Cap.7
Un artista poliglotta
Francesco Clemente
Francesco Clemente, nato a Napoli nel 1952, ha trovato lontano dalla
sua città fama e fortuna ed è riuscito ad esprimersi in maniera tale
da essere apprezzato da una platea internazionale dal palato fine,
raggiungendo quotazioni molto alte per le sue opere, molto ricercate
soprattutto dai collezionisti americani.
Permeato dalle suggestioni dei più diversi pensatori come Gregory
Bateson, William Blake, Allen Ginsberg e J.Krishnamurti, il lavoro
di Francesco Clemente attraversa confini intellettuali e geografici.
Dividendo il suo tempo tra New York, dove si è trasferito nel 1981,
e Varanasi, in India, Clemente ha adottato una grande varietà di
supporti e tecniche per i suoi lavori, esplorando, abbandonando e
tornando all’uso dell’olio su tela, dell’acquarello, del pastello e
delle tecniche di stampa. Il suo lavoro si sviluppa in modo non
lineare, espandendosi e contraendosi in maniera frammentaria, non
definita da uno stile, ma dal suo registrare le fluttuazioni del sé
nel momento in cui lo sperimenta. L’obiettivo è esprimere una
coscienza espansa e testimoniare, con leggerezza, la sopravvivenza
di un’esperienza estatica nella società materialistica.
La sua attività copre quattro decenni ed abbraccia diverse culture,
cercando la pienezza d’espressione attraverso la frammentazione e
vuole testimoniare la persistenza della contemplazione e del piacere
in un’epoca dominata dalla tecnologia.
Il lavoro di Francesco Clemente ha le sue radici nell’utopia
politica ed esprime una posizione anti-materialistica. Negli anni
Settanta è passato dalla fotografia al disegno ed ha anticipato il
ritorno della pittura degli anni Ottanta. Negli anni Ottanta,
Clemente si è diviso tra India e New York. Per un breve periodo
associato al Neo-Espressionismo, si interessa al lavoro svolto in
collaborazione con artigiani indiani e con artisti come Jean-Michel
Basquiat e Andy Warhol, e poeti come Robert Creeley e Allen Ginsberg.
Negli anni Novanta il suo lavoro ha esplorato intensamente
l’immaginario erotico, ispirato dalla tradizione Tantrica di India e
Tibet ed ha trasfigurato le preoccupazioni contemporanee intorno ai
temi dell’identità e della sessualità in un’opportunità per
interrogarsi sulla natura del sé. Successivamente, il lavoro di
Francesco Clemente ha attraversato una fase più cupa e grottesca,
tornando negli ultimi anni ad immagini luminose di meditazione e
trasformazione.
Dagli anni Ottanta ad oggi, l’artista si è reso anche cronista della
vita intellettuale e sociale di New York attraverso numerosissimi
ritratti, contribuendo a ridare profondità e valore ad un genere
visto all’epoca con sospetto.
Durante questo decennio il lavoro di Clemente è esposto in numerose
mostre in istituzioni e musei internazionali, come la Whitechapel
Art Gallery di Londra (1983), il Walker Art Center di Minneapolis
(1984), la Nationale Galerie di Berlino (1984), il Metropolitan
Museum of Art di New York (1985), l’Art Institute of Chicago (1987)
e la Dia Art Foundation di New York (1988).
Nel 1988 Clemente realizza disegni e dipinti per il film Great
Expectations.
Negli anni Novanta le sue opere sono state esposte in innumerevoli
mostre personali e collettive, con retrospettive di primo piano al
Philadelphia Museum of Art, alla Royal Academy di Londra, al Centre
Pompidou di Parigi ed al Sezon Museum of Art di Tokyo. Nel 1999/2000
i Solomon R. Guggenheim Museum di New York e di Bilbao organizzano
una grande retrospettiva del lavoro di Clemente. Più recentemente, è
stato protagonista all’Irish Museum of Modern Art di Dublino (2004);
al Rose Art Museum, Massachusetts (2004); al Museo Maxxi di Roma
(2006), al Museo Madre di Napoli (2009), alla Schirn Kunsthalle di
Francoforte (2011) ed alla Yale University (2013). Una mostra
dedicata ad autoritratti ed a un’interpretazione originale delle
Carte dei Tarocchi si è tenuta presso gli Uffizi di Firenze nel
2011. Francesco Clemente è membro dell’American Academy of Arts and
Letters.
Ampia la bibliografia sull’artista e sulla sua opera, purtroppo
tutta in lingua inglese, ad eccezione di un ottimo lavoro di Paolo
Colombo, “Francesco Clemente”, pubblicato nel 2006 dall’Electa.
Compagno di classe del mio amico Enrico Arlotta, cercai, attraverso
il suo intervento, di poterlo intervistare per il quotidiano “Il
Denaro”, di cui curavo l’articolo di fondo.
Ci riuscii grazie ad un altro amico, Pietro Di Loreto, docente
all’Accademia di Belle Arti di Roma, che mi fornì il suo numero di
telefono. Ne uscì un’intervista tra il serio ed il faceto, dovuta
soprattutto alla mia avversione, salvo rare eccezioni, per l’arte
contemporanea.
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