuovo spavaldi le
strade, la prossima gara per il mega appalto da 9000 miliardi di
vecchie lire rischia di andare di nuovo deserta.
Ma nessuno vuole parlare dell’aspetto più drammatico della vicenda,
costituito dalla sterminata massa di rifiuti tossici, che negli
ultimi decenni la criminalità organizzata, complici le istituzioni
disattente… ha disseminato per le campagne del casertano e nei
comuni della periferia napoletana. Un carico di veleni, che ha
trasformato terre ubertose, tra le più fertili d’Europa, in lande
desolate e deserte.
Toner da tutta Italia che hanno dato un acre odore d’inchiostro ad
intere cittadine, montagne di fazzolettini intrisi di pus e latte
rancido dalle stalle della ricca Padania, che invadono campagne e
villaggi, scorie nucleari che portano morte e malattie, addirittura
scheletri e teschi provenienti dal periodico riciclo dei cimiteri
del regno di Bossi.
La magistratura solo recentemente si è resa conto della gravità
della situazione, intervenendo attivamente, dopo che per anni,
carabinieri, polizia, corpo forestale e guardie municipali hanno
permesso a migliaia di Tir, provenienti da mezza Europa, di
scaricare indisturbati i loro micidiali carichi di rifiuti tossici e
nucleari, “in grado di sterminare intere popolazioni”(Newsweek), di
provocare “l’insorgere di malattie endemiche tremende”(Lancet
oncology, Settembre 2004), creando situazioni di degrado ambientale
tali da “far presagire un esodo biblico dalla Campania” (Assise di
Palazzo Marigliano, 2006).
Un grido disperato di dolore che parte da Napoli e dalla Campania e
che non può, che non deve più rimanere inascoltato.
La Repubblica N 4 ottobre 2006 - Lo Strillo 7 ottobre 2006 – Il
Mattino 18 novembre 2006
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Se ne va il consolato Svizzera addio
Gentile direttore,
sabato scorso ho partecipato in un grande albergo cittadino, alla
cerimonia di commiato del console svizzero, che mi onorava della sua
amicizia. Autorità in pompa magna, dai generali delle varie armi
agli alti gradi della magistratura, il corpo consolare al completo,
signore d’annata ingioiellate e signori elegantemente vestiti. Tutta
la Napoli che conta, o almeno che crede di contare.
Un bel discorso ai presenti e quando tutti attendevano la
presentazione del nuovo console la doccia fredda, inaspettata. Dopo
duecento anni di presenza, la Svizzera, tenuto conto dei rapporti
commerciale ridotti a zero tra la nostra città e la confederazione,
ritiene opportuno chiudere definitivamente la sede diplomatica. Ed
ancora più grave e preoccupante la notizia, circolata tra i
presenti, che anche altre importanti nazioni si apprestano ad
abbandonare Napoli al suo triste destino di degrado e decadenza.
Sembra poco cosa, viceversa è il segno ineludibile di un declino
della nostra amata città, un giorno gloriosa capitale, oggi
unicamente indiscussa capitale della spazzatura.
Corriere del Mezzogiorno 27 dicembre 2006
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Prostituzione o schiavitù?
Gentile direttore,
parlare oggi di regolamentazione della prostituzione è argomento
tabù, più della liberalizzazione della droga o della liceità
dell’eutanasia. Si scatenano con pari veemenza femministe e
bacchettoni, ipocriti e modernisti, senza voler considerare che dai
tempi della senatrice Merlin, che fece chiudere le case chiuse…,la
situazione sociologica italiana è mutata radicalmente.
Allora le prestatrici d’opera dei casini provenivano in gran parte
dalla provincia e prevalevano, in un’Italia perbenista e bigotta che
non esiste più, le sedotte ed abbandonate. Oggi siamo obbligati a
confrontarci con un turpe ritorno allo schiavismo, gestito dalle
mafie straniere, con punte di ferocia impensabili cinquanta anni fa.
Ci troviamo davanti a legioni di giovanissime, spesso
ultraminorenni, provenienti dall’Europa dell’est e dall’Africa,
condotte da noi da mercanti di carne umana senza scrupoli con
l’illusione di un lavoro onesto e costrette a prostituirsi sulla
pubblica strada, sorvegliate a vista da implacabili aguzzini. Senza
considerare, in epoca di par condicio, la prostituzione maschile ed
omosessuale. Il tutto naturalmente senza alcun controllo medico e
fiscale, mentre il nostro benemerito governo è alla caccia di
evasori fiscali dappertutto salvo che tra i magnacci ed i lenoni.
Possiamo continuare a fingere che questo immondo sfruttamento non ci
riguarda e girare la testa davanti a spettacoli indegni di un paese
civile? Possiamo permettere che questa situazione si sviluppi e si
consolidi dando forza e nutrimento alla delinquenza straniera?
Possiamo ignorare i provvedimenti che altri paesi europei, ben più
civili di noi, hanno da tempo applicato, con enorme beneficio per la
salute pubblica e per l’erario? Permettere che la situazione attuale
proliferi in maniera selvaggia, senza regole e senza limiti, non
avvantaggia i cittadini onesti, che debbono decidersi ad affrontare
il problema in nome dell’igiene materiale e morale, ma soprattutto
della civiltà.
La Circolare Spigolosa 3 gennaio 2007 - Il Giornale 5 gennaio 2007
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*Donare un sorriso non costa niente
Gentile direttore, all’ingresso di una camera dell’ospedale San Raffaele di Milano ho
letto una poesia dolce ed accattivante di anonimo, a me ha dato
molto coraggio, mi permetto di proporla a tutti
Un sorriso Un sorriso non costa nulla e rende molto arricchisce chi lo riceve
senza impoverire chi lo dona. non dura che un istante ma il suo ricordo è talora eterno nessuno è così ricco da poterne fare a meno nessuno è così povero da non poterlo dare crea felicità in casa, è sostegno negli affari è segno sensibile dell’amicizia profonda un sorriso dà riposo alla stanchezza nello scoramento rinnova il coraggio nella tristezza è consolazione d’ogni pena è naturale rimedio ma è un bene che non si può comprare
né prestare, né rubare poiché esso ha valore solo nell’istante in cui si dona e se poi incontrerete talora chi non vi dona l’atteso sorriso siate generosi e date il vostro poiché nessuno ha tanto bisogno di sorriso come chi non sa darlo ad altri
Il Mattino 2 gennaio 2007
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*Tristi pensieri sulla vecchiaia
Gentile dottore,
da tempo (anni) meditavo di scrivere sulla vecchiaia; questo ritardo
mi ha permesso di avvicinarmi maggiormente a questo imbarazzante
periodo della vita dell’uomo, della cui esistenza egli stesso è
responsabile.
Se osserviamo gli animali in libertà, senza dimenticare che anche
noi lo siamo, ci accorgiamo che non conoscono né vecchiaia, né
lunghe malattie ed invece, con il nostro incauto comportamento,
abbiamo condannato a queste maledizioni anche gli animali domestici.
Uno dei pensieri che più mi rattrista al mattino è che il tempo,
inesorabile, non scorre eguale per tutti i viventi. Il giorno appena
trascorso equivale a sette giorni per il mio fedele amico Portos;
oggi abbiamo in proporzione la stessa età, ma il suo tempo scorre
impietosamente più veloce.
La natura nella sua infinità saggezza, o Dio se vi fa più piacere,
non aveva previsto per l’uomo che si potessero superare i 30 - 40
anni: la menopausa per le donne, la calvizie per gli uomini, la
presbiopia per entrambi sono aberrazioni non programmate.
L’uomo viveva nel vigore della giovinezza e moriva nel pieno delle
proprie forze, non conosceva l’umiliazione del degrado fisico e la
morte per consunzione. Poi la civiltà, la prosperità e la medicina
hanno aggiunto anni alla vita senza aggiungere vita agli anni, dando
luogo alla vecchiaia, una maledizione tra le più difficili da
tollerare.
Il nostro corpo invecchia, ma dentro molti di noi rimangono giovani.
Ci è vietato guardare le ventenni con cupidigia, ma la bellezza
ancora ci attrae irresistibilmente; non abbiamo davanti a noi molti
anni da vivere, ma non ci rassegniamo all’idea di morire.
Spesso riusciamo a sopravvivere decentemente, ma quando siamo
costretti dall’avanzare inesorabile degli anni e dalle malattie a
subire mille limitazioni, ci sentiamo degli abusivi della vita.
Raramente siamo tanto saggi da apprezzare ciò che ci resta ed a
temere di perderlo. Ma la mazzata più forte che ci riserva la
vecchiaia è la perdita del proprio compagno. Non vi è saggezza che
possa confortarci, non siamo fatti per restare da soli. Abbiamo
rinunciato al branco, ma siamo programmati per vivere in coppia, è
scritto a chiare lettere nel nostro Dna.
Si può essere felici su di una sedia a rotelle, se vi è qualcuno che
ci spinge amorevolmente. Si riesce a vivere con qualsiasi
menomazione, se a confortarci vi è il nostro compagno, ma è una pena
feroce continuare a vivere la vecchiaia per il sopravvissuto.
Chi muore per primo non capisce la sua fortuna; dovunque egli vada
il compagno che resta va all’inferno.
Maledetta vecchiaia.
Il Mattino 30 marzo 2007 - Orizzonti Nuovi 2 febbraio 2007(come
articolo) - Senatus gennaio 2007(come articolo)
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Viagra a volontà, ma da consumare in famiglia
Gentile dottore,
mentre il bilancio dello Stato affonda sempre più, alcune ricche
regioni del Nord hanno previsto che il Viagra diventi mutuabile.
Siamo del parere che il farmaco non sia per niente pericoloso,
purché non si sbagli il dosaggio, il luogo, ma soprattutto la
partner con cui godere dei noti effetti tumescenti.
Quando il prodotto comparve sul mercato i mass media orchestrarono
una massiccia campagna denigratoria, cercando di far passare per
veri alcuni assiomi rivelatasi poi del tutto falsi:
1) La pericolosità della sostanza, soprattutto per i malati di
cuore.
2) Il nessun effetto sui soggetti normodotati.
Viceversa tutte le statistiche successive hanno dimostrato trattarsi
di un farmaco utile per i soggetti coronaropatici (non dimentichiamo
che si tratta di un potente vasodilatatore), ad eccezione dei
pazienti trattati con nitroglicerina, il famigerato cerotto, che
oramai i cardiologi più illustri, Attilio Maseri in testa, ritengono
di nessuna efficacia, mentre negli uomini normali coadiuva a rendere
l’erezione più valida e prolungata.
Una vera e propria panacea per gli uomini, giovani o attempati, ma
potrebbe avere effetti apprezzabilissimi anche per le loro abituali
compagne. Purtroppo il prodotto viene rigorosamente adoperato fuori
dalle mura domestiche, complici le centinaia di migliaia di giovani
straniere, dalle forme acconce e dai facili costumi, che da alcuni
anni hanno invaso l’Italia alla spasmodica ricerca di un uomo da
buggerare, contribuendo vistosamente allo sfascio di decine di
migliaia di matrimoni, anche, a volte, collaudati da numerosi lustri
passati assieme.
Invitiamo perciò tutte le donne, elettrici e contribuenti a
sollecitare le parlamentari del gentil sesso a proporre un disegno
di legge, che preveda, oltre alla ricetta del medico, la
prescrizione anche della moglie.
Ed infine attenzione al costo del prodotto, che in Italia è
commercializzato ad un prezzo circa dieci volte superiore a quello
praticato sul mercato internazionale.
Il Tirreno 4 marzo 2007
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Condono edilizio un iter tormentato
Il Comune di Napoli per rivalutare la zona di Ponticelli ha pensato
bene di localizzarvi l' ufficio per le pratiche di condono. Dopo
decine di anni, durante i quali è stato tutto fermo, l'
amministrazione, sindaco in testa, ha pensato bene di richiedere ai
cittadini di reiterare la domanda presentata anni fa, oltre a vari
oneri e balzelli, senza assicurare che la pratica vada a buon fine,
per cui i cittadini, decine di migliaia, sono costretti a recarsi
nel Bronx metropolitano per richiedere copia degli atti da
consegnare al commercialista. Arrivare presso gli uffici è quanto
mai avventuroso, non vi si giunge nemmeno col più moderno
navigatore, perché da poco è cambiato il nome della strada. Se si è
invece utilizzato un taxi, al ritorno è inutile chiamare le varie
cooperative non essendo mai in zona alcuna vettura. Allo sportello,
presentata la domanda, si è avvertiti che ci vogliono non meno di
quaranta giorni per avere le carte. Un funzionario spiega poi che
sulle cifre dovute al Comune saranno applicati interessi del 10%
annui, nonostante il cittadino solerte non abbia mai potuto pagare e
nemmeno sapere quando e quanto. Nel tempo trascorso l' importo è più
che raddoppiato ed alcune volte anche triplicato nel caso di condoni
d' annata. E mentre i nostri amministratori già gioiscono al
pensiero del bottino attuale e dell' Ici futura, ai cittadini non
restano che lacrime, bestemmie ed improperi.
La Repubblica N 5 marzo 2007
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E ora dedichiamo una piazza anche a Lauro
Caro direttore,
il consiglio comunale napoletano ha stabilito di dedicare una piazza
a Bettino Craxi. Sorvolando sulla circostanza che il personaggio,
oltre che un energico capo di Stato è deceduto all’estero per
sfuggire a numerose condanne passate in giudicato, bisogna
sottolineare che non si è mai dedicato alla nostra sventurata città,
che continua ostinatamente a dimenticare Achille Lauro, sindaco
plebiscitario, grande armatore e napoletano doc. Egli ha dedicato
alla sua amata città la sua lunga vita e sul suo operato una serie
di falsità storiche non permettono ancora di fare piena luce.
Corriere del Mezzogiorno 27 marzo 2007
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Certificati falsi a volontà
Gentile dottore,
si blatera da giorni su certificati fasulli di medici compiacenti o
autocertificazione da parte del lavoratore e non si considera la
possibile soluzione del problema: i primi tre giorni di assenza dal
lavoro non sono pagati. Una norma presente in molte nazioni europee
che avrebbe il vantaggio di far guarire milioni di malati
immaginari, di ripristinare la legalità e di dare una potente scossa
all'economia con la drastica riduzione dell'assenteismo.
La Repubblica 13 aprile 2007(col titolo I primi tre giorni da non
pagare) – Corriere del Mezzogiorno 14 aprile 2007 – La Stampa 18
aprile 2007 – Il Messaggero 25 aprile 2007 - Il Mattino 1 maggio
2007
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Il calvario del condono
Gentile direttore,
il comune di Napoli per rivalutare la zona di Ponticelli ha pensato
bene di localizzarvi l’ufficio per le pratiche di condono. Dopo
decine di anni, durante i quali è stato tutto fermo,
l’amministrazione, sindaco in testa, ha pensato bene di richiedere
ai cittadini di reiterare la domanda presentata anni fa, oltre a
vari oneri e balzelli, senza assicurare che la pratica vada a buon
fine, per cui i cittadini, decine di migliaia, sono costretti a
recarsi nel bronx metropolitano per richiedere copia degli atti da
consegnare al commercialista. Arrivare presso gli uffici è quanto
mai avventuroso, non vi si giunge nemmeno col più moderno
navigatore, perché da poco è cambiato il nome della strada, se si è
invece utilizzato un taxi, al ritorno è inutile chiamare le varie
cooperative non essendo mai in zona alcuna vettura.
Allo sportello, presentata la domanda, si è avvertiti che ci
vogliono non meno di quaranta giorni per avere le carte. Un
funzionario spiega poi che sulle cifre dovute al comune saranno
applicati interessi del 10% annui, nonostante il cittadino solerte
non ha mai potuto pagare e nemmeno sapere quando e quanto. Nel tempo
trascorso l’importo è più che raddoppiato ed alcune volte anche
triplicato nel caso di condoni d’annata.
E mentre i nostri amministratori già gioiscono al pensiero del
bottino attuale e dell’Ici futura ai cittadini non restano che
lacrime, bestemmie ed improperi.
Repubblica 3 maggio 2007 – Lo Strillo maggio 2007
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Abusi e privilegi
Gentile direttore,
pochi giorni fa il Parlamento ha votato all’unanimità e senza
astenuti un aumento per i parlamentari di circa 1200 euro al mese,
giungendo ad uno stipendio che, tenendo conto di rimborso spese
d’affitto, indennità di carica e denaro per il portaborse sfiora i
ventimila euro al mese.
Stranamente la mozione è stata camuffata in modo tale da non
risultare nei verbali ufficiali.
Inoltre i nostri rappresentanti godono della gratuità di: cinema,
teatro, autobus, cellulare, francobolli, aerei nazionali,
autostrade, piscine e palestre, treni, ricoveri in clinica,
assicurazione infortuni e decesso. Pare che debbano pagare solo la
frequentazione di prostitute o transessuali a secondo dei gusti.
Nel ristorante annesso al Parlamento, frequentato assiduamente anche
da ex onorevoli, nel solo 1999, hanno mangiato e bevuto a nostre
spese per un totale di un milione e mezzo di euro.
Se passiamo alla situazione previdenziale lo scandalo grida vendetta
considerando che si riservano la pensione dopo 35 mesi, mentre
obbligano i loro sudditi a sgobbare, per il momento, per 35 anni.
In aperta violazione della legge sul finanziamento ai partiti
incassano oltre 100.000 euro con il rimborso delle spese elettorali.
Inconcepibili i privilegi a vita per le alte cariche, ad esempio si
mormora che la signora Pivetti, nonostante oggi si occupi di ben
altro, ha ancora ed avrà per tutta la vita, un ufficio, una
segretaria, l’auto blu ed una scorta.
La classe politica, mentre predica risparmi, taglia spese e comprime
stipendi, è costata al contribuente un miliardo e trecento milioni
di euro, tenendo conto che la sola Camera ingoia 2215 euro al
minuto, giorno e notte per 365 giorni all’anno.
Ogni commento è superfluo e l’unica speranza resta un comitato di
salute pubblica.
Il Roma 13 giugno 2007(col titolo Aumento ai parlamentari superfluo
ogni commento)
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*La questione meridionale nella pittura napoletana seicentesca
Gentile dottore,
molti, anche tra gli storici, credono che la questione meridionale
sia sorta dopo l’unità di Italia, ma il problema è di più antica
origine come ci dimostrano, con la rara eloquenza del loro pennello,
un gruppo di agguerriti pittori del secolo d’oro.
Nel solco del naturalismo di lontana matrice caravaggesca e sempre
nell’orbita del Ribera sanguigno e dal tremendo impasto è da
collocare, tra la fine del secondo decennio e l’inizio del
successivo, la comparsa sulla scena artistica napoletana di un
pittore dal fascino singolare e dalla tematica originalissima, che
gli studiosi collocano sotto il nome convenzionale di Maestro degli
Annunci ai pastori dal soggetto di suoi numerosi dipinti conservati
in vari musei e raccolte private da Capodimonte a Birmingham, da
Brooklyn a Monaco di Baviera.
Il Maestro degli Annunci ai pastori va collocato idealmente in quel
gruppo di artisti di cui in seguito faranno parte Domenico Gargiulo,
Aniello Falcone, Francesco Fracanzano e soprattutto Francesco
Guarino, i quali saranno impegnati in un’accorata denuncia delle
misere condizioni della plebe, dei contadini e delle classi popolari
e subalterne. Una sorta di introspezione sociologica ante litteram
della questione meridionale, indagata nei volti smarriti dei
pastori, dalla faccia annerita dal sole e dal vento, dei cafoni
sperduti negli sterminati latifondi come servi della gleba; immagine
di un mondo contadino e pastorale arcaico ma innocente e la cui
speranza è legata ad un riscatto sociale e materiale, che solo dal
cielo può venire, come simbolicamente è rappresentato dall’annuncio
ai pastori, il cui sostrato e l’iconografia religiosa sono solo un
pretesto di cui il pittore si serve per lanciare il suo messaggio
laico di fratellanza ed uguaglianza.
L’attività del Maestro degli Annunci copre un arco di poco meno di
trenta anni, durante i quali vi fu un lungo periodo di vigorosa e
rigorosa adesione al dato naturale, spinto oltre i limiti raggiunti
dallo stesso Ribera, con una tavolozza densa e grumosa e con una
serie di prelievi dal vero, dal volgo più disperato: una lunga serie
di piedi sporchi, di calzari rotti e di vestiti impregnati dal puzzo
delle pecore.
I secoli sono trascorsi, ma la situazione poco è cambiata, mentre la
forbice economica nei riguardi del nord si è ulteriormente
divaricata. I giovani sono costretti a fuggire in cerca di un futuro
migliore, dando luogo ad una diaspora che tronca anche la speranza
di un’inversione di tendenza. Tutto nel silenzio degli artisti,
infatti anche la loro voce è divenuta fioca e nessuno più ascolta
il loro canto disperato.
L’Opinione 6 giugno 2007 - Il Mattino 28 giugno 2007
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Fatti e misfatti di Napoli
Folla delle grandi occasioni per la presentazione nella mitica
Saletta rossa, ritornata per una sera ai fasti del passato, del
libro di Marco De Marco sulla Napoli da Lauro a Bassolino, una
rivisitazione coraggiosa anche se tardiva della storia recente della
città, dall’eccidio dei monarchici all’infinita emergenza dei
rifiuti.
L’autore vuole scontare con questa lucida e spietata analisi un suo
peccato originale:l’aver sognato da ragazzo, comunistello imberbe,
un futuro radioso, ammirando il tramonto infuocato di Bagnoli
prodotto dalle colate di quel mostro ecologico che si chiamava
Italsider.
Nei capitoli che scorrono veloci possiamo leggere per la prima volta
cose ovvie, ma che la vergognosa propaganda sinistrorsa ha
falsificato negli anni, dalle Quattro giornate di Napoli, che furono
tre e nelle quali i comunisti non svolsero alcun ruolo, al tanto
osannato film Le mani sulla città,che ancor oggi vuol far sembrare
vera la favola metropolitana di un Lauro devastatore della città,
quando è ormai noto da anni che fu durante i tre anni della reggenza
Correra, che, complice la D.C., Napoli fu messa a ferro e cemento
impietosamente.
Il parterre dei presentatori era coordinato da Gian Antonio Stella,
giornalista del Corriere della Sera sceso dal Nord a miracol
mostrare e nel gruppo si salvava solamente lo storico Giuseppe
Galasso sobrio e provocatore, mentre i tre rappresentanti delle
istituzioni i senatori Umberto Ranieri ed Antonio Polito ed il
ministro Nicolais sono stati messi alla berlina da un pubblico
rumoroso ed appassionato, da stadio, stipato fino all’inverosimile e
nel quale non mancava nessuno degli intellettuali di sinistra e di
destra, i quali prima dell’inizio si omaggiavano, si abbracciavano e
si baciavano spudoratamente, segno inequivocabile di quel
consociativismo che è stato ed è tuttora la vera iattura della
città.
Sulla discussione aleggiava, mai nominato direttamente il fantasma
di Bassolino il vero artefice del disastro della Campania. Finita la
conferenza ed acquistato il libro, sul quale troneggia la dedica” Ad
Achille con cui spesso concordo, non sempre” mi incammino per via
Roma ridotta ad un vociante bazar medio orientale con negri che
impuniti espongono la loro mercanzia contraffatta e giovinastri
tatuati e piercingati che passeggiano spavaldamente con sguardi
assassini.
Giunto in Galleria sono attratto da un crocchio di astanti arringati
da una voce troneggiante. Mi avvicino e mi accorgo che il caloroso
tribuno non è un no global, bensì il presidente di un’associazione
che si vantava, al cospetto di migliaia di esponenti della
scalcinata borghesia napoletana, intabarrata in squallidi abiti da
cerimonia.
E cosa glorificava alla presenza delle istituzioni, Bassolino in
testa, lo stentoreo oratore? Di aver restituito alla città la statua
di Partenope sulla vetta del teatro massimo, dopo soli 40…anni di
esilio, dimenticando, o forse ignorando, che Carlo III, il
famigerato re borbone, in soli sei mesi, aveva fatto sorgere dal
niente il San Carlo, indiscusso tempio della lirica.
E mentre la folla delle auto clacsonanti impazziva per l’ingorgo
causato da questi così eleganti cittadini, si poteva chiaramente
comprendere che in questa cesura tra passato glorioso e presente
ignominioso è la chiave di lettura della dolorosa ed inarrestabile
deriva della nostra sfortunata città.
Il Golfo 14 giugno 2007
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Aboliamo le sfilate
Caro direttore, Le scrivo in merito al blocco terrestre e
addirittura marittimo provocato dalla festa della Guardia di
Finanza. Paralizzare una città per giorni è criminale, abusare della
proverbiale pazienza partenopea è rischioso. Aboliamo queste
sfilate, che dilapidano denaro pubblico e non interessano a nessuno
ed ascoltiamo il grido di dolore degli automobilisti intrappolati in
auto roventi dal sole estivo.
Corriere del Mezzogiorno 21 giugno 2006
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**La vera storia della sfogliatella
Gentile dottore,
molti credono che la sfogliatella nasca in ambiente monastico e
precisamente in un convento di Conca dei Marini sulla costiera
amalfitana, intorno al XVII – XVIII secolo, frutto dell’abilità
culinaria di una sconosciuta monachella, ma se indaghiamo la storia
dei principali monasteri napoletani, da Santa Chiara alla Croce di
Lucca, scopriremmo che tutti ritengono che il famoso dolce sia nato
nelle proprie cucine e dirimere la verità è impresa ardua.
La scoperta recentissima di alcuni documenti ci permette di
retrodatare l’invenzione del prelibato dolce ad oltre duemila anni
fa. Pare infatti che già durante le feste priapiche, che si
svolgevano nell’antica grotta di Piedigrotta, venisse distribuito ai
contendenti per rifocillarsi un dolce energetico dalla forma
triangolare, a rimembrare simbolicamente la forma dell’oggetto del
contendere: il pube femminile. Gli effetti afrodisiaci
sull’animosità dei giovani impegnati nei sacri riti deflorativi si
racconta superassero i benefici corroboranti di un poderoso
zambaglione.
Dai riti orgiastici al segreto del claustro è difficile ipotizzare
il tortuoso cammino della ricetta, divenuta segreta e vanto di
sacerdotesse della castità.
Ma intorno al Seicento qualcuna di queste monachelle, ansiosa di
liberarsi del fardello di una noiosa verginità, fa amicizia con
qualche baldo pasticciere, disposto in cambio della ricetta a
compiere il pasticcio… ed ecco che della sfogliatella possono godere
tutti.
Con un pizzico di fantasia questa dovrebbe essere la nuova storia
della sfogliatella, vanto indiscusso della gastronomia campana e da
oggi in poi quando una fanciulla offrirà il prelibato dolce ad un
astante le sue intenzioni saranno ben chiare.
Il Napoli 5 giugno 2007 – Il Roma 6 giugno 2007 – Il Golfo 6 giugno
2007 (come articolo) – L’Opinione 8 giugno 2007 (come articolo) - Il
Mattino 8 luglio 2007 – Il Mattino ripubblicherà l’articolo il 4
ottobre 2014 con lo stesso titolo
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La diaspora dei giovani
Gentile dottore,
da anni la ricerca di un lavoro per i giovani è divenuto il problema
più assillante a Napoli dove pure le emergenze non si contano.
E lentamente sta erodendo il sistema sociale e sta depauperando in
maniera irreversibile l’unica risorsa primaria costituita dalle
giovani generazioni, che tristemente hanno preso la via del Nord e
dell’estero per non più ritornare. Siamo davanti oramai ad una
diaspora rovinosa, che toglie ogni speranza di un futuro per la
città e nello stesso tempo sta cambiando anche la composizione
sociale dei quartieri. Zone come Posillipo ed il Vomero, una volta
abitate dalla borghesia, lentamente stanno divenendo la residenza
di spavaldi commercianti con attività ai margini della legge, gli
unici che oggi possono disporre di cifre cospicue di denaro per
acquisti di immobili che hanno raggiunto quotazioni record.
Nello stesso tempo nei quartieri del centro storico gli abitanti,
stanchi di bassi e di case malsane, si trasferiscono verso
l’immensità di un hinterland senza strutture e senza servizi, senza
collegamenti, ma soprattutto senza anima. Al loro posto legioni di
extra comunitari, felici di passare dalle capanne ad un tetto
qualsiasi e disposti ai lavori più umili, pur di riscattare un
domani migliore.
Ed ogni giorno la situazione è più drammatica del giorno precedente,
sempre più giù verso un fondo che diviene sempre più profondo e
sempre più somigliante ad uno spaventoso gorgo, che inghiottirà
tutto e tutti e dopo il quale il mondo non sarà certo migliore.
Il Mattino 27 luglio 2007
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Lo scorrere inesorabile del tempo
Gentile dottore,
a chi come il sottoscritto ha superato da poco e di poco gli
anta…capita sempre più spesso di incontrare per strada o in un
salotto una vecchia compagna di liceo o anche un’antica fiamma e di
rimanere senza fiato; è lei, ma nello stesso tempo non è lei: il
viso scolpito in un’immobilità marmorea senza espressione e senza
vita, gli occhi miseramente protrudenti su orbite lisce come carta
velina e, colpo di grazia, labbra turgide e prominenti laddove, a
nostra memoria, albergava una boccuccia deliziosa.
Sono gli effetti devastanti di una chirurgia plastica che sempre più
frequentemente trasforma donne, anche intelligenti e sensibili, in
una grottesca caricatura di felliniana memoria.
L’icona di questi incubi mefistofelici è da anni la madre di tutte
le dive: Sophia Loren, che, ultrasettantenne, vorrebbe mostrare la
metà degli anni, facendosi baluardo di un seno poderoso, il quale,
al di la ogni smentita, è ragionevolmente fatto e rifatto a
ripetizione.
Ed il penoso olocausto dell’apparenza e della vacua vanità si compie
e si celebra giorno dopo giorno per milioni di donne che lo
perpetuano scioccamente, senza accorgersi che non fanno altro che
sottolineare la loro vera età e sfidare impunemente l’inesorabile
scorrere del tempo.
Il Napoli 19 giugno 2007 – Il Mattino 14 luglio 2007
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La mortale malattia della politica
Gentile direttore,
da anni, e non soltanto nella cenerentola Campania, capitale
indiscussa di ogni nefandezza, è invalso sempre più un malcostume
politico che, cercando di evitare le ire della magistratura, vuole
perpetuare fatti e misfatti della 1^ Repubblica.
Tutti i sindaci, i presidenti di provincia, i governatori di
regione, di destra e di sinistra, vinte le elezioni, debbono pagare
il conto ai sostenitori: imprenditori, squadre di pseudo volontari,
amici ed amici degli amici. E la cosa non è semplice, perché
rivolgersi ai dirigenti nominati dalle giunte precedenti per
un’assunzione o una commessa è inutile e controproducente. Sono
tutti onestissimi, inflessibili ed incorruttibili, come dovrebbero
essere, come vorrebbero che fossero tutti i cittadini, non come si
mostrano ai questuanti di turno.
Ma a tutto ciò vi è una soluzione, basta dare luogo ad una miriade
di consulenze o addirittura creare una serie di strutture e società
esterne ed il gioco è fatto. A capo di queste strutture si pone un
nutrito comitato di esperti, tutti fidati e fedeli, mentre per le
società il politico si limita… a nominare il presidente, il
consiglio di amministrazione, i revisori, i sindaci. Infine se vi è
necessità di personale per queste attività esterne quale migliore
occasione per saldare il debito di riconoscenza verso quei baldi
giovanotti, che si sono fatti in quattro per affiggere manifesti e
nella propaganda porta a porta. Naturalmente i vecchi dirigenti con
i loro impiegati non avendo più alcun compito da svolgere si
limitano a prendere lo stipendio e l’unico problema è la noia, che
però si riesce a mitigare con la lettura dei giornali, navigando su
internet alla ricerca di siti pornografici e, per i più fortunati,
intrecciando qualche momentanea relazione con qualche procace
sottoposta.
Per giornalisti, intellettuali e docenti universitari si pratica poi
un vero e proprio acquisto all’ammasso, dando incarico con laute
parcelle a questi cervelli servili di fare astruse ricerche delle
quali non si terrà alcun conto; in tal guisa non si producono né
ricchezza, né servizi e l’unico reale risultato è la produzione di
consenso.
I politologi saccenti e collusi ed i boriosi scriba dei potenti
parlano solennemente di condizioni essenziali per il buon
funzionamento della macchina amministrativa, per pochi ingenui,
viceversa, ci si trova di fronte ad una macroscopica corruzione
generalizzata, che grida vendetta davanti a Dio, visto che la
giustizia terrena se ne disinteressa completamente.
Ma se non ci penserà la magistratura, da sempre distratta
sull’argomento, che almeno ci pensino gli elettori con la poderosa
scure del voto.
Il Tirreno 20 giugno 2007
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Traffico impazzito per ammirare una statua
L’altra sera dopo aver partecipato ad una conferenza mi incammino
per via Roma ridotta ad un vociante bazar medio orientale con negri
che impuniti espongono la loro mercanzia contraffatta e giovinastri
tatuati e piercingati che passeggiano spavaldamente con sguardi
assassini.
Giunto in Galleria sono attratto da un crocchio di astanti arringati
da una voce troneggiante. Mi avvicino e mi accorgo che il caloroso
tribuno non è un no global, bensì il presidente di un’associazione
che si vantava, al cospetto di migliaia di esponenti della
scalcinata borghesia napoletana, intabarrata in squallidi abiti da
cerimonia.
E cosa glorificava alla presenza delle istituzioni, Bassolino in
testa, lo stentoreo oratore? Di aver restituito alla città la statua
di Partenope sulla vetta del teatro massimo, dopo soli 40…anni di
esilio, dimenticando, o forse ignorando, che Carlo III, il
famigerato re borbone, in soli sei mesi, aveva fatto sorgere dal
niente il San Carlo, indiscusso tempio della lirica.
E mentre la folla delle auto clacsonanti impazziva per l’ingorgo
causato da questi così eleganti cittadini, si poteva chiaramente
comprendere che in questa cesura tra passato glorioso e presente
ignominioso è la chiave di lettura della dolorosa ed inarrestabile
deriva della nostra sfortunata città.
La Repubblica 17 giugno 2007 - Il Roma 20 giugno 2007
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Spazzatura addio
Gentile dottore,
le dimissioni di Bertolaso, anche se destinate a rientrare, aprono
un nuovo grave e doloroso capitolo nell'infinita emergenza dei
rifiuti in Campania. Per far decantare il problema vorrei porre
all'attenzione generale una soluzione, che potrà apparire
provocatoria, ma che mi sembra l'unica percorribile in tempi brevi:
inviamo a Gheddafi la nostra spazzatura.
Lo sterminato deserto libico può ospitarla tranquillamente ed
assorbirla, il trasporto via mare ha costi enormemente inferiori a
quello via treno adoperato mesi fa verso la Germania.
Il nostro vicino sarà ben felice di incassare un po' di denaro ed in
cambio, per ringraziare, sicuramente ci invierà una manciata di
immigrati clandestini per rimpolpare le fila della nostra malavita e
per incrementare la disoccupazione.
Il Giornale di Napoli 2 luglio 2007
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**Piazza 3 ottobre 1839
Gentile dottore,
l’unica possibilità di riscatto e di ripresa per Napoli ed i
napoletani è legato alla volontà di riappropriarsi del suo passato
glorioso e della nostra identità perduta
Interminabili furono i record del Regno delle due Sicilie al
cospetto di quelli negativi di oggi, da capitale della monnezza a
territorio incontrastato della criminalità organizzata.
Un segno tangibile di cambiamento sarebbe quello di cambiare il nome
di alcune strade, per cancellare le tracce della colonizzazione
piemontese avvenuta con la truffa dell’Unità d’Italia: piazza del
Plebiscito dovrebbe tornare al toponimo di Largo di Palazzo, via dei
Mille andrebbe mutata in corso Gianbattista Basile, piazza
Garibaldi, tolta al famigerato eroe dei due mondi, origine di tutti
i nostri guai, andrebbe intitolata al 3 ottobre 1839, giorno
dell’inaugurazione della prima linea ferroviaria italiana, la Napoli
Portici, mentre il corso Vittorio Emanuele, la prima tangenziale del
mondo, aspetta ancora giustizia e l’intitolazione al nome del suo
ideatore, Ferdinando II, che la realizzò in poco più di un anno.
Attendere che a ciò provvedano le istituzioni è pura utopia per cui
ho preso solennemente l’impegno, il giorno 4 luglio, bicentenario
della nascita di Garibaldi, di recarmi, da solo o con qualche altro
volenteroso poco importa, nella piazza della stazione (angolo corso
Umberto ore 11) e di cambiare materialmente le targhe che indicano
il luogo come piazza Garibaldi con la nuova dizione di piazza 3
ottobre 1839, una data fatidica della nostra storia che i nostri
colonizzatori hanno cercato di farci dimenticare.
Tutto il mondo deve sapere che i Napoletani sono gente antica, che
non vuole recidere le radici col passato e che ha rifiutato
vigorosamente le suadenti sirene della modernità. Rappresentiamo una
delle ultime tribù della terra in lotta contro la globalizzazione.
Abbiamo alle spalle una storia gloriosa di cui siamo fieri,
passeggiamo sulle strade selciate dove posò il piede Pitagora, ci
affacciamo ai dirupi di Capri appoggiandoci allo stesso masso che
protesse Tiberio dall’abisso, cantiamo ancora antiche melodie
contaminate dalla melopea fenicia ed araba, ma soprattutto sappiamo
ancora distinguere tra il clamore clacsonante delle auto sfreccianti
per via Caracciolo ed il frangersi del mare sulla scogliera
sottostante.
Avere salde tradizioni e ripetere antichi riti con ingenua fedeltà è
il segreto e la forza dei Napoletani, gelosi del loro passato ed
arbitri del loro futuro, costretti a vivere, purtroppo, in un
interminabile e soffocante presente.
Il Golfo 16 agosto 2007
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Pontile di Bagnoli, splendido ma imbrattato
Egregio dottore,
tra le poche realizzazioni della nostra scalcinata amministrazione
comunale vi è senza dubbio l’aver restituito ai cittadini, dopo un
opportuno restyling, la passeggiata a mare del pontile nord di
Bagnoli. Poco meno di un chilometro di penetrazione verso il centro
del golfo, accarezzati dal vento e dimenticando il mostro ecologico
che rimane alle nostre spalle e tutti i guai della nostra sfortunata
città.
Il restauro è stato poco meno che perfetto: sediali, fontanine,
parapetti ultrasicuri, ascensori, parcheggio per le auto dei
disabili, latrine accoglienti e costantemente pulite.
I numerosi cestini vuotati ogni giorno, le eventuali lampadine
fulminate sostituite in tempi ragionevoli, le scritte vandaliche
sulle panchine ridotte all’osso. Manca un parcheggio e lo spazio
della colmata lo permetterebbe con poco impegno, ma fuori sulla
strada vi è spazio sufficiente e stranamente mancano anche i
parcheggiatori abusivi ad imporre prepotenti il pizzo.
Sembra quasi di non stare a Napoli, ma purtroppo una pecca
gravissima si è venuta a creare, complici involontari le miriadi di
gabbiani che volteggiano incuriositi sul pontile e la loro naturale
abitudine di defecare abbondantemente a tutte le ore.
Si è venuto così a costituire un interminabile tappeto di feci,
sgradevole a vedersi, puteolente oltre misura e pericolosissimo per
la salute pubblica, essendo le deiezioni dei volatili spesso pregne
di virus, dalla psitaccosi ad una non improbabile aviaria. E tra
questi escrementi giocano innocenti bambini di ogni età, ignari del
pericolo.
Tra l’altro il guano, essendo acido, in breve tempo corrode il
pavimento, producendo macchie indelebili.
Tutto questo non sarebbe avvenuto se fosse stato previsto un
servizio di pulizia particolare, ma si è ancora in tempo
rivolgendosi ad una ditta specializzata.
La burocrazia ha i suoi tempi, spesso estenuanti, ma siamo certi che
tutti i napoletani saranno grati all’amministrazione comunale se
vorrà provvedere ad eliminare tale sconcio ed io per primo prendo
l’impegno solenne, a nome di tutti i cittadini, di essere pronto ad
un bacio di gratitudine alla nostra amata sindaca.
Il Giornale di Napoli 20 agosto 2007
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Non bevete acqua minerale!
Gentile direttore,
se da domani, tutti assieme smettessimo di bere acqua minerale,
otterremo contemporaneamente tre grossi risultati:
Eviteremmo di fare una cosa inutile, tenendo conto che le acque
italiane sono le migliori del mondo
Risparmieremmo un sacco di soldi, da destinare a miglior uso
Salvaguarderemmo l’ambiente dall’invasione di decine di milioni di
bottiglie di plastica, considerando che per metabolizzare la
plastica la natura impiega circa mille anni.
Con buona pace delle ditte imbottigliatrici, che in questi anni si
sono arricchite alle nostre spalle.
Il Roma 27 luglio 2007
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L’infinita emergenza dei rifiuti
La situazione dei rifiuti in Campania peggiora minuto dopo minuto e
non riesce a raggiungere il fondo, che diviene sempre più profondo
come un gorgo che rischia di trascinarci tutti nel baratro.
Nonostante le ferme parole del Presidente Napolitano, l’impegno
personale di Prodi, la buona volontà di Bertolaso, le accorate
proteste di Gerardo Marotta e dell’Assise di palazzo Marigliano, il
coro unanime dei giornali, la rabbia e la disperazione dei
cittadini, le montagne di spazzatura hanno continuato a crescere
imperterrite, raggiungendo e superando i primi piani dei palazzi,
mentre l’olezzo, insopportabile, penetra profondamente le narici e
torme di topi banchettano allegramente, stupite di un così lauto
pasto.
Se avessero un minimo di amor proprio sindaca e governatore, prima
di dimettersi dalle loro cariche, dovrebbero apparire a reti
unificate su tutte le televisioni, dichiarare pubblicamente le loro
colpe e chiedere disperatamente aiuto a chiunque possa fornircelo.
Se avessero il coraggio e l’onestà di compiere questo pubblico atto
di contrizione i cittadini non potrebbero certo perdonarli, neanche
i cristiani più immarcescibili, ma almeno, se dovessero capitargli a
tiro, nello sputare doserebbero il quantitativo sufficiente a
mortificarli senza annegarli.
Inutile illudersi o agitarsi alla ricerca dell’impossibile. In
attesa di soluzioni definitive del problema, attualmente una sola
via, anche se transitoria, è percorribile: trasportare altrove la
nostra monnezza.
Per organizzare ed attuare un piano adeguato di raccolta
differenziata, per popolazioni poco disciplinate come le nostre, ci
vuole un tempo ragionevolmente di anni, partendo dalla scuola, nella
quale in questi anni di tutto si è discusso salvo che di spazzatura.
Le discariche esplodono letteralmente, emanano miasmi putrescenti
fino a chilometri di distanza, sono da tempo esaurite e non se ne
possono creare altre con un colpo di bacchetta magica. Abbiamo
letteralmente esaurito tutti i buchi disponibili.
Il termovalorizzatore, o per meglio dire l’inceneritore, pare che
debba abortire prima di nascere, non solo per le giuste proteste dei
gruppi ecologisti, preoccupati degli effetti nocivi sulla salute
nostra e dei nostri discendenti, ma perché da anni in tutto il mondo
è una soluzione abbandonata. In Germania gli impianti chiudono uno
dopo l’altro e lo stesso negli Stati Uniti; in Giappone non sono mai
esistiti. Tra l’altro quello che dovrebbe, ma speriamo, che doveva
sorgere ad Acerra, era progettato con tecnologie talmente obsolete e
superate, frutto di scelte ottuse e criminali, che in pochi giorni
la magistratura, se pure entrasse in funzione, non potrebbe fare
altro che chiuderlo.
Il luogo ideale dove convogliare le migliaia di tonnellate di
spazzatura, che oramai ci sommergono, è il deserto libico, in grado
in pochi decenni di metabolizzare qualsiasi cosa, salvo la plastica
e di assorbire anche le centinaia di migliaia di ecoballe che
affollano la Campania e che nessun inceneritore prezzolato sarà mai
disponibile a trattare, perché di eco non hanno proprio nulla sono
solo balle.
Il trasporto via mare è poco costoso ed in meno di un giorno navi
gigantesche potrebbero trasferire immani quantità di spazzatura
sull’altra sponda del Mediterraneo. Gheddafi in cambio di un po’ di
vile denaro occidentale sarebbe certamente disponibile ed anzi, per
contraccambiare la cortesia, continuerà a fornirci del tutto
gratuitamente il nostro quotidiano quantitativo di immigrati
clandestini per incrementare disoccupazione e delinquenza.
Una rivoluzione culturale
Purtroppo da noi i cittadini sono ancora ritenuti sudditi da tenere
all’oscuro delle beghe di potere; meno sanno, meglio è. Questo è il
motivo per cui fino a pochi mesi fa ignoravamo completamente di
residui nucleari, fusti tossici provenienti da mezza Europa,
incendio criminale delle discariche, addirittura scheletri umani e
teschi in libera uscita nelle campagne. Una realtà al di fuori di
ogni immaginazione che viceversa è la triste realtà di gran parte
della Campania e della quale solo pochi libri coraggiosi hanno
parlato.
Ma anche quando, speriamo al più presto, crederemo di aver trovato
una soddisfacente soluzione al problema saremo semplicemente
all’inizio di una improcrastinabile rivoluzione culturale.
Sia gli imprenditori che i lavoratori debbono infatti rendersi conto
che viviamo senza accorgercene agli albori di una terza rivoluzione
industriale e soltanto un uso più razionale delle materie prime e
dell’energia consentirà la sopravvivenza degli affari e del lavoro.
Gli standard di qualità delle merci, in una società sostenibile,
debbono essere basati sui principi di maggiore durata, più lunga
vita utile ed ampia possibilità di riutilizzo e di riciclo.
Purtroppo l’accettazione di norme di qualità cozza contro il
perverso andamento della civiltà dei consumi, vincolata al credo
della produzione di merci sempre meno durature, al successo di mode
effimere di oggetti usa e getta e di un mercato che spinge verso una
continua produzione senza alcuna preoccupazione per il futuro.
Bisogna agire in fretta e con la massima decisione, un ritardo di
cinque anni ci costringerebbe a fare i conti con una massa di
rifiuti (cemento, ferro, plastica, imballaggi, carta, scarti
alimentari e conciari, ecc.) aumentata di un altro mezzo miliardo di
tonnellate, una valanga in grado di travolgerci e se i governi del
mondo continueranno ad ignorare la gravità del problema, sarà
necessario far nascere e crescere un movimento di liberazione dai
rifiuti. Un modello di trattamento dei rifiuti esemplare, che possa
essere adottato a Napoli, come al Cairo o a Tokyo, a Milano come a
Città del Messico, un cambiamento rivoluzionario necessario ed
urgentissimo davanti ad un mondo dominato da un capitalismo spietato
ed un consumismo suicida, che in pochi anni si avvia a divorare
tutte le risorse naturali e a divenire una pattumiera planetaria.
Napoli è l’indiscussa capitale mondiale della monnezza. Le foto dei
cumuli di rifiuti che osano sfidare il cielo, i roghi disperati che
vomitano al vento micidiale diossina, i cassonetti divelti hanno
fatto più volte il giro del mondo ed hanno avuto il disonore della
prima pagina sui giornali di tutto il mondo.
Americani e cinesi, gli europei già ci conoscevano, sanno che la
nostra città è la più fetente della Terra.
Sarebbe bello che questa necessaria rivoluzione nascesse all’ombra
del Vesuvio ad opera di un popolo, paziente fino all’ignavia, ma che
quando si incazza non si sa mai dove può arrivare.
Il Brigante
luglio 2007 (editoriale) L’Opinione 20 luglio 2007
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Il calvario senza fine del condono
Gentile dottore,
l’ufficio trasparenza del comune di Napoli somiglia sinistramente ad
un porto delle nebbie, neologismo creato, credo, da Pannella per
indicare efficacemente la Procura generale di Roma negli anni
Settanta ed Ottanta, gli anni delle stragi e dei misteri d’Italia,
quando tutte le inchieste venivano avocate dalla capitale e poscia
opportunamente insabbiate.
Un cittadino (il sottoscritto) presenta domanda per poter consultare
la sua pratica di condono (n. 11239) il giorno 20 aprile 2007 e
candidamente gli viene riferito di ripassare non prima di quaranta
giorni. Già un tale lasso di tempo è scandaloso e contrario alla
legislazione vigente, ma il cittadino, paziente e timorato
dell’autorità, pensa addirittura, per prudenza di far trascorrere
ancora dei giorni e si presenta all’ufficio dopo che ne sono
trascorsi quasi cento, certo di poter ritirare l’incartamento da
consegnare al consulente e pronto al salasso finanziario richiesto
dal famelico comune.
Meraviglia, ma non eccessiva, trovandoci a Napoli, cioè nel quarto
mondo, l’impiegato con un sorriso consiglia di ripassare fra qualche
mese.
Ogni commento è superfluo, mentre perentorio è un invito alla
magistratura ad indagare se in tale epicedio dell’amministrazione e
delle istituzioni non possano identificarsi ipotesi di reato.
Corriere del Mezzogiorno 25 luglio 2007 – La Repubblica 25 luglio
2007 (col titolo Comune di Napoli porto delle nebbie) – Il Mattino
10 agosto 2007
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**Eureka l’onore è salvo
Gentile dottore,
otto agosto ore dieci, 40 gradi all’ombra, mi appresto ad entrare
nel Tribunale di Napoli al centro direzionale per ritirare un
documento, ma vengo bloccato dal drappello di polizia che giudica
indecente il mio abbigliamento.
Premetto che l’indumento incriminato è un elegante calzoncino,
griffatissimo ed ultrafirmato, abbondantemente oltre il ginocchio,
con il quale abitualmente entro in chiesa, stipulo presso notai
contratti da milioni di euro e, lo confesso, ricevo sguardi
interessati da focose fanciulle e da attempate signore.
Chiedo di parlare col comandante, ma mi viene riferito che trattasi
di un’ordinanza firmata dal presidente del Tribunale in persona.
Non mi scoraggio, nonostante sia venuto da fuori Napoli e riesco, in
cambio di un bigliettone, a convincere un corpulento garzone a
chiudersi nella toilette ed a prestarmi il suo pantalone, per quanto
imbrattato e rattoppato.
Mi ripresento all’ingresso ed osservo una straripante popolana
entrare senza problemi in calzoncini, segno evidente che le sue
gambe sono giudicabili in maniera diversa dalle mie. Grazie al
maleodorante pantalone imprestatomi riesco finalmente ad entrare ed
a ritirare l’agognato documento.
L’episodio sembra irrilevante, ma a mio parere è di una gravità
inaudita. Vietare l’accesso ad un ufficio pubblico e sindacare
l’abbigliamento dei cittadini è prerogativa dei paesi islamici più
arretrati, dove i talebani si arrogano il potere di obbligare gli
uomini a farsi crescere la barba e le donne ad indossare il burka.
Ma forse i magistrati, stanchi di giudicare solo i comportamenti dei
cittadini, vogliono anche pontificare sui loro abbigliamenti,
confondendo il decoro di un’istituzione, che si misura in efficienza
nel contrastare una delinquenza oramai padrona del territorio, con i
centimetri dei calzoncini maschili.
Corriere della sera 10 agosto 2007 – La Repubblica 10 agosto 2007 –
Il Roma 10 agosto 2007 – Lo Strillo settembre 2007
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L’insensato rito
del ferragosto
Gentile dottore,
ad un osservatore alieno, ad un incuriosito marziano che osservasse
dall’alto le fiumane di auto che affollano le strade italiane nei
giorni del ferragosto, i terrestri apparirebbero come esseri
balordi, brulicanti, imprevedibili, ma certamente privi di ogni
attività cerebrale.
Memori delle periodiche transumanze del loro atavico passato di
pastori erranti, gli Italiani hanno, nel dopoguerra, creato il
granitico mito delle vacanze, che ha sostituito tutte le credenze
precedenti. L’unica religione riconosciuta è divenuta il culto
dell’automobile, la località di villeggiatura la Terra promessa,
l’uscita cadenzata di nuovi modelli di autovetture sul mercato
l’apparizione dello Spirito santo, il denaro il mostruoso moloch al
quale prostrarsi inginocchiati.
E tutti assieme, pigiati fino all’inverosimile in scatolette di
latta, in partenza per il viaggio rituale, verso la meta, spesso la
stessa, per cui giganteschi intasamenti a croce uncinata, esodi
biblici che svuotano le città e fanno scoppiare le località di
villeggiatura rendendole invivibili, al pari delle strade, delle
spiagge e delle rare zone boschive divorate, giorno dopo giorno, da
incendi criminali.
Ed al ritorno stressati, le stesse file decichilometriche, gli
stessi intasamenti suicidi, lo stesso inutile martirio e nello
stesso tempo la festa sacra ed il disperato pellegrinaggio alla
ricerca della vanità.
Il Tempo 10 agosto 2007 – Il Golfo (come articolo) 18 agosto 2007
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Bentornata Piedigrotta
Gentile dottore,
finalmente, dopo decenni di oblio, torna la Piedigrotta e
soprattutto tornano i carri, resi mitici dalle feste organizzate
durante il regno di Achille Lauro dal mitico assessore Limoncelli,
che seppe far ritornare all'antico splendore la celebre ricorrenza,
organizzando memorabili manifestazioni che duravano fino a quindici
giorni.
Durante il passaggio dei mastodontici carri allegorici era permesso
un po' di tutto: urlare, sbracciarsi, calare coppoloni in testa a
tipi soggetti, esercitare vigorosamente la mano morta su sederi di
tutte le età, pur senza trascurare eventuali seni generosamente
esposti, dimenticando così le angustie quotidiane. L'antico spirito
greco della manifestazione, nata tra venerazioni priapiche e
sfrenate danze liberatorie, sembrava rivivere nel popolo festoso,
esaltando lo spirito trasgressivo e godereccio dei napoletani.
Sembrano tempi distanti anni luce, invece è cronaca degli anni
Cinquanta, i giovani non conoscono la Piedigrotta, ma il suo spirito
è immortale e può divampare di nuovo per la gioia dei napoletani e
per il nostro boccheggiante turismo. Ai tempi del vituperato
Comandante il calendario delle manifestazioni, ad uso dei
forestieri, ma progettato per i gusti degli indigeni, andava da
aprile ad ottobre, costringendo pure i rinomati miracoli di San
Gennaro a rientrare nei festeggiamenti e riesumando inoltre antiche
tradizioni da quella del Monacone a quella della Madonna del
Carmine.
Il Mattino 28 settembre 2007
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L’elemosina in occidente nel XXI secolo
Gentile dottore,
la nostra civiltà, e non solo la nostra, riconoscono all’elemosina
un significato fondamentale, per i cristiani esercitare la carità
verso il prossimo è un bisogno dello spirito ed un mezzo per
raggiungere la salvezza e la vita eterna, per i laici un tentativo
di redistribuzione della ricchezza ed una parziale risposta della
società al problema della povertà.
Tutte le religioni impongono ai propri seguaci l’obbligo di venire
incontro ai bisogni dei meno fortunati, la Carità dei cristiani poco
differisce dallo Zakat dei mussulmani, uno dei pilastri della fede
islamica.
Il comunismo si è illuso di poter risolvere le disuguaglianze
economiche tra gli uomini, ma il suo fallimento è sotto gli occhi di
tutti e fino a quando esisterà la povertà è dovere di ogni uomo di
buona volontà cercare di porvi rimedio.
Naturalmente vi è una differenza abissale tra chiedere l’elemosina o
cercare di estorcere denaro con protervia ed arroganza, come è il
caso dei parcheggiatori abusivi o dei lavavetri. E questa
distinzione, chiara ed inequivocabile, va sottolineata con forza,
per togliere fiato ed argomentazione ai soliti bastion contrari,
sorti come funghi e dediti a proclamare sempre e soltanto il
contrario di tutto.
Il velleitario tentativo di sindaci coraggiosi di stroncare un
racket vergognoso va plaudito e compito dei cittadini è quello di
collaborare, facendo confluire il proprio aiuto verso istituti
assistenziali specializzati ed affidabili.
Prima che l’Italia divenga la terra promessa dei diseredati di tutto
il mondo ed una marea incontenibile ci travolga, sommergendoci.
Il Giornale 9 settembre 2007 – Il Roma 27 settembre 2007 – Il
Mattino 14 ottobre 2007 – Senatus settembre 2007 – Orizzonti Nuovi
(come articolo)
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Anzianissimi in balia di anziani
Gentile dottore,
la vita umana si è allungata e si allunga sempre più grazie alle
scoperte della medicina, sembrerebbe un fatto positivo, ma purtroppo
la scienza ha aggiunto anni alla vita e non vita agli anni e
l’accoppiata di malattie croniche e vecchiaia ingravescente
costituisce oramai una miscela esplosiva in grado di far saltare gli
equilibri sociali e le economie delle nazioni, obbligate a
confrontarsi con falangi di soggetti non più produttivi, che per
decenni pesano sulla famiglia e sulla comunità.
E dove non esiste un programma di assistenza domiciliare efficiente
come in Italia capita che il peso graviti solo sulla famiglia e
sempre più spesso vi siano settantenni costretti a doversi
prendere cura di novantenni.
Il compito da affrontare stronca le fibre più robuste, ventiquattro
ore su ventiquattro, saltando i ritmi sonno e veglia e spesso
dovendo combattere anche contro le difficoltà economiche e la
solitudine. Momenti interminabili di smarrimento e di rifiuto
alternati a sensi di colpa ed alla tragedia di dover assistere
impotenti alla sofferenza di una persona cara, con l’incubo di
intravedere in anticipo il proprio incombente futuro.
Un esercito di badanti straniere sopporta una parte significativa
del peso di questa penosa situazione e senza il loro aiuto saremmo
letteralmente perduti.
Il disfacimento della famiglia patriarcale e l’egoismo, che la
sfrenata società dei consumi collabora ad incrementare,
costituiscono due grossi ostacoli per alleviare la situazione, che
potrà avere dei benefici solo cercando di fare fronte a quella che è
la vera emergenza del nostro Paese: l’assistenza domiciliare per i
malati cronici e per gli anziani, una calamità che scontano in
silenzio ed in assoluta solitudine milioni di famiglie.
Orizzonti Nuovi 4 ottobre 2007 (come articolo)
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**Il miglior amico dell’uomo
Gentile dottor Gargano,
non avrei mai potuto immaginare che l’arrivo in casa mia di una
cucciola di rottweiler, regalo di una ragazza a mio figlio, potesse
cambiare negli anni così profondamente non solo la mia vita, ma
soprattutto il modo di relazionarmi col mondo ed il mio metro di
giudizio del prossimo.
Era il 1994 ed avevo sempre avuto un sacro terrore dei cani da
quando, giovanissimo, avevo trascorso un’intera notte sul tetto di
un’auto per sfuggire alla furia di un randagio di grosse dimensioni
e anche altri incontri ravvicinati non erano stati particolarmente
felici, per cui non accolsi con entusiasmo l’ingresso in famiglia di
un esemplare, per quanto di pochi mesi, di una razza notoriamente
feroce.
Lady fu relegata nel sottoscala ed abbaiava disperata durante le
poche visite che gli dedicavamo; decidemmo di trasferirla in
giardino, ma i rigori dell’inverno contribuirono a farla ammalare e
fu necessario il ricovero: cimurro fu la diagnosi e la prognosi
purtroppo riservata.
Partimmo per Roccaraso, ma ogni sera telefonavo alla clinica
veterinaria per avere notizie, che peggioravano giorno dopo giorno,
fino a quando mi dissero:”Non vi è più speranza, interrompiamo la
terapia? ”
“Assolutamente no, se esiste un dio dei cani la aiuterà”.
Ed il miracolo… avvenne, durante la notte Lady ebbe un miglioramento
decisivo ed il giorno successivo potemmo andare a riprenderla
completamente guarita.
La nostra famiglia da quel giorno divenne più numerosa e con Lady
stabilimmo un’intesa perfetta: mangiava a tavola con noi, un boccone
a me ed uno a lei e dormiva la notte al mio fianco su di un
variopinto tappetino persiano.
Capiva ogni mio pensiero e quando ero di cattivo umore si
accoccolava vicino e rimaneva immobile.
Divenuta signorina la feci accoppiare con un cane campione: Shark e
nacquero nove cucciolotti, per il poco latte uno soltanto
sopravvisse, Athos, che divenne il suo compagno inseparabile.
Durante i periodi di calore, per impedire nuove gravidanze, Lady
passava la giornata con me nello studio e solo la sera, attraverso
un’entrata di servizio, tornava a casa, rimanendo sempre a distanza
di sicurezza dall’ardore sessuale di Athos.
Nonostante i miei severi controlli censori ad un certo momento il
suo addome cominciò a crescere e condussi la cagna dal veterinario,
il quale perentorio dichiarò:” Si tratta di una gravidanza
immaginaria nella pancia vi sono semplicemente dei gas”.
Sapendo che i medici in genere poco capiscono sottoposi Lady ad
un’ecografia nel mio studio e non mi meravigliai più di tanto nel
vedere una serie di piccole colonne vertebrali intrecciate tra di
loro. Facemmo appena in tempo a rincasare che cominciò il travaglio
e questa volta i nuovi abitanti della terra furono sei, quattro dei
quali arrivarono a tre mesi. Erano magnifici, scorazzavano nel
giardino della villa di Ischia con i genitori, ma nonostante tutte
le vaccinazioni, un brutto giorno contrassero la parvo virosi, una
malattia che raramente perdona e cominciò un calvario durato quasi
venti giorni. Era necessario sottoporre i cuccioli ad ipodermoclisi
tre volte al dì, per cui ogni giorno la spola da casa al veterinario
avveniva dodici volte. Il compito sulle mie spalle e su quelle del
fido cameriere autista Summit. Dopo una settimana morì il primo
cucciolo, seguito dopo tre giorni dal secondo e dopo cinque dal
terzo; resisteva solo Porthos, anche se le speranze erano ridotte al
lumicino. Passati diciotto giorni il cane cominciò a bere e
l’indomani ad alimentarsi, era guarito.
Dopo tanti sacrifici e quattro milioni di spese, mia moglie pensava
ancora che io regalassi il cucciolo, ma oramai non potevo più
separarmi da lui.
Ci furono mesi di diverbi continui, durante i quali Porthos visse
con me nello studio, che subì una devastazione in piena regola,
dalle tende ai tappeti. Durante i fine settimana veniva a trovare i
genitori, ma il lunedì di nuovo via, fino a quando Elvira, resasi
conto di quando io tenessi al cane, acconsentì al suo definitivo
ingresso in casa nostra. Furono anni di grande impegno: tre cani di
quella razza fanno branco e sono difficili da gestire, soprattutto
d’estate, quando per trasferirli ad Ischia era necessario fare tre
trasporti in auto all’andata e tre al ritorno. Anche i nostri
viaggi, fino allora frequenti, si interruppero, perché la mia
costante presenza era necessaria. Ma le soddisfazioni, almeno per me
furono altrettanto grandi. I tre cani erano temuti ed ammirati da
tutti e con la sola presenza e qualche sporadica abbaiata facevano
la guardia alla nostra villa, tenendo alla larga in egual misura
malintenzionati e visitatori inopportuni.
L’ansia, i momenti di solitudine, la tristezza venivano mitigati
dalla presenza affettuosa di questi veri ed unici amici dell’uomo.
Tutti possono tradirti, dalle donne ai figli, ma il cane sarà
sempre al tuo fianco e la sua fedeltà aumenterà nel tempo a
dismisura, senza che quasi tu te ne avveda, come un fiume che
acquista potenza nei pressi di una cascata.
Furono anni felici, ma il tempo degli animali scorre più velocemente
di quello degli uomini e Lady, dopo aver imbiancato i peli del muso,
si ammalò di piometra e fu necessario sottoporla ad un intervento
chirurgico. Il decorso post operatorio fu difficile e necessitò un
ricovero in una clinica veterinaria, dove giunse in condizioni
disperate. Rimase degente per vari giorni, durante i quali non la
lasciai sola un minuto, né di giorno, né di notte. Tra i medici che
si alternavano al suo capezzale ve ne fu anche uno arabo, che
riconobbe in essa la cagna miracolata dieci anni prima ed ancora
ricordava la mia frase sul dio dei cani. Per quanto islamico aveva
meditato più volte negli anni sulle mie parole e mi invitò anche
questa volta ad invocare questa sconosciuta quanto potente divinità.
Dopo una settimana Lady guarì e potemmo tornare a casa. I veterinari
riconobbero che la guarigione era avvenuta grazie alla mia costante
presenza: i cani malati quando si vedono abbandonati dai padroni in
un ambiente estraneo si lasciano quasi sempre morire.
Purtroppo dopo un anno, oltre all’incalzare dell’età, la vecchia
infezione si ripresentò, questa volta in maniera subdola: ricominciò
l’andirivieni quotidiano con la clinica, le fleboclisi, ma non ci fu
niente da fare, mentre eravamo tutti a tavola, Lady, con un rantolo
soffocato, ci lasciò per sempre.
Il mio dolore fu immenso, versai lacrime in misura superiore a
quando avevo perso i miei genitori ed il vuoto che si è creato è
rimasto incolmabile a distanza di anni. Mi rimanevano gli altri due
cani, che da quel giorno non fecero che litigare, costringendomi a
tenerli separati.
Athos da tempo zoppicava e non era più il capobranco vigoroso di una
volta, Porthos ne approfittava attaccandolo spesso alle spalle, per
rifarsi degli anni in cui era stato succube.
A distanza di un anno e mezzo, mentre eravamo ad Ischia, in pochi
giorni si aggravò e si spense dopo una notte di guaiti disperati.
Ora riposa lì, lontano da Lady, con un ibiscus che gli fa compagnia.
Rimasto solo Porthos, che era stato sempre di una vivacità
devastante, divenne triste e melanconico. Passava gran parte della
giornata al mio fianco, mentre lavoravo al computer e per ore gli
accarezzavo la testa.
Non riesco ragionevolmente a credere che di questi miei amici sia
rimasto solo il ricordo che porterò per sempre nel mio cuore,
mentre i loro corpi hanno subito il triste destino di tutti i
viventi: il disfacimento.
Tra i credenti gli induisti si dimostrano meno orgogliosi dei
cristiani, che nella loro smisurata superbia immaginano un mondo
ultraterreno soltanto per gli uomini, mentre i loro fratelli
orientali riconoscono, attraverso la reincarnazione, un percorso di
purificazione per tutti i viventi senza esclusione alcuna, inclusi
animali e piante. Si tratta senza dubbio di una visione più
rassicurante dettata da un’antica saggezza e nello stesso tempo di
sconvolgente attualità, come hanno confermato le moderne ricerche
della chimica e della fisica.
Mi piace immaginare che anche ai più fedeli amici dell’uomo sia
concesso di vivere in eterno e non solo nella memoria dei loro
padroni.
Certamente Lady vivrà per sempre nel mio cuore, Athos, un vero
amico, non sarà mai da me dimenticato, soprattutto ora che,
scomparso Porthos, sono veramente solo.
Il Golfo 8 ottobre 2007 - Senatus settembre 2007 – Bric a Brac 6
novembre 2007- Il Mattino 16 novembre 2007 – Il Roma ???
^^-- indice --^^
Il miglior amico dell’uomo (ridotto)
Non avrei mai potuto immaginare che l’arrivo in casa mia di una
cucciola di rottweiler, regalo di una ragazza a mio figlio, potesse
cambiare negli anni così profondamente non solo la mia vita, ma
soprattutto il modo di relazionarmi col mondo ed il mio metro di
giudizio del prossimo.
Lady, ed in seguito Athos e Porthos mi hanno dato per anni gioia e
serenità, ma purtroppo il tempo degli animali scorre impietosamente
più veloce di quello degli uomini ed uno dopo l’altro mi hanno
lasciato.
L’ansia, i momenti di solitudine, la tristezza venivano mitigati
dalla presenza affettuosa di questi veri ed unici amici dell’uomo.
Tutti possono tradirti, dalle donne ai figli, ma il cane sarà
sempre al tuo fianco e la sua fedeltà aumenterà nel tempo a
dismisura, senza che quasi tu te ne avveda, come un fiume che
acquista potenza nei pressi di una cascata.
Non riesco ragionevolmente a credere che di questi miei amici sia
rimasto solo il ricordo che porterò per sempre nel mio cuore,
mentre i loro corpi hanno subito il triste destino di tutti i
viventi: il disfacimento.
Tra i credenti gli induisti si dimostrano meno orgogliosi dei
cristiani, che nella loro smisurata superbia immaginano un mondo
ultraterreno soltanto per gli uomini, mentre i loro fratelli
orientali riconoscono, attraverso la reincarnazione, un percorso di
purificazione per tutti i viventi senza esclusione alcuna, inclusi
animali e piante. Si tratta senza dubbio di una visione più
rassicurante dettata da un’antica saggezza e nello stesso tempo di
sconvolgente attualità, come hanno confermato le moderne ricerche
della chimica e della fisica.
Mi piace immaginare che anche ai più fedeli amici dell’uomo sia
concesso di vivere in eterno e non solo nella memoria dei loro
padroni.
Il Napoli 8 novembre 2007
^^-- indice --^^
*Una squallida kermesse
Gentile dottore,
da 62 anni, implacabile, si ripete il rito di miss Italia, una
manifestazione che per via della televisione di Stato, che le dedica
tre serate interminabili subisce una nefasta amplificazione
mediatica, una vera e propria mortificazione per le donne con cento
ragazze giovanissime costrette in stringati costumi da bagno, su
vertiginosi tacchi a spillo ed un ridicolo numero sul petto a
sfilare davanti ad un pubblico di milioni di spettatori, stimolando
lubrici pensieri, né più né meno come sfilavano e purtroppo ancora
sfilano le schiave nei mercato del sesso.
Quest’anno si è superato ogni limite quando tra la giuria è
trapelata la necessità, per esprimere un ponderato giudizio, di
valutare le terga delle fanciulle. Inutile farle danzare o recitare
filastrocche, il pubblico vuole solo e soltanto vederle da dietro.
Finalmente il concorso ha gettato giù la maschera, non certo una
nobile gara tra signorine di buoni sentimenti, vergini e timorate di
Dio, ma una gara spietata tra ragazze, quasi tutte minorenni,
irretite da madri compiacenti e vanagloriose, rotte… ad ogni trucco
ed espediente, un’esibizione indecente che umilia le concorrenti
messe in bella mostra come merce in vendita al miglior offerente.
La dimostrazione lampante che nella nostra società maschilista la
strada della seduzione è quella più agile e veloce per raggiungere
obiettivi, che vengono presentati dai mass media come straordinari
traguardi e che viceversa rappresentano per la donna una
mortificazione ed uno stato di permanente inferiorità.
Il Tempo 27 settembre 2007 – Il Napoli 28 settembre 2007 – Il
Mattino 19 ottobre
^^-- indice --^^
*Un triste primato
Gentile dottore,
la fine drammatica di un nostro soldato, originario di Gragnano,
nell’inferno dell’Afghanistan ha riproposto una dolorosa circostanza
alla quale i mass media, impegnati tra la cronaca delle serate di
miss Italia e la difficile gestazione del Pd, non dedicano mai
attenzione: la Campania fornisce oltre la metà delle reclute
dell’esercito ed ha il più alto numero di reduci e di vedove di
guerra, opps abbiamo sbagliato, di missioni di pace….
Un triste primato, specchio fedele delle drammatiche prospettive di
lavoro dei giovani meridionali, ai quali oramai da tempo riesce
difficile perfino guadagnarsi da vivere dietro al bancone di un bar
o al nero, dieci ore al giorno, in un cantiere fuori legge.
Se prima con la leva obbligatoria i giovani cercavano ogni
sotterfugio per evitare la naia, oggi il miraggio di uno stipendio
fa fare salti mortali e file notturne per presentare la domanda di
arruolamento.
Una serie interminabile di missioni di pace… Libano, Somalia,
Bosnia, Kosovo, Irak, Afghanistan, che permettono ad una miriade di
disperati, originari di terre feraci rese aride dalla camorra, di
Villaricca o di Qualiano, di Casavatore o di Frattamaggiore di
sperare di poter realizzare un gruzzoletto e tornati a casa aprire
un bar o poter coronare un sogno d’amore rimandato all’infinito per
motivi economici.
Il nostro Lorenzo purtroppo il suo pegno d’amore con la madre dei
suoi tre figlioletti lo ha potuto perfezionare soltanto con un
allucinante matrimonio in articolo mortis, giusto per poter avere la
pensione, dopo aver sacrificato vita e giovinezza alla furia
devastante delle missioni di pace…
La Lanterna 1 ottobre 2007 – Libero 4 ottobre 2007
^^-- indice --^^
Precisazione: ero io quel prode
Gentile dottor Gargano,
ero io quel prode... che come raccontato nella lettera oggi
pubblicata ha provocatoriamente cambiato il nome di piazza Garibaldi
in piazza 3 ottobre 1839, data di inaugurazione della ferrovia
Napoli Portici, prima d'Italia seconda al mondo.
Volentieri avrei pagato un'ammenda per affissione abusiva, ma i
vigili presenti viceversa mi hanno applaudito. L'evento è avvenuto
in pieno giorno alla presenza di centinaia di persone e delle
telecamere di numerose emittenti televisive e non era il 6 settembre
bensì il 4 luglio bicentenario della morte di Garibaldi.
Erano presenti redattori della Repubblica e del Corriere, che
avevano preparato dei servizi, non pubblicati per una velina giunta
ai quotidiani a seguito della chiassata dei leghisti in Parlamento
che vietava di parlare male dell'eroe dei due mondi.
Lasciando stare Garibaldi non bisogna essere neo borbonici per
rimembrare le glorie di Napoli in confronto ai tristi record di oggi
ed invito il Mattino a fare un servizio
sull'argomento, che merita di essere rammentato a tutti gli
italiani.
Il Mattino 2 ottobre 2007
^^-- indice --^^
*La seduzione dopo gli anta
Gentile dottore,
durante l’estate un libro di Januaria Piromallo Belle e d’annata ha
furoreggiato dalle Alpi alla Sicilia in un’interminabile serie di
affollate presentazioni da Capri a Cortina d’Ampezzo. Nell’agile
volumetto vengono elargiti una serie di consigli per contrastare
l’avanzata implacabile del tempo, un vero e proprio manuale di
sopravvivenza per signore d’annata in lotta con rughe, cellulite e
cedimenti vari e tremendamente ansiose che gli sguardi dei mariti
convergano sempre più frequentemente verso le grazie generosamente
esposte di ventenni in libera uscita.
Vengono sviscerati i segreti di creme miracolose ed enumerati i
prodigi della chirurgia plastica, tutti rimedi che agiscono
sull’aspetto fisico della donna, ma viene completamente trascurato
l’aspetto psicologico della vicenda, che a mio parere può costituire
l’asso nella manica.
Oggi la donna è sempre più aggressiva nei confronti del maschio, sia
nei rapporti quotidiani, sia nell’approccio sessuale, una vera
iattura che ha conseguenze nefaste sull’ardore e sulla virilità.
Una sana condotta che potrebbe dare buoni risultati è divenire col
tempo sempre più remissive, dolci ed accattivanti. Lasciare alle
ragazzine spavalderia e sfacciataggine e coltivare intensamente
l’arte della carezza, la parola suadente e le glorie della
culinaria.
La battaglia con le giovanissime sul piano della avvenenza fisica è
irrimediabilmente perduto, colpa del nostro Dna, che impone
categoricamente ai maschi di cercare le proprietarie di cromosomi
nel pieno dell’attività, ma grazie a raffinate tecniche di
seduzione, improntate sulla remissione e su una femminilità
accomodante, le prede per le signore d’annata saranno numerose ed
affezionate.
Il Giorno 3 ottobre 2007
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*Bisogna salvare il San Carlo
Gentile direttore,
premetto che non sono un melomane, anzi rammento con angoscia gli
anni in cui ero abbonato alla prima del San Carlo, con il caldo
soffocante degli spettacoli primaverili, obbligato alla giacca ed
alla cravatta ed ancor più con terrore i conti astronomici delle
sartorie che rifornivano il guardaroba di mia moglie, convinta che
nel tempio della lirica alle serate di gala una signora elegante non
potesse giammai indossare due volte lo stesso abito.
Nonostante i tristi ricordi l’idea che il San Carlo possa chiudere
mi fa semplicemente rabbrividire, non soltanto perché il nostro
teatro è il più antico e tra i più belli al mondo, ma soprattutto,
dopo l’olocausto dell’Ilva e la rapina del Banco di Napoli, la
nostra città non può più perder fiori all’occhiello.
Erano tempi felici quando in soli sei mesi il San Carlo venne creato
dal nulla, regnava Carlo III e non i nostri solerti amministratori
che, con la favola del nuovo Rinascimento, hanno precipitato la
nostra amata città a livelli di degrado inimmaginabili.
Il nostro Massimo, come tutti gli altri enti lirici italiani, soffre
di una grave crisi economica provocata da numerosi fattori
concomitanti e necessita dell’aiuto principalmente delle
istituzioni, mancando quasi del tutto alle nostre latitudini il
sostegno di sponsor privati. Né più né meno di quello che lo Stato
ha fatto in soccorso di teatri meno importanti.
La lirica non può essere paragonata, come si è letto nei giorni
scorsi su autorevoli giornali, alla lap dance o al gioco del calcio;
affermazioni demenziali che si commentano da sole. La musica
classica è cultura come la letteratura e la pittura e come le
biblioteche, del tutto gratuite ed i musei deve poter vivere
degnamente con l’aiuto dello Stato.
Si è messo in evidenza che lo spettatore di un’opera paga un
biglietto che copre solo la decima parte dei costi, un dettaglio
certamente non trascurabile. Non si può pretendere che il
contribuente paghi il passatempo del ricco borghese e della sua
signora, per cui quando, al più presto, ripianati i debiti, si potrà
tornare ad una gestione ordinaria, bisognerà prevedere una serie di
spettacoli semi gratuiti per studenti, operai, anziani, oltre che
una particolare attenzione per i turisti, nei cui riguardi il
fascino del San Carlo può giocare un ruolo fondamentale.
Per risanare la situazione bisogna cacciare i politici che hanno
occupato il consiglio di amministrazione e poi usufruire dei servigi
di un manager di valore internazionale.
Lo merita la città, ma soprattutto lo pretendono i napoletani.
Il Messaggero 21 ottobre 2007 – Il Brigante (come articolo) ottobre
2007
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*Consigli al Padre eterno
Gentile dottore,
meditando sul problema della vecchiaia ho ipotizzato una soluzione,
anche se mi serve una raccomandazione, perché per realizzarla ho
necessità dell’aiuto di una persona molto importante e bisognerebbe
aggiungere un aggiornamento alla creazione.
La senilità, anche la più devastante, sarebbe molto più tollerabile
se la vita si svolgesse all’incontrario cominciando dalla morte, che
una volta superata non è più un problema e iniziando decrepito,
acciaccato ed un po’ rimbambito, ma pieno di speranze e con la
certezza di un futuro migliore. Giorno dopo giorno le forze
aumentano, i dolori scompaiono, le rughe si dileguano e possiamo
lasciare l’ospedale o l’ospizio e ritornare a casa, non senza aver
ritirato la pensione, che ci godiamo per svariati anni, ben più di
quelli lavorativi (per godere di questo beneficio bisogna però
vivere in Italia).
Quindi cominciamo a lavorare e subito, non al momento del congedo, i
colleghi ci fanno un bel regalo ricordo: una stampa antica o un
orologio di marca. Per alcuni decenni lavoriamo di buona lena,
divenendo sempre più giovani e pimpanti e quando cominciamo la
scuola siamo nel fiore della fanciullezza. Oltre allo studio
pratichiamo spesso e volentieri prima il sesso e poi il gioco.
Diventi sempre più piccolo fino a quando un bel giorno ti infili in
un posto che hai imparato a conoscere come fonte primigenia del
piacere. Ti trastulli per nome mesi al caldo, alternando lunghi
sonni a brevi nuotate, in un ambiente tranquillo dove gli
scocciatori non possono raggiungerti e finalmente concludi in tuo
percorso terreno nel fremito interminabile di un orgasmo.
Libero 15 ottobre 2007 – la lettera sarà ripubblicata da Il Mattino
il 23 gennaio 2015(col titolo Una modesta proposta sulla vecchiaia)
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Il lavoro precario: maledizione o necessità
Gentile dottore,
il lavoro precario è una maledizione per i giovani, i quali non
hanno più punti fermi che permettano di fare progetti per il futuro:
formarsi una famiglia, fare dei figli, comprarsi una casa con un
mutuo, godere un domani della pensione.
Nei giorni scorsi anche il Papa ha fatto sentire la sua autorevole
voce sul problema, ma purtroppo, più che lamentarsi del fenomeno,
non è riuscito ad avanzare alcuna proposta risolutiva.
Molti credono che il lavoro precario sia una triste prerogativa
dell’Italia, viceversa esso è una regola in tutti i paesi europei,
per non parlare degli Stati Uniti, dove la estrema mobilità del
lavoro è considerata la ricetta dello sviluppo economico.
La scuola fino a quando il problema non avrà trovato una soluzione
dovrà impegnarsi a fornire ai giovani una preparazione
multidisciplinare, in previsione che, nel corso della vita, siano
costretti più di una volta a cambiare completamente tipo di
attività.
Lo Stato ed i sindacati devono impegnarsi ad elaborare e rispettare
una legislazione che preveda la possibilità reale di licenziamento
per giusta causa, allo scopo di sfatare il pregiudizio(in gran parte
vero) che un datore di lavoro che assuma un dipendente lo debba
assumere a vita. Bisogna convincersi che una strenua difesa del
lavoro comporta una palpabile penalizzazione per chi lo cerca.
Gli economisti debbono spiegarci se la precarietà è una condizione
favorevole dello sviluppo economico e prospettarci modelli
alternativi, nei quali un maggiore rispetto dei diritti del
lavoratore sia compatibile con un incremento della produzione.
I politici debbono recepire la gravità del problema e,
coraggiosamente, proporre soluzioni anche contro i poteri forti,
spesso sopranazionali e sempre onnipotenti. Il loro compito è il più
gravoso e necessita di un grosso appoggio per evitare il senso di
solitudine delle scelte decisive, in mancanza delle quali non
esisterà un futuro, non solo per i giovani ma per la nostra civiltà.
Corriere della Sera – 23 ottobre 2007 – Il Napoli 24 ottobre 2007
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**Santità, a Maronna ci accompagni
Gentile dottore,
Santità, Voi non avete consuetudine con il male, per questo non lo
avete riconosciuto annidato nelle prime file in piazza del
Plebiscito, tra politici corrotti e baciapile occasionali in gara
per ricevere il sacramento dell’Eucarestia. Non vi siete avveduti
del truce fariseo, abituale adoratore delle banche e del vitello
d’oro, sceso dal Nord per l’ostia televisiva, della voce quequera
che chiedeva insistentemente denaro per una sfortunata città, che ne
ha sì bisogno, ma solo dopo un profondo rinnovamento spirituale,
oppure l’ateo inveterato, nemico giurato della Chiesa salvo nelle
occasioni eccezionali. Ed alle loro spalle premevano per il rito del
baciamano eurotelevisivo amministratori corrotti, malversatori
abituali, usurai incalliti, bestemmiatori immarcescibili e tutta
quella feccia che ha portato la regione sul fondo del baratro.
Per l’occasione hanno ripulito il suo percorso, tolto cumuli di
puteolente spazzatura, colmato voragini nelle strade, allontanato
per poche ore scippatori e spacciatori, truculenti magnaccia e
sguaiate prostitute.
In seconda fila vi era la Napoli vera che non le hanno fatto
conoscere: i disoccupati cronici, i giovani senza futuro, i
pensionati alla fame, i commercianti strangolati dal pizzo, i
lavoratori al nero per 500 euro al mese, ma soprattutto la folla
degli onesti costretti in un angolo dalla prepotenza dei vincitori.
Santità, Voi non avete potuto raccogliere il disperato grido di
dolore degli abitanti delle periferie degradate, vedere le antiche
chiese cadere in rovina, gli abusi edilizi ubiquitari, l’esercizio
spietato della prevaricazione come regola di vita.
Santità, grazie per aver indicato la possibilità per Napoli di
divenire punto di riferimento nel dialogo tra popoli e fedi diverse,
Napoli, antica e gloriosa capitale, costretta al rango di capitale
della monnezza e della malavita, Napoli dove per millenni lingue e
culture aliene hanno sempre goduto di accoglienza e tolleranza.
Santità, Voi non ne avete bisogno, fate che l’augurio del cardinale:
“A Maronna t’accumpagna” faccia da viatico per i napoletani nel
lungo viaggio dal buio delle tenebre verso la luce.
Il Napoli 27 ottobre 2007
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Alta velocità in panne
Gentile dottore,
il futuro dell’Alta velocità in Italia è quanto mai precario tra
scriteriate pretese degli ambientalisti e fratricide battaglie per
dividersi i lucrosi appalti, ma il presente non è certo roseo e per
sincerarsene basta anche un breve percorso come è capitato a me ed
un gruppo di amici l’altro giorno.
Partenza da Napoli per Firenze. La tappa di Roma fa ben sperare,
arriviamo con un minuto d’anticipo sul previsto, come annuncia con
voce tronfia d’orgoglio il capotreno attraverso un assordante
altoparlante. Allora va meglio di quando andava peggio? Ma la
situazione cambia subito: nella sosta sale prima un venditore
ambulante di bevande e panini tenuti in condizioni igieniche da
brivido, poi un tossico a chiedere contributi per una dose ed una
volta ripartiti, rimaniamo in compagnie di zingare che chiedono la
carità.
Segnaliamo l’ultimo episodio al personale di bordo, che rifiuta di
credere all’evidenza per coprire l’assoluta mancanza di controlli,
ma la ciliegina è costituita dall’emissione di biglietti a prezzo
normale senza garantire il posto a sedere, per cui una nostra amica
è stata costretta per tutto il percorso a vagare attraverso i 12
vagoni senza potersi mai sedere neanche per un attimo se non sulla
tazza del gabinetto
Corriere della Sera 30 ottobre 2007 – Il Napoli 3 novembre 2007
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Giustizia addio
Gentile dottore,
l’arrugginita macchina della giustizia rischia letteralmente di
esplodere ed in questi ultimi giorni ha esalato gli ultimi rantoli
disperati.
Tribunale civile: “ Per esigenze d’ufficio la data della prima
udienza è differita al 15 febbraio 2012!”. Cassazione:” Occupare
case altrui non è reato se si agisce in stato di necessità”. E tutto
questo mentre Gip e pubblici ministeri fanno a gara per apparire…
tra interviste con divulgazione di atti riservati e continue
comparsate a tutte le ore sulle reti televisive.
Tenuto conto che la durata media dei processi civili ed
amministrativi si misura in decenni, che i responsabili dei reati
penali di più elevato allarme sociale come furti e rapine nel 90%
dei casi non vengono identificati e quando anche lo sono, tra
lungaggini, attenuanti, indulti e patteggiamenti solo in casi
eccezionali trascorrono un po’ di tempo in galera, sarebbe opportuno
e coraggioso che si dichiarasse bancarotta.
Le liti civili potrebbero essere risolte con gli arbitrati e per il
penale potrebbe ripristinarsi l’uso della faida. Già oggi per le
controversie in denaro ci si rivolge sempre più alle camere di
conciliazione e per i torti più gravi in metà del Paese si chiede
soddisfazione ai mammasantissima.
Solo per carità di patria non abbiamo accennato alle motivazioni
delle sentenze di centinaia di pagine dal linguaggio aulico e
forbito come nell’Ottocento, quando la stesura era un genere
letterario ed alla possibilità per i cittadini di ottenere dallo
Stato una penale di mille euro per ogni anno trascorso dopo i cinque
in un processo, da quando le Corti di Giustizia europee hanno
ripetutamente stigmatizzato il funzionamento della nostra
magistratura.
La colpa dello sfascio va equamente distribuita tra politici e
giudici, ma anche i cittadini hanno la loro parte, sia perché
tollerano questo andazzo vergognoso che per la loro proverbiale
litigiosità (In Inghilterra nel 2006 sono state trattate 110.000
cause penali e 40.000 civili, mentre in Italia siamo sui 4 milioni).
Corriere del Mezzogiorno 10 novembre 2007
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Lavorare è necessario?
Gentile dottore,
il progresso scientifico e l’automazione negli ultimi anni hanno
fatto sì che, con una quota minore di lavoro, si riesca a produrre
una maggiore quantità di beni e servizi, una cosa certamente
positiva che nel tempo potrà liberare l’uomo dalla maledizione
biblica di essere costretto con gran sudore a procacciarsi il
necessario per vivere.
Paradigmatico è l’esempio di quanto produce un contadino americano
ed uno africano: il primo grazie ai fertilizzanti, alla cospicua
irrigazione ed all’uso di macchinari riesce a produrre quanto cento
dei suoi colleghi africani, per cui, ipotizzando che in futuro anche
loro potranno usufruire degli stessi accorgimenti, fra non molto il
lavoro di uno solo potrà bastare a produrre il cibo per gli altri
99, i quali potranno anche non lavorare, se però colui che produce
sia disposto a dividere con gli altri il frutto del suo lavoro. E
qui nascono le difficoltà forse insormontabili per l’egoismo
dell’uomo, probabilmente bisognerà creare una rotazione nel lavoro:
un giorno ogni cento. Una prospettiva allettante che invita però
alla meditazione sulla sua fattibilità, dopo che per anni abbiamo
ascoltato l’utopico slogan “lavorare meno lavorare tutti”.
In numerosi altri campi la riduzione del lavoro è stata massiccia,
mentre il prodotto ha continuato ad aumentare senza sosta, riuscendo
a soddisfare gli scriteriati bisogni crescenti di una civiltà
dominata dall’imperativo categorico di consumare, consumare ed
ancora consumare.
Non è ipotesi fantascientifica immaginare un mondo nel quale il
lavoro non sarà necessario ed i beni ed i servizi necessari saranno
realizzati dalle macchine e dai robot.
Il problema drammatico sarà costituito dalla distribuzione dei
prodotti, venuto meno anche l’uso del denaro o quanto meno del modo
per procacciarselo al quale siamo abituati. Ed a complicare
ulteriormente il quadro vi è il moloch della globalizzazione, che
annulla le decisioni e le volontà non solo dei cittadini, ma degli
stessi Stati, impotenti davanti al potere cieco delle
multinazionali.
Potremo in futuro, quanto prima, liberarci dal fardello del lavoro,
ma dovremo affrontare e risolvere una serie di non facili problemi:
distribuire equamente la ricchezza e creare una reale uguaglianza
tra nazioni e cittadini.
Un compito arduo ed affascinante che dovrà essere l’obiettivo delle
nuove generazioni.
Il Napoli 14 novembre 2007 – Il Golfo (come articolo) 14 novembre
2007 – Orizzonti Nuovi 22 novembre 2007(come articolo) – Il Mattino
15 dicembre 2007
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L’onorevole lo scegliamo noi
Gentile dottore,
finalmente i partiti pare abbiano compreso che il sistema elettorale
attuale va cambiato prima di sciogliere il governo ed indire una
nuova consultazione.
La minaccia dell’incombente referendum è il migliore consigliere in
grado di smussare opinioni differenti ed insani appetiti.
I modelli che raccolgono i maggiori consensi sono quello tedesco e
quello spagnolo con modifiche per adattarlo alla situazione politica
italiana, in maniera tale che non vi siano più pareggi e chi vince,
anche se di misura, è in grado di governare.
Ma tutti i politici debbono aver presente che gli Italiani non hanno
digerito la truffa degli onorevoli imposti dall’alto e
dell’abolizione delle preferenze. Nel nuovo sistema elettorale,
qualunque esso sia, i candidati devono avere il gradimento degli
elettori e non delle segreterie dei partiti, è l’unica riforma
veramente necessaria, lo impone la creanza, la pretendono
imperiosamente i cittadini.
Il Mattino 7 dicembre 2007
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Suoni assordanti: dal mantra ai metallari
Gentile dottore,
il mantra è un suono particolare in grado di liberare la mente dai
pensieri, una scoperta che si perde nella notte dei tempi codificata
già nell’induismo e nel buddismo. Esso consiste nella ripetizione
ossessiva di sillabe, lettere o frasi allo scopo di allontanare la
mente dalla realtà dei sensi e di indurre una notevole
concentrazione.
Questo particolare tipo di cantilena è stato pienamente recepito dal
cristianesimo, che ne ha fatto il modo migliore per raggiungere
l’estasi attraverso i ritmi incessanti della preghiera. Quasi
nessuno può resistere alla ripetizione maniacale per ore di un
rosario o di altre giaculatorie se la cadenza è sempre uguale,
martellante ed ossessiva. Se vi è poi uno stato d’animo
particolarmente predisposto è consequenziale cadere in trance od
avere visioni.
Di queste originali e poco indagate proprietà della mente hanno
fatto tesoro intuitivamente stregoni e generali, i primi per
comandare la tribù, i secondi per mandare al macello la fanteria al
suono ritmico di un tamburo.
Anche l’ipnosi induce il sonno attraverso una frase sussurrata o la
visione di un pendolo ciondolante e tutti i riti magici giocano
sull’estenuante ripetizione di formule e parole propiziatorie.
Una frase o anche una preghiera replicata cento volte perde,
ripetizione dopo ripetizione, il suo significato originale, per
trasportare la mente in un non luogo dove il ragionamento cede
all’irrazionalità e dove la sensibilità subisce una prodigiosa
amplificazione; è facile cadere allora in preda alla volontà altrui
e rimanerne soggiogati.
L’ultima perversa applicazione di questo assemblaggio di suoni
assordanti è costituita dalla musica metallica, che possiede
numerosi seguaci tra giovani trasgressivi amanti del dark e dal
cervello strizzato.
Il Napoli 28 novembre 2007 – Il Mattino 23 dicembre 2007
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Suoni assordanti: dal mantra ai metallari
Caro Ettore,
mi permetterai una breve quanto pubblica chiosa al prosperoso, ma
purtroppo finto, seno della professoressa Anna Ciriani, che tu
giustamente glorifichi e proponi alla pubblica ammirazione.
La chirurgia plastica trionfa senza limiti, ma spesso è
riconoscibilissima a grande distanza, come nel caso del giunonico
seno della nostra Anna, la quale ha voluto strafare chiedendo un
numero 7, una misura che in natura non esiste, per cui si respira
un’aria di mistificazione durante le sue spavalde passeggiate.
Naturalmente disposto a fare pubblica ammenda se la gentile
professoressa alla prova del tatto mi dimostri che mi sbaglio.
Frangipane e le sue vignette 10 novembre 2007
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Il trionfo del paganesimo
Gentile dottore,
l’approssimarsi delle feste natalizie con la corsa al regalo ed alla
spesa inutile, nonostante la crisi economica, è lo specchio fedele
di un mondo ritornato pagano alla ricerca spasmodica del fatuo e nel
quale sentimenti e rapporti sociali si inaridiscono sempre più,
mentre tutti, drogati dal consumismo, trasformano questo magico
momento in un rito di massa, con grandi mangiate e smodate
libagioni, acquisti sfrenati ed una idolatrica adorazione del dio
denaro.
Le nuove divinità alle quali prostrarsi sono le icone di una civiltà
decadente ed impazzita e vanno dalle veline ai calciatori, dai
cantanti pop ai piloti di formula uno, quando non sono addirittura
efferati boss della camorra, immortalati sui display dei telefonini.
Se saliamo di livello sociale e culturale la situazione poco cambia
perché gli idoli e gli esempi da seguire sono rappresentati da
protagonisti, occidentali ed orientali poco conta, del nostro
immaginario: Budda, Bacco, Eros, Ulisse, Amleto, Apollo, le nove
Muse, Don Chisciotte, Don Giovanni, Anna Karenina, Emma Bovary,
mentre Venere, Minerva e Diana sembrano del resto vivere in mezzo a
noi, attualmente, come nei dipinti dell’Umanesimo e del
Rinascimento.
Dovremmo approfittare invece di questi giorni in cui studio e lavoro
presentano una pausa per riunire le famiglie, sempre più spesso
separate e per santificare la festa, aiutando il prossimo ed
innanzitutto cercando di comprendere le ragioni degli altri.
Solo così potremmo contrastare una tendenza che sembra
inarrestabile, il trionfo dell’immanente sul trascendente, del
profano sul sacro, della vacuità sulla sostanza e soltanto allora il
presepe ed altri simboli religiosi diverranno il suggello dell’amore
familiare e della concordia sociale e, nell’armonica disposizione
dei pastori, lo struggente ricordo di un mondo felice perduto da
riconquistare.
Il Tempo 27 novembre 2007 – Il Napoli 5 dicembre 2007 – Il Mattino
22 dicembre 2007 – La nostra Gazzetta (come articolo) 20 dicembre
2007
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Lettera aperta alla professoressa Anna Ciriani
Gentile signora,
i nostri sono tempi contrassegnati da una grande libertà di pensiero
e di azione, anche se alcune regole dovrebbero ancora avere un
significato, ad esempio andare per le strade vestiti e per chi ha un
ruolo pubblico mantenere un decoro superiore ai comuni cittadini.
Non vogliamo, pur non essendo bacchettoni, vedere, pubblicamente
esposte, le pudenda di un procuratore della Repubblica o di un
generale dei carabinieri. Parimenti ci darebbe fastidio una monaca
scollacciata o una sindaca versione nature.
Il ruolo dei professori è decaduto, ma non al punto da vedere senza
imbarazzo una preside in topless o un accademico in tenuta
adamitica.
Naturalmente per coloro che vogliono esporre le loro fattezze intime
alla pubblica ammirazione esistono luoghi idonei dove esprimersi ed
eventualmente farsi apprezzare.
Anche l’aspetto estetico ha una sua rilevanza non trascurabile: una
donna vecchia e brutta è, a mio sommesso parere, più riprovevole di
una fanciulla nel fiore della gioventù, che ci offre la vista di
grazie ben esposte e di dimensioni lusinghiere.
Ho pubblicamente messo in dubbio la veridicità del tuo seno, troppo
prorompente e giunonico per essere vero (naturalmente disposto a
fare pubblica ammenda se alla prova del tatto mi dimostri che mi
sbaglio), ma in compenso il tuo corpo è ben tornito, acconcio ed
appetibile, il tuo sorriso smagliante e da esso sprizza una gioiosa
voglia di vivere e di trasgredire.
Le tue spavalde passeggiate sono la rivoluzione che preferiamo,
provocano salutari sferzate per ben pensanti e moralizzatori, ma
ascolta un mio consiglio: lascia l’insegnamento a qualche supplente
in trepida attesa, probabilmente racchia ed affetta da sindrome
ittiopriva e lanciati a petto in fuori… a combattere i falsi
difensori delle tradizioni, la tua arena è il mondo, il compito che
ti è stato assegnato è stuzzicare i nostri sopiti desideri.
Completa la tua opera ed esaudisci anche oggi il nostro desiderio
quotidiano.
Il Brigante novembre 2007 (come articolo)
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*Presepe contro albero di Natale, una sfida memorabile
Gentile dottore,
da tempo è in atto una guerra silenziosa verso la tradizione
millenaria del presepe, in nome di un multiculturalismo abietto e
fuori luogo. I grandi magazzini non vendono più i caratteristici
pastori, con la scusa di una richiesta diminuita e va sempre più di
moda l’albero di Natale, una usanza nordica che incontra sempre più
adesioni.
Le due espressioni sono lo specchio di due diverse concezioni
religiose: quella monoteista e quella animista. Infatti mentre il
Bambinello ci ricorda il messaggio di pace e la buona novella,
l’albero ci rammenta il periodo nel quale tutti noi vivevamo nelle
grandi foreste.
Mettere insieme i due simboli è un modo corretto per conciliare
tradizioni religiose differenti.
Nel presepe si rappresenta il momento culminante dell’amore di
Giuseppe e Maria verso il loro fragile figlioletto, destinato in
breve tempo a cambiare il mondo ed è triste constatare come, drogati
dal consumismo, abbiamo trasformato questo magico momento in un rito
di massa, con grandi mangiate e smodate libagioni, acquisti
frenetici ed una idolatrica prostrazione al moloch dell’euro.
Anche il rito dell’albero, che vuole rammentarci il nostro passato
nei boschi, quando le piante ci fornivano riparo dalle intemperie e
grande messe di frutti deliziosi, è stato trasformato in un
feticcio luccicante colmo di doni inutili e costosi. Senza tener
conto della orrida strage di piccoli abeti sacrificati al dio
Natale, una gigantesca legnificina che ci fa pensare ad Erode ed
alla sua sete di sangue e di morte.
Approfittiamo di questi giorni in cui studio e lavoro presentano una
pausa per riunire le famiglie, sempre più spesso separate ed a
santificare la festa aiutando il prossimo ed innanzitutto cercando
di comprendere le ragioni degli altri.
Il presepe diverrà in tal modo il simbolo dell’amore familiare e
della concordia sociale e, nell’armonica disposizione dei pastori,
lo struggente ricordo di un mondo felice perduto da riconquistare.
Il Mattino 13 dicembre 2007
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*Pensieri sul tempo
Gentile dottore,
il tempo scandisce la vita dell’uomo e di tutto l’universo,
inesorabilmente, imprime le rughe sul volto, tinge i capelli di
bianco, increspa i muri, sgretola le rocce, corrode il ferro, fa
appassire i fiori e marcire la frutta, è alla base del triste
destino di tutti i viventi: il disfacimento. Una forza invisibile ed
implacabile che non si ferma mai ed a cospetto della quale il
percorso della nostra vita è meno che un’inezia.
L’umanità è in cammino da decine, forse centinaia di migliaia di
anni e la nostra vita ne rappresenta una minuscola particella;
immaginiamo di andare avanti nel tempo al 1 giugno (giorno della mia
nascita…) del 2133, sarà una domenica, un giorno che non mi sarà
concesso di vedere, ma non sarò il solo, non lo vedranno nemmeno i
neonati, né alcuno dei sette miliardi che attualmente abitano la
Terra, né quelli che nasceranno domani o fra un mese o anche fra
dieci anni. Se ci spostiamo indietro nel tempo al 17 marzo del
1861(proclamazione del regno d’Italia) ci troviamo di nuovo, in un
giorno, così importante per la nazione nella quale viviamo, che
nessuno di noi ha vissuto.
Meditando su queste due date così lontane se rapportate alla durata
della vita dell’uomo, ma così insignificanti rispetto all’eternità,
ci assale un senso di angoscia e di sgomento.
Affacciati per un trascurabile periodo al palcoscenico dell’universo
provenienti da un misterioso silenzio, precipitiamo rapidamente in
un altro silenzio ancora più infinito.
L’intervallo tra questi due silenzi è il breve cammino della nostra
vita.
Corriere del Mezzogiorno 30 dicembre 2007
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Vulcano buono, ma con chi?
Gentile dottore,
un nuovo, ennesimo, faraonico centro commerciale è stato aperto alle
porte di Napoli, con il solito codazzo di potenti all’inaugurazione
e con il consueto plauso dei mass media, amplificato dal progetto di
Renzo Piano e dalla benedizione del premier.
Stranamente in Campania, mentre le industrie e le poche attività
produttive languono in stato comatoso, i templi del consumo
fioriscono senza sosta. Non si capisce da dove dovrebbero provenire
i soldi da spendere se non si crea più ricchezza, ma la civiltà dei
consumi pare abbia trovato la soluzione attraverso l’abuso perverso
del credito e della rateizzazione, convincendo lo stolto consumatore
che l’importante è acquistare anche cose inutili, a pagare vi è
sempre tempo.
E mentre si glorificano i nuovi posti di lavoro indotti dai nuovi
centri commerciali nessuno calcola la chiusura continua di negozi e
botteghe con disoccupazione indotta in ragione di numeri dieci volte
superiori.
E mentre il traffico si strozza sulle autostrade alle porte di
Napoli e nei fine settimana si paralizza completamente, le vie del
centro si desertificano, vanificando le occasioni di incontro e
stravolgendo la stessa filosofia con cui sono state costruite le
nostre città, senza che il consumatore ne tragga un reale vantaggio,
a differenza di questi colossi della distribuzione, spesso di
proprietà straniera e sempre collusi con il potere politico che
elargisce le licenze e la camorra che gestisce i terreni.
Il Giornale di Napoli 2 gennaio 2008
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*La fine della vita
Gentile dottore,
“Nulla si crea e nulla si distrugge” è uno dei paradigmi della
scienza ed anche il nostro corpo dopo la morte, disintegrandosi,
ritorna nella terra e restituisce le sostanze della sua materialità.
Ma i nostri pensieri, i dolori, le speranze, la felicità, gli
smarrimenti, le malinconie, i ricordi, i desideri, gli affetti, non
vogliamo dire la nostra anima, dove finiscono? Se nulla si
distrugge, se la nostra misera carcassa continua ad esistere
trasformandosi, perché ciò che a noi continua a sembrare immateriale
dovrebbe scomparire.
Una modesta radio a transistor è in grado di captare le voci
provenienti dall’altro emisfero terrestre, ci permette di ascoltare
un monologo di Amleto recitato a New York o il ritmo di una
frenetica danza brasiliana da Rio, il cervello dell’uomo è la cosa
più prodigiosa che vi sia nell’universo, perché non possiamo credere
che esso possa afferrare i nostri sentimenti, che vagano nello
spazio dopo la nostra morte? Un bambino che oggi nasce potrebbe
raccogliere un messaggio di uno sconosciuto che chiude la sua
esistenza e gli lascia in eredità le sue inquietudini, le sue
speranze, le sue gioie ed i suoi dolori.
Milioni di uomini di antiche e sagge civiltà, hanno creduto e
credono a questa possibilità, anche noi possiamo crederlo, sperarlo,
temerlo.
Sono pensieri che ci danno l’idea della nostra miseria e della
nostra nobiltà: sperduti nell’infinita immensità degli spazi,
destinati a vivere un lampo a confronto dell’eternità, non riusciamo
a credere che la nostra coscienza si sia accesa per caso, a
contemplare un universo ostile o quanto meno indifferente al nostro
destino.
Il Resto del Carlino 3 gennaio 2008
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*La fine del denaro
Gentile dottore,
l’automazione, i computer, i robot quanto prima libereranno
l’umanità dal fardello del lavoro ed anche il denaro, ad esso
collegato, andrà in soffitta dopo millenni di baratti e secoli di
moneta.
Sarà la più rivoluzionaria delle rivoluzioni alla quale non siamo
assolutamente preparati, affezionati come siamo a quei simpatici
pezzi di carta, sporchi e stropicciati che sono i soldi. Li
desideriamo ardentemente, li conserviamo come reliquie nel
portafoglio, per averli facciamo qualsiasi cosa, anche lavorare come
matti per tutta la vita, per averne di più siamo disposti a tradire
un amico, a scavalcare un debole, ad ingannare un avversario.
Crediamo ciecamente che con il loro possesso si possa comperare
tutto ciò che si desidera: oltre a vestiti, auto, cibo ed oggetti
lussuosi anche il favore degli altri, l’onestà delle donne, la
giustizia degli uomini, la coscienza del prossimo.
Se non ne abbiamo la gente ci guarda con insofferenza e con
disprezzo, mentre se mostriamo di averne tanto tutti si dimostrano
amici.
Dimentichiamo che il denaro non ci permette di acquistare né la
salute, né l’amore, né la vera amicizia e neppure la serenità. Con
il loro possesso ci procuriamo soltanto l’invidia della gente,
l’unica cosa di cui faremmo volentieri a meno.
Il Mattino 4 febbraio 2008
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*La fine del lavoro
Gentile dottore,
attualmente il mondo è dominato dallo strapotere delle
multinazionali, i governi, anche degli Stati più importanti, sono
costretti all’ordinaria amministrazione, i popoli credono di vivere
in una democrazia e di essere arbitri del loro destino, viceversa,
contano poco più che nulla.
I capitali vagano senza patria alla ricerca della migliore rendita,
il lavoro si sposta lì dove la manodopera è più a buon mercato, le
merci si indirizzano solo e soltanto dove vi sono consumatori in
grado di acquistare, mentre una martellante ed onnipresente
pubblicità ci convince di sempre nuovi bisogni e ci invita a
consumare oltre ogni limite, distruggendo l’ambiente ed esaurendo le
risorse del pianeta.
In questo panorama non proprio rassicurante assistiamo impotenti
alla fine del lavoro sostituito dall’automazione, dai computer, dai
robot, mentre la disoccupazione raggiunge quote record in tutto il
mondo ed aumenta incessantemente, anno dopo anno, mese dopo mese,
giorno dopo giorno.
Quando a breve il lavoro sarà scomparso verrà meno anche l’uso del
denaro o quanto meno le merci ed i servizi non dovranno remunerare
certo il macchinario che le ha prodotte.
Le multinazionali saranno ancora più padrone della nostra esistenza,
perché possiederanno tutti i prodotti senza aver dovuto sborsare né
stipendi né salari.
Potranno tenerli per sé, novelli Paperon de Paperoni od elemosinarli
a coloro che si prostreranno al loro incontrastato dominio
planetario.
Non si tratta di fantascienza, ma di un semplice ritorno al passato,
la storia infatti ci insegna che numerose antiche civiltà non
conoscevano il lavoro, che veniva lasciato a moltitudini di schiavi,
mentre pochi privilegiati si dividevano tutte le ricchezze. Anche i
civilissimi…Stati Uniti d’America, patria delle multinazionali, fino
a pochi secoli fa, usufruivano di milioni di schiavi razziati da
tremendi negrieri e costretti a lavorare senza sosta in sterminate
piantagioni.
Cosa può fare un cittadino, uno di noi, una minuscola molecola nel
gigantesco villaggio globale, per cercare di opporsi all’attuarsi di
questo allucinante futuro, cercando di cambiare il nostro destino e
di trasformare la fine del lavoro in una circostanza positiva, nella
quale tutti i popoli possano avere un eguale accesso ai beni
prodotti e godere degli stessi diritti?
Ben poco, purtroppo, ma bisogna tentare, innanzitutto prendendo
coscienza della gravità della situazione, adoperando la spuntata
arma del voto, e soprattutto cercando di opporsi allo strapotere
della società dei consumi.
Il Tempo 22 dicembre 2007 – Il Mattino 21 febbraio 2008(col titolo
nel futuro c’è il passato)
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*Una proposta allettante
Gentile dottore,
mentre l’ infinita emergenza dei rifiuti in Campania prosegue
imperterrita, esaltata dai mass media e senza che le istituzioni
prendano veri provvedimenti per risolverla, vorrei portare
all’attenzione generale una potenziale soluzione, definitiva,
attuabile in tempi molto brevi e senza necessità di investimenti.
Basterebbe soltanto la buona volontà dei politici.
Poco prima dell’estate una società americana, Geoplasma, leader
mondiale nella gestione dei rifiuti, inviò un suo emissario a Napoli
che mi contattò, ritenendomi un esperto del settore, sull’onda di
una segnalazione del mio libro Monnezza viaggio nella spazzatura
campana (consultabile sul web) che era stato recensito sulle pagine
di alcuni quotidiani oltre oceano.
Mi pregarono di interessarmi a far conoscere una loro proposta
quanto mai allettante: realizzare in 18 mesi uno stabilimento per la
vaporizzazione dei rifiuti con un investimento da parte loro di
200 milioni di dollari, adoperando una tecnologia modernissima
basata su una torcia al plasma in grado di disintegrare
completamente qualsiasi sostanza.
Una possibilità straordinaria in grado non solo di risolvere
drasticamente il problema, ma di smaltire anche in breve tempo gli
enormi arretrati di una regione assediata da milioni di tonnellate
di rifiuti.
Ho inviato la proposta al ministero ed al commissariato, ma attendo
ancora un riscontro.
Spero che con l’aiuto dell’opinione pubblica si possa accelerare la
risposta da parte di chi ha la responsabilità della gestione del
problema che, dopo aver superato da tempo il livello di guardia,
sembra non abbia soluzione.
Il Riformista 4 gennaio 2008 – La Repubblica 6 gennaio 2008 – Il
Brigante (come articolo) dicembre 2007 – Il Mattino 19 gennaio 2008
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Napoli affonda si salvi chi può
Gentile dottore,
per giorni e giorni tutti i giornali del pianeta hanno dedicato la
prima pagina a Napoli che affoga sepolta dai rifiuti, ma nessuno si
è chiesto il perché di un’attenzione mediatica
ossessiva e tutto sommato fuori luogo. Ma la spiegazione è a livello
inconscio: Napoli è l’immagine premonitrice di un futuro quanto mai
vicino, quando, se non si frena una civiltà basata su un consumismo
sfrenato ed irrazionale, tutte le città del mondo saranno sommerse
dai rifiuti ed avvelenate dai gas emessi da automobili ed
inceneritori.
Napoli è il laboratorio dove si accavallano una serie di tematiche
che da tempo hanno raggiunto e superato il livello di guardia, ma
che interessano tutti i contemporanei: traffico, disoccupazione,
delinquenza organizzata, smaltimento dei rifiuti, abusivismo, ecc.
Gli Italiani sono stati alla finestra senza muovere un dito, anzi
rincarando la dose attraverso il disprezzo. Non si è voluto
affrontare il problema della delinquenza e questa è dilagata come un
cancro, aggredendo il tessuto sano, non si voluto contrastare il
business della falsificazione e tutta l’Europa è oramai invasa da
griffe fasulle e marchi contraffatti, non si fa niente per risolvere
alla radice il dramma dei rifiuti ed il miasma comincia a dilagare
lontano e lo spettro di una crisi generale comincia ad essere
un’ipotesi plausibile.
Le recenti puntate di Porta a Porta, protrattesi fino a notte fonda,
sono state lo specchio di una situazione insostenibile: da un lato
gli ospiti in studio, comodamente in poltrona, elegantemente vestiti
a discutere forbitamente, mentre le telecamere inquadravano
un’umanità lacera, abbandonata da tutti, che gridava disperata la
sua rabbia e le sue paure, respirando la puzza delle discariche ed
inalando la micidiale diossina.
Tutti quelli che si meravigliano che la città non sia ancora
precipitata nei gorghi del baratro inabissandosi, dimenticano che
rimane ancora miracolosamente a galla, aggrappata alla sviscerata
devozione dei suoi abitanti che l’amano perdutamente e per il
ricordo, mai sbiadito di millenni di cultura, civiltà e nobili
tradizioni.
Ma state attenti perché se dovesse veramente affondare creerà un
gigantesco risucchio e trascinerà con sé negli abissi tutto quello
che la circonda per larghissimo raggio e nessuno si salverà.
Il Riformista 15 gennaio 2008 – Il Mattino 27 gennaio 2008 –
Orizzonti nuovi (come articolo) 28 gennaio 2008
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Attenti a non smaltire la salute
La forza della verità
Gentile dottore,
chi racconta la verità non ha mai paura di quel che dice perché sa
di trovare il miglior ascoltatore nel cuore stesso dei suoi nemici.
Seguendo questa massima proviamo a riepilogare la questione dei
rischi collegati all’uso dell’inceneritore.
Ha fatto scalpore la dichiarazione pubblica di Umberto Veronesi, il
quale ha candidamente affermato che il ricorso agli inceneritori non
desta alcuna preoccupazione per la salute!
Conoscendo l’uomo, possiamo essere sicuri della sua buona fede,
avendolo ascoltato nella sua veste di oncologo pochi giorni fa ad un
convegno, possiamo confermare che non è ancora rimbambito, allora
come si spiega tanta sicurezza mentre la letteratura scientifica più
avvertita mette in guardia sui rischi rappresentati dalle nano
particelle, quelle sostanze che le normali apparecchiature non
riescono a dosare?
Queste microsostanze sono sospettate di essere agenti patogeni ben
più rischiosi di diossina e furani, le cui concentrazioni nel sangue
degli abitanti vicini agli impianti, sembrano al momento, per
inceneritori di ultima generazione, abbastanza rassicuranti.
Viceversa queste nano particelle, essendo di dimensioni simili ai
virus, se inalate, penetrano in circolo e possono dar luogo a
mutazioni genetiche.
Siamo stanchi di una campagna di stampa a senso unico tesa a
rassicurare i cittadini, non vogliamo più leggere quotidianamente
sulla più grande testata del sud, pseudo professori, privi di
qualunque autorità internazionale, che pontificano su una materia
della quale non hanno alcuna esperienza.
Siamo scandalizzati che un famoso professore austriaco venga
invitato in pompa magna a nostre spese dal rettore ad un dibattito
nell’aula magna dell’università, il quale beatifica l’incenerimento,
non accetta domande dal pubblico, dopo un giorno diventa consulente
della regione Campania (sempre a nostre spese) e pare sia legato
alle industrie che costruiscono i termovalorizzatori.
Siamo sconcertati che la raccolta differenziata, che produrrebbe
ricchezza e lavoro ancora non parta.
Siamo umiliati che l’emergenza rifiuti si aggravi giorno dopo giorno
senza che nessuno riesca a porre rimedio.
Il Napoli 26 gennaio 2008 – Il Brigante (come editoriale) gennaio
2008
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Provvedimenti urgenti per turismo e prodotti tipici campani
Gentile dottore,
la crisi dei rifiuti rimbalzata sui giornali di tutto il pianeta ha
provocato danni devastanti all’immagine di Napoli e della regione
con ripercussioni gravissime sul turismo e sui prodotti tipici da
esportazione dalla mozzarella ai pomodori.
Per cercare di porre rimedio è assolutamente necessario ed urgente
che lo Stato metta in atto dei provvedimenti agevolati: dalla
gratuità dei musei ad una abolizione delle tasse per alberghi,
ristoranti e negozi che offrano sostanziosi sconti per incoraggiare
i forestieri. Sarebbe auspicabile la creazione di buoni da spendere
nelle strutture campane.
E l’Europa la smetta di minacciare continuamente provvedimenti
restrittivi e pensi viceversa ad un piano internazionale di aiuti di
durata poliennale.
Solo così potrà partire un’inversione di tendenza e dopo aver
raggiunto il fondo lentamente risalire a galla.
Il Mattino – 23 marzo 2008 (col titolo Subito gli aiuti a musei e
alberghi) - L’Unità 9 febbraio 2008 – Il Napoli 12 febbraio 2008
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Legge sull' aborto troppo permissiva
Vorrei fare qualche considerazione sul problema aborto nella veste
di addetto al settore da oltre 35 anni e non nella comoda
retroguardia dalla quale pontificano politici, opinionisti, medici e
bioetici. La legge italiana è tra le più permissive del mondo e
prevede la possibilità dell' aborto in qualsiasi momento della
gestazione ove mai «siano accertate malformazioni del nascituro che
determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della
donna» (articolo 6). Ciò significa che l' interruzione in teoria
potrebbe essere attuata anche al nono mese di gestazione, ma in
questo caso il termine più adatto è, senza ombra di dubbio, quello
di infanticidio. Stabilire categoricamente un termine ultimo mi pare
assolutamente necessario, soprattutto alla luce degli sviluppi delle
tecniche di rianimazione, che permettono di tenere in vita un feto
di 22-23 settimane. Bisogna garantire una presenza paritaria nei
consultori di operatori laici e cattolici, affinché l' interruzione
non sia la scelta obbligata, garantendo fondi al movimento per la
vita e ai centri di assistenza che sconsigliano il ricorso all'
aborto. Le tecniche di interruzione farmacologica della gravidanza
sono una realtà attuata in tutto il mondo salvo in Italia e la 194
dovrebbe accogliere e codificare una metodica ben accetta dalle
donne.
La Repubblica N 15 febbraio 2008
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Di nuovo polemiche sull’aborto
L’irruzione della polizia al policlinico di Napoli mentre si
svolgeva un’interruzione di gravidanza alla 21° settimana (5mesi) e
la provocazione di Giuliano Ferrara che, in concomitanza
dell’approvazione da parte dell’Onu di una moratoria sulla pena di
morte, ha proposto una sosta di meditazione anche sull’aborto ed ha
predisposto delle liste per le prossime elezioni ha riacceso le
polemiche ed il dibattito sulla legge 194.
Giuliano Ferrara ha sottolineato l’assurdità di una battaglia a
difesa della vita di un pluriomicida pericoloso, mentre milioni di
innocenti, che hanno la sola colpa di essere non desiderati, vengono
eliminati ogni anno senza pietà. Come si può gridare che nessuno
tocchi Caino, mentre si persevera nel legalizzare l’eliminazione di
tanti Abele? Come si può continuare ad ignorare ed a tacere?
Il suo scontro televisivo con Pannella è stato memorabile: da un
lato il vecchio digiunatore dalla mente annebbiata, che farneticava
frasi senza senso e senza costrutto, dall’altro lo stringente
ragionamento di Ferrara dalla logica spietata, che chiedendo
provocatoriamente una moratoria sull’aborto, metteva in crisi il
falso moralismo dei laici e la penosa ipocrisia del pensiero
postkantiano.
Non bisogna aver paura di parlare e qualche considerazione voglio
farla anche io nella veste di addetto al settore da oltre 35 anni e
non nella comoda retroguardia dalla quale pontificano politici,
opinionisti, medici e bioetici.
La legge italiana è tra le più permissive del mondo e prevede la
possibilità dell’aborto in qualsiasi momento della gestazione ove
mai “siano accertate malformazioni del nascituro che determinino un
grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna” (art 6).
Ciò significa che l’interruzione in teoria potrebbe essere attuata
anche al nono mese di gestazione, ma in questo caso il termine più
adatto è, senza ombra di dubbio, quello di infanticidio. Stabilire
categoricamente un termine ultimo mi pare assolutamente necessario,
soprattutto alla luce degli sviluppi delle tecniche di rianimazione,
che permettono agevolmente di tenere in vita un feto di 22 - 23
settimane
Negli anni Settanta, quando fu varata la legge in Italia ed in molte
altre nazioni europee, il problema demografico era assillante,
mentre ora la crescita delle popolazioni occidentali è ampiamente
deficitaria per cui bisogna porre in atto con urgenza dei validi
correttivi, pena il tracollo della nostra civiltà nell’arco di 2 – 3
generazioni.
Bisogna garantire una presenza paritaria nei consultori di operatori
laici e cattolici, affinché l’interruzione non sia la scelta
obbligata, garantendo fondi al movimento per la vita ed ai centri di
assistenza che sconsigliano il ricorso all’aborto.
Le tecniche di interruzione farmacologica della gravidanza sono una
realtà attuata in tutto il mondo salvo in Italia e la 194 dovrebbe
accogliere e codificare una metodica ben accetta dalle donne.(fin
qua la lettera su La Repubblica)
E vorrei completare queste brevi considerazioni riportando il finale
del mio libro sull’argomento scritto nel 1978 all’indomani
dell’approvazione della legge 194: ”Lo sviluppo demografico
indiscriminato della popolazione mondiale rappresenta senz’altro il
più grosso pericolo che incombe oggi, come una spada di Damocle,
sull’umanità e ne pregiudica, se non risolto adeguatamente, ogni
possibilità di sviluppo futuro. La soluzione di questo problema,
oltre che nella buona volontà degli uomini è incentrato nella
diffusione capillare e nello sviluppo di tutte le metodiche
contraccettive attualmente conosciute e nello studio di nuove sempre
più semplici ed efficaci.
In attesa che tale auspicio venga realizzato esiste però il dramma
quotidiano dei singoli individui e delle nazioni, soprattutto del
terzo mondo, afflitte dalle disuguaglianze sociali, dalla povertà,
dall’ignoranza, dai tabù.
L’aborto rappresenta a volte la soluzione temporanea di molti di
questi problemi, ma rappresenta sempre il frutto di una decisione
sofferta ed a volte traumatizzate.
La scienza e la politica devono lavorare insieme per dare a tutte le
coppie la possibilità di programmare con serenità la propria vita
riproduttiva, così che, in un futuro speriamo prossimo, ogni bambino
che nascerà sarà stato desiderato ed atteso con amore e possa vivere
la sua vita con il rispetto e la dignità dovuti ad ogni essere
umano.
Quaderni radicali febbraio 2008 - La Repubblica 15 febbraio 2008
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Quel ginecologo sono io
In una lettera la signora Del Vecchio si chiede se io sia lo stesso
ginecologo con studio in via Manzoni che lei ricorda (forse per
essere stata una mia cliente). Sì, sono io, e non lo avevo certo
celato nell' incipit della mia lettera quando esordivo "Vorrei fare
qualche considerazione sul problema nella veste di addetto al
settore per oltre 35 anni e non nella comoda retroguardia dalla
quale pontificano politici, opinionisti, medici e bioetici". Il
diritto a esprimere la propria opinione è una facoltà che
infastidisce le persone intolleranti, latrici di una tesi contraria
e nonostante ciò ritengo che, per aver vissuto il problema in prima
linea, pagando sempre di persona, abbia titolo a rendere pubbliche
le mie considerazioni e le mie critiche a una legge che necessita di
opportune modifiche in alcuni passi, dove è in stridente contrasto
con la normativa internazionale e con il progresso farmacologico.
Naturalmente coerenza, obiettività e amore per la verità mi hanno
indotto a esprimere pubblicamente la mia opinione, ma soprattutto
l'assoluto rispetto per il dramma solitario di tante donne che ha
sempre contraddistinto la mia condotta professionale come potrebbero
testimoniare le mie pazienti.
La Repubblica N 22 febbraio 2008
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La più svettante palma di Napoli
Gentile dottore,
una malattia da alcuni anni sta decimando i palmizi, infatti, dopo
la Spagna, anche in Italia è entrato in vigore uno stato di allerta
permanente per via di un insetto che nuoce gravemente alle palme: si
tratta del Rhynchophorus ferrugineus, un curculionide chiamato
comunemente Punteruolo Rosso, il cui ciclo vitale si svolge in parte
all'interno di queste nobili piante.
Non è una novità che nel corso degli ultimi trent'anni molti
parassiti e fitofagi siano stati introdotti accidentalmente in
Italia a causa della leggerezza di vivaisti e rivenditori di piante,
che fanno sbarcare sul continente grosse quantità di esemplari
adulti, privi di adeguata certificazione fitosanitaria.
Le larve di curculionidi si trovano all'interno dell'apice
vegetativo delle palme, dentro il quale scavano gallerie e nidi,
rosicchiando il legno spesso in maniera udibile senza stetoscopio, e
una volta completamente sviluppate invadono letteralmente l'ambiente
circostante, contaminando altri esemplari.
Sembra che durante gli ultimi inverni, per via delle temperature
innaturalmente miti, la virulenza dell'attacco sia aumentata. Molte
regioni italiane a clima dolce, come Campania, Liguria, Puglia,
Sardegna, Sicilia, hanno infatti dato segnalazione di numerose
piante attaccate.
Esemplari storici, che da diversi decenni danno una precisa
connotazione a molte belle città italiane, potrebbero essere
completamente spazzati via. Anche in questo caso si assiste ad una
tragica ed irritante passività delle autorità che dovrebbero essere
competenti della materia. Per ora infatti non sono stati posti né
vincoli né controlli alle piante importate dall'estero, né vengono
presi, se non occasionalmente e a livello comunale, dei seri
provvedimenti per prevenire un futuro disastro.
Purtroppo la lotta è molto difficile, e se l'individuo contaminato è
adulto, pare non ci sia al momento altro rimedio che estirparlo e
bruciarlo il più presto possibile. In esemplari giovani è stato
tentato un trattamento d'urto, irrorando la corona foliare dall'alto
e avvolgendo la pianta in un grande telo di plastica, un gigantesco
preservativo, a mo' di camera a gas, ma risulta evidente che questo
tipo di azione è difficile da adottare su esemplari già cresciuti.
Inoltre sarebbe raccomandabile evitare la potatura delle palme,
poiché il Punteruolo si infila all'interno delle piante attraverso i
tagli. Tra l'altro la potatura in sé per sé non sarebbe affatto
necessaria, anche se viene abitualmente eseguita a scopi estetici
(spesso con risultati che di estetico non hanno nulla), o per
questioni logistiche, di passaggio o di viabilità.
Bando alla tristezza perché ora vogliamo parlare di un gigantesco
esemplare di palma, il più alto di Napoli, che pochi conoscono
essendo situato, non nell’Orto botanico, né nella Villa comunale,
bensì nel segreto di un parco privato posto sul crinale della
collina del Vomero, tra il corso Vittorio Emanuele e San Martino.
Gli esperti ritengono che le palme più alte della città siano quelle
che svettano quiete da oltre quattrocento anni nel cortile del
monastero di S. Andrea delle Dame, dove oggi si trova la cattedra di
oculistica del vecchio policlinico, ma la palma… di palma più alta
da oggi deve passare (misurare per credere) all’esemplare sito
all’altezza del numero civico n 167 della storica strada, che noi
amiamo chiamare tangenziale di Ferdinando II, in onore del sovrano
che la costruì e non di quello che ne usurpò il merito, in un
lussureggiante giardino che insiste sulla palazzina n.7 di Parco
Eva.
Il fusto sembra voler raggiungere con le sue fronde più alte la
collina sovrastante e datele qualche altro secolo di tempo e potete
essere sicuri che vi arriverà.
Il Giornale di Napoli 20 febbraio 2008
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*Tacchi a spillo: orgasmo assicurato
Gentile dottore,
tra le maggiori boiate pubblicate nei giorni scorsi dalla stampa
internazionale vi è senza dubbio l’asserzione, priva di alcuna
validità scientifica, che adoperando i tacchi a spillo si
influenzerebbero i muscoli pelvici, i quali sarebbero poi in grado,
al momento opportuno, di entrare in azione producendo un intenso e
prolungato piacere sessuale.
La notizia, per quanto pubblicata su una rivista scientifica e
rimbalzata poi sulle pagine del Sunday Times e da lì sui maggiori
quotidiani europei, ha un solo merito: aver richiamato l’attenzione
delle donne sull’importanza di un gruppo di muscoli, che, se
correttamente esercitato, può incidere favorevolmente sulla capacità
di raggiungere l’orgasmo.
La studiosa dell’università di Verona, autrice dell’originale
ricerca, dice di aver misurato l’attività elettrica della pelvi a
secondo dell’inclinazione assunta dai piedi e di aver riscontrato
nel gruppo di volontarie, che adoperavano un tacco di 7 centimetri,
una riduzione del 15% dell’attività muscolare.
Un effetto diametralmente opposto a quello che gli esercizi
consigliati dai sessuologi cercano di ottenere: un aumento della
capacità contrattile!
Purtroppo non esistono facili scorciatoie e per ottenere un valido
risultato le donne debbono dedicare con pazienza del tempo a
compiere una serie di noiosi quanto efficaci esercizi, dopo aver
identificato il muscolo regista nell’innesco dell’orgasmo: il
pubococcigeo.
La donna impara a riconoscerlo chiudendo gli occhi mentre urina ed
interrompendo all’improvviso il getto, adoperando proprio il muscolo
che dovrà esercitare.
Dovrà poi eseguire esercizi di contrazione e rilasciamento per circa
un mese, occupando non più di 10 - 15 minuti in due sedute
quotidiane.
Alla fine i risultati saranno clamorosi, mentre sono del tutto
superflui decine di chilometri di marcia con tacchi vertiginosi,
utili forse unicamente per procacciarsi, con un’andatura da femmina
fatale una preda da ghermire e da coinvolgere nei ludi amorosi.
Pianeta donna 25 febbraio 2008
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Portare i rifiuti nel deserto libico
Finalmente De Gennaro ha capito, dopo aver sprecato metà del tempo a
disposizione, che non vi è al momento altra soluzione che portare i
rifiuti verso gli inceneritori svizzeri e tedeschi che la bramano,
meglio ancora – se si organizza il trasporto via mare – verso il
deserto libico in grado in 30 – 40 anni di assorbire tutto e di
creare le basi per nuovo petrolio. Sono purtroppo soluzioni sgradite
a politici e industriali che vogliono lucrare sull’immenso affare.
Il Mattino 2 marzo 2008
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Sircana non lo meritavamo
Gentile direttore,
mentre D’Alema capolista difende con foga ciceroniana l’operato di
Bassolino davanti alla stampa estera, l’infaticabile Veltroni
prosegue indefesso nella sua lodevole ansia di rinnovamento e di
proposta di volti nuovi e puliti nelle liste…, siamo infatti tutti
stanchi di facce patibolari.
La dimostrazione più lampante è la collocazione tra i primi posti in
Campania, cioè elezione sicura, di Sircana già portavoce di Prodi,
già implicato nello scandalo delle foto che lo ritraevano
mercanteggiare sul prezzo con procaci travestiti per un’ora di sesso
proibito. La foto rimase a lungo segreta, poi finì sulle pagine dei
quotidiani e addirittura fu oggetto di un’opera d’arte presentata
alla discussa mostra sull’omosessualità Vade retro.
Napoli non merita di essere rappresentata in Parlamento da questi
personaggi, ma Veltroni, non potendo candidare Luxuria, passata (o
passato?) con l’ultra sinistra, ha voluto propinarci un raffinato
cultore dai gusti particolari, gli elettori debbono essergli grati e
ricordarsene al momento del voto.
Il Napoli 6 marzo 2008
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Un film bello e onesto da proiettare a scuola
Finalmente nelle sale, dopo la menzione speciale al Film festival di
Torino, Biutiful cauntri inchioda per 73 minuti alla sedia lo
spettatore bombardandolo con un fiume di immagini incredibili, che
purtroppo sono vere e di una tristezza infinita. Dopo la proiezione
molti escono con le lacrime agli occhi e con una gran rabbia in
corpo contro i politici corrotti, la camorra onnipotente ed i poteri
forti, una miscela puteolente che ha ridotto la Campania ad una
discarica infinita afflitta da 6 milioni di tonnellate tra ecoballe
e spazzatura nelle strade, oltre alla bomba ecologica di 1200
discariche abusive dove è stato scaricato di tutto inclusi i rifiuti
nucleari.
Le immagini che scorrono impietose non fanno dormire la notte e ci
restituiscono un’umanità di contadini e di pastori ridotti a livello
di bestie bastonate ed umiliate, mentre miriadi di pecore ammalate
vanno incontro allo sterminio ed i prodotti agricoli sono avvelenati
dalla diossina.
Purtroppo del film sono state approntate solo 20 pellicole ed a
Napoli, capitale della monnezza, lo si può vedere solo in una sala
minore di un cinema secondario.
Uno scandalo che grida vendetta e che mortifica il lavoro dei
giovani registi Esmeralda Calabria, Andrea D’Ambrosio e Peppe
Ruggero.
Il film dovrebbe essere proiettato in tutte le scuole per scuotere
un’opinione pubblica che ancora non si è resa conto delle dimensioni
del dramma vissuto dalle popolazioni campane, paragonabile per
impatto ambientale al disastro di Chernobyl.
Nell’attesa, certamente vana, che le istituzioni recepiscano questa
istanza, sarebbe auspicabile contare sulla sensibilità dei presidi
che possono rivolgersi alla produzione disposta, senza compenso, a
che il film venga posto all’attenzione delle nuove generazioni.
Il Mattino 31 marzo 2008
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L’oscuro tabù della morte
Non amiamo parlare della morte, ci infastidisce solo il pensiero, ci
comportiamo come se si trattasse di un argomento che non ci
riguarda, siamo così impegnati a lavorare, ad occupare ogni istante
di tempo libero, a divertirci, a viaggiare, sempre di fretta, senza
un momento di sosta per meditare sull’epilogo della nostra vita.
Oggi più di ieri temiamo la morte, l’ultimo tabù che ci è rimasto
dopo aver distrutto tutti gli altri, dal sesso all’amor patrio, che
ci attanagliavano da tempi lontani.
La nostra società, profondamente secolarizzata, vuole allontanare
l’idea della fine della nostra vita terrena, perché è un pensiero
che ci induce ad esacerbanti esercitazioni metafisiche sul motivo
della nostra esistenza, sul nostro destino, su Dio.
Oggi nelle grandi città si muore in assoluta solitudine, in punta di
piedi, per non turbare il frenetico girotondo di chi rimane; negli
stessi ospedali i morituri vengono ghettizzati in reparti di pseudo
rianimazione o per malati terminali. Non sono in condizione più di
dominare o quanto meno controllare le tremende emozioni che
accompagnano il momento del trapasso. Pochi, anche i parenti più
stretti dedicano loro soltanto qualche visita frettolosa, perché
nessuno è più in grado di sussurrare quelle dolci parole di cui
hanno bisogno, nessuno sa più stringere quelle mani tremanti per
infondere coraggio e rassegnazione.
Soltanto in qualche sperduto paesello, dove si conservano ancora
dialetto e forti legami sociali, la morte viene onorata, recitata,
rappresentata come un grande dramma collettivo al quale tutti
partecipano, facendosi depositari della memoria del defunto. Un
cerimoniale commosso e corale inimmaginabile nelle affollate città
dove disperdiamo tutto e non abbiamo tempo né per la memoria né per
il dolore.
Nel medio evo la morte era viceversa accompagnata da un grandioso
apparato rituale, nel quale i sentimenti venivano incanalati e
sublimati.
L’uomo moriva davanti a tutti, se ricco oltre ai parenti si
raccoglievano attorno al letto i servi e gli abituali frequentatori
della casa, se povero erano presenti moglie e figli anche se
bambini, i quali spesso in coro recitavano candide preghiere.
Negli ultimi istanti una sensazione miracolosa dava al moribondo la
forza di dare l’addio, chiedere e concedere il perdono, dispensare
consigli ai più giovani che venivano accolti con un’autorevolezza
fino ad allora sconosciuta.
Il suo corpo non si allontanava molto dalla casa, trovando
ospitalità nelle chiese o in luoghi posti dentro le mura urbane. Poi
leggi severe hanno collocato i cimiteri lontano dalle città e noi da
allora li visitiamo raramente, come rifiutiamo quei cerimoniali
pomposi impregnati di esequie, di lutto, di estremo cordoglio, di
orpelli funerari.
Ora che abbiamo abbandonato questi antichi rituali protettivi e
consolatori la morte ci devasta maggiormente, facendo scempio delle
nostre certezze, che ci illudevamo fossero incrollabili. La
scomparsa di una persona cara, con la quale abbiamo vissuto a lungo
condividendo gioie e dolori, ci sconvolge, lacerando per sempre la
nostra esistenza e strappandoci la gioia di vivere. Essa continua a
vivere soltanto nel nostro ricordo dove vi è spazio per
un’immortalità surrogata.
Per il credente la morte è un fardello più tollerabile, mentre per
il laico rappresenta un angosciante salto nel buio.
Nulla si crea e nulla si distrugge” è uno dei paradigmi della
scienza ed anche il nostro corpo dopo la morte, disintegrandosi,
ritorna nella terra e restituisce le sostanze della sua materialità.
Ma i nostri pensieri, i dolori, le speranze, la felicità, gli
smarrimenti, le malinconie, i ricordi, i desideri, gli affetti, non
vogliamo dire la nostra anima, dove finiscono? Se nulla si
distrugge, se la nostra misera carcassa continua ad esistere
trasformandosi, perché ciò che a noi continua a sembrare immateriale
dovrebbe scomparire.
Il Napoli 7 aprile 2008
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Napoli e il tallone d’Achille
La settimana scorsa sono stato a Genova per due giorni, invitato da
alcuni Rotary, per illustrare la figura di Achille Lauro e
presentare il mio libro sul Comandante. L’accoglienza e
l’attenzione dedicata da giornali e televisioni alle due serate ha
superato ogni più rosea previsione, ma la conseguenza più importante
è stata la decisione da parte di alcuni consiglieri comunali
presenti al dibattito di proporre all’assemblea di dedicare a Lauro
una piazza di Genova e martedì, puntualmente, l’idea è stata
ufficializzata.
Come napoletani dovremmo inorgoglirci, ma nello stesso tempo
vergognarci, perché non siamo riusciti in tanti anni a sdoganare un
personaggio di tale spessore, al di là della sua veste politica, da
meritare non una strada, bensì una delle piazze principali di Napoli
da lui tanto amata.
Egli non è stato solo il sindaco plebiscitario della città, ma anche
l’armatore più grande di tutti i tempi, il presidente del Napoli, il
fondatore della prima televisione privata italiana.
A Napoli esiste via Jan Palach e via Kagoscima, vico Fico e vico
Scassacocchi, vico dei Chiavettieri al Porto ed al Pendino, ma non
uno straccio di viuzzola dedicato a Lauro, vittima di falsità
storiche solo da poco tempo smascherate.
Se i genovesi dovessero precederci sarebbe uno scorno difficile da
tollerare, per cui rivolgiamo all’amministrazione il perentorio
invito a rispolverare antiche proposte ed alla stampa di aprire un
pubblico dibattito.
Il Napoli 10 aprile 2008
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Benedetto Porcellum, che dio lo abbia in gloria
Gentile dottore, abbiamo tanto blaterato di legge elettorale
imperfetta, invece, grazie ai porcellum, abbiamo assistito
finalmente all'entrata dell'Italia nell’Europa, con la cancellazione
di un partito comunista al di fuori della economia moderna e della
storia. È la fine di un'utopia, la sconfitta per gran parte del
mondo intellettuale che sognava impossibili palingenesi
rivoluzionarie e il trionfo del Bene sul Male. L'estinzione dei
nanetti ha semplificato la definizione degli schieramenti e
permetterà la governabilità. Bisogna convincersi che fuori dei
grossi raggruppamenti non vi è alcuna possibilità di esistenza. La
lettura accurata del risultato non deve trarre in inganno, non vi è
stato un trionfo della Lega Nord o del partito di Di Pietro,
unicamente i cittadini hanno capito che votando per loro non
avrebbero sprecato la loro scelta, perché il voto andava alla
coalizione che li ospitava; si è trattato anche in questo caso di un
effetto delle regole del gioco, sparizione dei minori, illusorio
aumento dei suffragi per i partiti associati. Ora non resta che
governare e santificare il bistrattato Porcellum, che Dio lo abbia
in gloria.
Il Mattino 21 aprile 2008 (lo stesso giorno pubblicata un’altra
lettera)
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*“L’artista assassino l’ho affidato ad Attila”
Gentile dottor Gargano, ho letto la lettera sullo pseudo artista che
ha massacrato un cane, credendo di creare un’opera d’arte. Egli è
solo un gran figlio di migniotta e se verrà in Italia mi impegno a
denunciarlo penalmente e con lui gli organizzatori; soprattutto ho
parlato di lui ad Attila, il mio fedele rottweiler, lui sa già come
dovrà comportarsi.
Non è un programma pacifista, ma rende l’idea di quanto sia
obbrobriosa la pretesa “arte” di quel signore.
Il Mattino 21 aprile 2008 (lo stesso giorno pubblicata un’altra
lettera)
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Un decalogo contro la criminalità
Vorrei proporre un decalogo, un disperato S. O. S. per cercare di
salvare Napoli, da una delinquenza che da tempo ha travalicato i
livelli di guardia. Un’area del Paese detentrice di numerosi record,
dal traffico più caotico alla micro-criminalità più audace, dalla
disoccupazione più diffusa al racket più opprimente, dal disordine
edilizio più devastante alle densità abitative più alte delle
metropoli asiatiche ed inoltre una concentrazione di extra
comunitari per semaforo da guiness dei primati. E dove oggi si
combatte una battaglia decisiva per le sorti dell’intera nazione. Se
lo Stato perde a Napoli, un modello alternativo di illegalità si
diffonderà a macchia d’olio per tutto il Paese.
1) Rendere obbligatorio il mandato di cattura per una serie di reati
di grave allarme sociale: rapina, estorsione, stupro. Allungare per
questi reati i tempi di carcerazione preventiva e rendere esecutiva
la condanna dopo la sentenza di primo grado, in attesa degli altri
gradi del giudizio. (Eviteremmo i danni provocati dai magistrati
buonisti).
2) Predisporre, se necessario con l’aiuto dello Stato, una polizza
assicurativa anti racket, che preveda per i cittadini che denunciano
l’estorsione l’indennizzo totale dei danni provocati da eventuali
ritorsioni.(I commercianti l’aspettano da tempo).
3) Aumento definitivo degli organici delle forze dell’ordine in
proporzione alla concentrazione di reati, inclusa la polizia
municipale, con pattuglie specializzate. ( Non certo vigilesse top
model dalle chiome a coda di cavallo)
4) Impiego di corpi specializzati dell’Esercito, sia per operazioni
di appoggio alle forze dell’ordine, sia per la difesa degli
obiettivi sensibili, che attualmente impegnano una moltitudine di
carabinieri e poliziotti. (Soltanto per la difesa del consolato
americano sono impiegati, nei vari turni, centinaia di uomini)
5) Un utilizzo più incisivo dei servizi segreti, principalmente per
monitorare mafie straniere e delinquenza internazionale. (Sperando
che non devino).
6) Istituire delle taglie per i reati più raccapriccianti. (Esistono
in molti Stati, non solo nel Far West).
7) Incoraggiare con esenzioni fiscali i commercianti di un quartiere
che vogliano dotarsi di una polizia privata, ovviamente
autorizzata.(Per difendere la zona delle grandi griffe non ci vuole
grande impegno ma solo associazionismo.
8) Disseminare la città di telecamere. (Un occhio che controlli
eventuali reati in ogni angolo della città).
9) Cominciare a discutere seriamente sull’ipotesi di liberalizzare
la droga (Potrebbe eliminare tutti i reati collegati al
procacciamento del denaro necessario alla dose)
10) Indire al più presto un convegno internazionale per ascoltare le
opinioni di esperti che in altre città hanno affrontato
problematiche simili di ordine pubblico. (Non i soliti tromboni
intellettuali, che vogliono i cittadini in prima linea o i politici
che predicano contro la disoccupazione)
E soprattutto facciamo presto!!!
Il Mattino 10 maggio 2008, già pubblicato in passato da Il Golfo 15
luglio 2005 ed Il giornale di Napoli 10 luglio 2005
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** Italiani, ma di serie B
Gentile dottore, il futuro multietnico e multiculturale dell’Italia
si gioca su come sapremo assorbire i figli dell’immigrazione: i nati
qui da genitori stranieri o che si sono trasferiti da noi da
piccoli. Sono oltre 700.000, vanno a scuola o già lavorano, ma sono
cittadini di serie B, per il prevalere dello ius sanguinis sullo ius
soli. Sono i compagni di banco o di gioco dei nostri figli ed in
molti capoluoghi sono oramai un quarto della popolazione immigrata
ed una parte preponderante della frequentazione scolastica.
Sono giovani con aspettative simili a quelle dei loro coetanei
italiani, non vedono nel loro futuro lavori umili e faticosi come
per i loro genitori, hanno studiato e si aspettano di poter occupare
un posto nella società in linea con la loro preparazione.
Parlano più lingue e sanno muoversi tra più culture, delle quali
rispettano codici di comportamento diverso con pari dignità.
Rappresentano il modello ideale del giovane contemporaneo. Imparare
lingua ed abitudini nuove senza dimenticare le vecchie è la formula
vincente per creare un futuro migliore. Questi giovani possono
traghettarci con perizia verso un mercato del lavoro internazionale
dove il merito venga adeguatamente riconosciuto. In passato la legge
concedeva la cittadinanza italiana ai figli, nati in Italia, di
genitori stranieri, purché fossero residenti al compimento della
maggiore età; oggi, dal 1992, la norma è divenuta più severa e
prevede di aver vissuto nel nostro Paese senza interruzioni dalla
nascita fino a 18 anni con un permesso di soggiorno regolare. Se non
veniamo incontro alle esigenze di questi giovani, non solo sul piano
legislativo, ma anche pratico, rischiamo di andare incontro ai gravi
problemi sociali della Francia, che periodicamente vede scoppiare la
rivolta nelle diseredate periferie delle sue città o la tragedia
conosciuta dall’Inghilterra, dove micidiali attentati sono stati
organizzati non da emissari esteri, ma dai figli negletti della sua
antica immigrazione, stanchi di essere considerati figli di un dio
minore. In un momento politico delicato come quello che stiamo
attraversando, in cui la caccia al diverso pare sia divenuto lo
sport nazionale e deliri xenofobi sono declamati come salutari, ci
vuole l’impegno di tutti, non solo dei politici, affinché un
patrimonio di umanità così prezioso venga adeguatamente riconosciuto
ed aiutato ad integrarsi definitivamente nel nostro tessuto sociale.
Il Golfo (come articolo) 25 maggio 2008 - Il Mattino 8 giugno 2008
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“Ho invitato 100 amici in mezzo all’immondizia”
Ho seguito il consiglio del nostro amato governatore di invitare a
Napoli un amico, anzi, per fare le cose in grande, ne ho invitato 50
del Rotary di Bari ed ho organizzato per loro venerdì pomeriggio una
visita guidata alla mostra di Salvator Rosa che si tiene a
Capodimonte.
Giunti all’ingresso del parco ho pensato però che forse avevo
commesso uno sbaglio, perché i giardini somigliavano ad una
discarica con bottiglie e lattine dovunque, carte oleose
svolazzanti, mentre decine di squadre di calciatori si sfidavano
tormentando il manto erboso. Assenza completa di custodi e di
controllo, pure i due poliziotti della stazione mobile indifferenti
a ciò che accadeva, anche quando alcuni giovinastri per un gol
contestato si sono bastonati a sangue a due passi dalla biglietteria
del museo.
Il giorno dopo arrivavano 50 amici, sempre da me invitati, da Roma:
situazione ancora più drammatica con nuovi rifiuti che si
aggiungevano ai precedenti e dire che avevo assicurato i miei ospiti
che la spazzatura, almeno a Napoli, era scomparsa dalle strade….
Il Mattino 1° giugno 2008
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La ricchezza di tanti notai
La recente pubblicazione sul web dei redditi degli Italiani ha
confermato un dato da tempo noto: i più ricchi sono i notai, i quali
guadagnano mediamente ogni anno circa 500.000 euro, una cifra
stratosferica che fa impallidire tanti capo famiglia, i quali
faticano ad arrivare alla fine del mese con mille euro.
Un privilegio ingiustificato da gridare vendetta e che necessita in
tempi brevi di adeguati correttivi, il più semplice dei quali
potrebbe essere di allargare ampiamente il numero dei notai, già dal
prossimo concorso e di trasferire agli avvocati talune pratiche che
attualmente costituiscono un terreno di caccia privilegiato e
protetto.
Bisogna adeguarsi alla situazione di altri paesi europei, dove la
figura notarile, per quanto prestigiosa, non riveste come in Italia
un’investitura di sapore feudale non più al passo con i tempi. Lo
Stato se vuole continuare a delegare a funzionari privati gran parte
dei compiti che dovrebbe esercitare in prima persona, almeno
pretenda che il numero dei componenti di questa potentissima casta
aumenti ed accolga tanti giovani preparati che hanno una sola colpa
di essere i negletti figli di un Dio minore.
Gian Filippo della Ragione
Il Mattino 2 giugno 2008
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Napoli brucia
Da alcuni giorni Napoli brucia senza sosta a tutte le ore, bruciano
in cento luoghi i cumuli di spazzatura, ai quali cittadini
inferociti appiccano le fiamme innalzando roghi sacrificali
generatori di micidiale diossina, ardono i campi rom, situati nella
disperata periferia cittadina, ad opera di criminali applauditi da
una folla divenuta intollerante e xenofoba, bruciano “e cervelle” a
tutti i napoletani che, stretti tra rifiuti ubiquitari, criminalità
diffusa, traffico impazzito e disoccupazione da record, vedono la
loro città abbandonata ad un destino atroce, ma soprattutto va in
fumo definitivamente una grande e gloriosa capitale dopo 2500 anni
di storia invidiata, che non ha conosciuto né il Ghetto, né
l’Inquisizione, costretta ad un’esistenza da quarto mondo senza
speranza di riscatto o di redenzione.
Il fuoco ha sempre rappresentato un segno di purificazione e di
rigenerazione, dalla Bibbia alle antiche vestali romane, ma le
fiamme napoletane sono quelle dell’inferno dantesco, simbolo di un
castigo divino al quale non ci si può opporre, producono solo cenere
e distruzione. La furia devastatrice che si sta scatenando in questi
giorni è sintomo di un malessere che ha colpito il cuore pulsante e
la stessa anima tollerante della città.
Gli zingari non sono i soli disperati che vivono ai margini della
società, vi sono moltitudini di accattoni, di senza casa accampati
all’addiaccio, di sbandati che vivono alla giornata, di disoccupati
costretti ad una minacciosa quanto sterile protesta.
Attenti che non venga in mente a qualcuno che si possa risolvere
questo ed altri problemi scatenando un gigantesco falò.
Il Golfo 2 giugno 2008
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**Perché ci ostiniamo a chiamarli clandestini?
Si fa un gran parlare di aborti clandestini, ma perché non proviamo
a farli divenire e chiamarli privati? Una donna per
un’appendicectomia è libera di scegliere il medico ed il luogo di
cura, per un’interruzione di gravidanza è costretta invece a
servirsi di strutture pubbliche, delle quali può non avere piena
fiducia; è il risultato della legge 194, nata trenta anni fa
dall’ipocrita compromesso tra democrazia cristiana e comunisti.
All’estero è completamente diverso, la paziente può rivolgersi
all’ospedale o scegliere un ginecologo in una clinica privata
autorizzata. Certo bisogna cambiare la legge, che attualmente
obbliga a rivolgersi unicamente verso gli ospedali ed operare i
dovuti controlli per evitare abusi.
E smettiamola anche di evocare lo spettro delle mammane e delle
donne rovinate dall’aborto. Le mammane non lavorano più da decenni
ed il famigerato laccio è andato definitivamente in pensione. Oggi
se una paziente sceglie un medico privato è perché sa molto bene che
gli specialisti che si dedicano a questa attività sono molto più
abili dei colleghi ospedalieri, adoperano il metodo Karman
(aspirazione) molto meno cruento della metodica chirurgica
tradizionale e soprattutto permettono di evitare le defatiganti
attese, gli interrogatori imbarazzanti, gli interminabili e spesso
inutili accertamenti, la promiscuità delle corsie, l’ansia di una
decisione sempre dolorosa e traumatizzante, che spetta solo alla
donna dopo aver interrogato la sua coscienza.
In Italia la legge prevede che le cliniche private possano chiedere
l’autorizzazione a praticare l’interruzione di gravidanza ed
addirittura il convenzionamento con l’Asl, ma questa richiesta solo
eccezionalmente viene accolta, per cui un ginecologo che volesse
seguire una sua paziente, in cura da anni ed alla quale ha preso i
parti precedenti, deve invece abbandonarla a colleghi, quasi sempre
giovani e che spesso si dedicano all’interruzione per trovare un
primo lavoro, pronti a divenire obiettori appena ottenuto un
contratto a tempo indeterminato.
Presso le Asl in tutta Italia dormono decine di domande di
autorizzazione ed i politici debbono decidersi ad affrontare il
problema, che da tempo attende una soluzione rispettosa delle
richieste di tante cliniche qualificate, che vogliono mettersi al
servizio della legge e delle donne.
Dimenticavo le pazienti che oggi ricorrono ad un medico privato
pagano una cifra in linea con i prezzi delle prestazioni
sanitarie,500 – 600 euro e fanno risparmiare allo Stato circa 2000
euro, dobbiamo esserle grate.
Il Golfo 2 giugno 2008 (come articolo)
^^-- indice --^^
*Diciamo la verità su Achille della Ragione
Doverose precisazioni
Sono la moglie di Achille della Ragione, detenuto da alcuni giorni
nel carcere di Poggioreale con l' accusa di associazione a
delinquere, finalizzata alla violazione della legge 194. Il motivo
della mia dichiarazione scaturisce dalla numerose imprecisioni
riportate dai giornali in questi ultimi giorni che hanno infangato
il nome di una persona, a causa della divulgazione di notizie
imprecise ed incomplete. Vorrei soffermarmi sui seguenti aspetti
direttamente legati all' inchiesta per poi fare qualche osservazione
di carattere personale. Sulla base di un' intercettazione
telefonica, mio marito è accusato di essere il "procacciatore" di
pazienti per il ginecologo dottor Luigi Langella. Tengo a precisare
che mio marito era convinto che il dottor Langella, direttore del
centro I.v.g. (interruzione volontaria di gravidanza) dell' ospedale
San Paolo di Napoli, lavorasse in regime "intramoenia" e che quindi
era legittimato ad effettuare tali interventi nell' assoluto
rispetto della normativa vigente. Relativamente al contenuto dell'
unica intercettazione agli atti, non è emersa "la sostanza" e cioè
che la paziente, presuntamente indirizzata da mio marito a Langella,
non ha effettuato l' aborto. Lo strumento innovativo realizzato da
Achille della Ragione chiamato vaginometro, non è un dispositivo
legato all' aborto, come è stato ipotizzato, ma ha lo scopo di
aumentare l' esercizio della mobilità pelvica femminile. Le foto
sequestrate durante questa inchiesta erano già state sequestrate nel
lontano 1996 ed erano poi state restituite poiché ritenute di
esclusivo valore scientifico. Relativamente all' affermazione di un
pericolo di fuga attuale e concreto vorrei sottolineare che mio
marito non possiede un passaporto valido per l' espatrio. Non si è
mai preoccupato di rinnovarlo perché non aveva e non ha nessun
intenzione di lasciare Napoli, sua città natale che ama più di ogni
altra cosa e che ha deciso di sostenere in ogni sua battaglia. I
suoi spostamenti a Barcellona sono dettati solo ed esclusivamente
dalla presenza della nostra primogenita che lavora e vive lì con la
sua famiglia. Abbiamo due nipoti a cui siamo molto legati. Invito
chiunque a trovare riscontri su una possibile relazione lavorativa
tra mio marito e un qualsiasi centro medico spagnolo che pratica
I.v.g. Vorrei inoltre far notare che mio marito riceveva molte
telefonate a scopo consultivo senza nessuna retribuzione non solo
nel settore ginecologico ma anche e soprattutto in molti altri
settori come pittura, storia dell' arte, letteratura e scacchi. Era
stato addirittura contattato da alcun studenti universitari per l'
elaborazione della loro tesi di laurea. Vi invito a consultare il
web per dare un riscontro alle mie dichiarazioni e per conoscere
meglio Achille della Ragione, un uomo che è da anni uno scrittore
(lo dimostrano i suoi numerosi scritti nei settori più disparati) e
un giornalista (più di 400 articoli negli ultimi due anni) e non più
un ginecologo, professione che ha ormai abbandonato da 14 anni.
Finisco con il sottolineare che il fermo a cui è sottoposto mio
marito aggrava le sue condizioni di salute. Tengo a precisare che si
tratta di un pluri-infartuato con numerose angioplastiche ed in
attesa di un intervento di bypass al cuore, programmato proprio in
questi giorni e posticipato perché al momento trattenuto nella casa
circondariale napoletana dove gli è stato tolto tutto, dalle foto
dei figli e dei nipoti finanche ad un innocente quaderno con penna,
che io all' ultimo momento avevo timidamente aggiunto al suo
bagaglio. Mi sembra che nemmeno a Silvio Pellico fu vietata la carta
e la penna, nonostante i tempi peggiori. Per fortuna la sua cella
ospita gente tranquilla, tutti giovani, mio marito è il più anziano
e gli hanno dato il posto di sotto nei letti a castello. Mi domando
se il suo cuore reggerà, perché oggi l' ho visto piangere. Ci siamo
promessi che ogni sera alle otto ci penseremo. Concludo
sottolineando l' ennesima violazione del segreto istruttorio dovuta
alla fuga di notizie che, dopo appena 120 minuti dall' arresto,
vedeva giornalisti e telecamere di tutt' Italia impiantati davanti
alla Caserma "Pastrengo" pronti a dare in pasto ai media notizie
avventate ed incomplete.
Elvira Brunetti
Corriere del Mezzogiorno 28 giugno 2008 - La Repubblica N 29 giugno
2008 – Il Roma 1 luglio 2008 – Il Mattino (ignora la lettera e ne
pubblica solo poche frasi nel contesto di un articolo)
Mi sia concesso di ringraziare pubblicamente mia moglie Elvira, non
solo per questa sua splendida lettera, ma per la sua costante
presenza al mio fianco da quasi quaranta anni, nella buona come
nella cattiva sorte, alle prime del San Carlo ed alle presentazioni
dei miei libri anche a Montecitorio, ma pure nel reparto di
rianimazione dell’ospedale Loreto Mare o nella squallida sala
colloqui della casa circondariale napoletana.
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**Il mio carcere è un girone infernale
«Scrivo dall' interno del carcere di Poggioreale, che sto
attraversando mio malgrado nei suoi gironi che neanche la fertile
fantasia di Dante avrebbe potuto immaginare»: dalla cella dove è
rinchiuso dal 25 giugno nell' ambito delle indagini sugli aborti
illegali, parla il ginecologo Achille Della Ragione. In una lunga
lettera, il medico (che per vicende analoghe è stato condannato in
appello a dieci anni) non parla dell' inchiesta ma della sua
condizione di recluso. E racconta: «In base a un regolamento severo
oltre misura, mi sono stati sequestrati, a parte il pettine e
numerosi oggetti personali, alcuni libri e giornali con i quali
speravo di poter trascorrere qualche ora di distrazione, le foto di
mia moglie, dei miei figli e dei miei nipoti, che mi avrebbero dato
una ragione per sopravvivere, addirittura anche un quaderno bianco e
una penna perché non bisogna pensare, non bisogna scrivere, bisogna
diventare un automa e non più una persona». Della Ragione spiega di
essere «ospite del padiglione Avellino. Pare che rispetto agli altri
sia rose e fiori: un' ora d' aria due volte al giorno in un cortile
di 200-300 metri quadrati, circoscritto da mura infinite, per un
enorme numero di utenti. Le celle di 15-20 metri quadri ospitano,
con letti a castello, fino a dieci detenuti e in questi giorni hanno
temperature intollerabili e sono meta di nugoli di zanzare. La
latrina è contigua alla cucina dove la quasi totalità dei carcerati
si prepara i pasti acquistati con sacrificio allo spaccio. Anche
rimanere un buon cristiano è impossibile, perché si può seguire la
messa solo ogni 15 giorni». Il ginecologo, che in 4 ore di
interrogatorio ha respinto tutte le accuse e ricorda di essere «plurinfartuato
e in attesa di by-pass», argomenta: «Se può essere lecito anche se
doloroso togliere a un detenuto la sua libertà, è assolutamente
esecrabile privarlo della sua dignità di uomo; è un peccato che
grida vendetta davanti a Dio e che la legge deve mitigare». Quindi
si sofferma sulla quotidianità della detenzione: «I colloqui
settimanali sono un conforto molto importante, perché anche se per
una manciata di minuti si possono toccare la mani delle persone
care. Nonostante si debba affrontare una via crucis: dentro, con un'
attesa interminabile tutti stipati in camere di sicurezza stracolme,
mentre all' esterno i parenti fanno file massacranti, senza un
briciolo di pietà per bambini, malati e anziani». Il
sovraffollamento, scrive ancora Della Ragione, «è un fattore
gravissimo, che porta all' esasperazione. Pochi sono stati fortunati
come me, di trovare in cella tre giovanissimi: Emanuele, rapinatore,
Antonio, estorsore, Sasà, aspirante killer. Ragazzi spinti al
crimine dalla mancanza di lavoro, ma pronti a redimersi. Si sono
messi a mia disposizione come figli rispettosi, soccorrendomi di
notte quando mi sentivo male».
Il Roma 4 luglio 2008 – La Repubblica 4 luglio 2008
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*Elogio della badante
Mentre imperversa la furia xenofoba verso gli immigrati, più o meno
clandestini, un esercito silenzioso composto da due milioni di unità
permette all’Italia di poter continuare a camminare nel suo egoismo,
figlio della civiltà dei consumi.
Le donne ambiscono solo e soltanto ad un lavoro fuori casa e
scaricano sul personale domestico, quasi tutto straniero, incombenze
alle quali fino ad una generazione fa attendevano volentieri, la
gestione della casa, l’educazione della prole e, l’impegno più
gravoso, l’assistenza agli anziani.
L’arrivo di un fiume di badanti di razze e culture diverse è
accettato di buon grado dalle famiglie, è tollerato anche nei diktat
più scriteriati dei leghisti e può costituire un’occasione di
graduale cambiamento dei costumi.
Nei casi più gravi prestano la loro preziosa assistenza
costantemente a casa, ma spesso escono a fare quattro passi con la
persona a loro affidata e sono immagini di grande tenerezza:
premurose sono seduti assieme su di una panchina nei giardini
pubblici o aiutano amorevolmente a fare una brevissima passeggiata
mattutina, per convincere l’assistito di essere ancora vivo.
Il vecchio e la badante sembrano lontani anni luce, viceversa quasi
sempre si intendono con un semplice sguardo, sono entrambi molto
saggi, l’uno per l’esperienza accumulata negli anni, l’altro perché
vivere lontano da casa rende subito maturi.
Sono entrambi fragili come il vetro per i malanni e per la scarsa
tutela dei propri diritti. Sognano la famiglia lontana e soffrono di
un’inguaribile solitudine: lo straniero ha i suoi cari a migliaia di
chilometri, l’anziano ancora più distanti, anche se la figlia o la
nuora abitano a pochi isolati di distanza.
Tutte le piazze d’Italia dovrebbero dedicare un monumento alla
badante e gli artisti dovrebbe saper cogliere e trasferire sul marmo
o sul bronzo lo sguardo caritatevole di queste donne, cingalesi e
filippine, polacche ed ucraine. Possiamo immaginare una donna china
su un vecchio col sorriso sulle labbra.
Tutti dovremmo sostare a meditare, come non siamo da tempo più
abituati e possiamo essere certi che il monumento non attirerebbe lo
spray imbrattante del vandalo, che umilia le statue dei personaggi
celebri e dei padri della patria e farebbe tentennare la mano del
politico o del funzionario pronti a firmare una legge restrittiva o
un obbligo di rimpatrio.
La nostra Gazzetta (in ucraino) 10 luglio 2008
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Olimpiadi la rivincita delle donne e dei giovani
Le olimpiadi di Pechino stanno evidenziando un’Italia in grado di
tornare alla posizione che le spetta nelle classifiche
internazionali: ai primissimi posti.
Giovani dai nomi sconosciuti stanno facendo incetta di megaglie di
ogni metallo, dando una concreta dimostrazione che volontà,
sacrificio e serietà sono una miscela esplosiva in grado di
raggiungere qualsiasi risultato. Sono la faccia di un’Italia pulita,
leale, giovane, ansiosa di affrontare le difficoltà e risolverle.
Le donne in particolare sono in prima linea, a dimostrazione
lampante che l’emancipazione femminile da noi ha fatto passi da
gigante e non esistono più barriere ed obiettivi non raggiungibili
per il gentil sesso.
Almeno fino ad ora abbiamo visto in azione quasi esclusivamente
ragazzi e ragazze del nord, non certo per motivi antropologici, ma
unicamente perché nel sud sono carenti gli impianti sportivi e la
mentalità vincente.
Manca all’appello l’Italia multietnica del futuro, ma nei prossimi
giorni, ne siamo certi, ci daranno grandi soddisfazioni anche i
nuovi Italiani, figli delle immigrazioni che hanno fatto della
nostra Patria la loro Patria.
Speriamo che tanta volontà di potenza sappia tracimare nella vita di
ogni giorno e tanti giovani prendano esempio dagli atleti impegnati
a difendere i nostri colori nei giochi e vogliano impegnarsi nelle
loro attività: studio o lavoro, con la stessa grinta.
Se nel computo dei risultati ci lasciamo dietro la Russia con i
suoi 200 milioni di abitanti e non siamo eccessivamente distanti
dagli stratosferici Stati Uniti significherà pur qualcosa:
probabilmente che non siamo infiacchiti e decadenti come vogliono
convincerci i nostri interessati interlocutori.
Coraggio, la ripresa italiana, nata sui campi sportivi, farà da
catalizzatore ad un nuovo Rinascimento.
Basta crederci.
Il Roma 17 agosto 2008
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*L’amore al tempo della galera
Avrei voluto intitolare questo capitolo Il sesso nelle carceri poi
sono stato attirato da questo titolo di derivazione cinematografica
e ho deciso di adottarlo per discutere di quello che, a parere dei
detenuti, quasi tutti molto giovani, è la privazione più grave:
l’impossibilità di continuare a praticare una dignitosa affettività
con le persone care, anche loro condannate, senza alcuna colpa, alla
stessa pena e non vogliamo parlare solo di sesso negato, ma anche
dell’impossibilità di continuare ad intrattenere un decente, anche
se discontinuo rapporto, con i propri figli in tenera età, che sono
sottratti per lunghi periodi da qualsiasi contatto col genitore.
Si tratta di un tema scottante, tale da suscitare imbarazzo e
perplessità anche solo a parlarne, ma alcune nazioni, Svizzera,
Spagna, Svezia lo hanno affrontato con coraggio ed hanno trovato
delle soluzioni dalle quali prendere esempio.
L’argomento è talmente audace che si è voluto creare un termine
ambiguo: affettività per aggirare la terminologia più esplicita di
sesso, che potrebbe mettere subito in fuga moralisti e benpensanti.
Tutti riconosciamo che l’essere umano ha bisogno di affetto, tanto
più quando viene a trovarsi in situazioni di disagio e senza dubbio
la restrizione della libertà è una delle condizioni più penose da
sopportare.
Nella repressione degli affetti si verificano gravi deviazioni,
comprese quelle sessuali. A questo proposito lapidario è il pensiero
di Friedrich Nietzsche: "È noto che la fantasia sessuale viene
moderata, anzi quasi repressa, dalla regolarità dei rapporti
sessuali, e che al contrario diventa sfrenata e dissoluta per la
continenza e il disordine dei rapporti." (Umano, troppo umano, I, n.
141).
Allora la soluzione va cercata in una politica illuminata che,
nell’esecuzione della pena, privilegi sin dall’inizio, se non è
possibile l’uscita dal carcere, almeno l’incontro periodico coi
propri cari e non il distacco netto e la drastica separazione, causa
di infiniti problemi esistenziali, di relazione e interpersonali.
Nell’interno del carcere è opportuno creare degli ambienti, che pur
rispondendo a tutti i requisiti di sicurezza, offrano al recluso ed
ai suoi familiari dei momenti di intimità. Se un detenuto riesce a
mantenere una rete solida di rapporti affettivi, oltre a tollerare
di buon grado la pena da scontare, corre molti meno rischi di
tornare a commettere reati, inoltre conserva un comportamento
corretto, quando queste occasioni di incontri ravvicinati… sono
subordinati ad un condotta assolutamente irreprensibile.
Prima di considerare gli incontri intimi bisogna valutare tutta una
gamma di possibilità intermedie, che vanno dai colloqui
gastronomici, la possibilità di consumare un pasto con parenti ed
amici, alla facoltà per i familiari di partecipare a giornate
particolari come il Natale o la Pasqua ed infine, molto importanti,
gli incontri con i propri figli in tenera età, in ambienti opportuni
e, se richiesta, con l’assistenza di psicologi ed operatori sociali.
Le sorprendenti scoperte di Reich ha dimostrato in maniera
inequivocabile quanto la repressione sessuale generi violenza e come
le istituzioni tendano a canalizzare l’esplosione di queste pulsioni
primitive per utilizzarle nei conflitti bellici.
La violenza che si produce nelle carceri, impedendo anche solo la
parvenza di un’attività sessuale, non giova a nessuno, certamente
non alla società che si trova a ricevere individui incattiviti, nei
quali cova l’odio e la vendetta, invece che la volontà di
reinserimento.
La storia del carcere è lunga quanto quella dell’uomo, ma le
segregazioni nell’antichità (Roma docet) e nel medio evo ripugnano
la sensibilità moderna per le atrocità ed il costante utilizzo della
tortura, per cui un’analisi storica sulla nascita dei sistemi
penitenziari bisogna farla risalire alla nascita della società
industriale ed all’accentuazione dell’esercizio del potere dello
Stato, in momenti dominati dalla cultura religiosa, che ha sempre
dato al sesso una valenza particolare di demonizzazione.
Pensiamo alle Lettere di San Paolo ai Padri della chiesa, ad
Origene, a San Girolamo, a Sant’Agostino, fino ad Alberto Magno e
San Tommaso d’Aquino. Di conseguenza una soluzione al problema
"affettività", intesa in particolare nella sua dimensione sessuale,
deve cominciare necessariamente attraverso una critica storico
culturale puntuale e puntigliosa. Dobbiamo ripercorrere e
rivisitare tutta la nostra tradizione culturale sull’argomento,
ereditata in duemila anni di storia dell’Occidente, che ha
accompagnato ed influito sul concetto del sesso e del piacere in
generale, vissuto costantemente come peccato, male necessario solo
per la procreazione ed a salvaguardia della specie.
La cattolicissima Spagna o la democratica Svizzera da tempo
consentono i "colloqui intimi" ed hanno ottenuto ottimi risultati.
In Italia per evitare che qualcuno confonda le "stanze
dell’affettività" con le "celle a luci rosse" è necessaria un
rivoluzione culturale. La pena è privazione della libertà, ma non
deve significare anche distruzione degli affetti ed annullamento
completo di una normale vita sessuale.
Naturalmente non bisogna considerare unicamente le esigenze di
affettività degli uomini sposati o conviventi, trascurando i
bisogni, impellenti ed improcrastinabili dei più giovani, che non
hanno legami fissi, ma in compenso hanno ormoni in ebollizione e
desideri difficile da placare. La masturbazione o l’omosessualità, i
rimedi ai quali sono obbligati non sono certo la soluzione del
problema.
Anche per loro bisogna predisporre un programma che tenga conto
delle loro esigenze.
In Italia il meretricio è legale e sarebbe eccessivamente licenzioso
pensare ad una cooperativa di prostitute che si convenzioni con le
istituzioni carcerarie?
Vi sarebbe spazio anche per volontarie, moderne suffraggette pronte
ad immolarsi per una giusta causa, eventualmente anche per fanciulle
poco attraenti, in virtù del fatto che molti detenuti a seguito
della lunga astinenza sarebbero pronti a tutto…
Naturalmente agli ammogliati sarebbe vietato accedere a questo
servizio
Naturalmente la prestazione sarebbe a spese del recluso
Naturalmente sarebbe un evento sporadico molto dilazionato nel
tempo.
Naturalmente potrebbero usufruirne solo quelli che osservano una
condotta corretta.
Naturalmente tutti, politici ed opinione pubblica devono impegnarsi
per risolvere lo spinoso problema.
Orizzonti Nuovi (come articolo) 31 agosto 2008
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Elogio dei mercatini
Da tempo ero interessato alla diatriba tra commercianti proprietari
di negozi e gestori di mercatini più o meno organizzati, i quali
negli ultimi tempi, segnati da una galoppante crisi economica, hanno
visto aumentare vertiginosamente la loro clientela.
Le accuse sono precise e circostanziate: merci scadenti, spesso
contraffatte, evasione fiscale, igiene ai limiti della decenza. A
fronte di queste contestazioni innegabile è la possibilità di avere
gli stessi prodotti a prezzi decisamente inferiori, una circostanza
non trascurabile, che permette a moltissime famiglie di continuare a
sopravvivere.
Fino ad ora la mia conoscenza del problema era basata sulla
sporadica frequentazione del “mercatino dei vip”, come suole essere
denominato il disordinato assembramento di bancarelle che ogni
giovedì mattina prende possesso dei vialoni di accesso del Parco
delle Rimembranze a Napoli, un gioiello di verde regalato alla città
da un celebre cavaliere, senza macchia e senza paura. Attenzione non
si tratta del rampante Berlusconi, ma del ben più carismatico
Mussolini.
In questo allegro bazar di sapore medio orientale, allietato dalle
stridule voci dei venditori, che rimembrano le antiche voci degli
ambulanti partenopei, si vende di tutto ad eccezione degli
alimentari, con la presunzione di inseguire le griffe alla moda
imitate in maniera prodigiosa e spacciate per vere.
Il mercatino è frequentato da una folla allegra e ciarliera nella
quale si distinguono le signore e signorine bene della città alla
ricerca spasmodica del capo di moda firmato, poco conta se apocrifo,
perpetuando con l’aiuto del falso l’antica abitudine di vestire
all’ultimo grido.
Sono naturalmente finte signore dalle labbra rifatte e dalle movenze
sguaiate, inconsapevoli protagoniste di un doloroso quanto
irrefrenabile epicedio: il malinconico tramonto di una classe
borghese che per secoli ha comandato ed oggi è sostituita da una
casta prepotente e camorristica, volgare e sfacciata.
Amare circostanze della vita mi hanno condotto in una città del
nord, dove in compagnia di Tania, un’affascinante fanciulla ucraina
grande appassionata di shopping economico, ho avuto modo di
frequentare numerosi mercatini, improvvisati da gente di colore o
efficacemente organizzati con in vendita ogni genere di mercanzia.
Ho avuto così modo di constatare l’estrema convenienza di alcuni
prodotti. Ho visto gli shampoo di primarie marche offerti ad un
euro, gli stessi in vendita, anche nei discount, ad una cifra 3 – 4
volte superiore. Camicette e magliette alla page, con impercettibili
errori di manifattura quasi regalate, senza parlare degli alimentari
e dei detersivi acquistabili da tutti.
Naturalmente questi prezzi stracciati, stupefacenti, sono dovuti
all’assenza di spese di fitto, tasse e gabelle varie, ma soprattutto
da una ridotta esosità da parte del venditore, che vuole vivere, non
arricchirsi.
Benedetti mercatini siete l’ultimo baluardo contro la
globalizzazione, un’isola felice lontana dall’egoismo e dalla
frenesia del guadagno.
Grazie a nome di tante famiglie che sarebbero altrimenti ridotte
alla fame.
La nostra Gazzetta (in ucraino come articolo) 23 ottobre 2008 pag. 18
– Il Mattino 25 ottobre 2008col titolo Elogio dei mercatini, tra le
poche alternative al caro vita) La Repubblica 18 settembre 2008 (col
titolo Quanto conviene il mercatino)
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*La squallida passerella delle vanità
Per rendersi conto della deriva umana e culturale della nostra
società e del clima da basso impero che oramai appesta non solo i
palazzi del potere, ma anche le sue squallide dependance costituite
dai salotti pseudo letterari, dai circoli esclusivi, dalle feste
alla page, dalle sussieguose presentazioni di libri del politico,
del giornalista, della diva attempata in fregola di scrittura, basta
frequentare per pochi giorni queste inutili manifestazioni di
ebbrezza folle e di vacuo trionfo di volti freschi di lampada,
labbra protrudenti e seni falsi sfacciatamente prorompenti.
L'estate è la stagione più propizia per questa instancabile tribù di
affamati di fama, che passano senza sosta da una cerimonia di
inaugurazione ad una cena di beneficenza, da un ballo nel locale in
ad una porchettata agreste, rituali intervallati da una sosta
pomeridiana nel caffè di grido, sempre in prima fila nella piazza di
Capalbio o di Cortina o nella celeberrima piazzetta di Capri.
Sono mescolati i personaggi più strampalati, che sgomitano lungo il
ripido e scivoloso percorso che conduce all'affermazione sociale.
Li riconosci senza problemi anche se non sei un lettore affezionato
di Stop, Vanity Fair o Novella 3000, né un patito di Dagospia, li
vedi l'uno a fianco dell'altro senza ritegno o ricordo di barriere
sociali e culturali. Sono costantemente alle prese con almeno due
telefonini e parlano nella stessa lingua e dello stesso argomento:
il gossip, una moderna trasposizione linguistica del pettegolezzo e
della maldicenza.
Un'umanità rumorosa ed instancabile che farebbe la gioia di un
antropologo che potesse studiarli e catalogarli: il politico
trombato, il nobile decaduto impenitente, il chirurgo plastico
arrapato, le ex bellissime rifatte, il broker rampante, i falsi
intellettuali in delirio di onnipotenza, gli aspiranti tronisti, i
ginecologi rattoppafiche, gli scrittori senza lettori, i palazzinari
voraci, i manager superammanigliati, i prelati presenzialisti, le
veline sguaiatamente spogliate, le pornodive in abiti castigati, i
millantatori dalla faccia di bronzo, i truffatori sfacciati, i
bancarottieri sulla cresta dell'onda, gli impresari del nulla, i
furbetti del quartierino di turno, i parrucchieri delle dive, i
preti vanitosi, le escort slave mozzafiato, il cocainomane dal volto
pallidissimo, il frequentatore di cerimonie, i vincitori del Grande
fratello e dell'Isola dei famosi.
Con l'autunno si ringalluzziscono e si ripropongono indefessi alle
presentazioni di libri, ai vernissage, alle sfilate di moda.
Scalpitano per avere accesso ai salotti politico mondani culturali,
dove obbediscono a defatiganti liturgie di iniziazione ed a ottusi
protocolli autoreferenziali. Conoscono alla perfezione la tecnica
del brindisi e l'assalto al buffet. Hanno la mascella volitiva ed il
morso temerario, la rapida deglutizione e, meraviglia delle
meraviglie, non mostrano la loro soddisfazione culinaria col rutto,
ma con mielosi complimenti alla padrona di casa; di rado sono
vittime di incidenti, il più comune il filo scivoloso della
mozzarella o lo spaghetto birichino che fanno capolino nell'abisso
di una scollatura.
Godono fino all'orgasmo nelle feste in maschera, nelle quali,
ridendo a crepapelle, si scatenano in balli di gruppo e frenetici
trenini. Conoscono un'aggiornata versione del baciamano, che
dispensano con eguale profusione a signore d'annata e boriosi
porporati.
La domenica pomeriggio hanno una sola ambizione: tifare
all'escandescenza ed abbandonarsi al turpiloquio nella tribuna
d'onore dello stadio olimpico.
Sono le vittime e nello stesso tempo gli artefici del declino della
nostra civiltà, della Caporetto dell'educazione e del buon senso,
abbacinati dal loro sogno di vanagloria ed affermazione che può
offrire una società pagana e votata all'autodistruzione.
Il Mattino 1 dicembre 2008(col titolo Il nulla nascosto dietro le
maschere della società opulenta)
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Immigrazione, sempre più gravosi i suoi costi sociali
Il vento della crisi economica planetaria comincia a divenire
impetuoso e dopo il crollo delle borse comincia a far sentire il suo
effetto deleterio con la perdita di milioni di posti di lavoro in
tutta Europa.
Davanti a questa tragedia dirompente, che spinge verso gli abissi
della povertà una parte sempre più cospicua della popolazione ben
poco potranno rimediare le misure varate dai vari governi. La
disoccupazione diverrà l'incubo non solo dei giovani in cerca di
prima occupazione, ma anche di tanti che, bene o male, riuscivano a
rimediare uno stipendio ed a portare avanti dignitosamente la
famiglia.
Di fronte allo scenario apocalittico che sta per aprirsi sul nostro
futuro diventa sempre più lecita ed accattivante la proposta,
dettata dall'egoismo, di chiudere drasticamente le frontiere o
almeno tentare seriamente di chiuderle. Sarebbe opportuno che al più
presto il Parlamento vari una norma che vieti ad un'azienda di
licenziare un lavoratore italiano se a coprire le stesse funzioni
rimangono lavoratori stranieri; allo scopo di evitare che qualche
padroncino voglia approfittare della crisi per conservarsi un
dipendente non sindacalizzato e liberarsi di un rompiscatole, che
vuole vedere riconosciuti i suoi diritti. Deve essere chiaro che gli
immigrati devono rappresentare una risorsa, non un flagello per il
mondo della produzione. Se volgiamo la nostra attenzione dall'Europa
all'Italia ci accorgiamo che da noi si sono da anni agitate
confusamente varie correnti di pensiero senza mai confrontarsi
seriamente.
La voce della Chiesa, che ha sempre raccomandato caldamente di
accogliere a braccia aperte chiunque venisse da noi in cerca di
migliori condizioni di vita, certa che alla fine a sistemare le cose
nel verso giusto ci penserà lo Spirito santo. Gli interessi
dell'industria, soprattutto media e piccola, che collimano alla
perfezione con quelli della criminalità organizzata, la più grande
azienda del Paese in termini di capitali e di manodopera utilizzata,
ai quali fa comodo un flusso disordinato di disperati disposti a
lavorare a basso costo senza diritti sindacali o peggio ancora a
divenire docile strumento dell'illegalità, dalla prostituzione allo
spaccio di droga. I buonisti ad ogni costo, ai quali si è associata
negli ultimi tempi anche la sinistra, che ha assunto sul problema
un' atteggiamento estremamente accomodante ai limiti di un ipocrita
ed irrealizzabile ecumenismo.
Alcune parole d'ordine hanno cominciato a circolare insistentemente
sui mass media, dal Presidente della repubblica all'ultimo dei
sindacalisti pieddini:" Gli immigrati si prendono cura delle
persone a cui più teniamo, anziani genitori e bambini...., senza di
loro la nostra economia si fermerebbe..., i loro contributi
previdenziali ci permettono di percepire ancora le nostre pensioni".
Verità sacrosante a differenza della favola che si adattano a fare i
lavori che gli Italiani non vogliono più fare. Andate a spiegarlo ai
nostri camerieri, ai nostri operai generici, alle nostre commesse,
alle nostre baby sitter ed a tutti coloro che ora più che mai sono
alla disperata ricerca di un'occupazione, qualunque essa sia, per
poter sopravvivere. Sono un esercito di giovani e meno giovani
toccato nei propri interessi vitali ben diversi da quelli dei
ricchi, preoccupati unicamente che la colf, filippina o cingalese,
indossi una bella divisa o sappia cucinare e servire a tavola.
Il peso sociale dei flussi migratori disordinati, che si sono
abbattuti e si abbattono sempre più su di noi lo pagano
esclusivamente gli abitanti dei quartieri poveri, costretti a
sgomitare non solo per un posto di lavoro, ma anche per
l'assegnazione di un sussidio, un letto in ospedale o l'iscrizione
all'asilo nido. Mentre gli insediamenti degli zingari sono divenuti
contigui ai quartieri popolari dove sicurezza ed incolumità fisica
stanno divenendo una mitica chimera, tra accattonaggio aggressivo
verso gli anziani e le donne, furti e borseggi con frequenza
quotidiana. Tra gli immigrati che lavorano onestamente e sono la
maggioranza si sono infiltrati i criminali più incalliti,
incoraggiati dalle nostre leggi ottusamente permissive e dalla
nostra giustizia, che dire che è allo sfascio è fargli un
complimento.
Lo dimostrano i dati diffusi dalle autorità: un reato su tre è
compiuto da stranieri e solo una percentuale irrisoria arriva ad una
condanna, nonostante abbiano intasato con la loro presenza e reso
invivibili le nostre carceri. Si tratta di una tematica scottante,
un drammatica guerra tra poveri sulla quale la Lega ha costruito la
sua fortuna e la sinistra è naufragata miseramente alle elezioni. Un
problema che fa tremare i polsi, che mette in dubbio il nostro
futuro e che purtroppo non ha facili ed indolori soluzioni.
Il Mattino 15 dicembre 2009
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*Obiezione di coscienza: diritto o prevaricazione?
La 194 del 22 maggio 1978, ufficialmente legislazione in difesa
della maternità, in pratica normativa che regola l’interruzione
volontaria della gravidanza, introdusse la facoltà per il personale
medico e paramedico di esercitare l’obiezione di coscienza, una
possibilità della quale usufruirono una percentuale preponderante
degli aventi diritto e non solo, ricordo infatti che nell’ospedale
dove lavoravo i primi due colleghi che si precipitarono in direzione
sanitaria furono due oculisti!
La legge, frutto all’epoca di un ipocrita compromesso tra cattolici
e forze di sinistra, ha compiuto trenta anni di vita, mostra vistose
incongruenze che il tempo ed alcune scoperte scientifiche hanno
accentuato e necessita urgentemente di alcune modifiche, in primis
la possibilità di scelta del medico da parte della paziente.
Un argomento scottante, che cerco da tempo di far giungere, se non
nelle aule parlamentari, almeno sui mass media per un confronto
sereno tra idee contrastanti, ma in questo articolo vorrei
concentrare la discussione unicamente sul problema dell’obiezione di
coscienza, segnalando ai lettori due mie contributi recenti, che
sono stati pubblicati sui due principali quotidiani del Paese: la
Repubblica ed il Corriere della sera.
Egregio dottore, l’obiezione di coscienza è un diritto sacrosanto,
previsto in molte legislazioni europee, che permette ai sanitari di
non avere una parte attiva in prestazioni mediche contrarie ai
propri principi morali. Lentamente questa facoltà è stata allargata a dismisura, dando luogo
a comportamenti paradossali, come il portantino che non vuole
accompagnare una paziente che deve sottoporsi ad interruzioni di
gravidanza o il farmacista che si rifiuta di vendere la pillola del
giorno dopo, nonostante la presentazione della ricetta ed il farmaco
sia regolarmente registrato nella farmacopea. Senza tenere conto
dell’obiezione dichiarata per non inimicarsi il direttore sanitario
o il protettore politico, uno squallido prosseneta che tutti coloro
che esercitano in strutture pubbliche sono costretti ad avere. Molti
per quieto vivere o vigliaccheria dimenticano che la coscienza
quando non è d’accordo con una legge ritenuta sbagliata o un
sentenza avversa quando si è innocenti deve essere pronta a
ribellarsi, a costo di essere perseguitati, di non fare carriera, di
perdere il lavoro, gli amici, la libertà, al limite anche la vita.
Troppo facile l’obiezione che fa pagare ad altri il costo di una
scelta comoda, ma in questi casi non si tratta di coscienza, ma di
una pallida parvenza di morale ipocrita e menzognera.
La Repubblica - 19 dicembre 2008
Caro Romano,
in riferimento alla lettera sull’obiezione di coscienza negli Stati
Uniti, vorrei precisare che essa, come in Francia, Spagna e
Inghilterra, è del tutto ininfluente perché le interruzioni di
gravidanza avvengono la gran parte in cliniche private. Una
situazione diametralmente opposta a quella dell’Italia dove una
legge vecchia, frutto di un difficile compromesso, permette l’aborto
solo nelle strutture pubbliche, per cui l’obiezione di coscienza,
spesso fasulla, incide pesantemente sui tempi di attesa, esasperando
le donne, già costrette ad una scelta sofferta e difficile.
Corriere della Sera – 12 aprile 2009
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Aumentano le vittime della società consumistica
L'altro giorno un barbone è stato trovato assiderato alla stazione
di Napoli. Era privo di documenti, dimostrava un' età relativamente
giovane, sosterà all' obitorio nella vana attesa che qualcuno
riconosca il suo misero cadavere, poi finirà in una triste fossa
comune assieme ad altri sconosciuti senza patria e senza nome. I
barboni aumentano di numero anno dopo anno e nelle loro fila si
trovano ora anche personaggi inaspettati: professionisti smarriti
dopo una crisi coniugale, commercianti strangolati dal pizzo e dall'
usura, deboli di spirito travolti da una storia d' amore naufragata,
da una malattia, dalla perdita del lavoro; tutti accomunati dall'
impossibilità di reggere i ritmi serrati di una società consumistica
dalla sfrenata competitività. Rappresentano un residuo di arcaiche
povertà, un imprevedibile esito della modernità. Un brutto giorno
precipitati nella solitudine e nella miseria, diventano invisibili
per gli amici, per i conoscenti, per gli stessi parenti, bastano
pochi mesi e la strada come casa si trasforma in una voragine senza
ritorno. Sonnecchiano sulle panchine dei giardini pubblici o stesi
sui cartoni per difendersi dall' umido che penetra nelle ossa; di
notte, tutti assieme, pigiati spalla contro spalla, nelle sale d'
attesa delle stazioni non tanto per dormire, quanto per difendersi
dalle aggressioni gratuite divenute frequentissime. Qualcuno conosce
dei luoghi segreti confortevoli, come alcuni corridoi delle Asl o la
sala di lettura di una biblioteca, dove si può utilizzare anche il
bagno. Chi ricorda la storia di Beniamino Pontillo, che passò una
vita nei saloni della Posta centrale di Napoli, scrivendo centinaia
di lettere di proteste e di proposte, molte puntualmente pubblicate,
ai quotidiani locali? Anche a guardarli sembrano tutti eguali: radi
capelli precocemente incanutiti, pochi denti malfermi, la pelle
incartapecorita e un corpo devastato dall' età indefinibile, vestiti
a brandelli e un puzzo devastante che si sente a distanza. Da tempo
sono divenuti gli ultimi tra gli ultimi, disperatamente in coda ai
più disperati, più dimenticati degli zingari, dei drogati, degli
alcolizzati o degli extracomunitari clandestini, divenuti,
soprattutto se islamici, i preferiti dei parroci e delle decrepite
signore d' annata delle associazioni benefiche. Se minacciati
chiedono aiuto alle forze dell' ordine, vengono nel migliore dei
casi ignorati, ma più spesso dileggiati, spintonati e malmenati. Nei
dormitori vi è una lista d' attesa chilometrica e si può soggiornare
solo per tre giorni durante le ore notturne, mentre fuori imperversa
implacabile un freddo omicida. La strada diventa così una soluzione
obbligata per decine di migliaia di barboni, costretti a
sopravvivere in condizioni da incubo. Come potremo continuare a
dormire beati nei nostri letti con il pensiero che tanti nostri
simili, solo più sfortunati di noi, devono arrangiarsi, avendo come
tetto il cielo e come giaciglio la pubblica strada.
La Repubblica N 24 dicembre 2008
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La solitudine flagello per gli anziani
La solitudine che affligge gran parte delle persone anziane,
costrette nelle nostre metropoli dal polverizzarsi delle famiglie a
vivere da sole, è una delle condizioni più crudeli che possano
essere riservate ad un essere umano.
Non potere più fare affidamento, per scambiare una parola, su amici
e parenti, perché lo scorrere inesorabile del tempo ha creato il
vuoto intorno, facendo sparire l'uno dopo l'altro tutti gli alberi
di quella grande foresta che è stata la nostra vita, viene percepito
distintamente come una condanna peggiore della stessa morte.
Non vi è sorte più triste per chi invecchia lentamente, dopo aver
lasciato il lavoro, ritrovarsi da solo in un tempo infinito nel
quale non vi sono più incontri, dialoghi, appuntamenti.
Trascorrere ore ed ore davanti alla televisione senza la compagnia
di un parente, un amico, un semplice conoscente con il quale potersi
scambiare una parola o ripercorrere assieme un ricordo, un tassello
di una lunga esistenza giunta al capolinea.
Esistenze urbane senza speranza che aumentano sempre più per
l'innalzarsi della vita media e per la crisi irreversibile del
modello i famiglia patriarcale, costrette, sulla soglia della morte,
ad un'interminabile agonia fatta di malattie e di noia, ma
soprattutto di una solitudine disperata di chi viene inghiottito nel
nulla, dimenticato da tutti.
Il Mattino 13 gennaio 2009
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*I confini della vita
Gentile direttore,
arduo è il quesito sull’inizio della vita, ma quanti si interrogano
su quando la vita finisca? Fortunatamente della problematica la
Chiesa non se ne è mai interessata e questo disinteresse ha favorito
il progresso della scienza dei trapianti, a differenza delle
tecniche di fecondazione assistita o dell’aborto, che cozzano contro
il dogma dell’animazione coincidente con la fecondazione, sancito
nel 1869 da Pio IX nella”Apostolicae sedis”. A questa conclusione si
è giunti dopo che sulla spinosa questione si erano espressi tutti i
maggiori studiosi cristiani, da Tertulliano a S. Agostino, fino a
giungere a S. Alberto Magno, che candidamente asseriva che il
maschio possedeva un’anima dopo 40 giorni dal concepimento, mentre
la donna dopo 90 e S. Tommaso d’Aquino, sul cui pensiero si fonda la
teologia e l’etica cristiana, che sosteneva la tesi dell’animazione
ritardata, prima della nascita, ma molto tempo dopo la fecondazione.
Non mi dilungo perché vorrei invitare a meditare sul preciso momento
della morte. Pochi sanno che il cuore adoperato per un trapianto è
perfettamente pulsante, anche se il vecchio proprietario ha il
cervello che non funziona più (elettroencefalogramma piatto). Una
situazione identica a tanti ricoverati da anni, senza speranza, nei
nostri centri di rianimazione, anche loro con il cervello distrutto,
ma con un cuore o i polmoni malandati che non interessano per un
trapianto. Se a questi soggetti asportassimo il cuore senza
utilizzarlo sarebbe eutanasia? E come mai non lo è se l’organo serve
per un trapianto? Alcune cellule resistono alla mancanza di ossigeno
più delle altre, ad esempio le cellule pilifere vivono fino a 6
giorni dopo la morte ufficiale, anche dopo il seppellimento del
corpo. In caso di morte traumatica in un giovane è impressionante,
vegliando il cadavere, scoprire che al mattino ci vorrebbe il
barbiere.
La delicata linea di confine tra l’inizio e la fine della vita mal
si presta ad essere delineata con precisione, se si vuole trovare
una risposta unicamente biologica, che non può soddisfare
pienamente. Una verità difficile da accettare per il laico, che non
voglia travalicare nella scienza come dogma. Un argomento che
diverrà sempre più scottante, che ha costituito per oltre trent’anni
per il sottoscritto, come medico e come libero pensatore, oggetto di
studio e riflessione, senza speranza oramai di una risposta
soddisfacente e definitiva.
Il Mattino 6 febbraio 2009
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La crisi della famiglia di oggi
La solitudine che affligge gran parte delle persone anziane,
costrette nelle nostre metropoli dal polverizzarsi delle famiglie a
vivere da sole, è una delle condizioni più crudeli che possano
essere riservate ad un essere umano.
Non potere più fare affidamento, per scambiare una parola, su amici
e parenti, perché lo scorrere inesorabile del tempo ha creato il
vuoto intorno, facendo sparire l'uno dopo l'altro tutti gli alberi
di quella grande foresta che è stata la nostra vita, viene percepito
distintamente come una condanna peggiore della stessa morte.
Non vi è sorte più triste per chi invecchia lentamente, dopo aver
lasciato il lavoro, ritrovarsi da solo in un tempo infinito nel
quale non vi sono più incontri, dialoghi, appuntamenti.
Trascorrere ore ed ore davanti alla televisione senza la compagnia
di un parente, un amico, un semplice conoscente con il quale potersi
scambiare una parola o ripercorrere assieme un ricordo, un tassello
di una lunga esistenza giunta al capolinea.
Esistenze urbane senza speranza che aumentano sempre più per
l'innalzarsi della vita media e per la crisi irreversibile del
modello i famiglia patriarcale, costrette, sulla soglia della morte,
ad un'interminabile agonia fatta di malattie e di noia, ma
soprattutto di una solitudine disperata di chi viene inghiottito nel
nulla, dimenticato da tutti.
Il Napoli 12 febbraio 2009
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Ventotto anni per una sentenza
Ho letto la protesta del lettore che si lamentava di una sua causa
durata nove anni (Corriere, 18 febbraio). Vorrei segnalarvi una mia
contestazione per morivi di lavoro in iniziata nel 1978 davanti al
Tar di Salerno e durata «solo» 28 anni, dopo i quali l’Asl
competente non ha ancora espletato le procedure per il Tfr e la
pensione. Fortunatamente all’inizio della diatriba avevo solo
trent’anni.
Corriere della Sera 24 febbraio 2009
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Futurismo chi arrivò primo
Ho letto più volte, prima la direttrice del Pan e poi il prof.
Antonio Saccone, affermare che a Napoli, sulle pagine del Pungolo,
il Manifesto del Futurismo era stato pubblicato in anticipo rispetto
al Figaro, che lo rendeva noto il 20 febbraio 1909. Incuriosito ed
allo scopo di dare risalto alla notizia, ho diligentemente
consultato all’emeroteca Tucci tutte le copie di gennaio e febbraio
del glorioso giornale, senza trovare alcuna traccia di quanto
riferito, per cui, in omaggio alla verità storica posso affermare
trattarsi di una leggenda che vari autori tramandano senza
controllare la verità.
Il Mattino 7 marzo 2009
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Una normativa anacronistica
Soltanto in Italia una legge paradossale, risalente al ventennio,
prevede la possibilità di notificare un’opera d’arte, sia essa una
scultura o un dipinto, come pure un libro o un palazzo di
particolare pregio storico o architettonico.
Notificare significa che lo Stato giudica quel manufatto di
interesse nazionale e ne vieta il trasferimento all’estero, per cui
se esso viene posto in vendita, tramite una trattativa privata o in
un’asta, il legittimo proprietario deve informare la sovrintendenza
della sua intenzione e l’acquirente compra con l’alea che, se entro
90 giorni, viene esercitato il diritto di prelazione, non può
entrare in possesso di ciò che ha comprato.
Naturalmente il divieto di esportazione e la procedura da rispettare
intimoriscono il potenziale compratore, il quale deve appalesarsi
pubblicamente e sviliscono in maniera tangibile il valore venale
dell’ opera con grave nocumento degli interessi del venditore. In
Europa esiste, come imperativo categorico, la libera circolazione
per ogni tipo di merce, nonché per i lavoratori ed i capitali, che
possono trasferirsi liberamente dove ritengono più opportuno e
conveniente, per cui è lampante che la normativa italiana è in
stridente contrasto con lo spirito che anima tutte le legislazioni
comunitarie.
In Italia è presente circa la metà del patrimonio artistico
mondiale, ma questa circostanza non può autorizzare lo Stato a
prolungare la vita a leggi che non hanno più diritto di cittadinanza
in uno spazio di libertà assoluto come da tempo è quello europeo.
Nella mia veste di avvocato mi appresto a presentare presso la Corte
Europea un esposto affinché ci sia una pronuncia sulla questione, ma
sarebbe opportuno, allo scopo di evitare una condanna dello Stato
italiano, che qualche parlamentare di buona volontà si faccia carico
di una proposta di legge che abolisca una norma anacronistica ed
eccessivamente protezionistica.
Gian Filippo della Ragione
Il Riformista 8 marzo 2009
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Anche la Tim fa brutti scherzi
Gentile dottor Lubrano,
ho acquistato una chiavetta Tim per collegarmi ad internet dal
portatile, un contratto biennale di 40 euro al mese per 100 ore di
navigazione ogni 30 giorni. Avevo preventivamente chiesto se la zona
dove avrei adoperato la chiavetta era coperta e mi era stata
assicurata la possibilità dì utilizzarla 24 ore su 24; viceversa non
solo è estremamente difficile il collegamento, con il segnale che
spesso cade dopo pochi secondi ma addirittura, (una vera truffa),
ogni tentativo di connessione, anche fallito, preleva 15 minuti
dalle 100 ore disponibili. Inoltre la Tim ha la pessima abitudine di
inviare messaggi banali e non richiesti durante le ore notturne.
Tengo acceso sempre il cellulare (sono un medico) e non è piacevole
nel cuore della notte essere risvegliati da un bìp che ci informa
che la ricarica è stata effettuata o che possiamo usufruire di
tariffe particolari per spedire dei messaggi.
Anche la Tim, come qualche altro gestore telefonico, fa brutti
scherzi. Il nostro lettore segnala tre precise scorrettezze(e sono
generoso a definirle così) a cui sarebbe opportuno e onesto che la
Tim desse una circostanziata risposta.
Il Mattino 1° aprile 2009
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Obiettori di coscienza Le leggi sull’aborto
Caro Romano,
in riferimento alla lettera sull’obiezione di coscienza negli Stati
Uniti, vorrei precisare che essa, come in Francia, Spagna e
Inghilterra, è del tutto ininfluente perché le interruzioni di
gravidanza avvengono la gran parte in cliniche private. Una
situazione diametralmente opposta a quella dell’Italia dove una
legge vecchia, frutto di un difficile compromesso, permette l’aborto
solo nelle strutture pubbliche, per cui l’obiezione di coscienza,
spesso fasulla, incide pesantemente sui tempi di attesa, esasperando
le donne, già costrette ad una scelta sofferta e difficile.
Si tratta di un’osservazione interessante. Ma negli Stati Uniti,
dove alcune Chiese ed i movimenti antiabortisti esercitano forti
pressioni sui medici, il problema probabilmente esiste. Non vedo
tuttavia come un governo, federale o statale, possa proibire
l’obiezione di coscienza .La Corte Suprema degli Stati Uniti approvò
l’aborto perché la sua interdizione avrebbe violato il diritto della
donna alla tutela della sua sfera privata. Gli stessi argomenti
valgono, mi sembra, per l’obiettore di coscienza.
Corriere della Sera – 12 aprile 2009 (già segnalata in precedenza
nella lettera Obiezione di coscienza: diritto o prevaricazione?)
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Carceri dentro e fuori
Il capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Franco
Ionta ha di recente presentato il piano del governo per far fronte
all'emergenza carceraria, che da tempo ha superato abbondantemente
il livello di guardia straripando in un marasma ingovernabile con un
numero di reclusi superiore di oltre ventimila unità la capienza
massima. La notizia è di quelle che possono senz'altro essere
accolte con soddisfazione, con la speranza che trovi quanto prima
attuazione e che l'opinione pubblica, presa da altri problemi, non
si dimentichi dell'urgenza della questione in campo.
A giorni, mentre gran parte della popolazione partirà per le
vacanze, nelle celle, dove stipati come bestie sono ammassati i
detenuti, la temperatura supererà costantemente i 40 gradi
centigradi: questo, negli stessi ambienti, privi di vetri alle
finestre, nei quali durante l'inverno si gelava dal freddo.
Com'è noto, gran parte delle strutture carcerarie italiane sono
fatiscenti e collocate in antichi monasteri, conventi o seminari,
come se lo Stato avesse volto delegare all'aura di sacralità di quei
luoghi il compito, inevaso, di influire positivamente sulla
rieducazione e sul recupero dei reietti. Né più né meno di ciò che è
successo a Napoli, dove è impossibile non notare lo stridente
contrasto tra il nome altisonante o romantico e delicato di alcune
strade e lo squallore che le circonda.
Ad esempio, appaiono grotteschi o beffardi gli indirizzi di
Secondigliano per gli abitanti di quel quartiere, costretti a vivere
gomito a gomito con la criminalità organizzata. La più grande piazza
per lo spaccio della droga d'Europa confina con II posto delle
fragole o II giardino dei ciliegi, mentre le vedette della camorra
si stagliano prepotenti in via La Certosa di Parma, Viale Resistenza
o I racconti di Pietroburgo. A Ponticelli, altro Bronx invivibile,
si passeggia in strade desolate che richiamano un lontanissimo mondo
di favola, da via Walt Disney a via Marilyn Monroe o viale Fratelli
Grimm. Come se i nostri incauti amministratori avessero voluto
affidare ad un'improbabile toponomastica il compito improbo di
rendere quei luoghi inospitali, vivibili e civili. E come se questo
bastasse a tranquillizzare la coscienza.
Tra le novità del piano vi è anche la proposta di utilizzare delle
navi, attraccate nei porti, come carceri galleggianti. Una soluzione
che avrebbe il vantaggio di essere rapidamente esecutiva. Dopo aver
sfruttato per tanti anni le isole, da Procida all'Asinara, senza mai
raggiungere la fama funesta di Alcatraz, perché non seguire questa
linea solo apparentemente rivoluzionaria, essendo stata già
prescelta da altre nazioni? Anche l'ipotesi di far lavorare i
galeotti nei lavori di ristrutturazione delle celle solo a prima
vista può apparire romantica, tenendo conto delle notevoli valenze
educative.
Ma l'idea più dirompente è quella basata sulla vendita delle vecchie
e famigerate strutture penitenziarie, situate spesso nel centro
della città, a società immobiliari decise a trasformarle in alberghi
lussuosi o in centri commerciali, collaborando in cambio alla
costruzione di nuove carceri con criteri di efficienza e modernità.
Una soluzione vincente che permetterà un giro dell'orrido,
ripercorrendo i padiglioni di Poggioreale, un via vai di pellegrini
a Regina Coeli, dove Giovanni XXIII recitò messa o nella cella di
Vallanzasca a San Vittore, nella quale il fascinoso bandito usava
pasteggiare a caviale e champagne.
Corriere del Mezzogiorno 20 maggio 2009 – Il Mattino 29 maggio 2009
(col titolo Carceri pronte ad esplodere: c’è un piano da attuare)
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Un flagello ubiquitario: writers da debellare
Da tempo le mura private e pubbliche di tutte le città italiane
sono umiliate da scritte demenziali e disegni osceni e lo stesso
dicasi delle carrozze ferroviarie, delle statue e dei monumenti
anche i più famosi, imbrattati da vernici colorate, che penetrando
in profondità creano danni irreversibili. Una situazione
intollerabile, sconosciuta all’estero, dove tali scempi non solo non
sono tollerati, ma nemmeno immaginabili.
Alcuni cattivi maestri, che si credono critici d’arte, hanno in
passato tessuto le lodi di questa arte povera ed espressiva ed hanno
cercato di spiegarci che si trattava di pittori incompresi, una
fandonia alla quale stesso loro non credevano, ma blateravano in
giro queste idiozie per mostrarsi alla page e anticonformisti.
Questa scriteriata devastazione deve essere fermata al più presto e
per farlo, in attesa di una auspicabile normativa che preveda pene
esemplari per i writers, basterebbe applicare la legge, imputando i
trasgressori di danneggiamento aggravato e, quando molto spesso
agiscono in gruppo, prevedere anche l’ipotesi dell’associazione a
delinquere, che permette l’arresto, un escamotage ben noto alla
magistratura quando vuole eseguire dei provvedimenti con grande
risalto mediatico.
Non dovrebbe essere difficile raggiungere lo scopo, gli avversari da
battere sono semplicemente dei giovani disadattati, non certo
pericolosi criminali, per cui una eventuale sconfitta contro tali
scalcagnati personaggi rappresenterebbe per le istituzioni una
cocente sconfitta e la lampante dimostrazione di non saper gestire
nemmeno l’ordinaria amministrazione.
Il Mattino 5 giugno 2009
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Nelle grotte di Santa Lucia si respira ancora l’amore
La grotta di Piedigrotta è stata per secoli, forse millenni, teatro
di pratiche orgiastiche in onore di Priapo, che periodicamente
impegnavano giovani di entrambi i sessi, i quali davano libero sfogo
alle loro più elementari pulsioni con innegabili benefici per il
corpo e lo spirito. Il buio della caverna faceva cadere ogni inutile
inibizione e alimenti energetici venivano in soccorso ai maschi
impegnati in defatiganti amplessi (la famosa sfogliatella dalla
forma che rammenta il pube femminile era il viagra dell’epoca).
Con l’avvento del Cristianesimo questi costumi scostumati sono stati
incanalati in una più tranquilla festività a cadenza annuale,
durante la quale gli istinti repressi potevano sfrenarsi in balli e
strusciamenti reciproci; nasce la famosa Piedigrotta napoletana,
assassinata negli anni Settanta del secolo scorso dal traffico
caotico della città e da amministratori miopi e sconclusionati.
Erano feste memorabili, che duravano fino a quindici giorni, durante
le quali, al passaggio dei mastodontici carri allegorici, era
permesso un po’ di tutto: urlare, sbracciarsi, calare coppoloni in
testa a tipi “soggetti”, esercitare vigorosamente la mano morta su
sederi di tutte le età, pur senza trascurare eventuali seni
generosamente esposti, dimenticando in tal modo le angustie
quotidiane. L’antico spirito greco della festa, nata tra venerazioni
priapiche e sfrenate danze liberatorie, sembrava rivivere nel popolo
festoso, esaltando lo spirito trasgressivo e godereccio dei
napoletani.
Meno famose della celebre sorella sono le grotte Platomonie, poste
lungo il litorale dell’antico borgo di S. Lucia ed oggi, in parte
abbandonate o vergognosamente trasformate in garage, che potrebbero
dare un sollievo allo scottante problema del parcheggio, ma da anni
al centro di una diatriba (truffa) infinita tra squallidi
speculatori ed una giunta comunale collusa ed incapace.
Questi anfratti sono il prodotto erosivo dell’acqua sulla roccia nel
corso del tempo e derivano il loro nome dal greco platamon. Alcune
furono adoperate per l’allevamento delle murene, ma la loro fama è
legata ad un particolare rito orgiastico, che si svolgeva più volte
all’anno e consisteva nell’incontro tra una menade incoronata da
un’alga marina ed uno jerofante agghindato da uomo pesce che la
fecondava.
A partire dal Quattrocento il rituale subì una sorta di
legalizzazione ed i due officianti erano freschi sposi che
consumavano il matrimonio alla presenza dei membri di una setta, che
accompagnavano la deflorazione con ritmiche cantilene e preparavano
un’atmosfera adeguata bruciando essenze profumate inebrianti in
tripodi ornati di falli alati del tipo di quelli che gli scavi di
Pompei porteranno alla luce secoli dopo.
Nelle deliziose grotte Platamonie per rinfrescare gl’immensi ardori
dell’estate, passeggiavano quinci e si riparavano con spessi e
sontuosi conviti, ricevendo dispogliati la grata aura e il
desiderato fiato di ponente, e nudi tra le chiare onde a nuoto si
difendevano dal noioso caldo". Benedetto di Falco, secolo XV.
"Quivi, come narrasi, la gente allegra e spensierata accorreva a
banchettare e a darsi spasso; finché i sollazzi mutati, poscia, in
orge scandalose, resero quei luoghi dei sozzi postriboli". Loise de
Rosa, 1452.
Vari autori ci raccontano che oltre a rituali i luoghi erano
adoperati anche per ammucchiate che di iniziatico avevano ben poco.
Anche la malavita cercava di usufruire di un nascondiglio sicuro per
nascondere merci di contrabbando e mal tollerava l’utilizzo con
finalità erotiche delle grotte, per cui fece giungere al viceré don
Pedro da Toledo notizia delle orge scandalose che vi si svolgevano.
Il risultato fu la distruzione delle stratificazioni più profonde e
la chiusura di tutte le altre. Al medesimo viceré si deve
l'ampliamento cinquecentesco che per la prima volta inglobò
all'interno delle mura il monte Echia, ancora in epoca aragonese
fortezza militare siti Perillos, propaggine esterna della città.
Ma dove si sono ripetuti a lungo riti intrisi di tradizione e di
mistero e si è scatenata incontenibile la furia erotica, i luoghi
restano impregnati da forze che molto lentamente decantano ed a
nulla valse murare le grotte più profonde adibite alle congiunzioni
carnali più folli e scatenate; dal sottosuolo emanano sedimentazioni
energetiche, viscerali, piroclastiche, telluriche, sibilline e più
volte sarà capitato a qualche signora o signorina, passeggiando per
via Chiatamone, senza capirne il motivo, di avvertire chiaramente un
dolce, improvviso, irrazionale, irrefrenabile desiderio di sesso più
che di amore.
Il Mattino 7 giugno 2009
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Applicare la legge 194 anche nelle cliniche
Vorrei aggiungere alcune considerazioni nel dibattito scaturito su
Salute sull'obiezione di coscienza prevista dalla legge 194. In
Italia l'applicazione della legge è di fatto paralizzata
dall'altissima percentuale di obiettori sia tra i medici che nel
personale parasanitario, una facoltà adoperata spesso per motivi
utilitaristici. Nel resto del mondo l'interruzione di gravidanza può
essere praticata non solo in ospedale, ma anche in clinica privata,
per cui l'obiezione ai coscienza, dovunque molto frequente, non
influenza minimamente i tempi di attesa.
Tra le modifiche da apportare alla legge...si impone perciò la
possibilità di abilitare all'esecuzione delle interruzioni anche
tutte le strutture private che ne facciano richiesta.
Ne guadagnerebbero tutte le donne che vivono l'esperienza come un
trauma profondo, e sono la maggioranza, aggravato da interminabili
attese, da interrogatori inquisitori e da un'atmosfera poco serena
in momenti particolarmente delicati.
Salute, supplemento settimanale di La Repubblica 11 giugno 2009
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Pericolo intolleranza
La vittoria in tutta Europa della destra, ma soprattutto di partiti
xenofobi come la Lega, fa temere un’ondata di intolleranza non solo
verso gli immigrati, ma anche verso quella vasta categoria di
emarginati, che la crisi economica galoppante ha aumentato
vistosamente di numero. Si pontifica sulla pericolosità sociale di
questi soggetti, che avrebbero inquinato con la loro presenza la
tranquillità delle nostre città, grandi e piccole. Si dimentica che
le prostitute, gli emigranti, i rom, i clochard, i disoccupati con
la loro scia di piccoli reati dovuti alla disperazione non sono una
novità e sono sempre stati una presenza abituale nella nostra
civiltà, come ci rammentano, artisti, registi e scrittori. Non sono
mai esistite e mai esisteranno società costituite solo da belli e
buoni, onesti e ricchi, felici e realizzati. Dobbiamo tutti
impegnarci affinché l’intolleranza e la xenofobia non abbiano il
sopravvento, dobbiamo imparare a confonderci con l’alieno e ad
assimilarlo, così che possa nascere una nuova società più giusta e
con meno marcate differenze.
Il Napoli 12 giugno 2009
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*Arrivederci Arturo
Improvvisamente è venuto a mancare all’affetto dei suoi cari Arturo
Capasso, scrittore e giornalista, ma soprattutto uomo buono, amato
da tutti. Laureato in Scienze politiche si era dedicato per anni
alla gestione del negozio di famiglia, uno dei più importanti della
città nel commercio dei tessuti, ma la sua passione era stata sempre
la scrittura. Le sue ricerche ed i suoi viaggi in terre lontane
erano iniziati nel 1956, quando si imbarcò su una nave mercantile
diretta verso l’India. Passò poi lunghi periodi in Svezia ed in
Unione Sovietica, dove usufruì di una borsa di studio
dell’università di Mosca. Nacquero così i suoi primi saggi di natura
sociologica e la sua fama di sovietologo, che gli permise di
compilare alcune voci per l’Enciclopedia Minerva. Si dedicò poi
attivamente al giornalismo come inviato speciale collaborando con
numerose riviste. La sua firma compare su una miriade di testate, di
respiro nazionale come Gente e di nicchia come La Nostra Gazzetta,
l’unico periodico in lingua russa che si pubblica in Italia e Scena
Illustrata di cui è stato anche condirettore. Parlava correttamente
svariate lingue ed aveva licenziato alle stampe vari libri e negli
ultimi anni aveva raccolto i suoi scritti in una trilogia: Cose
antiche e cose nuove, Pensieri in corso, Piano Concerto, oltre al
saggio Comprendere e l’ultima fatica Il mio Gesù. Convertitosi al
web era infaticabile nel commentare, con garbo ed acuto spirito di
osservazione, le tante sfaccettature dei difficili tempi che
viviamo. Aveva un culto per l’amicizia da gentiluomo d’altri tempi e
mancherà ai tanti che gli hanno voluto bene ed hanno potuto godere
delle sue colte conversazioni e che da oggi saranno più poveri e più
soli. Credeva in Dio sinceramente e la fede gli è stata di conforto
in questi ultimi tempi che un male subdolo lo aveva ghermito.
Arrivederci Arturo, ci rivedremo e continueremo per l’eternità le
nostre discussioni lì dove non esiste il tempo e gli animi sono
dediti solo alle cose belle.
La nostra Gazzetta (in ucraino) 2 luglio 2009
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Uomini peggio delle bestie
La dimostrazione più lampante della cattiveria degli uomini riceve
una conferma annuale quando, all’approssimarsi dell’estate, decine
di migliaia di mascalzoni decidono di abbandonare il compagno fedele
di tante giornate passate allegramente assieme sul bordo di una
strada o in un triste canile, squallido ed affollato.
In un pomeriggio di giugno o luglio, prima di partire per le
vacanze, lo spietato padrone fa salire in macchina il cane e parte
senza indugi. Fido, possiamo chiamarlo così, perché tutti i quattro
zampe abbaianti sono fedeli ed affezionati, scodinzola felice ed è
certo che vuoi ricambiare le tante attenzioni dimostrate, dal
proteggere il tuo incerto territorio alle tante manifestazioni di
amicizia, affetto e lealtà, portandolo al parco a giocare, a
tirargli lontano una palla che lui ti porta premuroso indietro o a
farlo correre contento tra piante e fiori. Invece tu lo stai
conducendo in aperta campagna dove conti di abbandonarlo: fermi la
macchina, ti accosti un attimo, lo fai scendere e poi sgommi via.
Come il peggiore degli uomini, ma possiamo chiamarti così, certo non
sei una bestia come il tuo cane sei molto peggio.
Ci sono poi dei figuri dalla faccia tosta più della pietra, che si
presentano ingenuamente ai canili e raccontano le bugie più
strampalate:”Il medico ha detto che il bambino è allergico al
pelo”,”Ci stiamo trasferendo in una casa più piccola e non c’è più
posto per lui”,”Ha morso un estraneo ed abbiamo paura”, “Ho trovato
questo cane per strada, è molto bello vorrei tenerlo, ma non posso,
per cui ho pensato di portarlo da voi, invece di lasciarlo al suo
destino” e si allontanano fischiettando, ma il cane impaurito
comincia ad abbaiare disperato”; molti allungano il passo, altri
sfrontati replicano.” In un attimo si stava già affezionando”.
E tornando a casa pensano di aver risolto alla grande il problema,
rammaricati solo di non poter sistemare così facilmente il nonno o
la suocera prima di partire: l’ospizio non li ha voluti e ad
abbandonarli per strada non se la sentono proprio.
Il Napoli 6 luglio 2009
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Una rivoluzione pacifica ma necessaria
La crisi finanziaria che ha messo in ginocchio il mondo è stata
affrontata da tutti i governi in maniera paradossale, credendo di
poter curare il debito creandone uno nuovo, ancora più grande, alle
spalle dei cittadini, già truffati dai banchieri e sui quali grava
il peso della catastrofe economica in termini di disoccupazione,
minor potere di acquisto e massima incertezza per il futuro.
Si spera di far ritornare tutto come prima, consumando senza
ritegno, distruggendo l’ambiente ed esaurendo le risorse naturali,
incuranti di un miliardo di uomini costretti alla fame ed alla
disperazione.
Due eventi di questi giorni, apparentemente distanti, scandiscono la
gravità del momento e l’errore di metodo nell’affrontarlo: il
decreto sicurezza varato dal Parlamento e la riunione dei G8
all’Aquila.
Il provvedimento contro la delinquenza, ma soprattutto contro
l’immigrazione clandestina, fortemente voluto dalla destra, con la
benedizione dei benpensanti che albergano sotto tutte le bandiere,
si illude di porre un freno a quella diaspora biblica interessante
falangi di disperati in fuga dall’avanzata del deserto e dalla
fame. Quando questa marea dilagante sarà composta da centinaia di
milioni di uomini, quando tutta l’Africa, che supera il miliardo di
abitanti ed è ridotta allo sfascio, si metterà in moto, non vi
saranno leggi restrittive, respingimenti coatti, mura infinite,
cavalli di Frisia in grado di fermarne la marcia e di arginare
l’invasione.
Per fermare l’ondata imminente i paesi europei debbono avere il
coraggio e la lungimiranza di dedicare una quota del loro reddito
per dar luogo ad occasioni di lavoro nei paesi di origine degli
immigrati, debbono creare sviluppo e benessere, non esiste alcuna
altra terapia.
Bisogna fare presto! Probabilmente è già troppo tardi.
Il problema è poco sentito anche a livello internazionale, infatti
quella inutile passerella di potenti, quel vacuo falò delle vanità
rappresentato dalle periodiche riunioni di un club che non ha saputo
prevedere l’esplosione del fenomeno migratorio in un mondo dove le
diseguaglianze economiche tra gli Stati e tra ricchi e poveri tende
ad aumentare vertiginosamente, senza parlare dell’allarme
ambientale, dello strapotere della finanza, della follia delle
guerre e della assurda dipendenza dal petrolio.
Per un cambiamento radicale, per una rivoluzione pacifica ma
necessaria vi è bisogno dei giovani e degli audaci, prima che i
cinesi del tessile, i raccoglitori di pomodori dell’Africa nera,
gli operai del Maghreb, i tornitori serbi, i mungitori sikh, le
badanti ucraine, i piastrellisti rumeni e le miriadi colorate dei vu
cumprà, con l’arrivo dei loro parenti e connazionali, appicchino un
disastroso incendio al cuore pulsante della civiltà occidentale
provocandone la prematura fine.
Il Mattino 9 luglio 2009
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La camorra comanda anche sulle spiagge
La camorra non è soltanto quella che si interessa di usura ed
estorsioni ed ha il grilletto facile, camorra è anche, consenzienti
le istituzioni, poter godere come proprietà personale della
concessione di un tratto di spiaggia, pagando quattro soldi al
demanio e creandosi una rendita di centinaia di migliaia di euro
ogni anno. Vi sono stabilimenti balneari passati di padre in figlio
che valgono, se ceduti, milioni di euro, in aperta violazione della
legge, che prevede un limite massimo di sei anni di durata della
concessione con la possibilità di un solo rinnovo, una norma mai
applicata e divenuta poco più efficace di una grida manzoniana. Per
fortuna è intervenuta l' Unione europea con l' invito ad adeguarsi
alla direttiva 4908/2008 ed una richiesta di maggiore
liberalizzazione del settore, con la messa all' asta di decine di
migliaia di licenze da tempo scadute, eventualità che apporterebbe
un fiume di danaro nelle magre casse dello Stato, che invece incassa
miserevoli rendite a fronte di un patrimonio incommensurabile. I
gestori sono sul piede di guerra ed hanno chiesto un congelamento
delle licenze fino al 2020!, sperando che nel frattempo della
questione non si interessi più nessuno e "tutto cambi purché nulla
cambi".
La Repubblica 22 luglio 2009
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Dal digitale terrestre una marea di decoder
L’ingresso nel digitale terrestre, per ora avvenuto solo in alcune
regioni, ma entro l’anno attivo in tutta Italia, è stato
pomposamente festeggiato dai vertici della Rai come un ingresso nel
futuro ed un trionfo della tecnologia, mentre per gran parte degli
utenti, anziani desiderosi di trascorrere qualche ora serena di
svago, si tratta dell’inizio di un percorso irto di difficoltà,
perché a breve saranno necessari per ogni televisione ben quattro
telecomandi e tre decoder, uno per il digitale terrestre, uno per
Sky ed uno per la nuova emittente frutto del matrimonio tra Rai,
Mediaset e Telecom. Un vero shock tecnologico per vedere
semplicemente le stesse cose che vedevamo in precedenza, con
l’aggiunta di notevoli balzelli ed esborsi vari per poter accedere
ai programmi a pagamento la cui offerta aumenterà a dismisura.
Le nostre case verranno invase da nuove scatole nere, nuovi cavi,
nuovi depliant petulanti ed incomprensibili, una invasione voluta
dai mercanti dell’etere e dai produttori di questi infernali
marchingegni, che produrrà una metastasi di bottoni, di fili
intrecciati, di libretti di istruzione, ai quali bisognerà
sottostare anche per vedere soltanto i canali preferiti.
Il Mattino 2 agosto 2009
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*Quattro cose da sapere sulla RU 486
In ritardo di anni rispetto al mondo civile anche nella farmacopea
italiana è stato registrato lo RU 486, il discusso prodotto che
induce l’aborto per via farmacologica. La Chiesa si è letteralmente
scatenata, facendo ricorso tra i tanti anatemi, anche alla
scomunica, dimenticando che l’Italia è un paese laico e facendo
somigliare il nostro paese all’Iran di Khomeini o all’Afganistan dei
talebani, ma non è di questo che vogliamo parlare, bensì di alcuni
argomenti fondamentali dei quali la stampa, impegnata nella consueta
diatriba tra laici e cattolici, non ha trattato e sui quali
viceversa è necessario meditare.
a) Il farmaco va assunto entro la settima settimana di gestazione,
per intenderci quando la donna ha pochi giorni di ritardo e si è
appena accorta della gravidanza, mentre la legge prevede tutta una
serie di ostacoli burocratici, dalla riflessione di sette giorni ai
colloqui ed alle analisi, che costringono la paziente spesso vicino
al limite dei tre mesi, in ogni caso costantemente oltre il periodo
nel quale il farmaco è efficace. Senza un cambiamento della
normativa vigente sarà come discutere sul sesso degli angeli.
b) Il prodotto ha un costo di pochi euro e potrebbe far risparmiare
allo Stato i circa 2000 euro che rappresentano il costo di
un’interruzione di gravidanza in ospedale, essendo del tutto inutile
il ricovero della donna per tre giorni fino al completamento
dell’espulsione del materiale abortivo.(In nessuno dei paesi dove lo
RU486 è adoperato si usa questo protocollo).
c) Il vero effetto scatenante dell’aborto è dato dalla dose di
prostaglandina che viene somministrata dopo due giorni, basterebbe
questo farmaco, eventualmente associato ad un contratturante uterino
ad ottenere lo stesso risultato,come il sottoscritto ha dimostrato
da quasi venti anni, pubblicando i risultati su riviste scientifiche
internazionali. (Per chi volesse approfondire l’argomento cfr.
ilparoliere.ilcannocchiale.it/.../le_ragioni_didella_ragione_il.html)
d) Il gravoso problema dell’obiezione di coscienza tra il personale
medico e parasanitario, che assilla e paralizza tanti ospedali,
sarebbe alleviato da tale metodica, perché è ipotizzabile che le
donne possano da sole introdursi in vagina le candelette di
prostaglandina e finalmente dell’aborto non dovrebbero più
interessarsi legislatori e preti, medici ed assistenti sociali,
facendo sì che questa scelta, difficile e quasi sempre dolorosa,
riguardi unicamente la donna e la sua coscienza.
La Stampa 12 ottobre 2009 (come editoriale dei lettori)
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Il caso Marrazzo e il mondo dei disvalori
Il caso Marrazzo è stato emblematico nel rappresentarci una
contemporaneità allo sbando nella quale la realtà supera la
finzione, l’apparire conta più dell’essere, il denaro, e non più
l’uomo, è misura di tutte le cose, mentre l’eccezione diventa la
regola e l’eccentricità viene scambiata per la normalità.
Un mondo in coma dominato da confusione ed inversione di ruoli, dove
si tende a scambiare sempre più spesso la figlia per la moglie,
l’uomo per la donna, l’animale per l’umano, il privato per il
pubblico ed il pubblico per il privato.
Un teatrino dell’assurdo animato da attori abili a recitare il
copione degli altri con tutori della legge che si trasformano in
estorsori, politici amanti della famiglia che si dilettano con
squallidi pervertiti ed altri politici che li mettono in guardia
invece di denunciarli, giornalisti che non cercano più notizie, ma
gossip ed hanno sostituito i commenti con chiacchiere da
donnicciole.
Ed inoltre magistrati che vogliono fare i politici, politici che si
dilettano a fare gli economisti, finanzieri che pensano solo a
fregare il prossimo.
E nel frattempo religione ed ideologia vanno in soffitta, la morale
e la giustizia diventano merce rara e nessuno sa se abbiamo
raggiunto il fondo o dobbiamo ancora precipitare in un baratro più
avvilente.
Il Mattino 15 dicembre 2009
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Il David di Michelangelo e l’errore anatomico
La statua del David di Michelangelo è senza dubbio la più famosa
opera d’arte che mai sia stata concepita da un artista, più della
stessa Gioconda di Leonardo.
Un prodigio di perfezione, di bellezza, di potenza emana
prodigiosamente da quelle membra di marmo, monopolizzando lo sguardo
dello spettatore, il quale, ai piedi della monumentale statua si
agita senza sosta per ammirare da ogni angolazione quel fantastico
groviglio di muscoli sormontato da un volto fiero e sereno.
Milioni di visitatori si sono succeduti a Firenze nell’Accademia per
godere di quel corpo possente al quale manca, come sottolineò lo
stesso Michelangelo, soltanto la parola.
Centinaia di studiosi hanno descritto l’opera sulla quale esiste una
bibliografia sterminata, ma nessuno credo ha mai notato un
particolare anatomico, un dettaglio apparentemente insignificante,
ma che si configura come un madornale errore.
L’attributo virile del David ha fatto sognare estasiate infinite
donne di tutte le nazioni e di tutte le età, dando luogo a pensieri
lubrici ed inconfessabili.
La precisione ottica nella definizione della muscolatura e del
sistema venoso dell’eroe biblico è stupefacente, a dimostrazione di
una conoscenza del corpo umano da parte di Michelangelo da fare
invidia al più esperto degli anatomici, ma a ben osservare salta
fuori una paradossale incongruenza: il gigante è rappresentato con
un organo genitale di lusinghiere proporzioni, ma affetto da una
fimosi serrata, incompatibile con lo status di un giovane ebreo,
perché la pratica della circoncisione era una consuetudine costante
per tutti i maschi del popolo eletto.
Il sommo artista ha descritto i vasi delle mani e delle braccia con
sorprendente verismo, ma si è evidentemente servito di un modello
cristiano, incorrendo in un errore stranamente mai notato fino ad
ora da nessuno.
Si potrebbe concludere affermando prosaicamente che con questa
svista il celebre scultore è caduto sul pisello, il che conoscendo i
suoi gusti e le sue inclinazioni particolari è quanto meno una
sorpresa.
Il Mattino 19 dicembre 2009
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La corporazione dei dentisti
Gli abusivi dei quali vogliamo parlare brevemente non sono quelli
con il cappello a visiera, re-si celebri da Totò e specialisti
nell'estorcere denaro ai malcapitati automobilisti; in tal caso
avremmo dovuto parlare di armata. Vogliamo invece discutere della
notizia pubblicata dai giornali della presenza in Italia di oltre
15.000 dentisti abusivi, con un fatturato vicino al miliardo di
euro. Naturalmente la stampa sottolineava pericoli inesistenti,
quali il rischio di diffusione dell'epatite C e dell'Aids, come se
questi sanitari — spesso si tratta infatti di medici non specialisti
o di odontotecnici – sapessero tirare denti o otturarli applicare
dentiere e non conoscessero le regole della sterilità. Molti di
questi abusivi si scopre che esercitano da anni, alcuni da decenni
con una clientela numerosa ed affezionata, a dimostrazione di
prestazioni di buon livello, offerte a prezzi meno esosi. Vogliamo
vedere che si tratta di difendere una lobby di pochi individui che
non vogliono dividere con altri un mercato lucroso, nel quale
vengono praticati prezzi che non hanno uguale in altri paesi? Lo
dimostra la falcidia di aspiranti odontoiatri ai concorsi per
entrare nella scuola di specializzazione, una spada di Damocle che
tronca il futuro di tanti giovani, i quali spesso infrangono i loro
sogni su una formula di matematica o una domanda di cultura
generale. Ri-servare a pochi privilegiati l’esercizio di una
professione o di un commercio è il male che strangola l'Italia, una
repubblica dominata da corporazioni potentissime.
La Repubblica N 2 gennaio 2010
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Immigrati clandestini bomba ad orologeria
Uno spettro si aggira per L’Europa: la rabbia di milioni di
immigrati clandestini, disperati e decisi a reclamare anche solo le
briciole della nostra opulenza. Oggi il pericolo che incombe sulla
nostra convivenza civile, non è più il terrorismo, ma una bomba a
orologeria che, se non disinnescata in tempo, rischia di deflagrare,
per inadeguata gestione del fenomeno migratorio, tra deleterio
buonismo ed esasperato rigore. Non si riesce a scegliere una linea
di condotta inequivocabile, che costituisca una bussola certa e
permetta di governare l’ingovernabile. Gli scontri tra etnie diverse
avvenuti nel cuore di Milano, hanno dimostrato che il malessere non
alberga soltanto nelle zone derelitte del Paese, dove comanda
indisturbata la criminalità organizzata, ma anche tra le strade
della capitale morale, roccaforte del nostro sistema industriale. I
primi a soffrire per queste rivolte, oramai sempre più frequenti,
sono i vecchi abitanti delle zone trasformate in ghetti e la massa
degli stranieri in regola, desiderosi soltanto di lavorare e vivere
in pace. Combattere l’immigrazione clandestina e le sue connessioni
con la criminalità più o meno organizzata non è facile, ed ancora
più difficile è contrastare la formazione di concentrazioni etniche
nelle grandi città. Il tempo è oramai scaduto e se non troviamo
adeguate soluzioni dovremmo abituarci a convivere con disordini e
rivolte quotidiane.
Il Mattino 20 febbraio 2010
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Video oscurato a chi non paga
Gentile dottor Lubrano,
l’apice dell’evasione fiscale in Italia si raggiunge nel pagamento
del canone sulla televisione, che in intere regioni è considerato
poco più che un optional ed allegramente almeno dieci milioni di
utenti si comportano come non esistesse.
Oggi con il digitale terreste è tecnicamente possibile interrompere
la ricezione delle trasmissioni per i morosi, come accade in altre
nazioni, ad esempio in Belgio, dove basta anche un giorno di ritardo
per vedere lo schermo buio. Nello stesso tempo chi ritenesse di
voler seguire soltanto le programmazioni di Mediaset o delle
numerose emittenti private verrebbe liberato dal pagamento, oggi
obbligatorio, del canone.
Far pagare di meno, ma far pagare a tutti sarebbe un bel esempio di
lotta all’ evasione ed interesserebbe un quinto della popolazioni,
basterebbe la volontà di usufruire delle nuove possibilità messe a
disposizione dalla tecnica.
Il Mattino 7 marzo 2010
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Leghismo becero, iattura per il Sud e l’Italia tutta
Gentile direttore, il leghista Cota, nemmeno insediato sulla
poltrona di presidente del Piemonte già comincia a rilasciare
dichiarazioni contrarie alla logica ed al buon senso, affermando che
la RU486, la pillola per indurre farmacologicamente l’aborto, nella
sua regione non verrà adoperata.
Dimentica il neo eletto che in Italia esiste una norma, la 194, che
regola la materia e non è tra i poteri degli amministratori locali
disobbedire alle leggi dello Stato. Il leghismo ritiene già di
governare una nuova nazione e non si accorge di rappresentare una
tabe mortale per l’unità del Paese ed una iattura per le regioni
meridionali.
Esso fa leva sulle paure inconsce e sull’egoismo più becero delle
masse, diffonde una xenofobia criminale ed un’ansia di secessione
suicida.
Il Roma 6 aprile 2010
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*Trenitalia, più che multa ci è parsa un’estorsione
Saliamo in treno a Narni, ma potremmo essere saliti in altre cento
ed ancora cento stazioni italiche prive di biglietterie, con
macchinette automatiche guaste ed obliteratrici fuori uso. Gli
onesti, siamo in tre, cercano il controllore per fare il biglietto,
spiegando che non è stato assolutamente possibile farlo prima; gli
altri, i furbi, una ventina, si disperdono tra i vagoni. Il
controllore con ingiustificata prosopopea ci redarguisce a voce alta
e ad ognuno infligge un' ammenda spropositata e vessatoria, oltre
all' importo del percorso, per alcuni di pochi chilometri. Non vuole
ascoltare ragioni, si spazientisce ed impone un regolamento assurdo,
invitandoci al limite a fare un inutile ricorso. E noi vogliamo
pubblicamente appellarci alla logica: se non si mette il viaggiatore
nelle condizioni di fare il biglietto prima, salendo da stazioni
prive di ogni servizio, che ci si possa rivolgere, in questi soli
casi, al personale viaggiante per pagare l' importo dovuto.
Altrimenti non si tratta di un' ammenda, ma di un' estorsione.
La Repubblica 14 aprile 2010 – Il Corriere della Sera 14 aprile
2010(col titolo Stazioni ferroviarie senza biglietterie) – IL
Mattino 15 aprile 2010 (col titolo Niente biglietterie multati gli
onesti)
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Pedofili tra preti… serve qualità morale
La pedofilia oltre ad essere un peccato mortale esecrabile è anche,
non dimentichiamolo, un reato penale tra i più gravi, ma soprattutto
è una malattia, una turba psichiatrica della quale sono affetti,
volendo rimanere all’Italia, non meno di diecimila persone, mentre
altre centomila hanno tendenze pedofile.
Non bisogna perciò meravigliarsi se 10 – 15 di questi 10.000 siano
preti, salvo che non si sia scoperta solo la punta di un iceberg più
ampio e mostruoso.
Si è molto discusso di un rapporto di causa ed effetto tra celibato
e pedofilia e quasi tutti gli studiosi hanno escluso un legame,
affermando che tra celibi o vedovi non vi sia questa tendenza, ma
non si è tenuto conto che il celibato sacerdotale è un obbligo, non
una scelta e che l’atmosfera sessuofobica che si respira nei
seminari è soffocante ed induce alla deviazione del desiderio, il
quale, nella maggior parte dei casi sfocia nell’omosessualità,
praticata da una percentuale cospicua dei novizi, come è molto
diffusa nelle caserme e nelle carceri e dovunque si creino in
maniera innaturale delle concentrazioni stabili e forzate di
soggetti dello stesso sesso.
La repressione del sesso induce a concentrare le proprie energie in
una causa. La Chiesa lo ha scoperto duemila anni prima dei
guerrafondai dell’epoca vittoriana, Reich lo ha dimostrato in
maniera inconfutabile cinquanta anni orsono.
Per scegliere la castità ci vuole coraggio e maturità, oltre ad una
chiara e solida vocazione. San Paolo dichiarava solennemente: “Se
uno per dedicarsi a Dio deve ardere, si sposi, io nella castità sono
felice”.
Il rischio che l’obbligo del celibato possa attrarre giovani
insicuri dalla personalità fragile, che non vogliono instaurare un
rapporto con la donna e scelgano perciò di entrare nella Chiesa non
è da trascurare e quando e se tale regola sarà abolita possiamo
sperare che la qualità morale dei preti aumenterà. Il terzo
millennio ed il terzo mondo hanno bisogno di sacerdoti eroi, solidi
nella fede, ma anche nella mente.
La strada scelta da Benedetto XVI, la tolleranza zero è una
decisione lodabile e gli attacchi alla sua persona sono vergognosi,
ma non bisogna intralciare il cammino della giustizia civile, che
per quanto fallibile è l’unica a disposizione, almeno per i laici, i
quali a differenza dei cattolici non possono contentarsi di una
futura punizione divina.
Il Roma 18 aprile 2010
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Quella strage senza colpevoli
Gentile direttore,
a giorni saranno trenta anni dalla strage di Ustica, uno dei tanti
misteri che soffocano la nostra storia recente, sulla quale si è
detto e non detto e sono stati versati fiumi di parole inutili.
A ricordare la triste ricorrenza nessuna cerimonia ufficiale, le
interviste reticenti ai politici dell’epoca, che sanno e non dicono
ed un bel libro di Rosario Priore, il giudice che indagò a lungo,
ostacolato in ogni modo, sulla tragica esplosione del Dc9 dell’Itavia
e sulla morte di ottanta persone.
Ma trovare la verità non dovrebbe essere difficile e mi permetto di
consigliare la via da percorrere a chi volesse, giornalista o
magistrato, sapere cosa successe realmente nei nostri cieli.
Gli Americani conoscono da sempre l’esatto svolgersi degli
avvenimenti, anche se hanno sempre rifiutato di collaborare. A
Napoli, alla rada, stazionava una portaerei che con i suoi radar
teneva sotto controllo tutto il Mediterraneo, mentre dall’alto ai
satelliti non sfugge un metro quadrato di territorio; tutto
registrato e conservato.
Negli Stati Uniti esiste una legge sacrosanta a baluardo della
libertà d’informazione:il Freedom of Information Act, che consente
al semplice cittadino di accedere direttamente ai documenti, anche
all’epoca riservati, della pubblica amministrazione civile e
militare.
Le informazioni che ci interessano sono lì che attendono di essere
compulsate, ci sarà qualcuno di buona volontà che vorrà adoperarsi
per farci conoscere la verità?
Il Mattino 25 giugno 2010
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I talenti migliori penalizzati dalle caste
Il recente episodio del chirurgo Macchiarini, ritornato in Italia
dopo aver raggiunto la fama all' estero e costretto, dopo due
spettacolari trapianti di trachea, a ripartire, accettando un
insegnamento in Svezia, è la dimostrazione lampante di una società
bloccata, dove il merito, anche se eclatante, non viene riconosciuto
e dominano incontrastate caste e cosche, che difendono posizioni di
privilegio e si riproducono unicamente per raccomandazioni. Si
tratta di un copione vecchio che tristemente si ripete. Ricordo
ancora il caso del professor Bovet (italianissimo nonostante il
cognome francese), insignito del premio Nobel per la medicina, che
volendo ritornare in patria ed esibendo nei concorsi un curriculum
interminabile, tra cui la celebre onorificenza, si vedeva
spudoratamente superato da figli e nipoti di baroni con articoletti
pubblicati su riviste prezzolate, mai lette da nessuno. Questo
sistema ingessato viene pagato principalmente dai giovani, i
migliori, destinati ad emigrare, ma alla fine da tutti noi,
costretti a pagare costi più alti per servizi più scadenti. La
grande rivoluzione liberale, tante volte annunciata è di là da
venire. Un plauso va perciò al chirurgo fiorentino, che ha cercato
con il suo bisturi di incidere su un corpo putrefacente quale quello
delle caste duro a morire.
La Repubblica 5 agosto 2010
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Serra di Cassano fasti e nefasti
Gentile direttore, sulle pagine del Mattino è comparsa in tre
puntate la cronistoria di una favolosa festa tenutasi cinquanta anni
orsono nel palazzo Serra di Cassano, lo stesso che oggi ospita la
sede dell'Istituto per gli studi filosofici di Gerardo Marotta. Di
questo mitico ballo con oltre mille invitati si è persa la memoria e
beh venga un libro ed un'esposizione a ricordarlo, ma a me preme
rammentare a tutti un meno commendevole episodio riguardante la
famiglia: la vendita ad un nobile inglese della preziosa biblioteca
contenente migliaia di volumi, alcuni rarissimi riguardanti la
storia di Napoli, che non possono essere più consultati, essendo
divenuti inaccessibili nel castello che ora li accoglie. Abbiamo
perso per sempre una parte del nostro glorioso passato e siamo
divenuti tutti più poveri, mi pare giusto che vadano rimembrati non
solo i fasti, ma anche i nefasti.
Il Mattino 5 agosto 2010
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*Anche i politici si diano una pausa
Il divino Augusto, che comandava il mondo, quando era periodo di
ferie (giustamente dette augustee) non voleva sentire ragioni che
non fossero il riposo e il divertimento; speriamo che anche i nostri
politici concedano a tutti i cittadini un periodo di sosta senza
litigare e rilasciare quotidianamente dichiarazioni bellicose,
vadano in vacanza e non ci assillino con le loro beghe e le loro
squallide spartizioni di potere. Siano seri almeno a ferragosto.
Il Mattino 17 agosto 2010 – La Repubblica 14 agosto(col titolo
Politica a Ferragosto speriamo in una pausa) – Corriere della Sera
14 agosto 2010(col titolo Ferragosto senza litigi)
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Grida manzoniane
Non ci troviamo a Forcella, notoriamente quarto mondo, bensì nel
cuore dell’Italia civile, a Firenze, nei pressi della basilica di
San Lorenzo e quello che vediamo è un suk in piena regola con ogni
tipo di mercanzia in vendita in assenza di qualsiasi controllo
igienico e soprattutto fiscale.
Potremmo spostarci in qualunque altra zona della città e trovarci
davanti ad una situazione simile, la città è oramai invasa da decine
di migliaia di extra comunitari, irreggimentati dalla camorra e
dalla ndrangheta, sotto l’occhio distratto di coloro che dovrebbero
essere i tutori dell’ordine viceversa impegnati a guardare altrove.
La situazione è tragica e l’unica nota comica è costituita dagli
ubiquitari cartelli di divieto ad acquistare fuori dai negozi. Una
parodia delle grida manzoniane che copre di ridicolo gli
amministratori cittadini.
Immagino che Oriana Fallaci si stia rivoltando nella tomba per lo
squallido spettacolo offerto dalla sua amata Firenze, caduta preda
dell’illegalità diffusa, lei che per prima denunciò il pericolo di
assuefarsi ad una situazione vergognosa, che si perpetua
quotidianamente sotto lo sguardo allibito di milioni di turisti
La Nazione 18 agosto 2010
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Fermare i suicidi nelle carceri
Anche quest’anno a ferragosto si è ripetuto il mesto rito del
pellegrinaggio dei parlamentari ai penitenziari per rendersi conto
delle miserevoli condizioni di vita dei carcerati.
All’iniziativa dei radicali, passata sotto silenzio sulla stampa,
questa volta hanno aderito in duecento, un numero considerevole e
rappresentati erano sia il governo che l’opposizione.
I parlamentari si sono recati non solo nelle grandi galere:
Poggioreale, Regina Coeli, Ucciardone, ma hanno ispezionato anche
piccole strutture, scoprendo, ad esempio, che la recettività più
assurda, meno dello spazio in una cuccia di un cane, la si trova a
Lucca, dove per ogni recluso in cella è disponibile meno di due
metri quadrati.
E poi un interminabile elenco di carenze, tutte già ben note ed
alcune che gridano vendetta e meriterebbero di essere portate
davanti alle corti di giustizia europee: sovraffollamento record,
condizioni igieniche disastrose, suicidi a catena per disperazione,
personale di custodia insufficiente, mentre non si applicano pene
alternative, mancano progetti per ammettere ad un utile lavoro
esterno e la giustizia, sempre più lenta, tollera che la metà dei
reclusi sia in attesa di giudizio e di conseguenza, se la
Costituzione non è carta straccia, innocente.
Bisogna urgentemente passare dalla teoria alla pratica. Alla ripresa
dei lavori parlamentari vengano presentate serie proposte bipartisan
per la depenalizzazione di molti reati, riservare la custodia
cautelare ai casi più gravi, incrementando l’istituto degli arresti
domiciliari sotto la tutela del braccialetto elettronico, fornire
incentivi economici e fiscali alle imprese che assumano detenuti in
semi libertà o che hanno da poco scontato la pena, potenziare il
personale di custodia, senza dimenticare psicologi ed educatori.
Ma soprattutto fate presto per evitare che il problema si risolvi da
solo attraverso un’allucinate catena di suicidi, dall’inizio
dell’anno sono quasi cinquanta.!!!
Il Mattino 20 agosto 2010 – La Nazione 21 agosto 2010 – Il Giornale
21 agosto 2010(col titolo Il problema carceri sempre più drammatico)
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*Tutti al mare nelle spiagge chic
l’Italia sta vivendo una situazione politica definita da molti
commentatori da ultima spiaggia, ma sarebbe più corretto parlare di
molte spiagge da Ansedonia a Capalbio, da Forte dei Marmi a Porto
Cervo e Porto Rotondo, affollate in questi giorni dagli squallidi
protagonisti di questa ennesima bagarre.
I parlamentari, continuano imperterriti nei loro quotidiani
bollettini di guerra, ma preferiscono alle sedi istituzionali del
dibattito i proclami ferragostani, mentre sui giornali scorrono le
immagini di leader in costume da bagno, infradito, calzoncini e
canottiere quasi in competizione per il look più fico e
l’abbronzatura più alla page.
Bisognerà pazientare fino a settembre inoltrato, quando si spera
questi patetici duellanti scenderanno dai loro panfili ed
indosseranno di nuovo una giacca e nel frattempo gli Italiani
continuano a pazientare, tanto la situazione è grave, ma non seria.
Libero 21 agosto 2010 – Corriere della Sera 21 agosto 2010(col
titolo Situazione politica Grave ma non seria)
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**Gonne svolazzanti e mutandine maliziose
Mi sia permesso, tra tanti argomenti seri ed angoscianti (crisi
economica, caro vita, disoccupazione, ecc.) trattare brevemente di
una tematica apparentemente fatua, tessendo un elogio di un
indumento oramai abbandonato e che una volta marcava la differenza
tra i due sessi: la gonna, sostituita a livello planetario, in
Occidente come in Cina, da jeans strettissimi che più stretti non si
può. Le conseguenze per lo smaliziato occhio maschile sono state
negative, omologando nell’anonimato belle e brutte. E non meno
inquietanti sono risultati gli esiti sotto il profilo medico
estetico, avendo dato luogo a celluliti, accumuli di adipe e vulvo
vaginiti ribelli a qualsiasi terapia. Il tutto aggravato dal
consequenziale abbandono delle calze tradizionali, soppiantate dal
collant, una delle invenzioni più nefaste della storia…Se solo le
gentili signore e signorine intuissero il dirompente effetto
afrodisiaco di una minigonna o di un reggicalze, ben più potente di
qualsiasi compressa di Viagra, si pentirebbero certamente.
Per chi proviene da una città del sud afflitta dal traffico e da
pendenti salite l’uso della bicicletta è sconosciuto, per cui,
trovandosi in una città pianeggiante, la visione di una fiumana di
leggiadre signore e signorine, le quali scorazzano allegramente su
variopinti velocipedi, dà l’impressione di un mirabile miraggio,
soprattutto perché le suddette hanno fortunatamente da tempo abolito
gli aborriti pantaloni ed adoperano esclusivamente gonne generose,
che, complice il vento ed una innata abilità da consumate maliarde,
svolazzano birichine mettendo in bella mostra audaci scorci di
panorama anatomico e molto spesso maliziose mutandine.
Ma non sono soltanto visioni radiose, fautrici di pensieri
peccaminosi, perché molte di queste cicliste sono giovani mamme, le
quali, avventatamente, conducono con sé i loro pargoletti: uno, due,
anche tre alla volta, incuranti del pericolo mortale di una condotta
sciagurata.
Il Tirreno 27 agosto 2010(col titolo In bicicletta leggiadre ma con
due o tre bambini)
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Nubifragio in Pakistan e chi se ne frega?
Lo scriteriato sfruttamento delle risorse della Terra ha sconvolto
il clima del pianeta, tsumani ed inondazioni, diluvi biblici e
smottamenti sono sempre più frequenti e mentre noi siamo beatamente
in vacanza una immane catastrofe ha sommerso un quinto del Pakistan,
provocando centinaia di migliaia di vittime, venti milioni di
profughi, mentre le epidemie mettono in forse la vita di tre milioni
di bambini.
L’Occidente distratto dal ferragosto e forse perché si tratta di un
paese islamico assiste distrattamente agli avvenimenti senza
organizzare una campagna di aiuti.
La nostra pelosa carità cristiana si ferma quando si tratta di
soccorrere uno stato mussulmano.
Sono necessari miliardi di dollari per ricostruire una nazione
sfortunata e mal governata, dotata della bomba atomica, ma priva di
strade, ospedali e case decenti, ma che scocciatura proprio mentre
siamo impegnati nelle ferie.
Il Mattino 27 agosto 2010 – La Stampa 27 agosto 2010 - Il Manifesto
29 agosto 2010 – Libero 29 agosto 2010
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*Le baby prostitute della Cina
Dopo averci invaso per anni con i suoi prodotti a prezzi stracciati
la Cina ha completato l’opera inviandoci legioni di prostitute, in
gran parte minorenni, le quali stanno sconvolgendo anche il mercato
della prostituzione, che sembrava al riparo dagli effetti della
globalizzazione.
Non saranno forse belle come le slave o calienti come le cubane e le
brasiliane, ma certamente sono meticolose e pazienti e soprattutto
offrono un servizio completo per 10 euro, alcune addirittura per 5,
permettendo così un allargamento del bacino di clientela, che
comprende ora anche disoccupati e nullatenenti. O tempora o mores.
Il Mattino 30 agosto 2011
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Degrado “Persino peggio di Napoli”
Sono napoletano e da una vita viaggio per il mondo. Mi è sempre
capitato, facendo il paragone con la città natale, amata
svisceratamente ed i luoghi visitati, di trovare costantemente
realtà più efficienti, più ordinate, più pulite.
Ma ora, dopo tanto peregrinare, ho incontrato una pseudo capitale,
Roma, che in molti campi ha superato Napoli, conquistando la vetta
nel guinness dei primati negativi. Infatti ogni giorno i romani, e
con loro un flusso cospicuo di turisti, devono confrontarsi con una
rete di trasporti pubblici inadeguata e lumachesca, che ha il suo
epicentro nella linea B della metropolitana, priva di aria
condizionata, per cui si raggiungono lungo tutto il percorso
temperature tropicali con malori a catena.
Il numero di accattoni è superiore alla tollerabilità e molti di
questi, in assenza di qualsiasi controllo, diventano spesso
insolenti ed aggressivi, mentre aumentano sempre più posteggiatori
abusivi e lavavetri. Durante le ore notturne gran parte del centro è
in balia di fracassoni, teppisti e ubriachi, che i vigili urbani non
cercano neppure di contrastare. Il traffico, nonostante ubiquitari
divieti di circolazione, è caotico, la sporcizia delle strade
montante, la raccolta differenziata mera utopia.
Finire in un pronto soccorso è un incubo pari soltanto all’utilizzo
di un treno regionale, imbrattato e puteolente. Potremmo continuare
a lungo, ma ci fermiamo per carità di patria, essendo ancora Roma la
capitale, che dovrebbe essere d’esempio per tutti gli italiani.
Il Tirreno 11 agosto 2010 - Corriere della Sera Roma – 4 settembre
2010
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Il sottile veleno del consumismo
Gentile dottor Lubrano,
credere che il possesso di infiniti oggetti possa rendere felici è
il sottile veleno che il consumismo, complice i mass media ed una
pubblicità martellante, ha inculcato nelle nostre menti.
Una droga sulla quale si basa da decenni l’economia mondiale. Un
modello di sviluppo nefasto, creato dagli Stati Uniti, basato sullo
sperpero dissennato delle risorse e sul debito concesso a tutti, non
solo alle classi medie, ma anche ai poveri, senza alcuna
preoccupazione per la restituzione, tanto a pagare ci sono le altre
nazioni, attraverso la truffa del dollaro come valuta di riferimento
prima e dei derivati venduti ad innocenti risparmiatori poi, ma
soprattutto lasciando un conto da saldare salatissimo alle nuove
generazioni ed un pianeta al collasso.
E ad aggravare la situazione ed a togliere ogni residua speranza di
palingenesi, l’adozione della stessa mentalità da parte dei nuovi
imperi economici: Cina, India, Brasile e Russia, paesi che ignorano
democrazia e diritti civili, creano ridotte caste di super
miliardari e miliardi di poveri con salari da fame.
Il Mattino 12 settembre 2010
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**Possiamo ignorare i barboni?
Gentile direttore,
ad ogni angolo della città possiamo osservare uomini e donne di
tutte le età, che bivaccano in condizioni igieniche spaventose,
avendo fatto del marciapiede la loro casa.
Discutendo del problema con amici, si sente dire spesso che la
scelta del barbone di vivere per strada è libera e non spinta da
necessità. Per rendermi conto della verità ho assunto direttamente
informazioni presso il dormitorio pubblico di via Grande Archivio ed
ho scoperto con angoscia che ogni sera decine di persone non trovano
ricovero e sono costretti a passare la notte per strada.
Notizia confermatami dal coraggioso parroco della vicina chiesa dei
Ss. Severino e Sossio, il quale ha organizzato un servizio di
assistenza spirituale. Ma anche il corpo ha le sue improrogabili
necessità e credo che il dormire sotto un tetto sia una delle
principali. Come potremo continuare placidamente ad addormentarci la
sera nei nostri letti ora che sappiamo che uomini e donne più
sfortunati di noi sono costretti a cercarsi un giaciglio di fortuna
sulla pubblica strada!
Il Mattino 26 settembre 2010
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Dalle donne di Botero alla voglia di anoressia
Per millenni la bellezza femminile ha fatto rima con l’opulenza,
nessuna donna era appetibile se non fosse dotata di una quantità di
adipe più che cospicua.
I fianchi larghi garantivano un parto più facile e poiché nel nostro
codice genetico è impresso l’imperativo categorico della
riproduzione, l’istinto del maschio faceva sì che per
l’accoppiamento erano ricercate unicamente donne dai glutei
prominenti e dai seni prosperosi, che davano la sicurezza di un
efficace allattamento.
Nel Rinascimento l’ideale della donna ipercolesterolemica dai
fianchi debordanti e dall’addome batraciano è stato immortalato dal
virtuoso pennello dei più grandi pittori da Giorgione a Tiziano. Ed
anche nel Novecento vi sono stati cantori dell’esuberanza corporea
muliebre da Tamara de Lempicka a Botero, ossessionato dal pingue e
dall’adipe soprannumerario.
Poi all’improvviso, in preda ad un impeto penitenziale, è scattata
una moda aberrante basata sul disprezzo delle curve e
sull’esaltazione dell’anoressia, sul trionfo della magrezza e
sull’obbligo sociale della taglia 46. Il grasso superfluo diventa un
demonio da esorcizzare attraverso una guerra ai carboidrati, una
fatwa scriteriata scagliata verso pizza e spaghetti, un inno al
sushi ed alle insalate scondite. Una vera e propria patologia che fa
più vittime dell’obesità e che, nel penalizzare gli innocenti
peccati di gola, induce a ben più severe trasgressioni dall’alcol
alle droghe.
Le donne over size sono la maggioranza e non è giusto che vengano
trascurate dagli uomini, che sembrano non avere occhi che per le
snelle.
Tutte le signore e signorine in sovrappeso non devono dichiararsi
vinte e devono intonare una preghiera laica al genio di Botero, il
quale, ha immortalato sulla tela personaggi femminili, in cui i
grandi volumi trionfano indisturbati, come nella celebre tela che
raffigura un’immensa bambinona nella sua innocente nudità, a mo’ di
Venere dallo sguardo invitante. Ella si acciambella, stringendo
pudicamente le gambe e creando intorno a se una nicchia dove un
compagno di avventura è invitato come amante, ad accarezzare le sue
forme generose di divinità dell’opulenza e nello stesso tempo di
brava ragazza. Niente di più moderno di questo epicureismo
alleggerito da ogni totem e tabù vittoriano. Niente di meno
contemporaneo, niente di più fedele alla Venere allo specchio di
Velazquez o alla Maja desnuda di Goya, di questi ripetuti inni
all’innocenza della voluttà. Ciò che conta veramente è poter gioire
dell’essere in vita con buona salute ed opulenta complessione,
mentre il seno della fanciulla deborda senza limiti e senza ritegno
straripando nelle pieghe di un infinito adipe e sembra voler
abbracciare tutta l’umanità per chiedere affetto e comprensione.
Il Mattino 29 settembre 2010
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Perché gli uffici pubblici non sono dotati di bagni?
Mi trovavo in fila da oltre un’ora presso il grande edificio delle
Poste in Prati, frequentato ogni giorno da migliaia di cittadini,
quando sono stato colto da un insopprimibile bisogno fisiologico. Ho
chiesto timidamente ad un impiegato dove fossero dislocate le
toilette, ma costui mi ha risposto che, semplicemente non esistono.
La stessa risposta mi sarebbe stata data se mi fossi trovato in
qualunque altro edificio pubblico perché, pare, i servizi igienici
sono ritenuti un optional. Quanta acqua è passata sotto i ponti del
Tevere da quando il grande imperatore Vespasiano dotò la città
eterna ed il suo impero di quegli indispensabili presidi idraulici,
che giustamente presero nome dal loro geniale ideatore e che oggi i
nostri solerti amministratori giudicano superflui.
Repubblica Roma 3 ottobre 2010 – Corriere della Sera Roma 5 ottobre
2010 (col titolo Prati Mai in bagno alle Poste)
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La casta dei notai ed i concorsi truccati
Gentile direttore, la penosa interruzione del concorso notarile
nazionale, avvenuta a furor di popolo per le lampanti irregolarità
riscontrate, tese a favorire gli iscritti ad una famosa scuola di
notariato di Roma, frequentata dai figli di politici e di notabili,
è la dimostrazione lampante di un anacronismo a cui bisogna porre
rimedio, allargando l’accesso ad una professione, che è una vera
miniera d’ ora per i pochi fortunati e raccomandati che riescono ad
accedervi.
Bisogna permettere anche agli avvocati di esperire le procedure
attualmente riserva di caccia privilegiata per la più potente casta
d’Italia e trasferire a funzionari dello Stato le attività più
semplici. Si realizzerà in tal modo un riequilibrio da tempo
agognato e soprattutto si farà l’interesse del cittadino e non più
di pochi ricchissimi mandarini.
Gian Filippo della Ragione
La Repubblica 5 novembre 2010
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Napoli, un laboratorio che interessa tutti
Napoli affoga sepolta dai rifiuti ed è l’immagine premonitrice di un
futuro quanto mai vicino, quando, se non si frena una civiltà basata
su un consumismo sfrenato ed irrazionale, tutte le città del mondo
saranno sommerse dai rifiuti ed avvelenate dai gas di scarico emessi
da automobili ed inceneritori. Napoli è il laboratorio dove si
accavallano una serie di tematiche che da tempo hanno raggiunto e
superato il livello di guardia, ma che interessano tutti i
contemporanei. Traffico, disoccupazione, delinquenza
organizzata,smaltimento dei rifiuti, abusivismo, etc. Se Napoli
dovesse veramente affondare creerà un gigantesco risucchio e
trascinerà con sé anche le altre metropoli.
La Repubblica 7 novembre 2010
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*Villa Fersen tornata agli antichi splendori
L' ultima fatica letteraria di Vittorio Sgarbi è opera meritevole,
anche se dedica poco spazio al sud, per il proposito di far
conoscere un' Italia sulla quale incombe la minaccia di scomparire,
un po' come sta succedendo in questi giornia Pompei. Tra le pagine,
scritte con una prosa elegante, uno Sgarbi che riesce ad incantarci
con le sue descrizioni accurate ed accorate, ma scopriamo anche un
errore grossolano, quando si parla di villa Fersen a Capri, dal nome
del barone dandy che a lungo ne fu proprietario. La descrizione
dello stato miserevole i cui versa è impietoso: "In alcune stanze il
soffitto è caduto, in altre voragini si aprono nel pavimento;
sfondata e mutilata delle decorazioni la celebre stanza absidata
detta dell' oppio". Evidentemente Sgarbi da tempo non vi mette
piede, perché essa, di proprietà da anni del Comune, è stata
restituita all' antico splendore ed ospita mostre ed altre
manifestazioni culturali.
La Repubblica 20 novembre 2010
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“Il Mattino ritrovato”
L' altro giorno entro nella metropolitana (linea A Ottaviano),
rammaricato che all’edicola avevano esaurito Il Mattino, il
quotidiano preferito, ma appena mi seggo nel treno mi rincuoro:su un
sedile scorgo una copia del giornale che leggo quotidianamente.
Bene, ho risparmiato un euro, ma appena comincio a sfogliarlo mi
accorgo della data: 3 novembre, anzi da un appunto sottolineato a
penna che si tratta proprio del mio giornale, che avevo lasciato,
avendolo letto, ad un viaggiatore tre settimane fa. Evidentemente le
carrozze vengono pulite con cadenze sconosciute e non ci vuole molto
per accorgersene
Corriere della Sera Roma 27 ottobre 2010 - La Repubblica 25 novembre
2010 (col titolo Metro, i vagoni della linea A vengono puliti
raramente)
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La nostra spazzatura nel deserto libico?
Gentile dottor Lubrano,
l’infinito capitolo dell’emergenza rifiuti in Campania non ha in
tempi brevi, nonostante i proclami trionfali del governo, alcuna
soluzione se non quella di portare altrove le tonnellate di monnezza
che affollano le strade di Napoli e delle altre cittadine. In attesa
della costruzione di altri termovalorizzatori e di organizzare
seriamente la raccolta differenziata.
Per far decantare il problema vorrei porre all’attenzione generale
una soluzione, che potrà parere provocatoria, ma mi sembra l’unica
percorribile. Sfruttiamo i buoni rapporti che abbiamo con Gheddafi e
convinciamolo, in cambio di un po’ di vile denaro, ad ospitare nello
sterminato deserto libico la nostra spazzatura. Esso può assorbirla
senza gravi impatti ecologici ed il trasporto via mare ha costi
enormemente inferiori a quelli sostenuti in passato pr inviarli via
treno verso gli inceneritori germanici.
Il Mattino 7 novembre 2010
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**Maledetta vecchiaia
Se osserviamo gli animali in libertà - senza dimenticare che anche
noi lo siamo - ci accorgiamo che non conoscono né vecchiaia né
lunghe malattie e invece, con il nostro incauto comportamento,
abbiamo condannato a questa maledizione anche gli animali domestici.
Uno dei pensieri che più mi rattrista al mattino è che il tempo,
inesorabile, non scorre eguale per tutti i viventi. Il giorno appena
trascorso equivale a sette giorni per il mio fedele amico Portos;
oggi abbiamo in proporzione la stessa età, ma il suo tempo scorre
impietosamente più veloce.
La natura, nella sua infinità saggezza - o Dio, se preferite - non
aveva previsto per l’uomo che si potessero superare i 30-40 anni: la
menopausa per le donne, la calvizie per gli uomini, la presbiopia
per entrambi sono aberrazioni non programmate. L’uomo viveva nel
vigore della giovinezza e moriva nel pieno delle proprie forze, non
conosceva l’umiliazione del degrado fisico e la morte per
consunzione. Poi la civiltà, la prosperità e la medicina hanno
aggiunto anni alla vita senza aggiungere vita agli anni, dando luogo
alla vecchiaia, una maledizione tra le più difficili da tollerare.
Il nostro corpo invecchia, ma dentro molti di noi rimangono giovani.
Ci è vietato guardare le ventenni (o i ventenni) con cupidigia, ma
la bellezza ancora ci attrae irresistibilmente; non abbiamo davanti
a noi molti anni da vivere, ma non ci rassegniamo all’idea di
morire. Spesso riusciamo a sopravvivere decentemente, ma quando
siamo costretti dall’avanzare inesorabile degli anni e dalle
malattie a subire mille limitazioni, ci sentiamo degli abusivi della
vita.
Ma la mazzata più forte che ci riserva la vecchiaia è la perdita del
proprio compagno. Non vi è saggezza che possa confortarci. Abbiamo
rinunciato al branco, ma siamo programmati per vivere in coppia. Chi
muore per primo non capisce la sua fortuna: dovunque egli vada, il
compagno che resta va all’inferno.
La Stampa 20 dicembre 2010(come editoriale dei lettori)
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La liberazione dai rifiuti
Viviamo senza accorgercene una terza rivoluzione industriale e solo
un uso più razionale delle materie prime e dell'energia consentirà
la sopravvivenza degli affari, del lavoro e una riduzione dei
consumi. Il perverso andamento della civiltà dei consumi, vincolata
al credo della produzione di merci sempre meno durature, al successo
di mode effimere e di un mercato che spinge verso una continua
produzione, ci costringerà nel giro di pochi anni a fare i conti con
una massa di rifiuti in grado di travolgerci e se i governi del
mondo continueranno ad ignorare la gravità del problema, sarà
necessario far nascere e crescere un movimento di liberazione dai
rifiuti.
Il Mattino 2 gennaio 2011
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Stop al canone vendiamo la Rai
Mentre a tutte le ore si intensificano gli appelli a mettersi in
regola con il pagamento del canone annuale, una odiosa tassa evasa
da oltre 10 milioni di italiani, nata in epoca di monopolio ed
assolutamente ingiustificata in presenza di televisioni libere e del
dominio di internet, nessuno tra i politici propone di vendere la
Rai ai privati.
Si ricaverebbero un sacco di soldi subito, utili ad alleviare il
buco nel bilancio dello Stato e se ne risparmierebbero altrettanti
in futuro come spese di gestione, ma soprattutto eviteremmo la
vergogna di dover assistere a programmi parapolitici faziosi
finanziati dai contribuenti e a tanta tv spazzatura, dal gioco dei
pacchi alle tante isole popolate da personaggi beceri più o meno
famosi.
La televisione finirebbe di essere il lucroso refugium peccatorum di
tanti raccomandati, il mercato guiderebbe le scelte dei programmi e
gli italiani verrebbero liberati da un anacronistico balzello.
Il Mattino 7 febbraio 2011
Se l’economia prevale sulla politica
Una volta il mondo si divideva semplicemente in ricchi e poveri,
oggi, ed in futuro il divario sarà sempre più accentuato, tra chi ha
un lavoro e chi non lo ha. Quanto prima l'automazione, i robot, la
telematica libereranno l'uomo dal fardello del lavoro, mentre la
produzione di beni e servizi rimarrà invariata. Il problema,
gigantesco, sarà allora quello di distribuire equamente tra gli
uomini il prodotto delle macchine, basterà un governo
sovranazionale, possibilmente illuminato, a risolvere equamente la
questione? Per proporre qualche rimedio alla crisi del capitalismo,
all'implosione del mercato del lavoro ed al disordine finanziario
bisogna ipotizzare l'esistenza di un'autorità che sia in grado di
far rispettare delle regole, il contrario di ciò che avviene oggi
con il predominio, netto ed incontrastato, dell'economia sulla
politica e con gli Stati servi dello strapotere delle multinazionali
Il Mattino 21 febbraio 2011
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Maxiretata di prostitute
L’ALTRA notte a Napoli vi è stata una maxiretata di prostitute a
cura del corpo di vigili municipali coordinati dal generale Sementa,
che ha diretto personalmente l’operazione. Le donne, quasi cento,
oltre ad alcuni trans, sono state identificate e i risultati sono
stati sbalorditivi,«evidenziando alcuni particolari assolutamente
inaspettati: nessuna minorenne, una sola italiana, la più anziana
del gruppo una settantunenne costretta a esercitate aiutandosi col
bastone. Sembrano dati incredibili perché basta essere minimamente
esperti dei luoghi di raduno di queste donnine per sapere che le
ragazzine anche di dodici o tredici anni costrette a prostituirsi
sono numerose. Meno sorprendente la quasi totalità di straniere:
nigeriane, albanesi, rumene, da alcuni anni anche molte cinesi.
La Repubblica N 16 marzo 2011
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*Ricordando il Centenario
Sono divenuto vecchio senza accorgermene, infatti ricordo come se
fosse ieri, ed erano cinquanta anni orsono, quando avevo tredici
anni e visitai a Torino i festeggiamenti per il Centenario
dell’Unità d’Italia, accompagnato da mio padre nel mio ultimo
viaggio con lui già gravemente ammalato, ma volle accompagnarmi a
celebrare un momento epocale della nostra storia.
Come pure conservo gelosamente nella mia biblioteca un’antologia di
scritti patriottici, con in copertina una coccarda tricolore, che
venne distribuita gratuitamente a tutti gli studenti italiani.
Erano lontani anni luce le revisioni dei neoborbonici e le
scriteriate proteste secessionistiche della Lega.
Per Italia ’61 a Torino fu approntata un’avveniristica monorotaia,
si potette assistere al circorama ad un emozionante documentario
sulle nostre regioni (le fasi emozionanti di una corsa a Monza o
l’ingresso trionfale nel golfo di Napoli in aereo tra Vesuvio e via
Caracciolo), vi erano un’infinità di ristoranti dove si potevano
gustare i manicaretti caratteristici di ogni località della
penisola.
Si respirava ovunque un grande entusiasmo, perché non si festeggiava
soltanto l’Unità, ma soprattutto il grande progresso economico della
nazione: l’oscar della moneta alla lira, lo straordinario successo
delle olimpiadi di Roma, le ultime a misura di uomo, il lavoro che
aumentava, le autostrade che crescevano come funghi, le riforme, i
grandi cambiamenti nel costume, lo stupefacente miracolo economico.
Dopo cinquanta anni la situazione è radicalmente cambiata con una
disoccupazione dilagante, il calo demografico, le fazioni politiche
impegnate in una lotta senza esclusione di colpi, il crepuscolo
delle coscienze, l’epicedio dei valori.
Come i 100 anni furono contraddistinti da allegria e partecipazione,
così i 150 sembrano distinguersi unicamente dall’eclisse della
speranza e dalla negazione del cammino percorso assieme.
La Stampa (come editoriale dei lettori) 23 marzo 2011
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*Matrimoni di anziani truffa all’Inps
Gentile Direttore,
ieri ho ricevuto la partecipazione per il matrimonio di un
conoscente che non vedevo da decenni e che, francamente, credevo
avesse già da tempo lasciato questa valle di lacrime.
Invece Giusto, un arzillo ingegnere novantenne, due volte vedovo, ha
deciso di impalmare la sua badante, più giovane di lui di solo
sessanta anni.
Colpo di fulmine o più semplicemente una vera e propria truffa,
anche se non punibile, ai danni dell’Inps?
Infatti la nostra legge, a differenza delle più severe normative in
auge in altri più seri paesi europei, prevede che la novella sposa
possa usufruire della pensione di reversibilità, eventualmente
tornandosene comodamente nel suo Paese a grattarsi la pancia, non
appena il nostro Giusto si deciderà finalmente al trapasso.
Speriamo che quanto prima il legislatore troverà il tempo per
approvare una legge bipartisan, che stabilisca chiaramente, anche al
fine di acquisire la cittadinanza, un tempo minimo di durata del
matrimonio (due o meglio ancora cinque anni) prima che si maturi il
diritto alla pensione, per evitare il dilagare di migliaia di
matrimoni fittizi, che dilapidano le già disastrate finanze degli
enti previdenziali e costituiscono una beffa per tanti giovani che
non potranno mai avere la loro giusta pensione.
Il Mattino 1° aprile 2011 – La Repubblica N 30 marzo 2011
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**Le gioie del volontariato
Sembra strano che in tristi tempi come quelli che viviamo, segnati
da un tramonto dei valori religiosi, da un dissolvimento degli
ideali politici, da un dominio incontrastato dell’edonismo e del
consumismo più sfrenato, aumenti sempre più il numero di coloro che
si dedicano con altruismo al volontariato, soccorrendo i più deboli
ed i più sfortunati.
L’enorme carica di energia vitale che promana vigorosa da questa
moltitudine di uomini e donne di ogni età, come un pollone
spontaneo, è in grado di salvare il mondo, di colmare le ingiustizie
più palesi, di permetterci di guardare al futuro con meno
apprensione.
Solo chi lo pratica conosce le gioie del volontariato, la
soddisfazione di essere utile al prossimo, di poter soccorrere chi
ne ha bisogno, di dare un senso alla nostra vita.
Per chi non lo ha mai conosciuto e vuole avvicinarsi ad esso
consiglio di farlo all’inizio in compagnia di qualche amico, si
supera così più facilmente l’impatto che a volte può mettere in fuga
i meno motivati, dando la penosa impressione di dover sopportare da
soli tutto il male del mondo.
Giorno dopo giorno cresce poi una voglia irrefrenabile di fare
qualcosa per gli altri ed il piacere di farlo.
Non si tratta di seguire precetti religiosi o vacui ideali, di
conquistare meriti ultraterreni, bensì di agire spontaneamente per
perseguire il bene.
Le soddisfazioni, ve lo assicuro, non si faranno attendere e saranno
in grado di riempire il nostro animo di una gioia immensa.
Il Mattino 19 aprile 2011 – (Sarà ripubblicata da Il Mattino il 1
novembre 2014, col titolo La vita piena e ricca di chi fa
volontariato)
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Affidare alla sorte la sanatoria delle badanti
Gentile dottor Lubrano, in questi giorni si sta consumando
l’ennesima ipocrita beffa ai danni dei lavoratori extra comunitari e
degli stessi datori di lavoro, desiderosi di mettersi in regola con
la legge e con i magri bilanci previdenziali, pagando i relativi
contributi per coloro che da anni sono al loro servizio.
Affidare alla sorte l’ultima sanatoria per badanti ed affini e
fingere di ignorare che tutte le richieste sono state avanzate, non
da nuovi migranti desiderosi di trasferirsi presso di noi, bensì da
onesti lavoratori da anni in attività presso famiglie o aziende
italiane, significa semplicemente prendere in giro i cittadini.
Sarebbe stato opportuno permettere alle centinaia di migliaia di
stranieri, che hanno fatto del nostro Paese la loro seconda patria,
di emergere da un’assurda clandestinità, attraverso un rigoroso
riconoscimento dei loro diritti e doveri, senza un’assurda finzione
legata alla velocità di un clik ed a quote di assorbimento
inadeguate alla realtà; ma oggi, in un momento di crisi economica
come quello che stiamo attraversando, ci si affida alla speranza,
come sempre ha fatto la plebe, e si gioca, non solo al lotto,
l’antico sogno dei poveri, ma al gratta e vinci, al totocalcio, alla
lotteria, alle scommesse e a tanti altri giochi, che hanno in questi
ultimi anni raggiunto una diffusione mai vista prima in Occidente,
per cui anche la volontà di lavoro e di riscatto viene legata alla
fortuna ed alla più abietta ipocrisia.
Anche questo tipo di sanatoria sembra essere frutto della
contraddizione, ossia di due visioni: una che vede negli
extracomunitari una risorsa e l’altra che invece vorrebbe
ricacciarli oltre confine. Contemporaneamente poi assistiamo al
fenomeno inverso: con i mariti disoccupati o in cassa integrazione
non poche mogli si offrono come badanti. Sono numericamente in
aumento infatti le italiane che si iscrivono ai corsi di formazione
per assistenza agli anziani. E non pochi extracomunitari lasciano
l’Italia diretti altrove perché qui da noi non c’è più lavoro.
Il Mattino 24 aprile 2011
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L’acqua è ricchezza
Dai Sumeri ai Romani, i popoli antichi ne avevano già capito
l’importanza per la civiltà. Mentre oggi anziché diffonderla per lo
sviluppo, si privatizza.
La vita senza acqua è impossibile, il nostro corpo è formato in gran
parte da questo prezioso liquido, al quale sono legate la fertilità
della terra, la possibilità di allevare bestiame, le principali
tecniche di produzione industriale.
Il benessere senza una cospicua dotazione idrica è pura utopia e non
da oggi, infatti le grandi civiltà del passato, dai Sumeri ai
Romani, ne avevano compreso l’importanza vitale e attraverso
grandiose opere idrauliche: acquedotti maestosi ed efficaci impianti
di irrigazione avevano trasformato l’abbondanza dell’acqua nel
volano dello sviluppo e l’emblema stesso della civiltà.
Nel medioevo poi la scarsa disponibilità di acqua, crollati in
rovina i poderosi acquedotti dell’antichità, provocò una disastrosa
crisi economica durata secoli. La preziosa linfa si poteva attingere
solo dai pozzi; divenne un lusso l’igiene, bestie e campi patirono
la sete, mentre trionfavano ovunque carestie ed epidemie. Oggi,
mentre bellicose multinazionali cercano di accaparrarsene la privata
proprietà in tutto il mondo, la battaglia per l’acqua può
rappresentare la chiave per scardinare le diseguaglianze tra i
popoli, arginare le ondate migratorie bibliche, creare nei paesi
poveri, afflitti da siccità e desertificazione, le condizioni per lo
sviluppo.
A differenza dell’oro nero, l’acqua non si può trasferire molto
lontano da dove sgorga: lì dove mancano fiumi e laghi, deve essere
il mare, opportunamente desalinizzato, a sobbarcarsi il compito di
placare la disperata sete di centinaia di milioni di uomini.
Se l’acqua non è libera, disponibile e abbondante la civiltà fa un
passo indietro e bisogna attivarsi con urgenza affinché enormi zone
del globo, oggi desertificate, possano di nuovo essere restituite
all’agricoltura, creando in loco le risorse per combattere la fame
di tanti nostri simili disperati.
La Stampa 27 aprile 2011 (come editoriale dei lettori)
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Galleria di Arte moderna chiusa senza preavviso
Mercoledì scorso, dopo essermi informato telefonicamente sul turno
settimanale di chiusura, mi reco con alcune coppie di amici, sotto
una pioggia battente, alla Galleria di Arte moderna per visitare la
mostra sui Preraffaelliti. Grande è stata perciò la nostra sorpresa,
inferiore solo alla rabbia, nel trovare sbarrata la porta d'
ingresso con affisso un laconico avviso di chiusura straordinaria
per compensare l' apertura pasquale.
La Repubblica Roma - 1° maggio 2011
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*Donne e aborto problema aperto
Gentile direttore,
negli anni Settanta il movimento delle donne si batteva nelle piazze
per la depenalizzazione dell'aborto, poi venne la legge, il 22
maggio 1978, un ipocrito compromesso tra Democrazia cristiana e
partiti di sinistra, un vero e proprio aborto giuridico. Dopo tre
anni la Chiesa tornò alla carica con un referendum abrogativo, che
si concluse con l'affermazione del diritto all'aborto. Fu una
sconfitta per le gerarchie ecclesiastiche, ma non fu una vittoria
perle donne per le quali cominciarono le difficoltà per l'epidemia
di obiezione che paralizzò di fatto il lavoro degli ospedali. Si fa
un gran parlare di aborti clandestini, ma perché non proviamo a
farli divenire e chiamarli privati? Una donna per un'appendicectomia
è libera di scegliere il medico ed il luogo di cura, per
un'interruzione di gravidanza è costretta invece a servirsi di
strutture pubbliche, delle quali può non avere piena fiducia.
All'estero è completamente diverso, la paziente può rivolgersi
all'ospedale o scegliere un ginecologo in una clinica privata
autorizzata. E smettiamola anche di evocare lo spettro delle mammane
e delle donne rovinate dall'aborto. Le mammane non lavorano più da
decenni ed il famigerato laccio è andato definitivamente in
pensione. Oggi se una paziente sceglie un medico privato è perché sa
molto bene che gli specialisti che si dedicano a questa attività
sono molto più abili dei colleghi ospedalieri, adoperano il metodo
Karman (aspirazione) molto meno cruento della metodica chirurgica
tradizionale e soprattutto permettono di evitare le defatiganti
attese, gli interrogatori imbarazzanti, gli interminabili e spesso
inutili accertamenti, la promiscuità delle corsie, l'ansia di una
decisione sempre dolorosa e traumatizzante, che spetta solo alla
donna dopo aver interrogato la sua coscienza. In Italia la legge
prevede che le cliniche private possano chiedere l'autorizzazione a
praticare l'interruzione di gravidanza ed addirittura il
convenzionamento con l'Asl, ma questa richiesta solo eccezionalmente
viene accolta, per cui un ginecologo che volesse seguire una sua
paziente, in cura da anni ed alla quale ha preso i parti precedenti,
deve invece abbandonarla a colleghi, quasi sempre giovani e che
spesso si dedicano all'interruzione per trovare un primo lavoro,
pronti a divenire obiettori appena ottenuto un contratto a tempo
indeterminato. Presso le Asl in tutta Italia dormono decine di
domande di autorizzazione ed i politici debbono decidersi ad
affrontare il problema, che da tempo attende una soluzione
rispettosa delle richieste di tante cliniche qualificate, che
vogliono mettersi al servizio della leggee delle donne. Oggi insieme
alla cocaina ed all'hashish gli spacciatori vendono anche la RU486,
soprattutto alle ragazzine, un vero pericolo se adoperata
incautamente. Vi ricorrono le minorenni, le immigrate e tutte coloro
che vogliono saltare le pastoie burocratiche e non riescono a
reperire uno specialista compiacente Dimenticavo: le pazienti che
oggi ricorrono ad un medico privato pagano una cifra in linea con i
prezzi delle prestazioni sanitarie, 500-600 euro e fanno risparmiare
allo Stato circa 2000 euro, dobbiamo esserle grate.
Il Mattino 25 maggio 2011
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La vecchiaia ai tempi del Viagra
I sessanta anni hanno costituito per secoli un traguardo dignitoso
per l’uomo alle soglie della pensione, un periodo costellato dai
primi dolori artritici, a cui facevano da contrappeso saggezza e
tranquillità d’animo.
La famiglia, allietata da un nugolo di nipotini, stilava il bilancio
di decenni di vita trascorsi assieme, pronta a viverne ancora tanti
con gioia e soddisfazione reciproca. Oggi le fantastiche pilloline
blu, infiammano i corpi, ma soprattutto la mente, creando legioni di
anziani patetici, smaniosi, dal desiderio nevrotico ed
incontenibile, mentre si sfasciano famiglie, che pur avevano
festeggiato le nozze d’argento, complici milione di immigrate,
giovani, bonazze e di bocca buona.
Gli anziani che fanno ricorso a questi succedanei della passata
virilità, vogliono sfidare le leggi della natura e somigliano sempre
più a dei satiri assatanati, più che a uomini pieni di esperienza in
grado di dispensare saggezza.
Una nuova realtà, innaturale, alla quale bisognerà abituarsi, mentre
il cinema ed i libri provvedono già a rappresentarla degnamente,
declinando una nuova figura di vecchio sul viale del tramonto alla
disperata ricerca di un’immortalità surrogata e di un’onnipotenza
virtuale, che faccia da antidoto ad una improcrastinabile impotenza.
Il Fatto Quotidiano 18 giugno 2011
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Liberalizziamo la droga
Fino a ieri a parlare di liberalizzazione della droga vi erano
soltanto i radicali, da oggi Pannella e soci sono in buona ed
autorevole compagnia; infatti il comitato dei saggi dell’Onu,
composto da illustri personaggi è giunto, anche se in ritardo, alle
stesse conclusioni: inutile criminalizzare le sostanze stupefacenti,
non se ne riduce il consumo e si incrementano all’infinito i
guadagni della criminalità organizzata, in grado oramai, grazie al
narcotraffico, di gestire bilanci superiori a quelli di oltre metà
degli Stati iscritti alle Nazioni Unite e di comandare in alcune
nazioni dal Kosovo all’ Afghanistan.
Tra i membri della commissione vi sono nomi prestigiosi da Kofi
Annan a Mario Vargas Llosa, dagli ex presidenti di Messico, Colombia
e Brasile, in passato accaniti proibizionisti, all’ex premier greco
Papandreu, senza dimenticare ex ministri di Nixon e Reagan, l’ex
presidente della Federal Bank o della Federazione svizzera. Nelle 24
pagine del loro rapporto, ignorato da gran parte dei media mondiali,
invitano gli Stati ad una rivoluzionaria inversione di tendenza,
liberalizzando la droga, dopo 50 anni di inutile lotta per impedirne
il consumo.
Un’esperienza che fino ad oggi ha interessato, e parzialmente, solo
alcuni paesi: Canada, Portogallo, Svizzera ed Olanda, dove non vi è
stato un aumento del consumo, mentre la delinquenza ha avuto un
colpo mortale. In Italia alla base di oltre il 50% dei reati vi è
l’ombra della droga, oltre la metà dei carcerati è ospite… dello
Stato per reati connessi agli stupefacenti, la metà delle forze
dell’ordine e della magistratura è occupata a contrastarne il
traffico. Sarebbe opportuno cominciare a discuterne pacatamente,
anche se è difficile avere spazio sui giornali, perché i poteri
dell’antistato sono in grado di corrompere e condizionare chiunque.
Il Tirreno 19 giugno 2011
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**Uno sguardo sul nostro futuro
Un domani i nostri figli e nipoti dovranno pagare l’enorme debito da
noi accumulato. Ci malediranno e nello stesso tempo si chiederanno
il perché di questa vigliaccata. Leggeranno i libri di storia alla
ricerca di una risposta e vedranno come negli anni Ottanta del
Novecento il capitalismo cambiò volto e, caduto il muro di Berlino,
stabilì di liberalizzare i movimenti di capitali, i quali
cominciarono a spostarsi da un angolo all’altro della Terra, alla
ricerca della migliore redditività, una cosa fino ad allora
impensabile, in un epoca ispirata agli storici accordi di Bretton
Woods, contrari a qualsiasi trasferimento di risorse monetarie
lontano dal luogo dove erano state prodotte.
Tali limitazioni, da tutti accettate, avevano permesso una tregua
nell’ eterna lotta tra capitale e lavoro; infatti si rinunciava alla
volontà del massimo profitto in cambio di una sorta di pace sociale,
contraddistinta dall’ affievolirsi della lotta di classe, dalla
diminuzione degli scioperi e dalla ricerca congiunta dell’aumento di
produttività, condizione indispensabile per incrementare la
redditività del capitale ed in proporzione la crescita di stipendi e
salari. I politici chiamarono questo accordo tra le parti politica
dei redditi e per alcuni decenni essa fu contrassegnata da una
drastica riduzione della disoccupazione e da una ragionevole
distribuzione dei benefici economici. Questo virtuoso equilibrio tra
le parti saltò in breve non appena ingenti risorse monetarie
cominciarono ad indirizzarsi verso i paesi poveri, dove diedero
luogo a tumultuosi processi di sviluppo, travolgendo però antiche
tradizioni, sedimentate nei secoli e creando le condizioni per
repentini quanto devastanti fenomeni di deflusso economico.
Nel frattempo in Occidente questi spostamenti monetari provocarono
una mutazione genetica del capitalismo, che assunse il suo volto più
feroce, con una ricerca spasmodica del massimo profitto, in
dispregio dell’ambiente e dei limiti dello sviluppo consentiti dal
pianeta; inoltre si cominciò ad assistere ad una prevalenza della
finanza sull’economia e della speculazione sulla produzione. Le
conseguenze furono disastrose con uno spostamento dei guadagni dalla
tangibile realtà della produzione agli artifici truffaldini della
finanza, un aumento delle diseguaglianze sociali ed un incremento
del divario tra ricchi e poveri. Inoltre venne a crearsi un effetto
paradossale con il risparmio realizzato nei paesi emergenti, il
quale, invece di sostenere i consumi locali, aumentando l’ infimo
livello di vita delle popolazioni locali, va alla ricerca di un buon
rendimento e di una ragionevole sicurezza, andando a finanziare i
consumi spropositati dei cittadini dei paesi ricchi, istaurando una
cronico squilibrio nelle loro bilance di pagamento e perpetuando la
scellerata consuetudine di vivere alle spalle delle future
generazioni di un regime economico nel quale l’ indebitamento cresce
giorno dopo giorno ed un consumismo sfrenato, esaltato da una
pubblicità martellante, induce il cittadino a ricercare benessere e
felicità nel vacuo possesso di una miriade di oggetti privi di
senso.
Poi sopraggiunse una spaventosa crisi provocata dall’esplosione di
una gigantesca bolla immobiliare negli Stati Uniti e dalla scoperta
della truffa insita nei derivati ed in altri prodotti finanziari
spazzatura. Per effetto perverso della globalizzazione dall’America
il crack si trasferì in tutto il mondo travolgendo i mercati. La
depressione del 1929 apparve ben poca cosa, anche perché si riuscì
faticosamente a superarla grazie alla politica, che ancora prevaleva
sull’economia, alla tutela degli interessi pubblici in contrasto
agli egoismi privati. I governi davanti alla vastità della
catastrofe si mostrarono deboli ed accondiscendenti con i
responsabili: ripianarono i bilanci delle banche insolventi con
denaro prelevato dalle tasche dei contribuenti ed aumentando a
dismisura il debito pubblico. Furono necessari gravi e duraturi
sacrifici, mentre le agenzie di rating si permettevano di criticare
i bilanci deficitari degli Stati che, abdicando impudicamente ad
esercitare la sovranità, si erano prostrati davanti a multinazionali
e potentati finanziari. Riprese spavaldamente il gioco della rapina
finanziaria ai danni dei cittadini fino a quando….
E qui la storia può prendere due diversi svolgimenti, tutto
dipenderà da come noi ci comporteremo. Ci avvieremo verso un governo
mondiale, obbligatoriamente di natura dittatoriale(le democrazie
sono il regno della corruzione dove il potere del denaro trionfa),
auspicabilmente illuminata, in grado di regolare lo straripante
potere della finanza, riportando il capitalismo a più miti consigli
e dedicando la giusta attenzione all’uomo ed ai suoi bisogni. Al
limite alla divisione del mondo in due blocchi contrapposti,
regolati però da leggi dipendenti dalla politica e non
dall’economia. Oppure (ed in tal caso dubito che i nostri
discendenti possano leggere il finale) il denaro continuerà ad
essere la misura di tutti i valori, la disoccupazione dilagherà,
mentre il capitale sfrutterà sempre più il lavoro, incurante di
disastri ambientali e dell’esaurimento delle risorse fino all’
apocalisse prossima ventura.
Il Fatto quotidiano 20 giugno 2011
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Il Migliore ma non come padre
Gentile direttore, a margine della scomparsa a 86 anni del figlio
dimenticato di Togliatti, sono rimasto colpito dalla dedizione
ultratrentennale della sua badante, un'italiana di nome Marisa come
la sorella dello sfortunato signore, costretto da una malattia
mentale ad essere ghettizzato a vita. Il "Migliore" per milioni di
comunisti genuflessi non è stato il migliore dei mariti, lasciando
la moglie per una compagna più giovane e più bella come l'ultimo dei
borghesi e certamente non è stato il migliore dei padri, cancellando
dalla storiografia ufficiale un figlio affetto da turbe psichiche e
dimenticandolo tra ospedali e ospizi. Ma suo figlio è stato
fortunato: ha trovato una badante discreta ed affezionata che lo ha
assistito amorevolmente fino alla fine, descrivendolo come un
gentiluomo, elegante e riservato a cui piacevano tanto i dolci e non
come uno sfortunato demente. E come un ultimo atto di devozione ha
deciso che riposerà nel cimitero del suo piccolo paesello, affinché
non gli manchi, anche dopo la morte, sulla tomba, il conforto di un
fiore e di una preghiera di una persona che gli ha voluto bene,
anche se questa era soltanto la sua badante.
Il Mattino 20 luglio 2011
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* I rifiuti in nave
Strano che nessuno abbia mai pensato ad una semplice ed economica
soluzione per lo smaltimento dei rifiuti, che vorrei proporre
all'attenzione dei tecnici e dell'opinione pubblica. I rifiuti,
senza necessità di differenziarli, dovrebbero essere trasferiti
nella stiva di navi in grado di sminuzzarli, comprimerli ed
inglobarli in grossi contenitori di cellulosa o altro materiale
idoneo a contenerli per un lungo periodo di tempo, nell'ordine di
decenni, se non di secoli. Tali navi dovrebbero poi raggiungere le
acque internazionali in corrispondenza di notevoli profondità (per
Napoli basta superare Capri) e liberarsi del carico, il quale
andrebbe a porsi sul fondo, dove riposare in pace. Quando fra un
periodo infinito i contenitori dovessero cedere nessun problema: la
frazione umida potrebbe costituire un efficace nutrimento per i
pesci, il vetro si trasformerebbe in sabbia, carta e cartone si
dissolverebbero in un attimo.
Tutto verrebbe assorbito in maniera ecologica, ad eccezione della
plastica, una modesta quota dei rifiuti urbani, che necessita di più
lunghi periodi di trasformazione. I costi per smaltire i rifiuti
cittadini sarebbero irrisori, rispetto alle metodologie attualmente
adoperate ed il rispetto per l'ambiente assoluto.
Il Mattino 1° agosto 2011
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L’economia reale e quella virtuale
Gentile direttore, mentre il prezzo degli ortofrutticoli raggiunge
il massimo della forbice tra produttore e consumatore, con
incrementi scandalosi anche di 30-40 volte tra ciò che la grande
distribuzione paga al contadino e quanto viene richiesto dal
dettagliante, abbiamo assistito nei giorni scorsi, in attesa di
sentire la voce disperata dei consumatori, a grandi manifestazioni
di protesta da parte dei pastori e degli agricoltori. I primi hanno
portato in piazza il loro grido di dolore fino ai palazzi della
capitale, mentre i secondi hanno invaso piazza Affari a Milano con i
loro maiali davanti alla sede della Borsa, il luogo dove il lavoro
vero, la fatica che fa sudare, non viene più riconosciuto e dove
pochi avidi speculatori decidono i prezzi dei cereali e dei mangimi,
della carne e del latte, influenzando il destino di milioni di
uomini, molti dei quali, soprattutto in Africa, sono ridotti
letteralmente alla fame. Non dimentichiamo infatti che ciò che per
noi rappresenta il caro-vita, per tanti altri è semplicemente la
vita e lo strapotere della finanza sull'economia reale è fonte
quotidiana di ingiustizie che chiedono vendetta oramai solo davanti
a Dio, perché la giustizia terrena è in tutte altre faccende
impegnata.
Il Mattino 3 agosto 2011
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Ringrazio le badanti un esercito silenzioso
L' ultima manovra finanziaria conteneva una norma anti badante per
evitare le truffe all' Inps costituite dai matrimoni tra datori di
lavoro ottuagenari e giovani domestiche, ma per pochi episodi di
malcostume non bisogna stancarsi di dire ogni giorno grazie a un
esercito silenzioso composto da oltre due milioni di unità, che
permette all' Italia di poter continuare a camminare nel suo
egoismo, figlio della civiltà dei consumi. Le nostre donne oramai
ambiscono solo e soltanto a un lavoro fuori casa e scaricano sul
personale domestico, quasi tutto straniero, incombenze alle quali
fino a una generazione fa attendevano volentieri, la gestione della
casa, l' educazione della prole e, l' impegno più gravoso, l'
assistenza agli anziani. L' arrivo di un fiume di badanti di razze e
culture diverse è accettato di buon grado dalle famiglie,è tollerato
anche nei diktat più scriteriati dei leghisti e può costituire un'
occasione di graduale cambiamento dei costumi. Nei casi più gravi
prestano la loro preziosa assistenza costantemente a casa, ma spesso
escono a fare quattro passi con la persona a loro affidata e sono
immagini di grande tenerezza: premurose sono seduti assieme su di
una panchina nei giardini pubblici o aiutano amorevolmente a fare
una brevissima passeggiata mattutina, per convincere l' assistito di
essere ancora vivo. Il vecchio e la badante sembrano lontani anni
luce, viceversa quasi sempre si intendono con un semplice sguardo,
sono entrambi molto saggi, l' uno per l' esperienza accumulata negli
anni, l' altra perché vivere lontano da casa rende subito maturi.
Sono entrambi fragili come il vetro per i malanni e per la scarsa
tutela dei propri diritti. Sognano la famiglia lontana e soffrono di
un' inguaribile solitudine: lo straniero ha i suoi cari a migliaia
di chilometri, l' anziano ancora più distanti, anche se la figlia o
la nuora abitano a pochi isolati di distanza. Tutte le piazze d'
Italia dovrebbero dedicare un monumento alla badante e gli artisti
dovrebbe saper cogliere e trasferire sul marmo o sul bronzo lo
sguardo caritatevole di queste donne, cingalesi e filippine,
polacche e ucraine. Possiamo immaginare una donna china su un
vecchio col sorriso sulle labbra. Tutti dovremmo sostare a meditare,
come non siamo da tempo più abituati e possiamo essere certi che il
monumento non attirerebbe lo spray imbrattante del vandalo, che
umilia le statue dei personaggi celebri e dei padri della patria e
farebbe tentennare la mano del politico o del funzionario pronti a
firmare una legge restrittiva o un obbligo di rimpatrio.
La Repubblica 13 agosto 2011
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Gli autobus hanno il sistema GPS ma nessun collegamento al 113
Esperienza allucinante l' altro giorno sul 33: sale sull' autobus un
giovane energumeno che comincia a chiedere un euro, perché ha perso
il portafoglio; dopo i primi dinieghi, si spazientisce e comincia a
minacciare. Alcuni, terrorizzati, acconsentono alla richiesta, io
gli allungo dieci euro. Allontanatosi il folle mi avvicino all'
autista, e scopro che a Roma gli autobus nonostante il sistema Gps
di localizzazione non possono comunicare con le forze dell' ordine.
La Repubblica Roma – 17 settembre 2011 – Corriere della Sera Roma 20
settembre 2011 (col titolo In balia di un violento)
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Cinque proposte per svuotare le carceri
Si parla tanto di amnistia e indulto, alimentando inutili speranze
tra i 70000 detenuti, stipati come bestie nelle carceri,
dimenticando il delicato momento politico, per cui è pura utopia
sperare che si possa raggiungere in Parlamento la maggioranza
qualificata necessaria a varare un provvedimento di clemenza. Si
potrebbero invece svuotare rapidamente i penitenziari attraverso una
legge ordinaria, che preveda il rispetto di leggi già esistenti,
inapplicate per il congestionamento degli uffici dei giudici di
sorveglianza, costretti, nonostante il loro lodevole impegno, a
esaminare con attese estenuanti migliaia di istanze. Le ragionevoli
proposte che mi sentirei di avanzare al legislatore sono: 1) Il
diritto automatico ai domiciliari per chi deve scontare meno di un
anno. 2) L' avviamento obbligatorio ai servizi sociali per tutti
coloro che devono scontare gli ultimi tre anni di reclusione. 3) L'
utilizzo della carcerazione preventiva solo in casi eccezionali,
facendo tesoro del braccialetto elettronico in uso in tutti i paesi
civili e non dimenticando che secondo la Costituzione si tratta di
innocenti. 4) La possibilità di scontare la pena ai domiciliari per
tutti i malati passibili di peggioramento in regime di reclusione e
per chi ha compiuto 65 anni. 5) Trasferire in strutture attrezzate i
tossicodipendenti per un più efficace programma di recupero,
favorendo un futuro inserimento nella società.
Il Tempo 1° ottobre 2011
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Lettera di Torkey Mohamed Fathy compagno di cella di Achille della
Ragione
IL DIO DI REBIBBIA
Quando sono venuto qui in questo albergo lussuoso sono capitato con
uno scrittore italiano: si chiama Achille della Ragione. Egli e
veramente un Aristotele degli anni duemila, anche se lui e un
filosofo che io non condivido. La sua filosofia va sull’essistenzialis.
La derivazione del suo nome e di origine greca. Il famoso Achille il
troiano conosciuto che era un figlio di una dea, un eroe immortale
però aveva il suo difetto: il tallone. Quando sua madre lo ha messo
nell’acqua per farlo divenire immortale dimenticava di metterlo
interamente nell’acqua tenendolo per le caviglie. Per questo il suo
difetto era il tallone. Nella guerra di Troia i suoi nemici
scoprirono il suo difetto. Quando e stato scoperto secondo la storia
greca diventato mortale, però il nostro Achille della Ragione, il
suo difetto e il suo grande vantaggio per lui dal primo momento che
tu lo incontri. Ti fa sentire che lo conosci da anni. Ti fa sentire
la vera amicizia fa così con tutti quelli che vengono da lui per
prendere la sua opinione o il suo consiglio per qualsiasi cosa nella
vita perche il nostro mito considerato come un dizionario perche lui
praticante secondo il mio parere. Non sono un filosofo, lui e un
artista nel teatro della vita, un poeta, a parte che lui ha scritto
55 libri di vari argomenti, libri di arte politica e filosofia
economia.
Lasciamo perdere la sua napoletanità. Lui qui lo chiamano il Buon
Dio di Rebibbia perché e sempre disponibile anche per una caramella
la dona con sorriso la sua esperienza e illimitata e sempre pronto
con la battuta simpatica. In qualsiasi momento per me e difficile
che qualcuno filosofo mi colpisca. Ho letto più di 2000 libri
ricordo molto bene i personaggi il nostro Achille sembra una di
questi grandi personaggi usciti dal libro. Non posso dire di
preciso. O arriva dal medio evo, o dalle montagne di Olimpia, ove la
montagna era piena di tanti dei però qua l’Olimpia di Rebibbia ha
solo un dio e non c’e posto per un altro, questo e il nostro
Achille. Mentre il suo cognome: della Ragione. Questo è un cognome
nobile però il significato in greco della Ragione significa e l’uomo
filosofo che usa il suo cervello per qualsiasi cosa per es. Socrate
quando qualcuno lo diceva buongiorno, lui rispondeva ragionando che
e il buono? Io ho avuto tanti dialoghi con lui per tutti i cinque
mesi perche la nostra filosofia troviamo punti di riferimento, però
sempre ogni volta che dialoghiamo mi insegna cose nuove non solo a
me, ed anche altri compagni. Perciò c’è ancora tanto da imparare da
quest’uomo non si annoia mai. Perche questo tipo di filosofia che
ogni giorno c’è qualcosa nuovo.
Il Tempo 20 ottobre 2011
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Ho incontrato Dio in carcere
«Ho incontrato Dio in carcere. Dio è in ogni luogo e può raggiungere
ed illuminare il cuore di un uomo in ogni momento, dovunque egli si
trovi, anche nel buio di una cella, dimenticato da tutti se non
dalla cattiva sorte. Posso testimoniarlo personalmente: sono un
peccatore, non un delinquente e fino ad oggi ho creduto fermamente
soltanto ad un Dio creatore ad una intelligenza suprema, che ha
creato l’universo, dotandolo di leggi perfette. Mille dettagli ce lo
confermano ogni giorno.
Più difficile è credere ad un Dio misericordioso, perché ci capita
spesso di osservare avvenimenti che riteniamo ingiusti, soprattutto
quando ci toccano personalmente e noi ben sappiamo di essere
innocenti, ma commettiamo l’errore di confondere la giustizia
terrena, fallibile, con quella divina che lavora in tempi più
lunghi.
Oggi sono felice perché Dio non si è dimenticato di me, ha toccato
il mio cuore e spero orienterà il mio futuro.
Volevo riconciliarmi con lui,confessarmi e comunicarmi.
Peccato che a Roma, sede millenaria del Papato, per assistere alla
Messa, bisogna prenotarsi ed io, neofita, da poco ospite dello
stato, non lo ero»
Il Roma 4 Novembre 2011 - La Repubblica 16 novembre 2011
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Pena di morte? No suicidio di Stato
In Italia non esiste la pena di morte, non siamo mica gli Stati
Uniti o la Cina, siamo un paese civile.
Da noi però i detenuti, per le mostruose condizioni di
sovraffollamento, denunciate solennemente dallo stesso Presidente
Napolitano, sono costretti a vivere stipati come bestie e da tempo
nei penitenziari si è diffusa una micidiale epidemia, con una
cadenza di suicidi impressionante.
Speriamo che il nuovo governo, invece di varare con assoluta urgenza
adeguati provvedimenti, non pensi che il problema si risolva
spontaneamente grazie a questa catena di suicidi forzati, ben piu'
esecrabile della pena di morte.
L'altro giorno a Rebibbia, ignorato dalla stampa, vi è stato
l'ennesimo suicidio per impiccagione;
durante la messa al momento della preghiera, ho ricordato con brevi
parole l'episodio (pubblicato come lettera al direttore)
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FINALMENTE LIBERO
una bilancia in un'aula di giustizia ha segnato il suo destino,
l'altro giorno una bilancietta gli ha permesso di diventare libero.
Anche in reparti come il nostro G8 la sofferenza, la malinconia, la
solitudine, la disperazione possono indurre ad atti insulsi.
Possa Dio, nella sua infinita misericordia perdonarlo ed accoglierlo
nell'alto dei cieli
preghiamo
RISPOSTA DELLA FAMIGLIA di Luigi Del Signore
GRAZIE è con profonda commozione che abbiamo ascoltato la lettera che avete
scritto per ricordare lo zio. "Giggi" così noi lo chiamavamo, è stata una persona sfortunata, ha
avuto una vita difficile. Non era semplice stargli accanto nè
volergli bene, mi ha colpito come lo avete descritto, gli aggettivi
che avete usato. Lui era Giggino così strano, lunatico, ma inoffensivo.
aveva un carattere difficile e non amava parlare di sé, né forse
farsi conoscere troppo profondamente. Non sapremo mai il PERCHE' zio abbia deciso di togliersi la vita,
noi tutti speriamo che adesso sia in pace con se stesso e con gli
altri. Grazie per avergli voluto bene e grazie anche per essere stato
presente i fiori che avete mandato.
Il Tempo 6 dicembre 2011
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*Grazie a Elvira che mi ama nell’avversità
L’amore, è quel sentimento misterioso e sublime, il più bel dono che
ci ha fatto il Creatore, il quale può sfidare la caducità della
materia e durare in eterno.
Vorrei rendere nota ai lettori la mia esperienza.
Ho avuto la fortuna di incontrare una donna unica Elvira e da 40
anni condividiamo la buona e la cattiva sorte, osservando
scrupolosamente la promessa che ci scambiammo sull’altare.
In passato ci sono state tante gioie: agiatezza economica, figli,
nipoti, la salute, ma poi su di noi ha imperversato un destino
avverso fatto di malattie e di traversie giudiziarie. Ma il nostro
amore non ha conosciuto crisi: ieri presentazioni di libri a
Montecitorio, la partecipazione attiva nel bel mondo della società e
della cultura, oggi una ben diversa realtà.
Ma Elvira non mi ha mai lasciato, né in sala di rianimazione, né
oggi, che, ingiustamente condannato, sono costretto come un leone in
gabbia, a trascorrere il resto dei miei giorni nel buio di una
cella.
Grazie all’amore e grazie ad Elvira.
La ringrazio per la sua lettera che, come capita molto raramente,
non parla di abbandoni e tradimenti ma di un amore incrollabile pur
attraverso le più dure traversie. Lei è stato condannato per un
reato grave, ma si dice innocente, cioè afferma di non aver commesso
il fatto, perché quel fatto c’è stato ma lei non lo ritiene reato?
Comunque mi pare chr lei sia stato condannato a dieci anni, quindi
quando avrà, a pena scontata, il tempo di tornare a vivere con
questa moglie fedele e tuttora innamorata; è strano come le donne (o
gli uomini ovvio) continuino ad amare e sostenere una persona anche
dopo aver saputo che ha commesso atti illegali gravi, e invece la
abbandonano indignate per un paio di corna; è come se la vita
privata contasse più della convivenza civile, ma non può essere
così, se no la società andrebbe a pezzi. Lei e la sua Elvira siete
stati per anni al centro della vita mondana di Napoli, avete figli
grandi, e nulla vi ha separato. Mi piacerebbe sapere cosa pensa di
questa vostra reciproca fedeltà la signora Claudia della prima
lettera Natalia Aspesi
Lettera pubblicata il 23 dicembre 2011 su "il Venerdi di
Repubblica"nella rubrica "Questioni di cuore" di Natalia Aspesi
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**Lettera aperta al ministro Severino
Gentile signora Severino,
sono napoletano come Lei, medico e scrittore attualmente detenuto
nel carcere di Rebibbia, ed ho molto apprezzato il Suo toccante
discorso in occasione della visita del Santo Padre, per cui desidero
ringraziar La, anche a nome dei miei compagni di sventura.
Lei non ha potuto vedermi, perché la mia domanda (cattiva), per
quanto condivisa dai cappellani, è stata censurata dalla segreteria
del Pontefice.
In ogni caso è stata pubblicata da numerosi quotidiani sotto forma
di lettera al direttore:
«Colgo l’occasione per sottoporLe una mia proposta che,nonostante
abbia prospettato da tempo alla direzione, non ha finora ricevuto
risposta. Ho la fortuna che mia figlia e mio genero siano commissari
europei e, dopo aver consultato tutti i presidenti delle
commissioni, mi hanno assicurato, in tempi brevissimi, la
disponibilità di 100.000 euro per una o più iniziative a favore dei
reclusi di Rebibbia.
Il mio sogno è che si possa permettere-a costo zero- l’opportunità
di ricevere ed inviare mail a parenti ed amici,grazie al
finanziamento della Comunità Europea.
Naturalmente la posta elettronica in arrivo ed in partenza,a
differenza di quella tradizionale che gode della segretezza,
potrebbe avere un filtro censorio .Rimanere in contatto costante con
i propri cari è l’unico rimedio che conosco per sopportare la
sofferenza, la solitudine, la malinconia. Se non
si ha l’energia per la realizzazione di un’iniziativa del genere,che
ci porrebbe una volta tanto all’avanguardia in Europa, avanzo una
seconda proposta: quella d’invitare i maggiori esperti
internazionali del settore a tenere un ciclo d conferenze sulle
metodiche più avanzate per meglio tollerare la detenzione,
dall’ipnosi alla meditazione trascendentale, senza alcuna
preclusione (ricorda la signora Ministra la scena relativa di
Arancia meccanica?) e raccogliere poi i risultati in un volume da
diffondere presso gli istituti di pena di tutto il mondo.
Attualmente ho constatato che l’unica tecnica ampiamente attuata
consiste nell’uso generoso di psicofarmaci, sconfinante
nell’abuso,ch trasforma i detenuti in pallidi ectoplasmi, in automi,
molto spesso in marionette impazzite.
Non mi dilungo, gentile signora, ma sarei onorato di un Suo
riscontro
L’Unità 22 gennaio 2012
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Il peccato della libertà di parola
«Il peccato originale per l’uomo non è consistito certamente
nell’aver assaporato le gioie del sesso, bensì nella volontà di
accedere alla conoscenza e soprattutto attivarsi alla sua
diffusione.
Un acuto pensatore riesce a leggere il futuro prima dei suoi
contemporanei, non ha timore di scontrarsi con la morale corrente e
con il potere ed invita perentoriamente ad infrangere le regole
della tradizione, senza preoccuparsi delle conseguenze personali.
Il pensiero non conosce alcun limite, né quello delle sbarre di una
cella, da dove può espandersi fecondando ed influenzando l’opinione
pubblica, né la prigione di un corpo paralizzato come nel caso del
grande scienziato Hawking, che da cinquanta anni, costretto su una
sedia a rotelle, grazie ad un computer collegato ad un
sintetizzatore vocale, ha stravolto con le sue idee i confini della
fisica moderna.
Senza la scintilla del pensiero la nostra esistenza non avrebbe
alcun significato: un succedersi di eventi senza senso: nascere,
diventare adulti, avere un carattere, dei sentimenti, lavorare,
essere ricchi o poveri, avere una famiglia e degli amici, avvertire
vagamente il tempo e lo spazio e morire senza lasciare traccia del
proprio passaggio sulla terra.
La conoscenza si trasmetteva in passato esclusivamente attraverso i
libri, i quali come i fiumi rendevano ubertosa la terra,
rappresentavano le fonti primigenie della saggezza, permettendo alla
mente di spingersi in un abisso senza fondo.
Oggi, sempre più frequentemente, la verità cammina su Internet e per
un blog si può essere uccisi nel più atroce dei modi: con la testa
mozzata, messa dentro un sacco e lasciata davanti ad una scuola con
accanto, affinché il messaggio risultasse ancor più minaccioso ed
ammonitore, una tastiera di computer.
È quanto è accaduto ad una giovane blogger messicana, che si firmava
“La ragazza di Laredo”, perché da lì conduceva la sua battaglia
contro i narcotrafficanti, la cui potenza economica ha da tempo
ammansito gran parte della stampa e le televisioni locali. Ma il
sacrificio di questa ignota ragazza, di questa eroina dei nostri
tempi, ha scatenato la furia dei blogger, che sono aumentati di
numero ed hanno trovato il coraggio di denunciare questi ignobili
commerci e la corruzione dilagante.
La forza delle parole e del raziocinio non si fa imbrigliare dalle
ferree regole delle leggi o dall’etica corrente, né rispetta i
rigidi dettami delle religioni. Spesso l’ateismo è una
manifestazione del libero pensiero, con l’uomo che si fa arbitro e
giudice delle sue azioni, emancipandosi di fatto da ogni ipoteca
soprannaturale.
Talune volte la forza dell’intelletto attira su di sé un fascino
irresistibile, che lo trasforma in un grande seduttore, di menti
come di gonnelle, una sorta di Don Giovanni, come tutti quelli
immortali, creati dalla fervida fantasia di scrittori di ogni epoca,
da quello di Tirso de Molina a quello di Molière, fino all’eroe
trasfuso in pura lirica da Mozart.
Sempre in anticipo sui loro tempi, come capita anche ai nostri
giorni assediati dai fantasmi di rozzi integralismi religiosi ed
etici, che mostrano la forza liberticida di un oscurantismo, che non
risparmiano neanche l’Occidente, dove le grandi conquiste liberali
sono insidiate da un bigottismo ipocrita ed opportunista.
Il Tirreno 2 febbraio 2012
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* Meglio bestia che detenuto
Il governo si è sciolto senza prendere alcun provvedimento “sfollacarceri”,
mentre quotidiani e mass media continuano ad interessarsi alla sorte
dei cani randagi in Ucraina, dei gatti sfollati da Largo Argentina o
delle galline costrette in gabbie anguste.
I detenuti gradirebbero che fosse dedicata pari attenzione ad esseri
umani costretti a spazi talmente
Limitati da invidiare gli animali dei giardini zoologici.
Venerdì di Repubblica, La posta di Serra, 15 febbraio 2013(con il
titolo Il carcere fa meno notizia degli animali)
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Globalizzazione sì, capitalismo selvaggio no!
La globalizzazione ha portato indubbi vantaggi ai Paesi emergenti,
mentre ha impoverito l'Europa e gli Stati Uniti, perchè gli
imprenditori hanno delocalizzato la produzione li dove il costo del
lavoro è basso ed i diritti sindacali inesistenti.
Nello stesso tempo ha favorito la circolazione delle idee e dei
modelli culturali tra i vari Paesi.
Precari ed Indignati occidentali protestano a nome del 99% della
popolazione contro quell'1%, che detiene gran parte della ricchezza
mondiale.
La finanza selvaggia, che da alcuni anni imperversa indisturbata, ha
creato una voragine tra lavoro e capitale, aumentando la
disoccupazione ed incrementando il divario tra ricchi e poveri.
La soluzione ci sarà soltanto quando un governo mondiale sarà in
grado di indirizzare lo sviluppo, la circolazione di capitali e
controllare l'inquinamento e l'esaurimento delle risorse, pena
l'apocalisse terrestre, che sarà uno spettacolo al quale assisteremo
tra breve.
L'esatta antitesi del capitalismo di stato cinese, che sta divenendo
modello di riferimento, non solo per il terzo mondo, ma per lo
stesso Occidente.
Il Tirreno 7 marzo 2012
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Il dramma della disoccupazione
“Sono mortificato, ma debbo licenziarla”.
Una pacca sulla spalla, una stretta di mano ed il nostro amico, dopo
anni di lavoro deve lasciare la sua azienda, che rischia di il
fallimento.
Riempie uno scatolone con le sue cose, che lo hanno accompagnato per
una vita e si avvia lontano dal suo passato, timoroso per il suo
futuro.
Cosa racconterà alla moglie ed ai figli? Cammina a testa bassa,
pensando di essere stato trattato come il gas o il telefono, che si
possono tagliare da un giorno all’altro.
Gli sembra d’impazzire, perché oltre alla sua identità è stata
annullata la sua dignità di lavoratore.
Quanti sono coloro che in questi giorni di crisi economica stanno
subendo la stessa sorte, affiancandosi ai milioni di giovani
precari?
È un dramma epocale e pare che nessuno sappia trovare la soluzione
giusta.
Il Tirreno 25 marzo 2012
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Come uscire dalla crisi
I tempi delle vacche grasse sono tramontati per sempre e nessuno
propone idee per uscire dalla crisi.
I sindacati, invece di difendere strenuamente l’indifendibile,
perché non propongono di tornare alla settimana lavorativa di 40
ore, inclusi gli statali, a parità di stipendio?
Aumenterebbe sensibilmente la produttività e si incoraggerebbero gli
imprenditori stranieri ad investire in Italia.
Sarebbe una virtuosa inversione di tendenza ed un segnale positivo,
che certamente verrebbe favorevolmente accolto dal mercato.
Il Tirreno 27 aprile 2012
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* Eroi e muse reincarnate negli idoli contemporanei
La mitologia antica, creata dalla fertile fantasia dei nostri
antenati rivive con prepotenza nell’immaginario popolare dei nostri
contemporanei.
Le muse sono oramai a portata di mouse e non vivono più nei racconti
dei cantastorie che le diffondevano dai villaggi alle città, ma
trionfano sui settimanali patinati ed irrompono dallo schermo dei
nostri computer, creando un mirabile corto circuito tra passato e
presente in un mirabile spazio tempo, a cui tutti gli abitanti del
villaggio globale possono accedere liberamente.
Oramai tra l’Olimpo e lo Star System non esiste più alcuna barriera
temporale. Le monumentali statue di Fidia e di Mirone, che ci
proponevano atleti leggendari, si sono reincarnate nelle piroette di
Messi e nello scultoreo corpo della Pellegrini mentre le divinità
sono divenute dive, gli eroi si sono trasformati in campioni
olimpici, le vezzose quanto seducenti ninfe sono degnamente
rappresentate da graziose veline o maliziose escort, i virulenti
satiri hanno trovato un degno erede nelle incredibili cavalcate
erotiche dell’immarcescibile cavaliere.
Eris, la poco nota dea della zizzania, rivive negli effetti
devastanti del prorompente posteriore di Pippa Middleton, che
distoglie i flashes dei fotografi dall’abito nuziale della sorella
Kate e turba i desideri lascivi dei maschi di tutte le età. Una
pedissequa ripetizione della famosa discordia scatenata dalla
perfida mela che turbò il matrimonio tra Peleo e Teti, scatenando
dissapori tra le dee come in una eccitante puntata di un reality
show.
I suoni delle band e la suadenti melodie delle cantanti vorrebbero
ammaliarci, come le sirene cercarono di incantare l’astuto Ulisse.
Le miss e le longilinee top model ricalcano un mito del trucco e
della bellezza. Che vede Cleopatra come illustre capostipite.
L’antica mitologia ci proponeva divinità umanizzate con pregi e
difetti: da Giove a Venere, da Ercole ad Achille, da Paride ad
Elena; antichi archetipi, pedissequamente riproposti da calciatori,
ballerine, pop star ed attori del cinema e della televisione in una
girandola multiforme e con uno scambio di ruoli, da inorridire sia
Kafka che Pirandello.
risposta di Roberto Gervaso Lei, caro Achille ha perfettamente ragione: le cose stanno proprio
così. Né con l’aria che tira, potrebbero stare diversamente. I
valori si sono sovvertiti, il favore fa aggio sul merito, i gusti
sono cambiati, e anche i disgusti. E cambiate sono le aspirazioni.
Il mondo di oggi non è più quello di ieri, e non solo entro i
confini dello stivale: ovunque. Le copertine dei settimanali sono
diventate appannaggio degli eroi dello spettacolo, dello sport,
della moda. Le veline, le show girl, i calciatori, le modelle,
tengono campo, dopo averlo invaso. I nuovi Soloni sono i tronisti
che, non sapendo niente di niente, possono parlare, e parlano di
tutto. Il gossip dilaga, il sensazionalismo è la materia prima dei
giornalisti. Se non fai scandalo, non sei nessuno. Un paio di tette
prosperose o un fondoschiena ben esibito valgono più di un cervello
che funzioni. Lo star system impera e i suoi fan, sempre più
fanatici, non si contano. Noi siamo all’antica e non solo perché antichi (antichi o
venerabili, non vecchi) e in questo mondo stiamo male, anche se
speriamo di restarci il più a lungo possibile visto che l’altro, se
esiste, non lo conosciamo; se non esiste, ci annulla e ci toglie la
voglia di salire sul barcone di Caronte. Con la parola e con la penna cerchiamo di arginare questa deriva ma
l’impresa è disperata. Siamo soli e in pochi. La massa si è adeguata
e i pettegolezzi che ha sempre amato la fanno gongolare più di
quanto la interessino la serietà e la profondità dei ragionamenti.
Fra un Nobel e Madonna che fa una piroetta e canta, sguaiata e
blasfema, non ha dubbi: meglio la signora Ciccone. Tra un filosofo
che cerca di farti capire l’incomprensibile vita e un bomber come Di
Natale, sceglie Di Natale. Nei bar, la mattina, fra una tazzina e l’altra di caffè, di cosa si
parla? Del rigore ingiustamente negato alla Roma e benevolmente
concesso alla Juventus, dell’ultima esibizione della rock star, del
temerario bikini di Belen o dell’amore contrastato della figlia di
un commoner con il pretendente al trono di un regno scandinavo. Che fare? Niente. Prendere atto, come dicevo, che il mondo di oggi
non è più quello di ieri e augurasi che quello di domani sia meglio
di quello di oggi. Roberto Gervaso
Il Messaggero 27 giugno 2012 nella rubrica A tu per tu” di Roberto Gervaso” (col titolo Mitologia oggi)
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Due amare considerazioni
L’evasione ci salva
In Italia l’economia sommersa è talmente diffusa da fornire al Paese
quella liquidità necessaria per sopravvivere pur producendo sempre
meno ed oberata dal terzo debito pubblico al mondo.
Per rispondere a questo mistero basta esaminare la situazione della
Campania, la regione con il reddito pro capite più basso d’Italia e
con una densità urbanistica e demografica tra le più alte al mondo.
La risposta è semplice: riciclaggio.
Gran parte delle attività e soprattutto bar, pizzerie e ristoranti
sono in mano alla camorra, la quale fa emettere una massiccia
quantità di scontrini falsi, immettendo denaro nel sistema fiscale.
Per cui da un lato fornisce ossigeno ad una economia asfittica e
soccorre nello stesso tempo il bilancio dello stato, evitando il
crack.
Profezia apocalittica
Il giorno non molto lontano in cui finiranno i risparmi delle
famiglie e la disoccupazione dilagherà, quando noi genitori non ci
saremo più e scompariranno stipendi e pensioni, non ci sarà più
alcuna differenza tra gli emigranti africani, che sfidano le onde
dell’oceano alla ricerca della terra promessa ed i nostri figli
viziati, svogliati e privi d’iniziativa.
Il Giornale di Napoli 18 settembre 2012
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* « Una dolce morte »
Per le coppie anziane, dopo tanti anni passati assieme sorge il
desiderio anche di morire insieme.
A me e mia moglie questa rara occasione capitò anni fa in un aereo
in avaria, che tentò un atterraggio di fortuna senza carrelli, ma
riuscimmo fortunatamente a salvarci. Da allora tanto tempo è
passato: Gli occhi si cercano sempre, le mani si accarezzano più di
prima. Il desiderio si trasforma, i corpi stanchi e rugosi,
diventano il soffice cuscino cui adagiarsi.
Il vecchio desiderio di Filemone di essere trasformato con l’amata
Bauci in una quercia e in un tiglio uniti per sempre nel tronco e
nelle radici è una mera utopia. In un paese che non permette
l’eutanasia, non resta che bere assieme una tazza di dolce veleno,
regalandosi vicendevolmente la morte.
risposta di Natalia Aspesi André Gorz, scrittore, filosofo, uno dei fondatori del settimanale
francese Nouvel Observateur, si uccise nel 2007 assieme alla moglie
malata, non potendo immaginare di vivere senza di lei, erano insieme da 58 anni. Di lui, Sellerio ha pubblicato nel 2008
Lettera a D. inno: d'amore a Dorine, la compagna di tutta la vita da
cui non ha voluto separarsi. Mi perdoni se le ricordo che altri hanno fatto ciò che lei immagina,
se segnalo ancora una volta il film Amour che racconta una storia
simile. Mi perdoni anche se le dico che, se ovviamente penso che l'eutanasia
sia un diritto per chi vuole porre fine alla sofferenza o per chi
sopravvive con le macchine come un vegetale, non posso pensare che
si rinunci alla vita, perché muore una che sino a quel momento l'ha
divisa con noi. Davanti saranno anni vuoti, tristi, ma varrà sempre
la pena di viverli anche in solitudine, perché comunque la morte non
unisce, cancella soltanto e non ci sono dei, che, come racconta
Ovidio nelle sue Metamorfosi, premino Filemone e Bauci facendoli
morire insieme e trasformandoli, per sempre, in alberi. Natalia Aspesi
Lettera pubblicata il 7 dicembre 2012 su "il Venerdi di
Repubblica"nella rubrica "Questioni di cuore" di Natalia Aspesi
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** DISCORSO TENUTO IN OCCASIONE DELLA VISITA DEL MINISTRO DELLA
SALUTE BALDUZZI AL GRUPPO UNIVERSITARIO DI REBIBBIA
Signor Ministro, direttore, professori, colleghi, sono Achille della
Ragione, divenuto qui più semplicemente: 90159, sono medico,
specialista in Ostetricia e Ginecologia ed in Chirurgia Generale,
già docente di Fisiopatologia della riproduzione nell’Università di
Napoli. Nello stesso tempo sono gravemente ammalato, affetto da una
ventina di patologie, per cui costituisco l’osservatorio ideale per
tracciare un quadro della situazione sanitaria nel penitenziario, di
cui sono ospite da 18 mesi.
Prima di entrare nel merito dei numerosi disservizi, comuni, ma qui
aggravati, a quelli di tutti i cittadini, in un momento di grave
crisi economica come quello che stiamo attraversando, vorrei fare
una precisa denuncia dell’abuso di psicofarmaci, i quali vengono
elargiti in cospicua quantità, pur di tenere calmi i detenuti e che
in breve tempo trasforma gli stessi in automi disarticolati, in
pallidi ectoplasmi, in marionette impazzite.
Un altro prodotto che viene distribuito a richiesta è la
tachipirina, un antipiretico, che viene utilizzato per curare le più
svariate affezioni: dal raffreddore al mal di testa, dai dolori
muscolari alle bronchiti, una vera panacea se non si trattasse di un
semplice placebo.
I tempi di attesa per una visita specialistica interna sono di mesi,
per un’indagine esterna, superano spesso un anno.
Le procedure burocratiche per far entrare un consulente esterno sono
macchinose e defatiganti e durano costantemente molti mesi.
La permanenza in carcere peggiora tutte le patologie, anche nei più
giovani, immaginiamo gli effetti devastanti che possono avere in
pazienti, spesso anziani, affetti da cardiopatie gravi, crisi
ipertensive, Aids in fase terminale, diabete scompensato e tante
altre affezioni che conducono in breve tempo al decesso.
Un discorso a parte meritano i numerosi tossicodipendenti, che
dovrebbero essere, prima che puniti, curati in apposite strutture.
Potrei dilungarmi, ricordando i tanti morti, l’ultimo meno di un
mese fa e l’epidemia di suicidi, che andrebbe contrastata con
un’inesistente assistenza psicologica. Ma vorrei trattare brevemente
dei non meno importanti mali dell’anima: la solitudine, la
malinconia, la sofferenza, la nostalgia. Conosco un rimedio
infallibile per combatterli: rimanere in contatto con i propri
familiari, anche solo per telefono. In tutta Europa i detenuti (a
loro spese) sono liberi di fare quante telefonate desiderano. Perché
dobbiamo costantemente essere il fanalino di coda della civiltà?
Signor Ministro le auguro di far parte del nuovo governo e La
invito, in accordo col nuovo Ministro della giustizia di cercare di
ovviare ai gravosi problemi che Le ho brevemente esposto, i quali,
se trascurati, più che alla giustizia terrestre, gridano vendetta
davanti a Dio.
Grazie Achille della Ragione
Pubblicato integralmente o parzialmente(come nelle lettera che
segue) da numerose testate cartacee e telematiche
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Favole da Rebibbia
Dedica
Questo libro di favole è dedicato ai miei nipoti Leonardo, Matteo ed
Elettra,? ma anche a tutti i bambini del mondo e soprattutto agli
adulti;? che possano meditare e capire più in profondità il
messaggio? di speranza e di sofferenza che sottende ai vari
capitoli.
Prefazione di Savino De Rosa Immaginarsi rinchiusi, lontano dall’affetto dei cari e da quello dei
piccoli che non capiscono il perché di una lontananza ed un’assenza
così lunga e soffrono e chiedono, e voler inviare ad essi un dono
anche se intangibile, ma pieno di valori e di immagini. Così nasce l’idea di Achille di trasformare le esperienze, le
relazioni, le sofferenze di una vita di costrizione in favole,
leggendo le quali tutti noi, ma in particolare i piccoli possano
fantasticare e pensare il loro caro come un valoroso condottiero
impegnato a combattere feroci pirati, per liberare tutti i suoi
compagni dalla disumana costrizione. Quando, durante le festività Natalizie, lessi tutte d’un fiato e per
la prima volta le favole per bambini scritte dal carcere di Rebibbia
da Achille, cercai di trovare in esse il messaggio che egli voleva
inviare a tutti noi, che viviamo nella condizione di agire secondo
il nostro libero arbitrio, non prigionieri costretti, come lui dice,
dai pirati. Le ho rilette tante volte per percepire in ognuna di esse tristezza,
malinconia, ma forza interiore, amore e rispetto degli altri, voglia
di riscatto che accomuna e da coraggio. Le immagini che tanto colpiscono i bambini, Rebibbia appare come un
castello con torri merlate, a sinistra un cielo terso con un sole
splendente e sulla destra la notte, tranquilla con una falce di luna
e dal comignolo coriandoli colorati, così come le lingue di fumo.
Ci sono le grate ma si perdono nella policromia dell’insieme, e la
nave dei pirati, disegnata con i pastelli dal nipotino Leonardo e
tutte le altre immagini, foto ci danno una rappresentazione di vita
vissuta in amicizia e gioia nella comunità. Questo è il dono di Achille per Natale, ha raggiunto e commosso noi
adulti, ha raggiunto ed entusiasmato i piccoli che hanno capito il
perché della sua assenza e lo hanno eletto a loro prode condottiero.
Ma a noi adulti ha voluto trasmettere anche la sua visione cristiana
del mondo, non creato solo per uomini, ma anche per la natura, che
sia essa una fonte, un albero, un animale. L’amore, il rispetto e la dedizione per i suoi compagni, che molte
volte qui fuori, viene trascurato e a volte mercificato, è un valore
formidabile che completa il suo messaggio. Ogni favola è una dedica ai suoi compagni e che li ha fatti
diventare compagni di tutti noi che abbiamo letto. L’amore per la natura, per gli animali, il volo libero dei gabbiani,
il rapporto con la gattina Chicca e con gatta Lucia, la rianimazione
bocca a bocca del cagnolino, Il curioso topolino Michele, che seppur
protetto dai gatti all’interno, preferisce ripercorrere all’inverso
il piccolo foro da cui era entrato, dopo aver visto le cucine ed il
cibo preparato, sono messaggi che toccano i cuori dei bambini, ma
non solo. È stato bravo come sempre, Achille, ma questa volta ha voluto darci
qualcosa che a volte, noi, non sappiamo cogliere: la forza delle
cose semplici, l’integrazione tra diversi, il presepe che unisce gli
affetti, la competizione che premia il vincitore e fa sognare la
libertà e tanto altro. Siamo in periodo Pasquale, festa di resurrezione ed il nuovo Papa ha
messo nella sua missione l’aiuto dei poveri, dei deboli, degli
indifesi, dei costretti e allora se tutto questo è un valore e se le
sue favole sono un valore, non può pensare e sperare che ad un solo
finale, quello che lo vede tornare vittorioso ai suoi cari ed ai
suoi piccoli. Gli altri finali porterebbero solo dolore, dispiacere, ricordo che
si affievolisce e lascerebbe molto poco di sé. Brinderemo un giorno di grande festa e che sia prossimo, ma fino ad
allora dai sempre agli altri tutto quello che hai dentro ed è tanto.
Forza amico mio!
Il Tirreno 1 aprile 2013 – Orizzonti Nuovi aprile 2013
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Messaggio a Papa Francesco: Santità, venga a Rebibbia
Vorrei inviare un messaggio al Papa: Santità, abbiamo molto
apprezzato
Santità, abbiamo molto apprezzato che un membro di un ordine, da
sempre considerato l'intelligentia della Chiesa, abbia scelto il
nome di Francesco che si batteva in difesa degli umili e dei deboli.
Sicuramente da buon pastore, Lei si metterà in cerca delle sue
pecorelle smarrite e quante ne troverebbe se ci facesse l'onore di
venire a trovarci nel carcere di Rebibbia.
Troverebbe tanti Argentini, ma anche tutte le razze e tutti i
popoli, il penitenziario è una sorta di ONU con detenuti di 77
diverse nazionalità.
A riceverla Don Sandro e Don Roberto, che da decenni sono al nostro
fianco e che mai ci lasceranno.
Le scrive un innocente, che però sa ben discernere tra la giustizia
terrestre spesso fallace e quella divina, infallibile, i cui
tortuosi percorsi spesso non riusciamo a discernere se non ci
sorreggesse una fede incrollabile.
L'aspettiamo; non ci deluda.
Corriere della Sera 3 aprile 2013
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Quelle telefonate che allungano la vita
La permanenza in carcere peggiora tutte le patologie, anche nei più
giovani. Ma un discorso a parte meritano i numerosi
tossicodipendenti, che dovrebbero essere, prima che puniti, curati
in apposite strutture. Non solo per evitare l' epidemia di suicidi,
che andrebbe contrastata con l'assistenza psicologica ora
inesistente. Ma anche per evitare i non meno importanti mali dell'
anima: solitudine, malinconia, sofferenza. Conosco un rimedio
infallibile per combatterli: rimanere in contatto costante coni
propri familiari, anche solo per telefono. In tutta Europa i
detenuti (a loro spese) sono liberi di fare quante telefonate
desiderano. Perché dobbiamo essere costantemente il fanalino di coda
della civiltà?
La Repubblica 5 aprile 2013
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** I compagni di carcere. un’altra famiglia da non dimenticare
Ho due famiglie e me ne vanto, però non sono uno dei tanti adulteri
o bigami che lo sfascio della famiglia, di pari passo con la
corruzione dei costumi,ha prodotto con conseguenze devastanti. Ma
sono da tempo, anche se innocente, un detenuto per cui, oltre alla
mia splendida famiglia che ho all’esterno e con la quale posso
vedermi poche ore al mese, costituita da Elvira, una moglie
adorabile, Tiziana, Gianfilippo e Marina, tre figli affettuosi,
Leonardo, Matteo ed Elettra, tre tesori di nipoti, Carlo, un
fratello con un figlio: Mario, Giuseppina, Elena ed Adele, zie
ottuagenarie, Teresa, una cugina che amo come una sorella ed una
miriade di altri cugini, ho costituito nel pianeta carcere
un’affettuosità ed una solidarietà con gli altri 1800 compagni di
sventura, tale da costituire un’altra famiglia: la più grande del
mondo, dove vigono regole non scritte con le quali,se fossero valide
all’esterno, il mondo sarebbe migliore e non sarebbe destinato alla
disintegrazione
Gentile dottore, Lei, come molte persone che stanno scontando una pena, si dichiara
innocente, e forse lo è, io posso crederle. O pensare che ciò che è
stato giudicato un crimine, per lei non lo era. Fuori, nella sua
bella città, ha fatto una gran vita, era molto conosciuto, era un
personaggio importante e le auguro di tornare presto a casa dentro
quella famiglia affettuosa ed estesa, cugini e zie ottuagenarie
comprese. Può darsi che questa difficile parentesi che le è stata
imposta dalla legge le abbia fatto conoscere un mondo carico di
umanità dolente, una folla di solitudini, persone che, qualsiasi
cosa li abbia portati in carcere, devono cercarsi un modo per vivere
e non lasciarsi andare, Lei, che è un uomo colto, e per quel che mi risulta, sensibile, può
aiutarli a dare senso alle loro giornate e alle loro speranze. Senza
dimenticarli, quando tornerà al suo mondo.
Natalia Aspesi
Questo articolo di Achille della Ragione ha vinto il 1° premio di
2.000 euro al concorso “Silvio Pellico” (edizione 2012) riservato ai
detenuti di tutti i penitenziari italiani. Il denaro della vincita è
stato devoluto dall’autore in beneficenza)
Il Venerdì di Repubblica 12 luglio 2013
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** Pietà per i bambini
Tra le tante problematiche, che affliggono il pianeta carcere, vi è
il disagio degli oltre 100.000 bambini che si recano a fare visita
al genitore detenuto e diventano vittime di colpe di cui sono
assolutamente innocenti. Sconvolti dall'improvvisa assenza,
emarginati dalla scuola, sono turbati da quelle rare visite, condite
da attese interminabili, perquisizioni, sequestri di giocattoli,
pianti e grida disperate. Divengono di colpo poveri, perché è venuta
meno l'unica fonte di reddito (lecita o illecita) della famiglia.
Non sanno spiegarsi il perché di ciò che è successo ma ne
percepiscono la gravità dalle lacrime che all'improvviso inondano la
casa.
Gli incontri con i propri figli sono uno dei pochi conforti concessi
ai detenuti e sono l'unico modo per mantenere unita la famiglia. Il
90% dei penitenziari italiani non permette visite la domenica o
compatibili con gli orari di scuola, e stiamo parlando di bambini
fortunati, perché Italiani, mentre tanti stranieri (oramai il 50%
dei detenuti) non vedono per anni i propri familiari: basterebbe
SKYPE e questi nostri fratelli potrebbero, a costo zero, veder
crescere i propri figli e rimanere loro vicini, anche se si trovano
a migliaia di chilometri di distanza.
Sette (supplemento Corriere della Sera) 19 luglio 2013 – Ampi
Orizzonti dicembre 2013
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Una chiesa con due teste
Benedetto XVI, nell’abdicare dalla Cattedra, si giustificò con gravi
motivi di salute.
Molti gridarono al “vil rifiuto” e parlarono viceversa di gravi
dissidi con la Curia. Tutti ci aspettavamo che si ritirasse nella
quiete delle sue stanze a pregare, invece, giorno dopo giorno, la
sua presenza diventa sempre più ingombrante al fianco di Francesco,
al punto da scrivere di suo pugno una parte dell’ultima enciclica,
dando luogo ad una situazione paradossale di una Chiesa con due
teste, circostanza che certamente, in tempi brevi, creerà, oltre ad
un imbarazzante precedente, una confusione nel processo di
evangelizzazione ed un ritardo nelle improcrastinabili decisioni per
modernizzare un apparato che non riesce più a stare al passo con i
tempi.
Le altre lettere L’Espresso - 20 luglio 2013
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Elogio della monogamia
In una società dove le coppie scoppiano ed avanza il numero degli
omosessuali bisogna porsi la domanda: la monogamia nella specie
umana è una virtù o un necessita? E convincersi che la risposta,
biologica più etica, è solo e soltanto la seconda.
La dimostrazione è insita nella circostanza che in età fertile,
grazie ad un mirabile meccanismo solo in parte conosciuto, sono
presenti un egual numero di maschi e di femmine. Un altro fattore è
costituito dal lungo periodo delle cure che i genitori devono
dedicare ai cuccioli di uomo, da cui scaturiscono sentimenti come la
fedeltà e la gelosia dal pregnante significato teleonomico.
Sconvolgere questo delicato equilibrio porta alla crisi della
famiglia ed a catena della società e degli stati.
A buon intenditor poche parole.
Le altre lettere L’Espresso - 25 luglio 2013
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* Lettera Aperta alla giornalista e scrittrice Natalia Aspesi
Gentile Signora Aspesi,
siamo tre componenti della grande famiglia di Achille della Ragione
e vorremmo far conoscere a Lei ed ai suoi lettori questo personaggio
unico. Trascurando la sua intelligenza e cultura fuori dal comune,
vorremmo sottolineare la sua bontà: sempre sorridente e pronto ad
aiutare chiunque, divide il suo pane con gli uccelli ed il suo vitto
con i gatti.
Umile con i deboli, autoritario con i forti come quando, nel
ricevere il ministro della salute, espose senza remore la disastrosa
gestione della sanità penitenziaria.
Ha scritto, tra i tanti, un bellissimo libro: Favole da Rebibbia,
nel quale espone ai bambini ed agli adulti la realtà della vita in
carcere, devolvendo l’incasso delle vendite ai bambini fino a tre
anni costretti a vivere con le mamme dietro le sbarre.
Tutti lo rispettano, dal direttore all’ultima guardia penitenziaria
e quando uscì per presentare un suo libro, l’ispettore capo, che lo
accompagnò, esordì “per noi è un onore ospitare un tale
personaggio”.
Ha salvato la vita a due detenuti, ad uno dei quali, pur sapendo che
fosse affetto da aids, in fase terminale, ha praticato la
respirazione bocca a bocca, lo stesso bacio della vita che ha
elargito ad un cane intirizzito dalla neve.
Quando tornerà all’altra sua famiglia, che lo aspetta fuori da
queste tristi mura, saremo tutti contenti ma ci sentiremo più poveri
e più soli
26 Luglio 2013
Mohamed Torkey
Pasquale Gissi
Tonino Vicedomini
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* Mercato della droga e lotta ai clan
Nell'arco dei prossimi dieci anni il mercato mondiale degli
stupefacenti sarà sconvolto dall'uscita incalzante di sempre nuove
sostanze sintetizzate in laboratorio, in grado di mimare
perfettamente gli effetti prodotti dalle droghe maggiori, a fronte
di effetti collaterali devastanti.
Tali prodotti alla portata di ogni laboratorio ben attrezzato, posto
in qualsiasi angolo del mondo, saranno commercializzati sul WEB a
prezzi ridottissimi e costituiranno una concorrenza tale da far
precipitare in poco tempo i prezzi dell'eroina e della cocaina.
Come reagiranno i trafficanti, ed i governi?
I primi perderanno denaro e potere, senza riuscire a fermare questo
nuovo mercato, perché ubiquitario e di conseguenza diminuirà il loro
condizionamento sugli Stati, i quali potrebbero finalmente cogliere
l'occasione per liberalizzare la vendita della droga, che dovrà
essere pura, economica ed offerta sotto controllo sanitario.
Il Mattino 9 agosto 2013
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* Lettera da Rebibbia
Tutti, ingenuamente, credono che le sbarre delle prigioni servano
per evitare la fuga ai reclusi: viceversa, la loro funzione è quella
di impedire che tra quelle tristi mura entrino la legalità,
l’intelligenza, l’altruismo, la generosità, la bontà.
Le altre lettere l’Espresso - 20 settembre 2013
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* Cara Cancellieri, le segnalo un amico in carcere
Gentile Ministro Cancellieri,
sono un suo estimatore e faccio parte di coloro che l'avevano
proposta come Presidente della Repubblica. Mi permetto segnalarle un
mio amico detenuto nel carcere di Rebbibbia, è lo scrittore
napoletano Achille della Ragione. Nella sua ultima lettera inviatami
qualche giorno fa mi scrive che la sua salute peggiora ogni giorno
di più e diventa sempre maggiore la sua depressione.
Da anni il suo legale si sta battendo per farlo trasferire agli
arresti domiciliari, ma fino a questo momento ancora non è riuscito
ad ottenere un bel nulla. Le sarei veramente molto grato se, in nome
della sua proverbiale sensibilità e considerazione per i detenuti
sofferenti e bisognosi, logicamente nei limiti del possibile e del
rispetto delle leggi, potesse prendere a cuore il pietoso caso di
Achille della Ragione spendendo una buona parola per questo detenuto
così malato e bisognoso di aiuto.
La ringrazio con tutto il cuore e le porgo distinti saluti,
Raffaele Pisani
Le altre lettere L’Espresso - 8 novembre 2013 - Pubblicata anche da
"L’Unità", "Il Roma", "Libero", "l'Espresso", "Oggi". in date
diverse
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I Caffè della mia Napoli
Senza esagerazione si può affermare che parte della storia di Napoli
nell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento sia stata decisa ai
tavolini dei numerosi caffe napoletani.
Dallo sviluppo delle lettere, della poesia, della pittura, della
musica, a gran parte degli avvenimenti storici fondamentali per la
città, sono stati partoriti tra un gelato ed una classica tazzina di
caffè. Partendo da Giacomo Leopardi, che durante il suo soggiorno
napoletano, si recava quotidianamente presso la prima bottega di
Vito Pinto, cercando l’ispirazione sorbendo un sorbetto, di cui era
goloso, alle più belle canzoni napoletane o celebri romanzi, come La
cieca di Sorrento di Mastriani, elaborati nell’accogliente atmosfera
delle sale dei Caffè di Toledo.
Al “Gambrinus” Gabriele D’annunzio scrisse i versi di “A Vucchella”
per una scommessa con il Poeta Ferdinando Russo e potremmo
continuare a lungo. A partire dal Settecento le sale dei principali
caffè napoletani sono state non solo luogo di distrazione, ma spesso
nuclei di diffusione della cultura e di iniziative politiche,
fungendo da base operativa per rivoluzionari e patrioti, provenienti
da tutta l’Italia meridionale. Già negli ultimi decenni del
Settecento in tutte le principali strade della città si aprirono
caffè dove si poteva consumare seduti, la famosa “tazzulella”
obbligatoriamente con le tre “c” di “come cazzo coce”.
Nella prima meta dell’Ottocento divennero numerose soprattutto lungo
Via Toledo, di queste botteghe se ne contavano oltre trenta, da
quelle più In, frequentate dalla nobiltà e dalla ricca borghesia, a
quelle popolari, dove perdigiorno trascorrevano piacevolmente alcune
ore. Anche se nella zona del porto, ove si svolgevano le principali
attività commerciali, si aprirono numerosi Caffè, che in questi anno
cominciarono a trasformarsi in veri e propri cenacoli letterari, nei
quali si davano appuntamento artisti e scrittori.
Vito Pinto fondò la prima bottega del Caffè e la sua specialità fu
un sorbetto dal gusto squisito, che univa il sapore della cassata a
quello delle raffinate creme pasticciere francesi. I suoi gelati
erano talmente buoni che i Borbone gli assegnarono il titolo di
Barone e tra i suoi avventori vi era ogni giorno Giacomo Leopardi in
compagnia di Antonio Ranieri, dopo aver degustato più di una
ghiottoneria al Caffè Trinacria, anch’esso situato lungo Via Toledo
e dotato di salottini arredati con divani rossi e le pareti adorne
di specchi. Luogo di incontro della Napoli bene era un habitué anche
Alexandre Dumas. Un altro celebre locale nella zona del Porto era il
Caffè delle Quattro stagioni, ritrovo abituale di Bohemien di idee
liberali: Pittori, Scrittori, Epigrammisti tra cui Francesco Proto,
Duca di Maddoloni e Rafael Petra, marchese di Caccavone, i quali, a
colpi di penna si sfidarono per anni con chiare allusioni alle
rispettive prestazioni sessuali. Quella dello svizzero Luigi
Caflischi é l’epopea di “un self made man”, il quale partendo da
zero divenne proprietario di Caffè e pasticcerie in tutta Italia ,
per poi concentrare la sua attività a Napoli, che costituiva la
piazza più ambita e lo è ancora oggi dopo 200 anni, dopo aver
resistito a cambiamenti politici e crisi economiche, rappresentando
un nucleo consistente della storia della città.
Il caffè d’Europa , di proprietà dei coniugi Thevenin sito in piazza
San Ferdinando, riuscì a raggiungere in pochi anni, a partir dal
1845 il fior fiore dell’Intellighenzia napoletana, grazie
all’abilità dei suoi camerieri rispettosi della regola “ il cliente
ha sempre ragione” ed alla bellissima Madame Thevenin, dagli occhi
ammalianti in grado con un sorriso di stregare gli avventori, che
rimanevano attaccati ai tavolini come ostriche allo scoglio. Tra gli
assidui delle eleganti sale dorate una combriccola di artisti:
Caprile, Migliaro, Altamura, Nitti, Cortese, Mancini, Pratella, Dal
Bono e tanti altri.
Spesso si tenevano banchetti luculliani, memorabile fu quello
offerto da Schilizzi a Luigi Capuano in occasione della prima
Giacinta al Sannazaro. Altre botteghe degne di essere ricordate
sono: il Caffe del Commercio sito alle spalle del teatro Mercadante,
frequentato da personaggi come Eduardo Scarpetta e Francesco
Mastriani e dove per oltre un anno al pianoforte suonò Pietro
Mascagni, oppure il Caffè Croce di Savoia, all’altezza dell’attuale
Piazza Augusteo, conosciuto come “Giorno e Notte” perché non
chiudeva mai e veniva adoperato anche da viaggiatori che non avendo
trovato alloggio, si arrangiavano su un divano come lo stesso
proprietario, che pare non avesse casa e viveva nel locale. Sempre
pronto ad aiutare, il fedele cameriere all’arrivo di comitive di
dame e gentiluomini, di ritorno da uno spettacolo o da un banchetto.
Citiamo brevemente il Caffè Aceniello in Via Foria, che fungeva da
ufficio per Mastriani, il quale vi compose romanzi ed articoli, il
Caffè Diodati di Piazza Dante, dove si svolgevano periodicamente i
primi festival della canzone napoletana con in giuria personaggi del
calibro di Salvatore di Giacomo e Ferdinando Russo e tra i motivi
vincitori “O ricciulillo” e “O carcerato”.
In occasione della Piedigrotta il proprietario creava tra i tavolini
all’aperto uno spazio per i mastodontici carri della sfilata. Vi era
poi, in via dell’Incoronata l’”Envecible”Bar frequentato quasi
unicamente da forestieri, che godevano della musica di uno dei primi
Caffè concerto napoletani. Un altro classico caffè concerto sorgeva
nell’attuale Piazza Municipio, dove si poteva gustare anche
un’ottima birra. Era un locale affollato nelle ore notturne, quando
arrivavano gli spettatori del San Carlo. A poche centinaia di metri
si trovava un altro punto di raccolta della borghesia gaudente, ma
anche di compositori. Ai suoi tavoli, tra un caffè ed una birra,
sono nate “O sole mio”, “Marechiaro”, ”luna nuova” e tante altre
celebri canzoni.
Ed arriviamo al “Gambrinus”, ancora esistente, fondato nel 1860 e
che subito fece concorrenza a tutti gli altri Caffè, anche per il
prestigio di “Fornitore della Real Casa”. Tra i Caffè concerto ed i
cenacoli letterari, il “Gambrinus” spopolò e nelle sue eleganti sale
si concentrò tutto il bel mondo napoletano: Nobili, illustri
professionisti, Artisti, Poeti e Musicisti, che ammiravano estasiati
gli stupendi quadri che adornavano le pareti. Il principe di
Sirignano acquistò l’ultimo piano del palazzo e fondò nel 1888 il
Circolo artistico politecnico, ancora esistente e che a lungo ha
ospitato l’Accademia napoletana degli scacchi, grazie all’opera di
Giorgio Porreca. Ai tavolini del Gambrinus Gabriele Dannunzio ha
composto la celebre canzone “Vucchella.”
Per quanto frequentato da molti gerarchi, tra cui il mitico Aurelio
Padovani, il “Gambrinus” era un noto covo di anti fascisti, per cui
nel 1938 venne chiuso per ordine del Prefetto, anche perché la
moglie, che abitava nei pressi era disturbata dal frastuono degli
avventori e dalle melodie dell’orchestrina. Dopo la chiusura i
locali vennero occupati da un’agenzia del Banco di Napoli.
Il “Gambrinus” riaprì nel 1952 e solo da pochi anni ha potuto
riacquistare completamente i suoi sfarzosi saloni. Ed arriviamo
all’epoca del Caffè Chantant. Il primo, poco dopo l’inaugurazione
della Galleria Umberto, fu il “Calzona”, dove per la prima volta si
esibirono le “Girls” a mezzanotte del 31 dicembre 1899, 12
bellissime fanciulle con un costume osé, salutarono in un frenetico
balletto il vecchio secolo ed inaugurarono il Novecento.
Avendo dedicato un apposito capitolo all’Epopea del Caffè Chantant
ed al mitico Salone Margherita non torneremo sull’argomento, ma
ricorderemo un locale unico ”L’eldorado Lucia”, sito al Borgo
marinari a ridosso del Castel dell’Ovo, il quale da giugno a
settembre, oltre che un teatro all’aperto, era anche uno
stabilimento balneare e termale con acque miracolose, punto
d’incontro preferito dei “Viveurs” napoletani, che si godevano gli
ultimi scampoli della Belle Époque. Trovandoci in ambiente balneare
non possiamo non citare il primo caffè letterario della vicina
Capri: il Morgano, punto di incontro di un élite internazionale, che
si recava nell’isola di Tiberio in una sorta di pellegrinaggio
spirituale e molti ammaliati dal suo fascino, si fermavano per
viverci. Solo qualche locale di Parigi poteva gareggiare col Morgano
per il livello della sua clientela, da Oscar Wilde a Edwin Cerio, da
Kruppa a Fersen, da Munthe a Gorki, senza considerare d’Annunzio,
Malaparte, Moravia, Steinbeck e tanti altri illustri intellettuali.
Siamo alla fine del nostro viaggio nella patria del caffè, ma prima
di parlare del mitico locale denominato del “Professore”, sito in
Piazza San Ferdinando, nel frattempo divenuta, Trieste e Trento,
dove si possono gustare l’espresso brasiliano ed il famoso caffè
nocciolato, è doveroso ricordare un altro grande locale sorto in via
Toledo negli anni Cinquanta: Il caffè Motta, luogo di ritrovo non
più di intellettuali, ma degli impiegati dei numerosi uffici situati
nei paraggi, dal Comune all’Enel, dal Banco di Napoli alla
Commerciale.
Le altre lettere L’Espresso - 10 novembre 2013
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**Cuore di cane
Cara Rossini,
il cimitero dove mio padre riposa è a 60 chilometri dalla città dove
viviamo e Alex, il nostro
cane, fece quel percorso di notte, raggiunse il cimitero, vi entrò e
rimase lì, anche in seguito, sottraendosi ad ogni possibile recupero
da parte nostra. Divenne un cane di strada, così come per strada mio
padre l'aveva raccolto. E ogni giorno tornò a trovarlo e a sdraiarsi
sulla sua tomba fino a quando qualcuno non provvedeva a mandarlo
via. Ma, dopo qualche tempo, la sua storia, delicata e commovente,
era diventata talmente nota che alla fine le autorità lo lasciarono
vegliare il suo padrone, in santa pace. Da quel momento Alex non si
mosse più: beveva l'acqua che gli davano ma non accettava il cibo
che veniva messo lì per lui. Divenne magro, lo scheletro di un fox
terrier che vegliava il suo padrone. Ed un giorno morì, per
raggiungerlo.
Nessuno può convincermi che quell'incontro non fosse uno speciale
incontro già avvenuto altrove e, diversamente, prima su questa
terra: incontro di anime, di pensieri, oserei dire una
"ricongiunzione". Nessun amore fu più sincero e grande di quello
sbocciato quando mio padre incontrò Alex e quel cane incontrò lui. E
nessuno dei due avrebbe mai fatto a meno dell'altro. Sinceramente,
credo, neppure mio padre.
Ogni volta che invio a casa dei panni da lavare,la mia cameriera li
fa annusare ad Attila, il mio fedele rottweiler, che mi aspetta da
oltre due anni. Attila crede che stia per ritornare a casa e corre a
mettersi vicino al mio letto sul tappetino persiano dove era solito
dormire accanto a me e mi aspetta per tutto il giorno. Solo la sera,
deluso e senza toccare cibo, si ritira nella sua cuccia.
Achille della Ragione
Questa lettera è solo un brano di un testo molto lungo che ho
ricevuto da un detenuto del carcere di Rebibbia di Roma, un
ginecologo condannato a dieci anni con l'accusa di aver praticato
aborti clandestini. Benestante e molto conosciuto negli ambienti
intellettuali napoletani, dopo tre anni di latitanza Achille della
Ragione si è fatto tradire dalla sua passione per la scrittura. È
stato infatti arrestato in un Internet point romano da dove
aggiornava Il suo blog. Ora continua a scrivere dal carcere mandando
quotidianamente lettere sui più svariati argomenti. Non ho resistito
a questa, che oltre a dare una testimonianza diretta di un amore che
supera la morte, ci dipinge con pochi tratti la struggente nostalgia
del rottweiler che aspetta il ritorno del suo padrone. Chiunque
abbia avuto accanto a sé un cane, sa di che grande amore si tratta. Stefania Rossini
L’Espresso 19 dicembre 2013
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L’abbrutimento nelle carceri
Vi è molto sconforto nelle carceri, non solo per le condizioni di
vita disumane, ma soprattutto perché non vi è alcuna possibilità di
rieducarsi e prepararsi al reinserimento nella società. Quella
rivisitazione critica del proprio passato che viene richiesta per
poter godere di qualunque forma di beneficio: permesso, affidamento
in prova, semilibertà; che gradualmente svuoterebbero i
penitenziari, tenendo conto che oltre 20.000 detenuti potrebbero
beneficiare portando il numero dei reclusi in linea con quanto
perentoriamente richiestoci dall'Europa. E allora cominci lo Stato
che tratta i suoi figli così disumanamente a fare una "rivisitazione
critica" di quello che ha fatto, di quello che ancora fa, delle
tante illegalità che continua a reiterare. È veramente convinto lo
Stato che far scontare ai detenuti la pena in modo disumano dentro
le carceri sovraffollate, senza alcuna attività, imbottiti di
psicofarmaci, incattiviti ed esasperati, renda la società più
sicura? Le carceri così come sono, sono inutili e dannose per i
detenuti, per le loro famiglie, e per la società. Lo Stato si
comporti come un padre, severo ma buono, perché non è uno Stato vero
quello che ritiene di doversi vendicare dei suoi figli che pure
hanno sbagliato. Dia lo Stato un segnale ai suoi figli, e lo faccia
pure la società, perché le carceri, oggi, invece di recuperare
escludono ed emarginano, e rischiano di far uscire le persone
peggiori di come sono entrate.
La Repubblica N 5 febbraio 2014 - Le altre lettere L’Espresso 29
gennaio 2014 (con il titolo Un atto di clemenza - La posta di Serra
(Venerdì di Repubblica) 7 febbraio 2014 (con il titolo Il carcere
che non rieduca fa male a tutti)
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*Parliamo di Eutanasia
La vita è degna di essere vissuta quando possiamo studiare,
lavorare, amare, ridere, passeggiare, pensare; oggi, nel mondo,
centinaia di migliaia di cadaveri viventi affollano ospedali e
cronicari, con crescenti spese per la società. Soggetti privi di
coscienza e che mai più parleranno, sentiranno, vedranno,
cammineranno, potranno dare una carezza, i quali fino a pochi anni
fa sarebbero morti in poche ore, costretti in un limbo infernale
dall'accanimento di una medicina, che offende la solennità della
morte e la dolcezza della vita, operando una grottesca quanto
sinistra contaminazione. Anche la Chiesa ha
affermato:"Nell’imminenza di una morte inevitabile è lecito
rinunciare a trattamenti che procurano soltanto un prolungamento
precario e penoso della vita! Il lavoro dei medici deve essere
improntato all’etica: non è il loro compito tenere in vita i morti,
né quantomeno resuscitarli, nessuno vi è mai riuscito dopo Cristo.
Vogliamo serenamente riaprire l'imbarazzante dibattito
sull'eutanasia?
Il Tirreno 1° marzo 2014
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Equo canone per i negozi
Ogni giorno centinaia di negozi sono costretti a cessare l'attività
per l'esosità del canone di affitto.
Se si vuole rilanciare il commercio e creare nuovi posti di lavoro è
necessario che il Parlamento vari una forma di equo canone per i
locali commerciali, nello stesso tempo quadruplicando la tassazione
per chi li lascia chiusi
Il Mattino 24 aprile 2014
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*Triste ritorno a Napoli
Mancavo a Napoli da 6 anni e, nonostante ne avessi seguito
attraverso i giornali il precipitoso declino, non immaginavo di
vedere, col cuore sanguinante, un degrado ubiquitario e soprattutto,
più delle saracinesche calate e della spazzatura trionfante, una
mutazione antropologica della popolazione con una percentuale di
vecchi soverchiante ed i pochi giovani sbandati dai volti smarriti,
incorniciati da piercing, tatuaggi e capigliature degne di un
selvaggio. Un linguaggio scurrile anche in bocca alle ragazze ed un
vestire trasandato ai limiti della decenza, senza contare l'esercito
dei mendicanti che non ha eguali in nessuna città europea.
Bisogna essere eroi per continuare ancora ad amare questa splendida
e sfortunata città.
Le altre lettere l’Espresso - 25 aprile 2014 – Il Mattino 29 aprile
2014
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**Abusi e irregolarità nelle carceri
Una delle pratiche più perverse alle quali sono sottoposti i
reclusi, con un accanimento degno di miglior causa, sono le
perquisizioni delle celle, che avvengono con ritmo incessante al
punto da configurare senza ombra di dubbio il reato di stalking. Nel
migliore dei casi, prima delle 8 del mattino, una squadretta di 6-7
guardie penitenziarie si presenta all'improvviso ed invita
perentoriamente gli occupanti della cella a svegliarsi, a lasciare
la latrina, anche se nel pieno di un improcrastinabile bisogno
fisiologico e dopo una perquisizione personale, chiusi a chiave in
una saletta dove attendere la fine delle operazioni. Nessuno può
essere presente e qui viene a manifestarsi la prima grave
irregolarità, perché chi può assicurarci che tendenziosamente non
vengano portati dall'esterno corpi di reato: una bustina di droga o
una lima, la cui proprietà poi venga contestata ad uno dei detenuti.
In tutti i penitenziari europei, alla stregua di ciò che avviene nel
corso di una perquisizione domiciliare autorizzata dal magistrato, è
permesso assistere alla stessa e se alla fine viene riscontrata
qualche irregolarità, l'interessato può fare le sue osservazioni sul
verbale di sequestro. Un altro palese abuso è costituito dalla
possibilità di leggere la corrispondenza conservata dal recluso e
qui ci troviamo davanti ad un palese reato previsto e punito dal
codice penale. Infine, e questo è l'aspetto più inquietante, al
ritorno nella cella, il più delle volte, il detenuto trova i suoi
effetti personali sparpagliati sul letto se non a terra e deve a
fatica cercare di rimettere a posto cose a cui tiene tantissimo:
foto dei familiari, lettere, appunti, vestiti, generi alimentari. Lo
spazio fisico riservato ad ognuno è come sappiamo limitatissimo ed
ancor più ridotto è quello dove riporre il necessario per
sopravvivere: angusti armadietti con capienza limitata, per cui ci
si arrangia conservando in scatoloni posti sulle bilancette ciò che
materialmente non trova spazio negli armadietti. Capita di frequente
di trovare a terra tutto ciò che è contenuto in questi pietosi
scatoloni, che vengono sequestrati e buttati nella spazzatura con
minaccia di sanzioni disciplinari, che spesso fanno bollire di
rabbia e per non reagire è necessaria una pazienza superiore a
quella di quella di Giobbe.
La Repubblica N 30 aprile 2014
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Legge 194 e obiezione di coscienza
I giornali si interessano spesso al problema della obiezione di
coscienza praticata da un numero di sanitari talmente alto da
rendere vana la 194.
La soluzione è semplice e ci allineerebbe alla legislazione vigente
in tutta Europa: liberalizzare l’interruzione di gravidanza,
permettendo che venga eseguita nelle cliniche private, mettendo così
fine all’ipocrita compromesso alla base della normativa attuale, un
vero aborto giuridico, che considera lecito l’intervento in ospedale
e reato esecrabile se eseguito altrove, anche se seguito da valenti
specialisti.
Vorrei aggiungere alcuni dati pregnanti: una interruzione in
ospedale costa alla comunità oltre 2000 euro tra analisi, anestesia,
ricovero etc., mentre entro le 9 settimane di gestazione, applicando
l’ancora poco conosciuto Karman (aspirazione) necessitano 40 secondi
e dopo 5 minuti la donna ritorna a casa senza problemi. Parola di
chi ha una casistica di 60.000 casi e che decenni fa introdusse in
Italia il metodo Karman.
Il Mattino 10 maggio 2014
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Nei recipienti c'è di tutto tranne quello che dovrebbe esserci
In alcuni quartieri come Posillipo la popolazione ha l'obbligo di
differenziare e da tempo sono scomparsi i cassonetti per la
spazzatura "normale". Risultato: i recipienti per carta, vetro,
plastica traboccano di tutto salvo la sostanza che dovrebbero
contenere, rendendo vano lo scopo per cui sono stati collocati e di
lato trionfano cumuli di monnezza di ogni genere, che rimangono per
giorni e giorni a impestare l'aria, costituendo un'attrattiva
irresistibile per ratti di cospicue dimensioni.
La Repubblica N 3 giugno 2014
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Sognando via Caracciolo
“Amore, non 6 un sogno, ma una splendida realtà, perciò posso
sognarti”
Questa frase è incisa su uno scoglio di via Caracciolo e leggendola
anche io ho voluto sognare ed ho immaginato la strada più bella del
mondo trasformata in un’arteria ad otto corsie con una spiaggia
lunga chilometri e decine di migliaia di bagnanti accorsi da ogni
angolo della Terra a rosolarsi al sole.
Un sogno malizioso, ma non proibito, che potrebbe diventare realtà
con una spesa un decimo di quella preventivata per la bonifica di
Bagnoli, se una volta tanto politici e mass media facessero fronte
comune per assicurare alla città una risorsa prodigiosa in grado,
oltre al prestigio planetario, di assicurare migliaia di posti di
lavoro ed un futuro ai giovani costretti ad un esodo di dimensioni
bibliche.
Le altre lettere L’Espresso 8 giugno 2014 – Il Mattino 9 agosto 2014
– Corriere del Mezzogiorno 21 giugno 2014
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**Integrazione dietro le sbarre
Il problema dell’integrazione tra Italiani ed il fiume di stranieri
che, anno dopo anno, sempre più affluiscono nel nostro paese, in un
solo luogo ha trovato piena applicazione: nei penitenziari,
soprattutto delle grandi città: Roma, Napoli, Milano, nei quali
oramai "gli alieni" (ma sono nostri fratelli) costituiscono la
maggioranza.
Nel buio delle celle vigono regole di solidarietà sconosciute nel
mondo esterno, cosiddetto civile e tutti si considerano membri di
una grande famiglia, chi non conosce la nostra lingua la impara in
fretta, acquisendo anche la cadenza dialettale locale.
Un esempio virtuoso di cui tenere conto e da perseguire, perché non
si può andare contro il corso della storia, Noi abbiamo bisogno
della loro energia e voglia di conquistare il benessere ed è una
fortuna non una calamità, che molti scelgono l’Italia, antica terra
di emigrazione, divenuta oggi per tanti la Terra promessa.
Le altre lettere L’Espresso 21 giugno 2014 – Il Mattino 10 luglio
2014 (col titolo Immigrazione e integrazione) - Il Mattino 10 agosto
2014 (col titolo Stranieri, all’Italia serve la loro energia)
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Vivere a Napoli senza nemmeno un tetto
Gentile direttore,
ad ogni angolo della città possiamo osservare uomini e donne di
tutte le età, che bivaccano in condizioni igieniche spaventose,
avendo fatto del marciapiede la loro casa. Discutendo del problema
con amici, si sente dire spesso che la scelta del barbone di vivere
per strada è libera e non spinta da necessità. Per rendermi conto
della verità ho assunto direttamente informazioni presso il
dormitorio pubblico di via Grande Archivio ed ho scoperto con
angoscia che ogni sera decine di persone non trovano ricovero e sono
costretti a passare la notte per strada. Notizia confermatami dal
coraggioso parroco della vicina chiesa dei Ss. Severino e Sossio, il
quale ha organizzato un servizio di assistenza spirituale. Ma anche
il corpo ha le sue improrogabili necessità e credo che il dormire
sotto un tetto sia una delle principali. Come potremo continuare
placidamente ad addormentarci la sera nei nostri letti ora che
sappiamo che uomini e donne più sfortunati di noi sono costretti a
cercarsi un giaciglio di fortuna sulla pubblica strada!
Il Mattino 17 luglio 2014; già pubblicata in passato da Il Mattino
30 luglio 2004 - Roma 22 giugno 2004 - Corriere del Mezzogiorno 8
luglio 2004(col titolo Barboni, non possiamo far finta di non
vederli
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Un divieto assurdo e medioevale
A Napoli la nascita del primo circolo risale al 7 maggio del 1778,
in seguito ne sono sorti numerosi altri.
Tutte queste associazioni, fondate in gran parte nell’Ottocento,
vivono ancora, ad ulteriore dimostrazione della voglia dei
napoletani di fare vita di gruppo.
A tal proposito voglio segnalare che alcuni sodalizi napoletani fra
i più celebri(non ne faccio i nomi per non far vergognare i
presidenti) non solo non accettano come soci le appartenenti al
gentil sesso, ma addirittura vietano in sala l’ingresso alle signore
se non accompagnate da un maschietto.
Il cemento che tiene assieme tante persone , in mancanza di un mazzo
di carte è naturalmente il cibo, l’elemento unificatore per
eccellenza della nostra società bulimica e crapulona. Il divieto di
iscrizione per le donne è l’ulteriore segno di una mentalità
medioevale e l’auspicio è che venga quanto prima abolito.
Il Mattino 22 luglio 2014
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Il turismo a Napoli unica risorsa
I mass media italiani e stranieri si interessano di Napoli soltanto
quando si parla di monnezza, delinquenza o disorganizzazione. Mai
una inchiesta seria, mai un inviato speciale con l’incarico di
divulgare i giacimenti di arte e cultura di cui la città è
straricca, al punto che importanti musei stranieri chiedono in
prestito tesori come quello di San Gennaro, in grado di attirare in
pochi giorni decine di migliaia di visitatori entusiasti.
È utopico immaginare una trasferta a fini promozionali di quadri e
reperti archeologici per invogliare il turismo a riscoprire l’oro di
Napoli, la cultura, le chiese, i musei, alcuni tra i più importanti
del mondo?
Cosa attendono le istituzioni a pensare ad una nuova edizione di
Civiltà del Seicento, una mostra che attirò l’interesse universale e
della quale all’estero ancora si parla a distanza di trenta anni?
Diamoci tutti una scossa: il turismo è l’unica speranza che può
salvare Napoli dando lavoro a migliaia di giovani, non più costretti
ad emigrare.
Il Mattino 25 luglio 2014 - Metro Roma 25 luglio 2014(col titolo
Napoli non è solo monnezza)
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Lotta all’evasione uguale recessione
L’economia dell’Italia si è sempre basata sull’evasione fiscale
praticata con pervicacia da gran parte della popolazione, ma i
proventi sfuggiti all’erario spesso venivano reinvestiti in attività
produttive, senza che lo Stato li sprecasse in stipendi a burocrati
inutili o i politici se li dividessero equamente in ruberie o li
distribuissero in tangenti a clienti e sodali.
Ora si tende a controllare ogni pagamento, addirittura superiore a
30 euro e questa procedura, solo apparentemente virtuosa, mette in
fuga le poche persone ancora in grado di far circolare un po’ di
contante, più o meno onestamente guadagnato.
Chi volete, se non un pazzo, che comperi una casa, un dipinto,
oppure apra un’attività commerciale, per vedersi in tempo reale la
finanza addosso per sapere dove, come e quando ha guadagnato il
denaro per l’acquisto.
Meglio investire all’estero e non lamentiamoci se, grazie ad una
scelta populista, il mercato immobiliare è crollato, l’economia
arranca e l’unica ad aumentare è la disoccupazione.
Il Tirreno 26 luglio 2014
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Il calcio è noioso servono nuove regole
I recenti campionati mondiale sono stati giorni e giorni di partite
penose, portate stancamente a reti inviolate ai supplementari e poi
la spietata roulette dei rigori. La grande preparazione atletica,
l’abile sfruttamento dell’assurda regola del fuorigioco e
l’esasperato difensivismo hanno fatto prevalere un gioco sterile,
continuamente interrotto da falli, spesso eccessivi ed hanno fatto
appassire la fertile pianta dei grandi virtuosi del pallone in grado
di far sognare milioni di tifosi. Urgono nuove regole per
rivitalizzare il gioco ed aumentarne la spettacolarità, che come
tutte le discipline sportive è legato alla realizzazione del punto.
Diminuire il numero dei giocatori ad un massimo di nove per squadra.
Dai tempi di Meazza e Piola ogni calciatore corre una distanza quasi
tripla ed è presente in ogni fase del gioco, creando inestricabili
affollamenti.
Abolire il fuorigioco ad eccezione dell’area di rigore. La tecnica
dei nuovi allenatori compatta i giocatori in aree ristrettissime e
super affollate, nelle quali un dribling è pura fantasia.
Effettuare la rimessa laterale con i piedi. Nessun difensore
spedirebbe continuamente la palla fuori campo col rischio di
rivedersela in piena area di rigore.
Ogni cinque falli una punizione pericolosa. Per diminuire
l’eccessivo ricorso al fallo prevedere una specie di rigore da
tirare, senza barriera, dal limite dell’area di rigore.
Permettere maggiori cambi, anche temporanei. Questa semplice regola
in vigore con successo nella pallacanestro, permetterebbe ritmi
veloci e maggiore spettacolarità.
Ed in occasione della finale dei campionati mondiali prevedere, in
caso di parità dopo i tempi supplementari, la ripetizione dopo due
giorni della partita ed in caso di nuovo pareggio la non
assegnazione del titolo o la vittoria ex equo.
Il Mattino 31 luglio 2014
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Che caldo al fresco
Anche quest’anno a ferragosto si è ripetuto il mesto rito del
pellegrinaggio dei parlamentari ai penitenziari per rendersi conto
delle miserevoli condizioni di vita dei carcerati.
All’iniziativa dei radicali, passata sotto silenzio sulla stampa,
questa volta hanno aderito in tanti.
I parlamentari si sono recati non solo nelle grandi galere:
Poggioreale, Regina Coeli, Ucciardone, ma hanno ispezionato anche
piccole strutture, scoprendo, ad esempio, che la recettività più
assurda, meno dello spazio in una cuccia di un cane, la si trova a
Lucca, dove per ogni recluso in cella è disponibile meno di due
metri quadrati.
E poi un interminabile elenco di carenze, tutte già ben note ed
alcune che gridano vendetta e meriterebbero di essere portate
davanti alle corti di giustizia europee: sovraffollamento record,
condizioni igieniche disastrose, suicidi a catena per disperazione,
personale di custodia insufficiente, mentre non si applicano pene
alternative, mancano progetti per ammettere ad un utile lavoro
esterno e la giustizia, sempre più lenta, tollera che la metà dei
reclusi sia in attesa di giudizio e di conseguenza, se la
Costituzione non è carta straccia, innocente.
Bisogna urgentemente passare dalla teoria alla pratica.
Alla ripresa dei lavori parlamentari vengano presentate serie
proposte bipartisan per la depenalizzazione di molti reati,
riservare la custodia cautelare ai casi più gravi, incrementando
l’istituto degli arresti domiciliari sotto la tutela del
braccialetto elettronico, fornire incentivi economici e fiscali alle
imprese che assumano detenuti in semi libertà o che hanno da poco
scontato la pena, potenziare il personale di custodia, senza
dimenticare psicologi ed educatori.
Ma soprattutto fate presto per evitare che il problema si risolva da
solo attraverso un’allucinate catena di suicidi: dall’inizio
dell’anno sono quasi cinquanta!!
Il Giornale di Napoli 20 agosto 2014
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Dieci, cento, mille San Gennaro
L'ennesima ripetizione del prodigio di San Gennaro non deve farci
dimenticare che Napoli è da oltre cinquecento anni capitale mondiale
delle reliquie, in particolare custodisce circa duecento ampolle
contenenti grumi di sangue di santi, martiri ed asceti. Infatti,
dopo la caduta dell’Impero romano d’Oriente, avvenuta nel 1453,
immagini religiose di ogni tipo e reliquie varie affluirono copiose
nella nostra città e da allora non si sono più mosse, pur cadendo
lentamente nell’oblio.
Molti di questi grumi presentano la stupefacente caratteristica di
liquefarsi con una precisione anche superiore a quella del
celeberrimo Santo patrono e senza la necessità di quel corteo di
preghiere ed invocazioni che qualcuno ha proposto come spiegazione
parapsicologica del fenomeno.
La fama universale del sangue di San Gennaro, un prodigio osservato
nei secoli da tanti smaliziati visitatori stranieri, a Napoli per il
Grand Tour, scettici ed illuministi, ma sempre cauti nel cercare una
spiegazione razionale del fenomeno, ha rubato la scena alle numerose
altre testimonianze del fenomeno liquefattivo, che si ripete da
secoli in numerose chiese napoletane e nel segreto di cappelle
gentilizie di antiche e nobili famiglie.
Cominceremo ora un’ appassionante carrellata attraverso
l’affascinante universo esoterico partenopeo, partendo da alcune tra
le reliquie più note quali: il sangue di Santo Stefano, custodito
nel monastero di Santa Chiara, che si liquefa il 3 agosto ed il 25
dicembre, quello di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, conservato nella
chiesa della Redenzione dei Captivi, che si scioglie il 2 agosto,
quelli di San Pantaleone e di San Luigi Gonzaga, nel Gesù Vecchio,
attivi entrambi il 21 giugno o quello di Santa Patrizia, il più
dinamico in assoluto, conservato in San Gregorio Armeno.
Sorprendente è il comportamento del sangue del Battista, scioltosi
per la prima volta nel 1554 durante la celebrazione della messa nel
convento di Sant’Arcangelo a Baiano, dove era custodito, proveniente
dalla Francia, sin dal Duecento. Quando il convento venne soppresso,
per il leggendario comportamento licenzioso delle monache, il sangue
del santo, diviso ab antico in due ampolle, venne affidato alle
monache di San Gregorio Armeno e di Donnaromita. Il primo continua
regolarmente a sciogliersi, mentre il secondo ha cessato ogni
attività dal Seicento. Quando anche il monastero di Donnaromita
venne soppresso, l’ampolla “inattiva” ritornò vicino alla gemella
conservata in San Gregorio Armeno e stranamente ha ricominciato a
manifestarsi anche se in formato ridotto, con un semplice
arrossamento, in occasione della festa del Santo.
Questa moltitudine di eventi prodigiosi rappresenta per il credente
un valido motivo di orgoglio, con il sangue che tanti martiri
versarono per la loro fede, il quale si riversa, come una pioggia
ristoratrice, su tutti noi, in un periodo così difficile per la
Chiesa e per l’umanità tutta; ma anche per i laici deve
rappresentare un motivo di profonda meditazione, perchè le
spiegazioni fino ad ora proposte dalla scienza, per cercare di dare
una spiegazione razionale al fenomeno, sono poco più che risibili.
Basta leggere le conclusioni del Cicap, un’associazione scientifica
che si propone di trovare la soluzione ai tanti quesiti ancora
aperti della parapsicologia, per convincersene. Si è dato grande
risalto ad una pubblicazione, nell’ottobre del 1991, sulla
prestigiosa rivista Nature, di una equipe dell’università di Pavia,
guidata dal ricercatore Garlaschelli, che riteneva di saper
riprodurre il fenomeno del passaggio dallo stato solido allo stato
liquido in un fluido, adoperando poche sostanze elementari già note
agli alchimisti medioevali, dal carbonato di calcio al cloruro di
ferro in soluzione, per ottenere una sostanza gelatinosa
”reversibile” a piacimento, purché dall’esterno venga fornita
energia attraverso lo scuotimento del contenitore; condizione del
tutto assente nella liquefazione di gran parte dei grumi di sangue
dei santi precedentemente descritti, incluso lo stesso San Gennaro,
che si “manifesta” nelle più diverse condizioni.
Naturalmente per studiare più approfonditamente il fenomeno della
prodigiosa liquefazione del sangue dei santi, sarebbe necessario
aprire le ampolle, per sottoporre il contenuto ad indagini di
laboratorio e ciò è naturalmente impensabile per quelle del venerato
ed amatissimo San Gennaro, ma perchè non analizzare qualche grumo di
sangue di santi meno venerati tra i tantissimi che si conservano
nella nostra città, non solo in chiese, ma anche di proprietà di
antiche famiglie napoletane? Credo che nessuno potrebbe opporsi a
degli esami eseguiti su ampolle di sangue conservate nelle cappelle
gentilizie di famiglie disposte a placare una insopprimibile sete di
conoscenza.
“Pulcra sunt quae videntur, pulchriora quae sciuntur, longe
pulcherrima quae ignorantur”.
E nell’attesa che parte del mistero che circonda i sacri grumi possa
dissolversi attraverso l’indagine della scienza resta l’oggettività
del prodigio sotto gli occhi di tutti, credenti e scettici, a
fornire agli uni il coraggio della fede, agli altri una giusta dose
di meditazione e riflessione.
Le altre lettere L’Espresso 22 settembre 2014
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In attesa di una moschea
Sono un giovane marocchino, 30 anni, laureato, vivo e lavoro a
Bruxelles da anni.
Mi è capitato di leggere in rete un libro: Napoletanità, arte, miti
e riti a Napoli ed alcuni passi del capitolo “Napoli chioccia
generosa” mi hanno emozionato a tal punto da contattare l’autore, il
quale gentilmente mi ha invitato a trascorrere una settimana a
casa sua, per conoscere ed apprezzare la città.
“Napoli è stata sempre giudicata una città porosa, non tanto perché
poggia su di uno strato di tufo, che possiede queste
caratteristiche, quanto per l’innata capacità di amalgamare i vari
popoli che nei millenni l’hanno conquistata, a partire dai Greci ai
Romani, fino agli Spagnoli, agli Austriaci ed ai Francesi.
Negli ultimi decenni il fenomeno migratorio ha assunto un andamento
pluridirezionale: da un lato i giovani migliori, laureati e
diplomati, prendono tristemente la via del Nord e dell’estero,
privando la città dell’energia vitale indispensabile per arrestare
una decadenza ormai irreversibile e nello stesso tempo una marea di
extracomunitari, in fuga da guerre e carestia, sceglie Napoli come
meta di riscatto civile, sicura almeno di trovare il minimo per
sopravvivere. E la città si dimostra impreparata rispetto al passato
ad accogliere con un caloroso abbraccio questo “melting pot”, il
quale diventa ogni giorno più pressante, rischiando di rompere gli
argini come un fiume in piena.
Percorrendo Piazza Garibaldi o Piazza Mercato siamo sommersi dai
suoni ma principalmente dagli odori di una città multietnica: kebab,
couscous, pizze fritte e piede di porco, pesci marinati e trippa.”
Mi ha colpito però il mancato rispetto della libertà di culto per
l’assenza di una moschea, più volte promessa dai politici e mai
realizzata. Fino ad oggi bisogna radunarsi all’aperto in piazza
Mercato ed osservare un migliaio di ragazzi stranieri riuniti in
uno dei punti più antichi della città, teatro dei principali episodi
della sua storia, pregare, mentre tutt’attorno si svolge il solito
caos quotidiano ha fatto affermare a più di un visitatore che Napoli
è la città araba più accogliente dell’Occidente. Ma cosa si aspetta
a realizzare un luogo chiuso per il culto, un centro culturale, un
cimitero, che dovrebbe servire ad incrementare il processo di
integrazione verso decine di migliaia di nostri fratelli di fede
diversa.
Soufiane Herrag
Corriere del Mezzogiorno (come editoriale) 7 ottobre 2014
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Il tempo
Noi viviamo immersi nel tempo e ciò rappresenta un grande mistero
ancora senza soluzione.
Il grande Sant'Agostino a tale proposito era lapidario:'' So bene
cosa sia il tempo, ma se mi chiedono cosa sia non so rispondere''.
Per capirne il valore vogliamo provare a chiedere cosa rappresenti a
chi ne ha vissuto intensamente una frazione. Per capire il valore di
un anno chiederemo lumi ad uno studente che è stato bocciato; per
intendere il valore di un mese ci rivolgeremo ad una madre che ha
partorito prematuramente; per capire il valore di una settimana
chiederemo all'editore di un settimanale; per valutare il valore di
un'ora chiederemo all'innamorato Achille che attende in ritardo di
incontrarsi con l'amata Elvira; per apprendere l'importanza di un
minuto possiamo saperlo da chi ha appena perso il treno; per capire
l'importanza di un secondo ci rivolgeremo a chi ha appena evitato un
incidente; per capire l'importanza di un decimo di secondo
chiederemo all'atleta che per esso ha perso l'alloro olimpico; Ieri:
storia; domani: mistero. Non ci resta che da vivere ed intensamente
il presente, cercando ciò che più ci piace: salute, felicità,
successo, mentre l'orologio del tempo prosegue inesorabile il suo
cammino.
Le altre lettere L’Espresso 3 novembre 2014
*Quanta volontà per fare il volontario
A Napoli tutto è difficile, anche cercare di essere utile agli
altri, come dimostra il parziale racconto di questa odissea: in
agosto, dopo aver faticosamente recuperato il numero della Caritas,
che non compare né sull'elenco, né in rete, telefono per conto di
mia moglie, laureata e con conoscenza perfetta di inglese e
francese, offrendo la sua collaborazione in favore degli immigrati.
«Pensi a fare i bagni e ritelefoni a settembre». Nuova telefonata
dopo 20 giorni, l'interlocutore prende nota di mail e cellulare ed
assicura una sollecita risposta, che non arriva, per cui nuovo
sollecito, parlo con un dirigente, il quale mi fornisce la mail
della suora incaricata a cui scrivo attendendo riscontro da oltre un
mese. Amen. Passiamo alla comunità di Sant'Egidio, anche essa ignota
ad elenco telefonico e pagine bianche: ottengo un numero dalla sede
di Roma, chiamo ripetutamente lasciando il mio recapito in
segreteria, dopo 10 giorni mi chiama una signora in una lingua più
spagnola che italiana, alla quale, nel presentarmi, offrendo la mia
collaborazione, rammento la mia attività trentennale di medico
plurispecialista, ma soprattutto la mia lunga esperienza nel portare
conforto a tossicodipendenti e malati terminali. «Bene abbiamo
proprio bisogno di personale per preparare i pacchi per i barboni!
». Nonostante si tratta di una proposta nobilissima rimango
stupefatto e mi fermo qui per non tediare il lettore, anche se
potrei citare almeno altri 10 tentativi andati a vuoto.
La Repubblica N 11 novembre 2014(col titolo Com’è difficile
rendersi utile)
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Piazza Mercato tra balordi e fantasmi
Piazza Mercato ha rappresentato per secoli il cuore pulsante di
Napoli, dove si svolgevano freneticamente le attività commerciali e
la vita civile e religiosa della città. Nel 1647 vi scoppiò la
rivolta di Masaniello, l’anno successivo vi è la resa di Napoli a
Don Giovanni d'Austria.
Prima di raggiungere piazza Mercato si osservano ad ogni angolo
torme di scugnizzi che giocano a pallone, utilizzando come porte
degli scalcinati cassonetti della spazzatura, le mura afflitte sono
costellate di graffiti sconclusionati, opera di quel moderno
flagello ubiquitario costituito dai writers, alternati a manifesti
cadenti, alcuni vecchi di anni. Le lancette dell’orologio, uno dei
pochi funzionanti in città, ci ammoniscono dello scorrere
inesorabile del tempo, ben manifesto nelle minacciose crepe presenti
nella maggior parte degli edifici della zona.
Nella piazza, a dovuta distanza, si fronteggiano due fontane,
eseguite nel Settecento, formate da un obelisco piramidale poggiante
su un robusto basamento con quattro leoni e sfingi agli angoli. Le
fontane non avevano solo funzione decorativa, bensì fungevano
principalmente da abbeveratoio per le bestie da tiro che
trasportavano le merci. Oggi queste superbe fontane, come tutti i
monumenti della città, versano in un pietoso stato di abbandono,
oltre ad essere a secco, appaiono deturpate da sanguinose scritte in
vernice rossa, mentre le teste di donna delle sfingi hanno subito la
stessa misera sorte di Corradino e di Fra Diavolo:decapitate.
La folla di oggi, equamente composta da indigeni ed extra
comunitari, ci rammenta il furore dei moti scatenati da Masaniello e
quasi rimpiangiamo l’assenza del boia e le centinaia di teste
mozzate, non solo di incauti rivoluzionari, ma soprattutto di tanti
criminali.
Questi flash back che ci compaiono continuamente agli occhi della
mente vengono puntualmente e fragorosamente interrotti dalle urla
sguaiate dei venditori ambulanti, dagli appiccichi tra vajasse
affacciate ai balconi, dagli stereo a pieno volume delle bancarelle,
dalla musica neomelodica che straripa dagli appartamenti, ma su
tutto domina il rombo dei motori delle infinite auto alla spasmodica
ricerca di un parcheggio.
Il colmo del degrado è costituito dalla trasformazione della piazza
in stabile campo di calcio con l’istallazione di due porte
regolamentari in pianta stabile(foto)
La sera la piazza diventa terra di nessuno, con bande di teppisti
che si impadroniscono dei luoghi sotto i fumi dell’alcol e della
droga, mentre i radi lampioni proiettano una sinistra ombra a forma
di falce. Sembrano impauriti gli stessi obelischi alla vista di
tanti ceffi, nonostante ne hanno visti nella loro lunga storia di
volti patibolari.
Di notte poi, andati finalmente a dormire balordi e rompiballe, gli
unici a girovagare per la piazza sono i fantasmi degli impiccati,
molti dei quali morti con l’illusione di migliorare la città, per
cui dannati a vederla andare irrimediabilmente verso il baratro.
Le altre lettere L’Espresso - 15 novembre 2014
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*La piazza dell’eterna confusione ed i fantasmi degli impiccati
Piazza Mercato ha rappresentato per secoli il cuore pulsante di
Napoli, oggi si osservano a ogni angolo torme di scugnizzi che
giocano a pallone, utilizzando come porte degli scalcinati
cassonetti della spazzatura, le mura afflitte sono costellate di
graffiti sconclusionati alternati a manifesti cadenti, alcuni vecchi
di anni. Nella piazza, a dovuta distanza, si fronteggiano due
fontane, eseguite nel Settecento, formate da un obelisco piramidale
poggiante su un robusto basamento con quattro leoni e sfingi agli
angoli. Oggi queste superbe fontane, come tutti i monumenti della
città, versano in un pietoso stato di abbandono, oltre ad essere a
secco, appaiono deturpate da sanguinose scritte in vernice rossa,
mentre le teste di donna delle sfingi hanno subito la stessa misera
sorte di Corradino e di Fra Diavolo: decapitate. Il colmo del
degrado è costituito dalla trasformazione della piazza in stabile
campo di calcio con l'istallazione di due porte regolamentari in
pianta stabile. La sera la piazza diventa terra di nessuno, con
bande di teppisti che si impadroniscono dei luoghi sotto i fumi
dell'alcol e della droga. Sembrano impauriti gli stessi obelischi
alla vista di tanti ceffi, nonostante ne hanno visti nella loro
lunga storia di volti patibolari.
La Repubblica N 23 novembre 2014 – Il Mattino 4 dicembre 2014(col
titolo Il triste degrado di piazza Mercato)
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*Un ruggito che grida vendetta
L’altro giorno dopo mezzo secolo mi sono recato a visitare lo zoo di
Napoli ed ho provato in egual misura rabbia, sdegno e tristezza nel
vedere il degrado dei viali, invasi da erbacce e rami caduti, ma
soprattutto lo stato delle gabbie in cui sono tenuti imprigionati
gli animali, spazi angusti, in stridente contrasto con le normative
comunitarie che assegnano, con minaccia di gravi sanzioni, 10 mq ad
un maiale da allevamento, mentre una tigre è costretta in uno spazio
inferiore. Da bambino rimasi colpito da quello splendido felino che
percorreva senza sosta i pochi metri a disposizione fino alla
follia. Il suo discendente oggi vi ha rinunciato e staziona
apparentemente privo di vita in un angolo, indifferente ad ogni
stimolo. Identico discorso per tutti gli altri animali, che soffrono
l’innaturale stato di reclusione e non hanno nulla da insegnare ai
visitatori, se non l’arroganza degli esseri umani, che li privano
della libertà. Ho pensato alle orche, abituate nell’oceano a
percorrere 150 chilometri al giorno, costrette a vivere in una vasca
e ricordandomi dei detenuti, stipati come bestie con a disposizione
pochi mq, non sono riuscito a trattenere le lacrime.
Le altre lettere L’Espresso - 16 dicembre 2014 – Il Mattino 18
dicembre 2014 – Corriere del Mezzogiorno 16 dicembre 2014(a cui
seguì la risposta il giorno successivo da parte del gestore dello
zoo di Napoli dal titolo Prometto che le tigri saranno felici)
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*Il male dell’anima
La malattia del secolo non è né l'AIDS, né il cancro, ma la
depressione, che colpisce decine di milioni di persone, con una
prevalenza per il sesso femminile, costringendo questi disperati ad
affollare gli studi di psicanalisti e psichiatri e ad ingurgitare
tonnellate di farmaci.
Una malattia antica, quanto la nostra civiltà e che in passato più
delicatamente era definita melanconia, dopo aver assunto nel tempo
tante altre dizioni: accidia, tedio, tristezza, noia, fino
all'attuale sindrome maniaco depressiva.
La malattia è caratterizzata da tre gesti: la mano sul mento, il
gomito sul ginocchio e l'occhio sbarrato, che guarda dentro se
stesso nei meandri dell'anima.
Più che un morbo è un mito grandioso, il più alto che abbia mai
elaborato la civiltà occidentale in 25 secoli.
Nessuno lo eguaglia, né Apollo, né Dioniso, né Hermes, nessuno ha la
sua poderosa energia e la sua straripante vitalità. Il paradosso è
che, nata in Grecia, si è diffusa in tutta Europa, in una terra che
ha sempre cercato di espandersi, di conquistare, di illuminare con
la cultura tutto il mondo.
Forse è l'ombra speculare della brillante luce occidentale, salvo
che la vera anima dell'Europa sia proprio lei, la notturna
melanconia, con i suoi pipistrelli, le comete, gli orchi tenebrosi,
i crogioli alchemici, le pozioni magiche. Non vi sono state epoche
in cui non si sia manifestata, con punte nel medioevo, colmo di
conventi o nel ‘500 e nel ‘600, quando viene descritta con
scrupolosa precisione, e ai nostri giorni è portata all'estremo,
facendo scempio di tante esistenze.
Le sue definizioni non cambiano nel tempo; è sorprendente come
medici antichi e moderni scrivano le stesse parole adoperate dal
poeta e dall'artista.
L'unica differenza è che in passato si pensava di essere posseduti
da un demone, mentre oggi la Pet cerebrale mette in mostra un
disordine neuronale, con corto circuiti impazziti.
Quando prende possesso di noi all'improvviso, la sensazione
soffocante ci dà l'impressione di essere in carcere, circondati da
mura altissime senza finestre.
Non intravediamo alcuna uscita, mentre lei continua a inondarci fino
al delirio.
La depressione è antitesi e contraddizione, è lentezza esasperata,
con il sole che si ferma e il mondo che perde gradualmente i suoi
colori, per tingersi di grigio sempre più scuro fino al buio più
profondo e richiamo al brivido della velocità, con la realtà che
scorre sempre più frenetica.
Si è abbattuti ed eccitati nello stesso tempo.
Sembra strano come tante sensazioni opposte rispondano allo stesso
nome, ma la nostra mente non risponde alle rigide regole della
geometria, bensì è dominata da vibrazioni e paradossi.
La vita sembra arrestarsi, si sta seduti in poltrona senza interesse
per niente. Si scoppia in lacrime all'improvviso, senza un reale
motivo e non si ama più nessuno, nemmeno se stessi.
Altre volte si precipita nei colori del fuoco, si diventa vivaci e
brillanti, ci si affaccia con gioia alla finestra, la mattina ci si
sveglia di buon umore, tutto sembra lieto, le forme si sciolgono in
una luce sempre più intensa, le passioni trionfano, mentre
l'esaltazione sconfina nel furore, una sorta di estasi, durante la
quale alcuni acquistano proprietà paranormali, cimentandosi in
vaticini e godendo di visioni.
I rimedi del passato fanno sorridere, dall'uso di pietre preziose:
berillio, topazio e calcedonio, fino all'assunzione di tisane, di
valeriana, camomilla e menta.
Un risultato di poco più efficace lo forniscono i moderni
psicofarmaci, Prozac in testa.
Dalla depressione non si guarisce, perché è una malattia non del
corpo, ma dell'anima.
Marina della Ragione
Il Tirreno 20 dicembre 2014
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*Una truffa ai detenuti
Dedico questo breve contributo ai miei compagni di sventura rimasti
nei gironi dell’inferno di Poggioreale, i più interessati a quanto
esporremo perché costretti a vivere in gabbie disumane.
La cella è di 12- 13 metri quadrati, oltre ad un vano cucina di un
metro ed un cesso (non lo si può chiamare altrimenti) con una
parvenza di doccia, che due volte alla settimana, per pochi minuti,
vomita un liquido caldo dal colore sospetto e dall’odore
indefinibile. Per lavarsi ogni giorno si usa una brocca con la quale
ci si getta addosso un po’ di acqua prelevata dal lavandino
allagando tutto il vano, che andrà poi svuotato a colpi di ramazza,
facendo convergere la pozzanghera verso un fetido buco tenuto a bada
da un peso per evitare visite imbarazzanti: scarafaggi nel migliore
dei casi, qualche volta, anche se non ho avuto l’emozione
dell’incontro ravvicinato, luridi topi di fogna.
Vi è molto sconforto nelle carceri, non solo per le condizioni di
vita disumane, e per l’impossibilità di rieducarsi e prepararsi al
reinserimento nella società, ma soprattutto perché a danno dei
detenuti, nel silenzio assordante dei mass media, si sta compiendo
l’ennesima truffa.
La Corte di Strasburgo minacciava gravi sanzioni pecuniarie verso
l’Italia, se non avesse reso i penitenziari più vivibili, per cui in
tutta fretta è stato approvato un decreto legge, che prevede un
abbuono di 1 giorno per ogni 10 trascorsi in celle sovraffollate o
un risarcimento di 8 euro al giorno per chi ha già scontato la pena.
Ma la normativa è stata resa inoperante per l’interpretazione data
alla stessa dalla magistratura di sorveglianza, che sta dichiarando
inammissibili la quasi totalità dei ricorsi con le più svariate
motivazioni, costringendo a defatiganti ricorsi in Cassazione.
Da qui l'unica possibilità il risarcimento monetario, che lascia il
tempo che trova, perché non ci sono civilisti che per una istanza
per ottenere qualche paio di migliaia di euro in media, non si
facciano dare almeno 1000 di onorario e bisogna anche considerare
che si può nominare un civilista dal carcere soltanto se si è in
pendenza di un giudizio civile e non per istaurarne uno ex novo.
La Corte di Strasburgo nel frattempo certa che “giustizia è stata
fatta” ha bocciato le migliaia di istanze presentate in questi anni
a partire dalla sentenza Torreggiani del gennaio 2013, in cui era
stata condannata l’Italia ad un risarcimento cospicuo per aver
tenuto alcuni detenuti (situazione normale) in celle dove disponevano
di tre mq a testa(tenendo conto che in Europa negli allevamenti ad
un maiale ne sono obbligatoriamente concessi 10).
É veramente convinto lo Stato che far scontare ai detenuti la pena
in modo disumano dentro carceri sovraffollate, senza alcuna
attività, imbottiti di psicofarmaci, incattiviti ed esasperati,
renda la società più sicura? Le carceri così come sono, sono inutili
e dannose per i detenuti, per le loro famiglie, e per la società;
invece di recuperare escludono ed emarginano, e rischiano di far
uscire le persone peggiori di come sono entrate.
I penitenziari si rendono vivibili garantendo ai detenuti quanto
previsto dalla legge: semi libertà a metà pena, affidamento in prova
quando mancano 4 anni dal fine pena, gli ultimi 18 mesi di
reclusione ai domiciliari; provvedimenti che gradualmente
svuoterebbero i penitenziari, tenendo conto che oltre 20.000
detenuti potrebbero beneficiarne, portando il numero dei reclusi in
linea con quanto perentoriamente richiestoci dall’Europa
Un discorso a parte meritano i numerosi tossicodipendenti, che
dovrebbero essere, prima che puniti, curati in apposite strutture.
Potrei dilungarmi ricordando l’epidemia di suicidi, che andrebbe
contrastata con un’inesistente assistenza psicologica, ma vorrei
trattare dei non meno importanti mali dell’anima: la solitudine, la
malinconia, la sofferenza, la nostalgia. Conosco un rimedio
infallibile per combatterli: rimanere in contatto costante con i
propri familiari, anche solo per telefono. In tutta Europa i
detenuti (a loro spese) sono liberi di fare quante telefonate
desiderano.
Perché dobbiamo essere costantemente il fanalino di coda della
civiltà?
Per convincere l’opinione pubblica che indulto ed amnistia sono
ineludibili (parole del Presidente della Repubblica) basterebbe che
si montasse nelle piazze principali del nostro paese un cubo avente
il volume di una cella, nella quale secondo le normative della U.E
non potrebbero vivere 4 maiali e viceversa vivono, nei gironi
infernali di Poggioreale e dell’Ucciardone, 16 esseri umani 23 ore
su 24 ed invitare altrettanti cittadini ad entrarvi ed a rimanerci
non 1 anno, non 10 anni, non fine pena mai, ma soltanto un’ora. Ne
uscirebbero inorriditi e si affretterebbero a comunicare ad amici e
conoscenti l’intollerabile situazione carceraria.
Il Giornale di Caserta 29 dicembre 2014 – L’articolo era stato
richiesto e doveva comparire come editoriale dal Corriere del
Mezzogiorno, che non lo ha mai pubblicato
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* Presepe contro albero di Natale
Da tempo è in atto una guerra silenziosa verso la tradizione
millenaria del presepe, in nome di un multiculturalismo abietto e
fuori luogo. I grandi magazzini non vendono più i caratteristici
pastori, con la scusa di una richiesta diminuita e va sempre più di
moda l’albero di Natale, una usanza nordica che incontra sempre più
adesioni. Le due espressioni sono lo specchio di due diverse
concezioni religiose: quella monoteista e quella animista. Infatti
mentre il Bambinello ci ricorda il messaggio di pace e la buona
novella, l’albero ci rammenta il periodo nel quale tutti noi
vivevamo nelle grandi foreste.
Mettere insieme i due simboli è un modo corretto per conciliare
tradizioni religiose differenti.
Nel presepe si rappresenta il momento culminante dell’amore di
Giuseppe e Maria verso il loro fragile figlioletto, destinato in
breve tempo a cambiare il mondo ed è triste constatare come, drogati
dal consumismo, abbiamo trasformato questo magico momento in un rito
di massa, con grandi mangiate e smodate libagioni, acquisti
frenetici ed una idolatrica prostrazione al moloch dell’euro.
Anche il rito dell’albero, che vuole rammentarci il nostro passato
nei boschi, quando le piante ci fornivano riparo dalle intemperie e
grande messe di frutti deliziosi, è stato trasformato in un
feticcio luccicante colmo di doni inutili e costosi. Senza tener
conto della orrida strage di piccoli abeti sacrificati al dio
Natale, una gigantesca legnificina che ci fa pensare ad Erode ed
alla sua sete di sangue e di morte.
Approfittiamo di questi giorni in cui studio e lavoro presentano una
pausa per riunire le famiglie, sempre più spesso separate ed a
santificare la festa aiutando il prossimo ed innanzitutto cercando
di comprendere le ragioni degli altri.
Il presepe diverrà in tal modo il simbolo dell’amore familiare e
della concordia sociale e, nell’armonica disposizione dei pastori,
lo struggente ricordo di un mondo felice perduto da riconquistare.
Il Mattino 4 gennaio 2015
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Achille Lauro va “sdoganato”
La morte di Francesco Rosi, autore del famoso "Le mani sulla città",
ha risvegliato il dibattito sugli anni del sacco edilizio, ribadendo
falsità storiche inveterate, come due casi emblematici di
speculazione edilizia, attribuiti dalla vox populi al Comandante,
che videro viceversa la luce durante gli anni del commissariamento;
mi riferisco alla famigerata muraglia cinese di via Aniello Falcone
ed al mostruoso palazzo Ottieri di piazza Mercato. A Napoli vi è via
Kagoshima e via Jan Palach, vico Scassacocchi e vico Fico, via dei
Chiavettieri al Porto e via dei Chiavettieri al Pendino, ma nessuna
piazza, largo, via, viale, vico, fondaco, cupa, strettoia che
ricordi ai napoletani Achille Lauro. Chi era costui? Uno sconosciuto
Carneade, oppure il sindaco plebiscitario per anni della città,
l'abilissimo imprenditore, il presidente a vita del calcio Napoli,
il più grande armatore di tutti i tempi nel mondo, o, come amava
definirlo Antonio Ghirelli: l'ultimo re borbone. Ad oltre trenta
anni dalla morte è giunto il momento di sdoganarlo, ristabilendo la
verità storica e di farlo conoscere alle giovani generazioni,
cancellando pregiudizi politici che non hanno più motivo di esistere
ai nostri giorni. Per chi volesse approfondire l'argomento consiglio
di consultare in rete il libro "Achille Lauro superstar", il quale,
in un capitolo, tratta con nuovi documenti gli anni travagliati del
«sacco della città», dimostrando che il grosso delle nuove
costruzioni nei quartieri alti napoletani non avvenne durante il
periodo in cui Lauro era sindaco (1952-'58), bensì durante i tre
anni della reggenza Correra, il famigerato commissario inviato dal
potere centrale per punire la città che votava il partito
monarchico. Doveva rimanere in carica soltanto tre mesi per gestire
le elezioni, regnò viceversa per oltre trenta mesi e cementificò
interi quartieri.
La Repubblica 14 gennaio 2015 – Le altre lettere L’Espresso - 13
marzo 2015 (con il titolo Una piazza per Achille Lauro)
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Dialogo sul futuro
Nel ventre di una donna gravida dialogano due feti.
- Tu credi nella vita dopo il parto?
- Certo, qualcosa deve esserci dopo il parto, sicuramente siamo qui
per prepararci a vivere nel mondo esterno.
- Sciocchezze! Non c’è vita dopo il parto, come sarebbe questa vita?
- Non lo so, ci sarà più luce, cammineremo con le nostre gambe e
mangeremo con la bocca.
- Ma è assurdo! Camminare? E mangiare dalla bocca? Ridicolo! Il
cordone ombelicale serve a nutrirci ed è troppo corto per
permetterci di uscire.
- Invece io ne sono certo che ci sarà qualcosa di diverso.
- Però nessuno è tornato dopo il parto a raccontarcelo. Con il parto
finisce la vita, la quale non è altro che una angosciante esistenza
al buio che ci porta al nulla.
- Sicuramente vedremo la mamma e lei si prenderà cura di noi.
- Mamma? Tu credi che esista e dove è ora?
- Dove? Noi siamo nel suo ventre, grazie a lei vivremo.
- Eppure non ci credo! Non ho visto la mamma e perciò non esiste.
- Ok, ma quante volte, mentre siamo in silenzio riusciamo a sentire
il battito del suo cuore e percepiamo quanto è premurosa per la
nostra salute. Io sono sicuro che ci sia una vita che ci aspetta,
per la quale ci stiamo preparando: cammineremo, mangeremo, penseremo
e saremo a volte felici ed a volte tristi.
Le altre lettere L’Espresso - 12 febbraio 2015
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** Zingari quale futuro?
Gli zingari in secoli di peregrinazioni, partendo dall’India, si
sono sparpagliati in vari paesi europei e, gelosi di una loro
atavica tradizione, non tengono alcun conto delle leggi dei paesi
che li ospitano. Spesso non posseggono documenti, non denunciano
all’anagrafe i loro nati, sposano donne bambine di 10–11 anni e
soprattutto vivono di accattonaggio e ruberie, non riconoscono la
proprietà altrui e rifiutano il lavoro.
Si tratta di abitudini intollerabili per qualsiasi paese civile, per
cui nei cittadini si determina una giustificata insofferenza.
L’entrata nell’Europa della Romania, patria di milioni di rom, ha
esacerbato la situazione perché moltitudini di zingari si sono o si
stanno trasferendo verso paesi più ricchi e più permissivi. Un esodo
di dimensioni bibliche favorito da un criminale e complice lassismo
alle frontiere, ha permesso che in particolare a partire siano stati
tutti quelli che avevano problemi con la giustizia, increduli di
potersi trasferire da uno Stato dove un processo penale completa
tutti i gradi in meno di un anno a nazioni, come l’Italia, dove la
magistratura e l’ordine pubblico sono allo sfascio ed i tempi della
resa dei conti ipotetici quanto infiniti.
Ma la Romania aveva titolo a far parte dell’Europa? La risposta è
pleonastica: la Romania è stata sempre Europa. Lo era quando le
legioni romane di Traiano sono andate a conquistarla trasformandola
nel granaio dell’impero, lo era quando ha fatto scudo
all’espansionismo ottomano e lo era pienamente quando a Yalta i tre
vincitori decisero di darla in pasta al comunismo. Ed a continuato a
beneficiare l’Europa anche sotto Ceausescu, conservando le frontiere
inviolabili e ritardando di decenni le odierne migrazioni, che in
democrazia è pura utopia sperare di poter contrastare.
Nei secoli i tentativi forzati di assimilazione o la ricerca di
efferate soluzioni finali…, sono stati numerosi: alcuni Stati
europei, tra i quali l’illuminato impero austro ungarico prevedevano
di togliere i figli agli zingari, stabilendo che venissero
allontanati dai loro genitori e inseriti in famiglie tradizionali,
mentre la nomea di rubare i bambini è rimasto invece pregiudizio dei
rom, fino alla politica criminale di Hitler, che ha inviato
centinaia di migliaia di nomadi nei campi di sterminio senza che
nessun giorno della memoria si commemori per ricordare al mondo
questo immane olocausto.
Pochi i giorni lieti accanto alle persecuzioni, quando erano attesi
e onorati, nelle loro peregrinazioni periodiche e portavano in un
paese la loro musica, le loro danze, i loro spettacoli, i loro abiti
vivaci, la loro abilità nel riparare utensili rotti, la loro
melanconica gioia di vivere. Oggi gli zingari sono trattati dalla
legislazione, dalle amministrazioni locali, dai giornali e dalle
televisioni, dai cittadini come rifiuti umani, da relegare in quelle
discariche a cielo aperto che sono gli accampamenti nomadi, situati
sempre nell’estrema periferia metropolitana, vicino a cumuli di
spazzatura, a un cimitero, a uno scarico industriale, quasi sempre
sotto la massicciata di un ponte autostradale o di una ferrovia, o
anche sulle sponde di un torrente o di un canale, là dove la
comunità urbana colloca idealmente e materialmente i propri rifiuti.
Sono i monumenti moderni alla segregazione, che le nostre
amministrazioni comunali, senza distinzione di colore politico hanno
creato, cercando di dimenticare il problema senza sforzarsi a
cercare una diversa soluzione.
L’Europa ha creato uno spazio unico di libertà, sicurezza, giustizia
al quale non difetta la solidarietà e tanta ce ne vorrà per
risolvere il problema degli zingari, senza mai dimenticare che sono
cittadini europei.
Bisogna convincersi che è del tutto inutile sgomberare una tribù da
un terreno occupato abusivamente nella periferia di una città,
perché andrà ad occuparne un altro e si potrà essere abusivi su di
un terreno, su tutti i terreni, ma nessuno è abusivo sulla Terra,
figuriamoci in Europa. Tra i rom esistono figure rivestite di
un’autorità e con loro bisognerà fare accordi, riconoscere diritti
fondamentali in cambio dell’osservanza dei doveri, rispettare
tradizioni e costumi, prestare generosamente servizi ed assistenza
in cambio di un impegno alla legalità, includendo l’obbligo per i
minori di dedicarsi allo studio. In caso contrario agire con grande
severità, togliendo la patria potestà ai genitori che avviano la
prole all’accattonaggio.
Una prospettiva che riunisca il bastone e la carota e che sia
insieme, sicurezza e solidarietà, libertà e responsabilità, diritti
ma anche doveri.
Dobbiamo attivarci cercando di convincerli ad entrare nei cicli
delle nostre attività e delle nostre esistenze. Gli zingari
rappresentano una riserva straordinaria di vitalità, di adattamento,
di voglia di vivere, di solidarietà. Essi sono il banco di prova di
quella riforma della società che tutti chiedono e che nessuno ha la
capacità di elaborare. Inventare un rapporto di collaborazione con
loro e con i flussi sempre più imponenti di profughi, migranti e
nomadi di ogni genere trascinati alla deriva lungo le tortuose
strade della globalizzazione non è un problema di poco conto, da
delegare alla Caritas o al politico di turno, bensì è la scommessa
che l’Europa fa con il proprio futuro e gran parte del destino degli
zingari è nelle loro mani. Essi sono o fanno credere di essere bravi
ed esperti chiromanti, che sappiano leggere il loro futuro, dopo che
per secoli ci hanno voluto far credere di saper leggere il nostro.
Le altre lettere L’Espresso 14 aprile 2015 – Nel 2006 la lettera,
sotto forma di articolo aveva guadagnato la prima pagina dei
principali quotidiani rumeni (con il titolo Laggiù qualcuno ci ama)
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* L'origine del mondo
Possiamo essere atei o credenti, ma non possiamo rimanere
indifferenti alle diverse ipotesi sull’origine del mondo. Da un lato
un pauroso Big Bang che dà origine ad una materia densa di energia,
la quale si espande senza fine, dando luogo agli elementi. Un
universo privo di anima e di finalità. Poi un giorno, da acque
melmose, per pura combinazione, da molecole di carbonio, sorge il
primo essere unicellulare, in grado di riprodursi.
E’ nata la vita, che nel tempo si differenzierà sempre più fino alla
comparsa dell’uomo, dotato di intelligenza e coscienza, capace di
contemplare un universo ostile o quanto meno indifferente al suo
destino.
Se viceversa leggiamo i primi capitoli della Genesi, osserviamo uno
spettacolo grandioso con un Dio che, con inesausto ardore, organizza
il tempo e lo spazio, crea la luce, separa le acque dalle terre,
brulicanti di vita, popola i cieli di nuvole foriere di pioggia, fa
salire i monti e distendere le valli, genera sorgenti e torrenti
impetuosi, suscita venti e inneva le cime.
Crea il sole, la luna e gli astri del firmamento, produce erbe,
germogli, fiori, alberi colmi di frutta e tutti gli esseri viventi
che affollano mari e terre, dai pesci che nuotano, ai serpenti che
strisciano, agli uccelli che dominano il cielo, dalle lepri paurose
ai leoni coraggiosi ed alla fine plasma l’uomo dalla polvere, come
dal suolo fa germogliare alberi ed animali.
Le altre lettere L’Espresso - 23 febbraio 2015
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*Voglio un museo dell’emigrazione
Dopo l'Unità d'Italia nel corso di pochi decenni circa 25 milioni di
italiani sono stati costretti all'emigrazione oltre oceano. Soltanto
pochissimi sono ritornati. Oggi la storia si ripete all'incontrario
ed ecco legioni di disperati che vedono nelle nostre città la terra
promessa. Il nostro passato di emigranti è dimenticato, complici le
istituzioni, che non hanno realizzato un museo che ci rammenti gli
anni in cui eravamo carne di macello, pronta a qualsiasi lavoro,
anche il più umile. Un museo dell'emigrazione, per ricordare il
passato e per spegnere in noi semi di razzismo e becero leghismo.
Quale sede più degna del porto di Napoli, dove sono partiti i
bastimenti, carichi di disperazione, di ansia di riscatto e di
dignità.
La Repubblica N - 28 febbraio 2015 (col titolo Vorrei a Napoli un
museo dell’emigrazione) - Il Mattino 26 marzo 2015 (col titolo Unità
d’Italia storie d’emigrazione) - Già pubblicato in passato: La
Repubblica 10 settembre 2005 (col titolo Un genocidio dimenticato) –
Il Corriere del Mezzogiorno 14 settembre 2005 (col titolo Un
genocidio dimenticato) – Il Roma 19 settembre 2005
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Dove sta la felicità?
Se non esistesse la felicità la vita non sarebbe degna di essere
vissuta, anzi forse non esisterebbe affatto, almeno quella
dell’uomo, che pare sia l’unico essere in grado di provarla, a
differenza del dolore, che affligge tutti i viventi.
Alla base esiste una differenza biologica fondamentale: gli animali
posseggono come noi fibre nervose specializzate e zone cerebrali
adibite a percepire la sofferenza fisica, mentre solo gli uomini
hanno un complesso sistema di mediatori chimici, imperniato
principalmente sulle endorfine e raffinate ramificazioni neurotiche
in grado di elaborare la complessa sensazione della felicità.
Da millenni poeti e scrittori ne hanno parlato, filosofi e fondatori
di religioni hanno cercato e consigliato il modo per raggiungerla,
migliaia di aforismi hanno tentato di definirla, ma l’essenza della
felicità continua a sfuggire, soprattutto a quelli che non sono
riusciti mai ad assaporarla pienamente.
In gran parte il destino decide la quantità di felicità che ci
spetta, infatti per goderne dobbiamo possedere un adeguato corredo
genetico, che ci predisponga, con delicati equilibri tra recettori
centrali e vettori periferici, ad una soddisfacente fruizione. Una
parte secondaria rivestono poi l’ambiente, le relazioni sociali, gli
incontri, soprattutto con l’altro sesso, le abitudini di vita,
l’età, lo stato di salute.
Essere sani e possibilmente giovani, anzi sono condizioni
imprescindibili per essere felici.
Credere in Dio, avere molti amici, allegri e sorridenti, non porsi
grandi traguardi, difficili da raggiungere, avere abbastanza denaro,
ma non troppo, sono altri ingredienti utili per raggiungere lo
scopo.
Drasticamente ridimensionati dalle indagini scientifiche e
psicologiche sono i miti della società occidentale: potere,
ricchezza, successo non sono la ricetta giusta.
Recenti ricerche hanno identificato un’area precisa del cervello
deputata alle emozioni piacevoli localizzata nel lobo frontale
dell’emisfero sinistro ed un neurotrasmettitore specializzato: la
dopamina.
Anche un medico della mutua attento può constatare nei suoi pazienti
affetti da ictus, che quelli colpiti nell’emisfero sinistro vanno
incontro a disturbi di tipo depressivo, mentre gli altri spesso sono
colpiti da uno stato perenne di euforia del tutto ingiustificata.
Esperimenti eseguiti con la Pet, una moderna tecnica in grado di
valutare i flussi sanguigni, hanno dimostrato che i soggetti
esaminati in situazioni di allegria sono interessati da un aumentato
afflusso di sangue verso il lobo frontale sinistro, mentre quando si
prova tristezza e depressione è interessata la zona omologa di
destra, come pure alcuni studi eseguiti sui monaci tibetani, mentre
praticano la meditazione trascendentale, hanno dimostrato un
iperafflusso verso il lobo frontale sinistro, in coincidenza con le
loro dichiarazioni di essere felici.
Una società profondamente materialista come la nostra cerca delle
scorciatoie per raggiungere i suoi scopi ed una dimostrazione
lampante è l’aumento vertiginoso della frequentazione da parte degli
studenti delle cattedre, appositamente create in molte università
americane, per insegnare a raggiungere la felicità.
I consigli principali che vengono elargiti dagli esperti sono di
praticare una costante attività fisica, che sembra aumenti la
concentrazione nel sangue dei mediatori chimici responsabili di
stati emotivi gradevoli e cercare di pensare positivo: ritornare
ogni sera con la mente a tre situazioni piacevoli pare faccia
miracoli.
Naturalmente in attesa che la farmacologia trovi la soluzione del
problema con una pilloletta e possiamo essere certi che quando verrà
messa in commercio le farmacie saranno prese d’assalto.
Le altre lettere L’Espresso - 3 marzo 2015
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Aspettando papa Francesco
Il 21 marzo, oltre alla primavera, a Napoli giunge papa Francesco,
con il suo messaggio di pace e di fratellanza ed è significativo che
abbia scelto di trascorrere la sua giornata tra Scampia, la più
grande piazza di spaccio della droga d’Europa, il carcere, dove
pranzerà con i detenuti, l’incontro con gli ammalati e il bagno di
folla finale sul lungomare con i giovani, il futuro della città.
Quanta differenza con l’ultima visita di un pontefice, incentrata
sull’incontro a piazza Plebiscito con i potenti in prima fila per
ricevere il sacramento dell’Eucarestia, dal truce filisteo, abituale
adoratore del vitello d’oro, sceso dal Nord per l’ostia televisiva,
all’ateo inveterato, nemico giurato della Chiesa, salvo che nelle
occasioni eccezionali. Ed alle loro spalle premevano per il rito del
baciamano eurotelevisivo amministratori corrotti, malversatori
abituali, usurai incalliti, bestemmiatori immarcescibili e tutta
quella feccia che ha portato la Campania sul fondo del baratro. Per
l’occasione fu ripulito il suo percorso, tolto cumuli di puteolente
spazzatura, colmato voragini nelle strade, allontanato per poche ore
scippatori e spacciatori, truculenti magnaccia e sguaiate
prostitute.
In seconda fila vi era la Napoli vera che non potette conoscere: i
disoccupati cronici, i giovani senza futuro, i pensionati alla fame,
i commercianti strangolati dal pizzo, i lavoratori al nero per 500
euro al mese, ma soprattutto la folla degli onesti, costretti in un
angolo dalla prepotenza dei vincitori.
Non fu possibile raccogliere il disperato grido di dolore degli
abitanti delle periferie degradate, vedere le antiche chiese cadere
in rovina, gli abusi edilizi ubiquitari, l’esercizio spietato della
prevaricazione come regola di vita.
Conoscere veramente Napoli, dove per millenni lingue e culture
aliene hanno sempre goduto di accoglienza e tolleranza, antica e
gloriosa capitale, costretta al rango di capitale della monnezza e
della malavita
Santità, Voi non ne avete bisogno, fate che l’augurio che vi sarà
indirizzato dal Cardinale: "'A Maronna t’accumpagna” sia viatico per
i napoletani nel lungo viaggio dal buio delle tenebre verso la Luce.
Le altre lettere L’Espresso18 marzo 2015
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Quell’appello di papa Francesco
Durante la visita di papa Francesco a Napoli in pochi hanno notato
un'esternazione del pontefice, il quale, rivolgendosi ai detenuti di
Poggioreale, ha affermato che a fine anno chiederà pubblicamente un
atto di clemenza per i carcerati. Speriamo non se ne dimentichi,
come se ne sono dimenticati governo ed opinione pubblica,
perpetuando una situazione di degrado insostenibile per una nazione
che pecca di ritenersi civile.
La Repubblica N 25 marzo 2015
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Il Giubileo e l’indulto
La visita di papa Francesco a Napoli è stata seguita in tempo reale
da giornali e televisioni, che hanno dedicato enorme spazio
all’evento, ma solo poche righe sono state dedicate ad
un’esternazione del pontefice, il quale, rivolgendosi ai detenuti di
Poggioreale con cui ha consumato il pranzo, ha affermato che a fine
anno, quando proclamerà l’apertura del Giubileo, chiederà
pubblicamente un atto di clemenza per i carcerati.
Speriamo non si dimentichi, come vergognosamente se ne sono
dimenticati governo ed opinione pubblica, perpetuando una situazione
di degrado insostenibile per una nazione che si pecca di ritenersi
civile.
Parlare di indulto non porta voti, ma seguire l’indicazione di un
papa tanto amato, potrebbe indurre finalmente a prendere un
provvedimento improcrastinabile, propugnato a suo tempo dallo stesso
presidente della Repubblica Napolitano.
Le altre lettere L’Espresso - 26 marzo 2015
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La toponomastica nel regno dei Savoia
Gentile dottore,
nel 1853 il re borbone Ferdinando II realizzava la prima tangenziale
al mondo:un'arteria di cinque chilometri, che, superando delicati
problemi orografici, metteva in collegamento la parte occidentale
della città con la parte orientale, permettendo l'urbanizzazione di
vaste aree.
L'opera fu apprezzata in tutta Europa per le soluzioni tecniche e la
velocità di esecuzione. I Napoletani cavallerescamente vollero
dedicarla alla regina Maria Teresa, ma il toponimo ebbe breve
durata, perché subito dopo l'unità d'Italia, i Savoia decisero che
un nuovo nome dovesse ricordare il loro re conquistatore dell'antico
regno, anche se la strada era stata realizzata da un altro sovrano.
Questa appropriazione indebita è passata sotto silenzio per 150
anni, ma è giunto il momento per fare giustizia di questi soprusi
del passato, grazie al certosino lavoro di coraggiosi storici che,
lentamente, ci stanno insegnando a rivalutare la nostra storia
gloriosa.
Un invito al nostro sindaco a voler dedicare questa strada a chi
l'ha ideata e realizzata nell'interesse della sua amata città:
Ferdinando II.
Il Mattino 1° aprile 2015, già pubblicata su Il Mattino 10 giugno
2003 (col titolo La tangenziale di Ferdinando II)
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Il tramonto del denaro
L'automazione, i computer, i robot quanto prima libereranno
l'umanità dal fardello del lavoro e anche il denaro, ad esso
collegato, andrà in soffitta dopo millenni di baratti e secoli di
moneta. Sarà la più rivoluzionaria delle rivoluzioni alla quale non
siamo assolutamente preparati, affezionati come siamo a quei
simpatici pezzi di carta, sporchi e stropicciati che sono i soldi.
Li desideriamo ardentemente, li conserviamo come reliquie nel
portafoglio, per averli facciamo qualsiasi cosa, anche lavorare come
matti per tutta la vita, per averne di più siamo disposti a tradire
un amico, a scavalcare un debole, a ingannare un avversario.
Crediamo ciecamente che con il loro possesso si possa comperare
tutto ciò che si desidera: oltre a vestiti, auto, cibo e oggetti
lussuosi anche il favore degli altri, l'onestà delle donne, la
giustizia degli uomini, la coscienza del prossimo. Se non ne abbiamo
la gente ci guarda con insofferenza e con disprezzo, mentre se
mostriamo di averne tanto tutti si dimostrano amici. Dimentichiamo
che il denaro non ci permette di acquistare né la salute, né
l'amore, né la vera amicizia e neppure la serenità. Con il suo
possesso ci procuriamo soltanto l'invidia della gente, l'unica cosa
di cui faremmo volentieri a meno.
La Repubblica N 7 aprile 2015 (col titolo Quel che il denaro non può
comprare) – Il Mattino 9 maggio 2015 (col titolo Schiavitù del lavoro
e automazione)
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Vestiti stracciati e pettinature barbare
Sabato mattina ho pensato con entusiasmo di visitare Comicon, ma
giunto in prossimità degli ingressi, le file interminabili mi hanno
indotto a più miti consigli, contento per il successo della
manifestazione, un po' meno per il dover rinunciare alla visita. Mi
sono però soffermato a lungo a osservare le file di aspiranti
visitatori, la quasi totalità giovani e ho costatato che nella mia,
oramai abbastanza lunga vita, una sola volta mi ero imbattuto in una
fila più lunga (circa 3 chilometri), quando nel 1989, prima della
caduta del muro di Berlino, a Leningrado, dovevo visitare con la mia
famiglia il celebre museo dell'Ermitage e rimasi spaventato da una
marea di persone pazientemente in attesa, avendole scambiati per
amanti dell'arte, mentre viceversa si trattava semplicemente di
cittadini che ambivano di acquistare una bottiglia di Coca Cola, tra
l'altro prodotta in loco. Ma la seconda osservazione è quella che mi
ha sorpreso maggiormente e amareggiato oltre misura: non vi era un
giovane che non indossasse vestiti stracciati e non ostentasse
pettinature tra il barbaro e il demenziale, mentre moltissime
ragazze erano in maschera, da fata, da strega, da donna fatale, pur
essendo lontano il Carnevale. Probabilmente volevano rendere omaggio
al titolo della rassegna apparendo comiche e svampite.
La Repubblica N 5 maggio 2015
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**La collina dei poeti con Virgilio
e Leopardi
Tra i luoghi più dimenticati di Napoli, che viceversa potrebbero
costituire un potente richiamo per i turisti, va annoverato al primo
posto il parco Vergiliano, da non confondere con quello Virgiliano,
fino a poco fa paradiso per le coppiette in vena di effusioni
erotiche. Esso, posto alle spalle della chiesa di Piedigrotta e nei
pressi della maestosa stazione di Mergellina, oggi umiliata a
semplice fermata della metropolitana, ospita le tombe di Virgilio e
di Leopardi. Pochi sanno della sua esistenza, le automobili prima di
affrontare il buio della galleria laziale che le porterà a
Fuorigrotta, lo costeggiano distratte. Dovrebbe cambiare il suo nome
e assumere più degnamente quello di collina dei poeti; ne ospita
infatti due tra i più grandi di tutti i tempi, vissuti in tempi
diversi, entrambi nati altrove, ma che hanno desiderato riposare per
sempre a Napoli, una città dove hanno vissuto a lungo. Il luogo non
è grande, ma la poesia ha bisogno di poco spazio, in un sonetto può
essere racchiuso l'intero universo, come loro ci hanno insegnato. Si
sale lentamente lungo un viale alberato e i rumori scompaiono, anche
i treni diventano una lontana presenza. Dopo la seconda curva
compare un grande mausoleo su cui è inciso: Giacomo Leopardi. Ancora
pochi passi e giungiamo a una nicchia che prende luce da due
aperture; al centro un braciere e una corona di alloro; qui riposa
Virgilio, morto a Brindisi, ma che espresse il desiderio di essere
sepolto all'ombra del Vesuvio. Se ci inerpichiamo ancora arriviamo
all'ingresso della Cripta napoletana, la famigerata grotta dove per
secoli si sono celebrati riti dionisiaci, per non dire orgiastici,
dove sono nate la sfogliatella e la festa di Piedigrotta. Una
galleria che, secondo la leggenda di Virgilio non solo poeta, ma
anche mago, fu da lui costruita in una sola notte, con l'aiuto di
duemila diavoli. Una grotta da dove nasce una parte cospicua della
nostra storia e delle nostre tradizioni e di cui noi napoletani
continuiamo a ignorare la stessa esistenza.
La Repubblica N 13 maggio 2015
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La scomparsa dei cavalieri
Per la prima volta nella storia ultracentenaria dell'ordine, fondato
nel 1901, quando ad assegnare l'onorificenza era il Re, questo anno
nessuno dei nuovi 25 Cavalieri del lavoro è un imprenditore campano.
Evento triste ed in parte prevedibile, in considerazione dello
sfascio dell'economia e della inarrestabile fuga di cervelli, ma la
presenza di uno sparuto gruppo di irriducibili, che continuano a
lavorare per mantenere i livelli occupazionali e con la speranza di
una auspicabile inversione di tendenza, forse avrebbe meritato, se
non un riconoscimento, un incoraggiamento.
La Repubblica N 26 maggio 2015 – Il Mattino 1° giugno 2015
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Dio non abita più qui
Da troppi anni a Napoli sono gli omicidi a scandire ritmicamente il
calendario, mentre tutto il territorio sfugge completamente al
controllo dello Stato, che da tempo ha abdicato alle sue funzioni,
vicariato dalla delinquenza organizzata, che detta legge oramai in
ogni faccenda pubblica e privata. Il Comune e la Regione sono entità
astratte prive di ogni potere. L’assoluta incertezza del diritto fa
sì che gran parte dei malavitosi siano certi di farla franca e di
dover rispondere al massimo ai rimorsi della propria coscienza, un
tribunale, almeno da Dostoevskij in poi, di tutto rispetto, ma
purtroppo, non ancora parificato agli ordinamenti di una moderna
Repubblica. I giovani fuggono in massa verso un destino meno amaro,
una diaspora di dimensioni bibliche che preclude ogni speranza di
miglioramento futuro; restano soltanto i vecchi borghesi, pensionati
e piccoli commercianti che oramai si sono arresi.
Leopardi che pure l’amava la definì “terra di lazzaroni e di
pulcinella” e tanti altri insigni personaggi, da Campanella alla
Serao, condivisero pareri negativi, senza parlare dei tanti
viaggiatori stranieri, in visita a Napoli, quando la capitale era
una delle mete obbligate del Gran Tour. Si giunse così al laconico
giudizio di “ un paradiso abitato da diavoli”, coniato quando la
camorra non era ancora divenuta una delle organizzazioni criminali
più feroci della Terra.
Eppure nonostante questa antica maledizione gravi come un macigno,
non esiste città dove disorganizzazione e gioia di vivere convivano
con maggiore armonia. Ed è questa la colla che tiene ancora uniti
tutti coloro che amano svisceratamente il loro luogo natio, la loro
patria e soffrano una struggente malinconia quando sono costretti a
cercare altrove pane e tranquillità.
E’ probabile che la nostra città rappresenti un laboratorio dove
affrontare una serie di tematiche che da noi hanno da tempo
raggiunto e superato il livello di guardia, ma che interessano tutti
gli Italiani: traffico, disoccupazione, delinquenza organizzata,
smaltimento dei rifiuti, abusivismo, ecc.
I Napoletani sono gente antica, che non ha reciso le radici col
passato e che ha rifiutato vigorosamente le suadenti sirene della
modernità. Rappresentiamo una delle ultime tribù della terra in
lotta contro la globalizzazione.
Abbiamo alle spalle una storia gloriosa di cui siamo fieri,
passeggiamo sulle strade selciate dove posò il piede Pitagora, ci
affacciamo ai dirupi di Capri appoggiandoci allo stesso masso che
protesse Tiberio dall’abisso, cantiamo ancora antiche melodie
contaminate dalla melopea fenicia ed araba, ma soprattutto sappiamo
ancora distinguere tra il clamore clacsonante delle auto sfreccianti
per via Caracciolo ed il frangersi del mare sulla scogliera
sottostante.
Avere salde tradizioni e ripetere antichi riti con ingenua fedeltà è
il segreto e la forza dei Napoletani, gelosi del loro passato ed
arbitri del loro futuro, costretti a vivere, purtroppo, in un
interminabile e soffocante presente.
Il Mattino 4 giugno 2015 (col titolo Un glorioso passato ci salva
dal futuro) – Già pubblicato da Il Roma 18 dicembre 2009 come
editoriale dal titolo Napoli, un paradiso abitato… da diavoli
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Amori immortali amori d’oggi
Tutti conoscono i grandi amori mitizzati dalla letteratura: Filemone
e Bauci, Paolo e Francesca, Orfeo ed Euridice, Romeo e Giulietta,
Dafni e Cloe, Tristano e Isotta, Abelardo ed Eloisa, splendidi
esempi di passione travolgente che spinge due destini nella stessa
direzione?
Potremmo ricordare altri nomi famosi, celebrati dalla mitologia e
dalla letteratura, ma vorrei aggiungere, a futura memoria, due
sconosciuti: Mustafà ed Amina, genitori di un ragazzo africano che
ho conosciuto nel penitenziario di Rebibbia.
Durante un viaggio della speranza e della disperazione dalle coste
libiche a Lampedusa, su un gommone per venti passeggeri che ne
conteneva quaranta, dopo due giorni di navigazione, il mare
s’increspò minaccioso con onde di tre metri.
Gli schiavisti decisero che bisognava diminuire il peso, gettando a
mare un po’ di zavorra umana.
Il primo ad essere prescelto fu Mustafà, che pesava 110 chili ed
altri cinque sventurati.
Amina decise di voler morire con il marito: affidò il suo bambino ad
una donna, salvando in tal modo uno dei prescelti e scomparvero
abbracciati tra i flutti, sotto gli occhi impietriti del figlioletto
di 8 anni.
Un episodio d’amore supremo che non sfigura al confronto delle
storie di personaggi resi immortali dalla penna degli scrittori.
Il Mattino 11 giugno 2015
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Le feci dei cani in strada e l’esperimento del DNA
Le strade della città, soprattutto al centro, sono costellate da una
miriade di feci canine, che padroni scostumati lasciano a futura
memoria, dopo che i loro amici fedeli hanno espletato le naturali
funzioni fisiologiche.
Il comune potrebbe rimpinguare le sue scarse entrate, incaricando i
vigili urbani di comminare multe salate ai proprietari dei
quadrupedi colti nell’atto della defecazione.
Viceversa, per fare le cose in grande ed approfittando che da tempo
i manicomi sono chiusi, i nostri solerti amministratori hanno
pensato di schedare il DNA della popolazione canina (con un costo
medio per prelievo di circa 600 euro) per agire a posteriori, dopo
che è avvenuto il fattaccio, alias imbrattamento del marciapiede,
attraverso analisi del materiale depositato, alias merda, con
ulteriori costi di migliaia di euro.
Ci sarebbe da rimanere sbigottiti, fortunatamente sembrerebbe che i
prelievi di sangue effettuati fino ad ora, creando notevoli disagi
ai padroni dei cani costretti a recarsi in Asl lontane dal proprio
domicilio, giacciono da mesi nei frigoriferi.
La Repubblica N 16 giugno 2015
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San Gennaro, ora basta!
Anche durante la visita di Lech Walesa, pochi mesi dopo la
liquefazione avvenuta in occasione della venuta a Napoli di papa
Francesco, le ampolle di san Gennaro hanno ripetuto il prodigio(non
chiamiamolo miracolo, perché anche la Chiesa non lo riconosce)
divenuto oramai molto, troppo frequente.
Lo stesso pontefice a marzo era stato molto riservato sul fenomeno e
pare che finalmente, grazie al suo coraggio, si è prossimi ad una
pronuncia ufficiale sui miracoli… in serie che si producono a
Medjugorie, dove hanno dato luogo ad un turismo religioso ed un giro
di affari da far impallidire la stessa Lourdes.
In attesa che indagini serie, eseguite da una commissione
internazionale di scienziati, sulle tante ampolle di sangue,
appartenenti a santi meno famosi, ma soprattutto di proprietà di
nobili famiglie napoletane, possa chiarire definitivamente la natura
del fenomeno, sarebbe troppo indiscreto collocare una micro
telecamera nella cassaforte dove sono conservate le ampolle del
patrono di Napoli ed osservare se per caso durante i mesi trascorsi
tra un prodigio e l’altro, la liquefazione non si ripeta
continuamente e non unicamente nelle occasioni canoniche?
Le altre lettere L’Espresso 17 giugno 2015
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La disorganizzazione affonda la cultura
Ieri, domenica, approfittando dell’ingresso
gratis nei musei, avevo organizzato con un gruppo di un centinaio di
amici ed amici degli amici, appassionati cultori della storia
cittadina, una visita guidata al museo civico, sito in Castel Nuovo,
più noto come Maschio Angioino.
Martedì mi ero recato in avanscoperta per visionare i luoghi,
trovando il museo chiuso, perché, come candidamente riferitomi da un
funzionario, vi sono pochi custodi. Mi era stato però confermato che
domenica avrei trovato tutto aperto. Per cui grande è stata la
sorpresa, mista a rabbia, quando abbiamo trovato la porta sbarrata
dello stesso castello.
Mentre spiegavo agli intervenuti la storia e le meraviglie
artistiche che ci erano state negate, ogni 5 minuti, giungeva un
gruppo nutrito di turisti, desiderosi di avere la conferma che
Napoli è città d’arte. Tutti borbottavano in idiomi sconosciuti e
temo si ripromettessero in futuro diversi e più accoglienti
itinerari.
Gradiremmo una risposta da parte dei responsabili di questo
disordine organizzativo con l’auspicio che non si ripetano più.
Lo Strillo 20 giugno 2015
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Il dolore fisico è nemico dell'uomo
Il dolore fisico è un penoso fardello che
accompagna la vita dell’uomo, dal primo pianto del neonato
all’agonia del vecchio, veglia come un oscuro fantasma su ogni passo
della nostra esistenza, pronto a colpire. Problema ancora insoluto
per il medico, quesito tormentoso per il filosofo, consigliere
mendace di pietà per il credente.
Il dolore acuto di una scottatura, segnalandoci un pericolo può
avere un significato, ma il dolore esacerbante ed afinalistico che
accompagna le grandi patologie, in primis i tumori e che si conclude
dopo anni con la morte del paziente, certamente non è di alcuna
utilità.
La religione cristiana considera la sofferenza un viatico per una
vita ultraterrena felice; per secoli lo ha addirittura invocato e
perseguito, ricordiamo il cilicio e l’autoflagellazione e ciò ha
influito pesantemente sulla nostra cultura, che non si è resa conto
chiaramente che il dolore fisico è il più mortale nemico dell’uomo e
che per debellarlo bisognerà prima esorcizzarlo e poi ingaggiare una
furiosa battaglia, utilizzando qualsiasi risorsa materiale ed
intellettuale.
Sarà necessaria prima una rivoluzione culturale, poi si dovrà
organizzare contro di esso ed il mito che lo accompagna una
implacabile campagna scientifica, che dovrà cessare solo dopo una
completa vittoria, quando la sofferenza sarà cancellata per sempre e
relegata come mostruosità nei libri di storia della medicina.
I nostri nipoti rimarranno attoniti quando leggeranno che ai nostri
giorni si centellinava la morfina ai malati terminali e si
considerava soffrire un passaporto per il paradiso.
Le altre lettere L’Espresso 24 giugno 2015
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Il trionfo del secolo d’oro
Mentre oggi a Montpellier si inaugura una
straordinaria mostra dedicata alla pittura napoletana seicentesca:
L’Age d’Or de la peinture a Naples, de Ribera a Giordano, giudicata
dal ministero francese tra le più importanti del 2015, ricca di 84
dipinti di cui 28 provenienti da musei e collezioni private
partenopee, a Napoli sono anni che non si riesce ad organizzare una
rassegna decente, degna delle memorabili esposizioni degli anni
passati, quando la sovrintendenza alle Belle Arti era un’isola
felice abitata da insoliti titani, dal vulcanico Raffaello Causa al
sovrano di Capodimonte Nicola Spinosa, da tempo in pensione e che
guarda caso è l’organizzatore della mostra transalpina di cui
abbiamo accennato.
Il Mattino 24 giugno 2015
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Chiese in rovina a Napoli, un bollettino di
guerra
Napoli dal Cinquecento ad oggi possiede la
maggiore concentrazione di chiese al mondo, ben più di quelle di
Roma, capitale della cristianità.
Purtroppo da tempo immemore un numero sempre crescente di edifici di
culto è chiuso e le opere d’arte contenute sono alla mercé di ladri
e di vandali; un fenomeno aumentato a dismisura con il terremoto del
1980, mentre i fondi a disposizione delle istituzioni sono
praticamente inesistenti.
Un patrimonio di storia e di arte che rischia di disintegrarsi,
mentre potrebbe costituire un’attrattiva irresistibile per il
turismo, unica speranza per la città di lavoro e di denaro.
Nello stesso tempo i fedeli sono diminuiti e con loro i sacerdoti,
un processo irreversibile che dovrebbe indurre le autorità civili e
religiose ad una riconversione dei luoghi sacri, destinandoli a
diverse funzioni, sociali o redditizie, affidandole ai privati.
Bisogna assolutamente salvare un capitale così grande di bellezza e
consegnarlo integro ai nostri discendenti. Muoviamoci tutti, inclusi
i mass media, sperando che almeno una volta il groviglio di
competenze non crei ostacoli insormontabili.
La Repubblica N 1° luglio 2015
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Il Califfato islamico: come, quando, dove,
perché
L’altro giorno il mio fraterno amico Tonino
Cirino Pomicino, che da sempre si batte per la pace e l’armonia tra
i popoli, mi chiedeva di scrivere una focosa lettera ai giornali per
denunciare la vendita di armi pesanti, dai carri armati alle bombe,
ai terroristi islamici. Più che fare questa sacrosanta denuncia,
certo di non ottenere niente, perché da quando le guerre si
combattevano con archi e frecce, i mercanti di morte non li ha mai
fermato nessuno, ho preferito fare delle esaustive ricerche e
cercare di spiegare all’opinione pubblica, la nascita e la
tumultuosa crescita del Califfato islamico
Nel luglio 2014 nasceva in Iraq l’Isis (Stato islamico di Siria e
Iraq) che ben presto si è definito Is (Stato islamico) con ambizioni
di diffusione a livello mondiale, come infatti sta avvenendo.
Nell’Occidente cristiano, specie nell’Unione Europea compresa la
nostra Italia, si è letto la presenza dell’Is solo come la “guerra
santa dell’Islamcontro i Cristiani”. Ma c’è anche un’altra lettura
più realistica: l’Is (o Califfato) è il tentativo disperato di
portare i Popoli islamici alla rinascita dalla decadenza attuale,
ritornando alle radici dell’Islam come vissuto da Maometto e dai
primi Califfi (cioè successori di Maometto). Il sicuro fallimento di
questo progetto sta portando a guerre intestine tra fazioni e Popoli
islamici, imponendo le uniche soluzioni logiche per salvare i valori
dell’Islam e permettere ai Popoli islamici di entrare nel mondo
moderno: leggere il Corano in modo critico, accettare la separazione
fra Islam e politica e la Carta dei diritti dell’uomo (e della
donna) proclamata dall’Onu nel 1948, che i Paesi a maggioranza
islamica ancora non hanno accettato, ecc. L’Is è anzitutto un
conflitto interno fra Musulmani, non una guerra contro l’Occidente,
anche se i Cristiani ne sono le vittime. Perché “sicuro fallimento”
del Califfato? Anzitutto perché oggi nessun Musulmano vorrebbe
vivere in uno Stato islamico. L’Is si impone solo con la violenza e
chi è costretto a viverci dentro, appena può scappa. Inoltre è
visibile a tutti che non c’è alcun Paese islamico, che possa
rappresentare un modello di Paese in cui si vorrebbe vivere. Il
confronto fra Paesi cristiani e Paesi islamici è umiliante per
questi ultimi: in politica, libertà, cultura, giustizia sociale,
istruzione, rapporto uomo-donna, solidarietà con gli ultimi e i
poveri, ecc. i Cristiani hanno creato paesi molto più vivibili che
non i Paesi islamici. Anche nei Paesi ricchissimi per il petrolio,
la minoranza che ha in mano le ricchezze petrolifere non è
interessata ad uno sviluppo umano integrale del suo Popolo. Nel 2004
in Brunei, il Sultanato islamico nel Borneo (grande come la
Liguria): spese pazze del Sultano e delle Classi dirigenti e
migliaia di lavoratori stranieri in gran parte anch’essi Musulmani
(Indonesiani, Bengalesi, Malaysiani) che dicevano: “Qui siamo
trattati quasi come schiavi e nei nostri Paesi i poveri sono aiutati
dai Cristiani, non da questi ricchissimi Musulmani”. Il Bangladesh è
un Paese quasi totalmente islamico, con un Popolo finora tollerante
anche verso la piccola minoranza cristiana. Oggi non è più così e si
lamenta la continua lotta fratricida tra le varie fazioni politiche
e religiose che rovinano l’economia e la stabilità politica del
Paese. I commenti alla situazione politica del Bangladesh si fanno
sempre più scoraggianti e laconici. Non si sa più che dire, e non si
può neppur più ripetere che “così non si va avanti a lungo” perché
ormai si va avanti da mesi e non ci sono cenni che la faccenda si
risolva. Fra le poche osservazioni che raccogliamo, ecco quella di
un medico di Dhaka: “Apparentemente stiamo attraversando una delle
molte, abituali fasi di crisi a cui il Bangladesh è abituato. Ma c’è
qualcosa di diverso, questa volta la lotta è diventata più cattiva,
si sta seminando odio a piene mani. Nei villaggi, ma anche in città,
la lotta politica non distruggeva i rapporti umani, a volte anche di
amicizia fra membri di partiti avversari. Ora però le bottiglie
incendiarie che rovinano la gente vanno ben oltre le scazzottature
cui eravamo abituati. Il tessuto sociale si sta sfilacciando, e
chissà come si potrà ricostruire”. L’odio religioso fra Sunniti e
Sciiti porta alla ribalta le due potenze islamiche dell’Arabia
Saudita e dell’Iran, sempre più coinvolte nella lotta fra le varie
fazioni politiche e religiose da loro dipendenti. Così avviene in
Yemen con l’intervento militare dell’Arabia Saudita e anche in
Bahrein dove la rivolta degli Sciiti è stata schiacciata
dall’esercito Saudita, in Libano dove gli Hezbollah sono un braccio
militare degli Sciiti libanesi, in Siria fra Alauiti e Sunniti, in
Irak dove gli Sciiti sono più numerosi, ma i Sunniti hanno sempre
avuto il potere politico e adesso lo stanno perdendo, ecc. , Il 15
maggio scorso il fondatore del Califfato Al Baghdadi ha dichiarato
che l’Islam “è una religione della guerra” ed ha chiesto a “ogni
Musulmano di ogni luogo di attuare la hijrah (emigrazione) verso lo
Stato islamico o di combattere nel proprio Paese, ovunque esso sia”
e di attuare la “guerra santa” (jihad) per passare da un Islam di
pace a uno di guerra, imitando Maometto e la sua Egira (nel 622
d.C.), perché “l’Islam non è mai stato una religione della pace.
L’Islam è una religione della lotta”. L’Egira segna l’inizio
dell’era islamica, quando Maometto, Capo religioso, diventa Capo
militare, converte le Tribù arabiche all’Islam e inizia le guerre di
conquista che estendono le Terre e i Popoli dell’Islam portandolo al
tempo del suo massimo splendore. Di fronte a situazioni come queste,
noi Cristiani cosa possiamo fare? Tre cose:
1) Anzitutto escludere nei confronti dell’Islam e dei Musulmani ogni
atteggiamento bellico; un conto è difendere un Paese o un Popolo da
un ingiusto Aggressore, un altro è pensare che le guerre
dell’Occidente (come quelle in Iraq, in Afghanistan, in Libia)
possano risolvere il problema dell’Islam salafita, cioè estremista.
La guerra la vincerebbero sicuramente i Musulmani, per il solo fatto
che loro sono Popoli giovani, noi siamo Popoli vecchi!
2) Papa Francesco, parlando al Pisai (Pontificio Istituto di Studi
arabi e d’islamistica), ha detto: “Mai come ora" si avverte la
necessità del dialogo con i Musulmani, "perché l'antidoto più
efficace contro ogni forma di violenza è l'educazione alla scoperta
e all'accettazione della differenza come ricchezza e fecondità". Ciò
richiede un atteggiamento di "ascolto" per essere capaci di capire i
valori dei quali l'altro è portatore e di conseguenza "un'adeguata
formazione affinché, saldi nella propria identità, si possa crescere
nella conoscenza reciproca"; ma esige anche di "non cadere nei lacci
di un sincretismo conciliante e, alla fine, vuoto e foriero di un
totalitarismo senza valori". È il cosiddetto “dialogo della vita”,
cioè l’incontro fraterno fra Popoli islamici e Cristiani, che ha
come motivazione fondamentale non la politica o l’economia, ma la
religione.
3) Per incontrare e dialogare con l’Islam l’Europa deve capire che
l’Islam ci stimola a ritornare alle nostre radici cristiane, non
solo, ma ad una vita cristiana, La nostra Società, tutta tesa al
progresso economico-scientifico-tecnico e all’avere sempre di più, è
cieca di fronte ai fatti culturali e religiosi: tutto è ricondotto
all’economia, alla scienza-tecnica e alla politica, della religione
non si parla quasi mai! Oggi questi Popoli profondamente religiosi
sia pure in un modo condannabile (perché hanno un concetto di Dio
opposto al nostro, che “Dio è Amore”) ci richiamano alla realtà. Ci
vedono come Popoli praticamente atei, Popoli senz’anima da riportare
a Dio anche con la violenza. San Giovanni XXIII, il “Papa Buono” di
Sotto il Monte, nell’Enciclica “Mater et Magistra” (nn. 47 e 69) va
alla radice della nostra crisi di civiltà con parole molto dure per
lui, che era conosciuto come “il Papa buono”: “L’aspetto più
sinistramente tipico dell’epoca moderna - scrive - sta nell’assurdo
di voler ricomporre un ordine temporale solido e fecondo
prescindendo da Dio, unico fondamento nel quale soltanto può
reggersi; e di voler celebrare la grandezza dell’uomo disseccando la
fonte da cui quella grandezza scaturisce e della quale si alimenta”.
Il primo Ministro inglese Tony Blair, parlando al Parlamento europeo
all’inizio degli anni 2000 ha detto: “L’Occidente deve difendere i
nostri valori….Abbiamo creato una civiltà senz’anima, dove ritrovare
quest’anima se non tornando al Vangelo che ha fatto grande
l’Occidente?”
Il Roma 4 luglio 2015
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La legge sull’aborto all’esame della Corte di
Giustizia
In Europa vige una normativa, sconosciuta a gran
parte degli avvocati, dei parlamentari e dei giornalisti, per cui,
se una legge di un Paese è in contrasto con la legislazione
praticata negli altri Stati membri della Comunità, un comune
cittadino, senza necessità di assistenza legale, può ricorrere alla
Corte di Giustizia europea e chiederle di sostituirsi al legislatore
nazionale, riscrivendo la legge o parte di essa, senza che il
Parlamento si scomodi ad intervenire.
Il sottoscritto ha oggi presentato un’ampia documentazione, che
dimostra, in maniera inconfutabile, come la famigerata legge 194 del
22 maggio 1978, che regola la delicata materia dell’interruzione
volontaria della gravidanza, sia l’unica in Europa a non prevedere
la libera scelta della donna di servirsi del suo medico di fiducia
nel suo studio privato. Una decisione possibile in Francia ed in
Spagna, in Germania o in Inghilterra; per rimanere tra le nazioni
più importanti.
Quanto prima la Corte di Giustizia europea, appena esaminerà
l’esposto, non potrà che cambiare la legislazione e finalmente gli
aborti clandestini si potranno chiamare con il loro vero nome:
privati.
La Stampa 11 luglio 2015
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Fermare l’immigrazione clandestina? Come,
quando, dove, perché
Ogni anno centinaia di migliaia di disperati,
uomini, donne, bambini, solcano le acque del Mediterraneo alla
ricerca di un briciolo del nostro benessere; presto saranno milioni
ed a breve si conteranno a decine di milioni.
Un fiume umano che non si fermerà davanti a nessun ostacolo e che
travolgerà la nostra civiltà.
Uno scenario da incubo che possiamo soltanto ritardare,
Come? Per qualche anno potremmo ancora arginare l’ondata migratoria
pagando profumatamente i Paesi del nord Africa, Libia in primis,
dotandoli di mezzi marittimi navali adeguati ed incaricandoli di
ostacolare nel deserto le migrazioni verso il mare e di distruggere
tutte le imbarcazioni clandestine.
Quando, dove? Sarà poi necessario allestire campi profughi, simili a
lager, dove chi riesce lo stesso ad arrivare viene trattenuto fino a
quando non accetta di tornare da dove è partito o quanto meno di
essere ospitato in campi di accoglienza più confortevoli, che
dovranno sorgere nei paesi rivieraschi, sempre a spese di noi
europei.
Bisognerà dedicare a questa complessa operazione non meno dello 1%
del pil europeo.
Viceversa se si volesse cercare di ostacolare il corso della storia,
frenando alla base i fenomeni migratori, bisognerebbe, impegnando il
3 – 4 % del pil, scrivere in maniera diversa l’ultimo doloroso
capitolo del colonialismo. L’Europa, dopo aver sfruttato le
ricchezze dell’Africa, dovrebbe farsi promotrice di colossali opere
di riqualificazione del territorio, portando l’acqua nel deserto e
favorendo lo sviluppo dell’agricoltura e della piccola e media
industria.
Non vi sono altre vie da percorrere ed a nulla valgono i velleitari
appelli buonisti di papa Francesco, né i beceri proclami razzisti
della Lega.
Il Tirreno 15 luglio 2015
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Una bufala mediatica
A lampante dimostrazione che non solo internet è
fuori controllo, ma anche i mass media cartacei sparano idiozie
inattendibili vi è il caso del dipinto di Paolo Porpora danneggiato
nel museo di Taipei da un visitatore disattento e che giorno dopo
giorno raggiunge quotazioni da record: dal milione di dollari
iniziale, oggi sul web circolavano valutazioni di oltre 10 milioni,
mentre dall’oriente mi contattavano giornalisti e televisioni per
avere conferma di queste cifre e notizie sul pittore.
A parte che la tela non è di Porpora, ma di un suo collega romano:
Mario Nuzzi, più noto come Mario dei fiori, bisogna precisare che il
quadro è passato alcuni anni fa in asta quotato 25.000 – 30.000 euro
e che da allora il mercato ha visto scendere sempre più il valore
dei dipinti, per cui l’episodio è stato montato oltre misura e va
obbligatoriamente ridimensionato, per amore della verità, ma
soprattutto per rispetto dell’informazione.
Il Tirreno 27 agosto 2015
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Una foto che grida vendetta
Dopo la foto del migrante morto asfissiato nel
cofano motore di un’automobile, mentre cercava disperatamente di
raggiungere la terra promessa, da ieri girano sui mass media
mondiali le foto choc del bimbo annegato sulla spiaggia di Bodrum in
Turchia, mentre anche lui anelava ad un futuro migliore. Un’immagine
che ammutolisce, ma non si può rimanere in silenzio, bisogna urlare
tutto il dolore e la rabbia, sperando di arrivare ai potenti che
governano un mondo attento unicamente al pil, un’Europa che ha
inventato il diritto d’asilo, che per secoli ha sognato e propugnato
eguaglianza e fraternità, che ha predicato e praticato la carità e
che oggi pensa solo ad amministrare l’egoismo e l’indifferenza. Quel
tenero corpicino senza vita deve illuminarci, è tempo di decisioni
coraggiose che tutti dobbiamo prendere, dobbiamo sognare una società
dove regnano regole diverse, per non svegliarci in un mondo da
incubo.
Lo strillo 4 settembre 2015
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Piazze per tutti
A pochi mesi dalla morte Pino Daniele ha una
strada che lo ricorda e già si parla di dedicare piazzetta Augusteo
al patron dell’omonimo teatro, ma quanto dovrà ancora aspettare
Achille Lauro, prima che il comune decida di dedicargli una piazza?
Se il sindaco non lo conoscesse ci permettiamo di ricordargli che
parliamo del più grande armatore del mondo di tutti i tempi, del
sindaco plebiscitario, del presidente a vita del Napoli e potremmo
continuare a lungo, ma è tutto inutile, almeno fino ad ora ad oltre
30 anni dalla sua morte.
Il Brigante ottobre 2015
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**Attila è morto: un dolore indescrivibile
Come se non bastassero i guai di ogni genere che
da tempo mi perseguitano, stamattina una mazzata terribile mi ha
colpito: la morte improvvisa di Attila, il mio fedele rottweiler,
col quale avevo condiviso per anni le rare gioie ed i tanti dolori.
Aveva dormito tranquillo, accanto a me come sempre, sul suo
tappetino persiano, mentre io avevo trascorso una notte insonne.
Appena sveglio alle 9 era uscito sulla balconata a prendere un po’
d’aria ed ho notato che il suo respiro era affaticato, in pochi
minuti si è accasciato ed a cominciato a rantolare.
Sveglio mio figlio Gian Filippo, telefoniamo disperatamente ad
alcuni veterinari senza esito. All’improvviso Attila si alza, sembra
riprendersi, ma si è voluto solo spostare sul suo tappetino per
concludere lì dove ha sempre dormito la sua esistenza. In pochi
minuti ci ha lasciato, con gli occhi aperti, che ancora mi guardano
mentre, sono le 16, scrivo queste accorate parole per ricordarlo.
Fra pochi minuti riposerà nel mio giardino in compagnia della palla
con la quale amava giocare.
Era già pronta per lui la dedica del mio ultimo libro: Ad Attila il
mio prode rottweiler, compagno nella buona come nella cattiva sorte,
non sai leggere un libro, ma sai leggere meglio di chiunque
nell’animo umano.
Anni fa era divenuto celebre grazie ad una mia lettera pubblicata
sull’Espresso, nella quale raccontavo una triste storia, che sembra
incredibile, accaduta durante un mio periodo di forzata assenza da
casa: Ogni volta che invio a casa dei panni da lavare, la mia
cameriera li fa annusare ad Attila, che mi aspetta da due anni; egli
crede che stia per ritornare a casa e corre a mettersi vicino al mio
letto sul tappetino dove era solito dormire accanto a me e mi
aspetta per tutto il giorno. Solo la sera deluso e senza toccare
cibo si ritira nella sua cuccia.
Chiunque abbia avuto accanto a sé un cane sa di quale grande amore
si tratta.
Le Altre lettere – L’Espresso 19 ottobre 2015 – La Repubblica N 20
ottobre 2015 – Il Mattino 30 ottobre 2015 – Lo Strillo ottobre 2015
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*La verità sulla terra dei fuochi
La Terra dei fuochi o il famigerato Triangolo
della morte, complici il successo planetario di Gomorra e la
criminale assenza secolare dello Stato, hanno trasformato
nell’immaginario popolare un luogo geografico in un incubo, una
Chernobyl all’ombra del Vesuvio, un inquinamento morale più che
ambientale, una sorta di gigantesco buco nero in grado di
inghiottire un’antica civiltà.
Questa è la situazione presentata dai mass media, ma giornali e
televisioni ignorano che da tempo sono disponibili dati
inoppugnabili, i quali dimostrano che la produzione alimentare
proveniente dalla zona è assolutamente sicura e può essere consumata
tranquillamente. I terreni agricoli inquinati interessano soltanto
920 ettari, lo 0,9% della superficie dei 57 comuni delle province di
Napoli e Caserta interessati dal decreto governativo “Terra dei
fuochi”, che si estende per 108.000 ettari.
Le istituzioni interessate alla ricerca sono assolutamente
affidabili, dall’Università all’Istituto zooprofilattico, dal
Ministero dell’agricoltura all’Istituto superiore di sanità,
purtroppo questi dati sono ignorati dall’opinione pubblica, che
continua a considerare la Campania una terra maledetta da Dio e
dagli uomini.
La Repubblica N – 13 ottobre 2015 - Il Mattino 24
novembre 2015
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Contro il terrorismo rafforzare i servizi
Il vile attacco terroristico, che ha insanguinato
Parigi, provocando oltre 100 vittime ed una giusta ondata di
indignazione in tutto il mondo, ben espressa nelle ferme parole di
condanna del Pontefice, deve farci riflettere, perché non si può
solo piangere, bensì bisogna prendere cognizione della complessa
situazione internazionale, che richiede fermezza da parte della
politica, chiamata a difficili quanto coraggiose decisioni,
illuminazione da parte dei pochi intellettuali ancora in
circolazione, ma soprattutto coraggio da parte di tutti noi, pronti
ad appoggiare provvedimenti drastici quanto oramai ineludibili.
Cosa può fare l’Italia, cosa l’Europa, cosa l’Occidente? Sono tre
percorsi diversi anche se tendono alla fine verso lo stesso
obiettivo, fermare o quanto meno arginare il terrorismo.
L’imminente celebrazione del Giubileo fa tremare, anche se l’Italia,
da sempre è stata immune dal terrorismo, perché costituisce il
ventre molle, attraverso il quale l’immigrazione clandestina fa
affluire ogni anno milioni di disperati, tra i quali sarà facile
reclutare esaltati disposti a qualunque atto inconsulto.
Ritornando alla prevenzione del terrorismo compito dell’Italia è
potenziare i servizi segreti, unica arma in grado di contrastare una
guerra senza fronti e senza eserciti schierati. Se non riusciremo a
reclutare James Bond, almeno cerchiamo di assoldare agenti esperti
provenienti da intelligence dell’est europeo, una via già percorsa
con ottimi risultati dalla delinquenza organizzata.
Una strategia che dovrà essere perseguita anche dall’Europa, in
grado di affiancare anche efficaci azioni militari, in particolare
bombardamenti a tappeto là dove vengono localizzati campi di
addestramento, soprattutto nei territori del Califfato islamico,
argomento sul quale invito il lettore a consultare in rete un mio
breve scritto digitandone tra virgolette il titolo: “Il Califfato
islamico: come, quando, dove, perché”.
L’Occidente, Stati Uniti in testa, deve poi prendere atto che ciò
che sta succedendo è solo il capitolo iniziale di uno scontro di
civiltà epocale, sul cui risultato finale non mi pronuncio (sono
pessimista), ma che va combattuto senza esclusione di colpi.
Quando il gioco diverrà duro e le azioni militari si
intensificheranno è pura illusione lavorare senza l’aiuto degli
Americani e l’assenso, più o meno prezzolato di Putin.
La Repubblica N – 18 novembre 2015 – Senatus
dicembre 2015
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Cuffaro libero
L'ex governatore della Sicilia Salvatore Cuffaro
dopo aver scontato la condanna a sette anni per concorso esterno nel
favoreggiamento alla mafia, oggi torna un uomo libero, lasciandosi
alle spalle il carcere romano di Rebibbia. Finalmente finisce un
doloroso calvario, percorso con cristiana rassegnazione e comincia
una nuova vita tutta dedicata al prossimo. Infatti è sua ferma
intenzione, subito dopo il periodo natalizio trascorso in famiglia,
di partire per il Burundi e lì prestare la sua opera di medico in
favore della derelitta popolazione africana, facendo tesoro della
preziosa esperienza maturata a contatto con ergastolani senza
speranza e con gli ultimi della terra, da tutti dimenticati, spesso
anche dai propri cari. Una decisione che merita rispetto ed
ammirazione.
Le Altre lettere – L’Espresso 3 dicembre 2016
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Il Natale consumistico
Da tempo è in atto una guerra silenziosa verso la
tradizione millenaria del presepe, in nome di un multiculturalismo
abietto e fuori luogo. I grandi magazzini non vendono più i
caratteristici pastori, con la scusa di una richiesta diminuita e va
sempre più di moda l’albero di Natale, una usanza nordica che
incontra sempre più adesioni. Le due espressioni sono lo specchio di
due diverse concezioni religiose: quella monoteista e quella
animista. Infatti mentre il Bambinello ci ricorda il messaggio di
pace e la buona novella, l’albero ci rammenta il periodo nel quale
tutti noi vivevamo nelle grandi foreste.
Mettere insieme i due simboli è un modo corretto per conciliare
tradizioni religiose differenti.
Nel presepe si rappresenta il momento culminante dell’amore di
Giuseppe e Maria verso il loro fragile figlioletto, destinato in
breve tempo a cambiare il mondo ed è triste constatare come, drogati
dal consumismo, abbiamo trasformato questo magico momento in un rito
di massa, con grandi mangiate e smodate libagioni, acquisti
frenetici ed una idolatrica prostrazione al moloch dell’euro.
La Repubblica N 10 dicembre 2015
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Il centenario dimenticato
A giorni il 2015 cederà il passo al nuovo anno e
bisogna constatare con tristezza che la ricorrenza del centenario
dell’entrata in guerra dell’Italia è stato rimosso e volutamente
dimenticato sia dalle istituzioni che dai mass media.
Nessun intellettuale ha fatto sentire la sua voce solenne sui
giornali, ammonendo i giovani sui disastri della guerra e ricordando
i passi della nostra costituzione che la ripudiano come mezzo per
risolvere le controversie tra i popoli.
La televisione ha continuato a propinarci programmi spazzatura,
senza organizzare un ciclo di film educativi del livello di
Orizzonti di gloria di Kubrick o Roma città aperta di Rossellini,
invitando alla meditazione.
Siamo gli eredi della generazione che ha messo, e se ne vantava, i
fiori nei cannoni, ma oggi siamo solo impegnati ad acquistare o a
sognare il nuovo modello di telefonino o la vacanza ai Caraibi.
Che tristezza!!!
Il Mattino 6 gennaio 2016
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*Il mausoleo Schilizzi, una potenziale
attrazione turistica
Abito da mezzo secolo a Posillipo, ma solo ieri
sono riuscito a visitare il mausoleo Schilizzi, l’originale
monumento funebre in stile egizio, con annesso parco, che, con
piccoli lavori di manutenzione, potrebbe trasformarsi in una
interessante attrazione turistica, oltre a costituire un
corroborante polmone di verde per la popolazione alla disperata
ricerca di giardini dove trascorrere ore liete. Sul finir
dell’Ottocento doveva essere la tomba di una ricca famiglia
livornese, ansiosa di gareggiare con i più potenti faraoni, è
divenuto poi da decenni un sacrario in memoria dei tanti giovani che
hanno sacrificato la vita per la patria nel corso della 1° guerra
mondiale.
Il panorama è mozzafiato, con Capri in primo piano, gli alberi
maestosi, i prati numerosi, senza considerare la calma serafica che
emana da un luogo di memorie, che induce alla meditazione.
Cosa aspettano le istituzioni con una spesa modesta a restituirlo
degnamente alla fruizione di indigeni e forestieri.
La Repubblica N – 2 gennaio 2016 - Il Mattino 8 gennaio 2016
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Malasanità, forse? Cattiva stampa sicuramente!
La notizia della morte di una giovane
diciannovenne mentre si sottoponeva in ospedale ad una interruzione
di gravidanza addolora tutti, fatalità o errore medico poca importa.
Ma la campagna mediatica che giornali e televisioni imbastiscono
sull’episodio lascia perplessi. I titoli cubitali: malasanità,
quando ancora si ignorano le cause del decesso e poi il solito
copione, dal ministro che manda gli ispettori alla famiglia che
sporge denuncia, dalle minacce ai medici ai cori di biasimo dei
benpensanti, perché quando si parla di aborto, anche se praticato
nel rispetto della legge, si tocca un nervo scoperto della morale e
della religione.
E tutto questo mentre al pronto soccorso dell’ospedale incriminato,
il Cardarelli, il più grande del sud Italia, per avere non un letto,
non una barella, ma una semplice sedia dove attendere le cure si
aspettano ore, abbandonati al proprio destino
Lo Strillo 15 gennaio 2015
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Elogio della vanità
L’universo è il frutto della vanità di Dio, una
qualità da taluni ritenuta un difetto, ma che rappresenta una
preziosa virtù, perché è il motore che muove le più nobili attività
dell’uomo: l’arte, la poesia, la scienza, la politica, la stessa
santità non esisterebbero senza la prepotente molla della vanità.
Vanità è il piacere di farsi conoscere, ma anche la triste
consapevolezza della caducità di tutte le cose.
Senza di essa l’uomo si spegnerebbe ad un livello inferiore al mondo
vegetale e minerale, perché i fiori dai colori smaglianti, non
possiamo forse immaginarli vanitosi e i rubini, gli smeraldi, i
diamanti non si beano forse nell’essere ammirati?
Il desiderio disperato di sopravvivere alla morte fisica è il sogno
pietoso della vanità, di rubare un istante al flusso dell’eternità,
un anelito disperato che ci trasforma in fratelli minori di Cioran
ed in discendenti umorali di Leopardi.
L’illusione di resistere al disfacimento della morte rende nobile un
sogno fragile, che infiamma l’operosità dell’intelletto.
Tutta la nostra cultura è dominata dal segno di questo agitarsi
dello spirito, dall’Ecclesiaste con il suo vanitas vanitatum, alla
Gnosi con il suo mondo creato da un demiurgo funesto.
Siamo figli inconsapevoli di un sogno malizioso, non il piacere
narcisistico di piacersi, ma l’inesausto esercizio dell’intelligenza
per rimanere nella memoria collettiva.
L’Espresso 17 gennaio 2016
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